SETTIMANA SOCIALE CATTOLICI ITALIANI
BENE COMUNE MA SENZA TRINCEE
La 45ª Settimana
sociale ha rilanciato il tema del bene comune. L’invito ai laici credenti è che
facciano rete intorno ai valori non negoziabili e non divisibili, in un paese
profondamente diviso, ricordando che operare per un giusto ordine nella società
è immediatamente compito loro.
In un sistema bipolare rischiano di diventare “bipolari” anche i valori cristiani. Una Settimana sociale dedicata al tema del bene comune, come quella di Pistoia-Pisa, non poteva non affrontare questa schizofrenia che insidia la coscienza profonda delle nostre comunità. Stiamo pagando in questo lo scotto di una concezione individualistica, spiritualistica e dunque riduttiva della fede: se Gesù è venuto a salvare tutto l’uomo, gli incontri ecclesiali fondamentali devono favorire un’unità culturale dei cattolici sui valori di fondo per la crescita di una società civile più avanzata. Perciò, negli ultimi decenni, il pensiero cattolico ha focalizzato più questioni di fondo che problemi emergenti (identità nazionale, società civile, democrazia): è una risposta allo sfilacciamento del paese nel passaggio dalla prima alla seconda Repubblica, ma anche il segno di un cattolicesimo sociale in difficoltà ad avanzare proposte adeguate a una società plurale. Un cattolicesimo del resto plurale anche al suo interno.
VALORI NON NEGOZIABILI
E NUOVA LAICITÀ
Di nuovo, come ormai dalla Settimana sociale di Napoli del 1999, l’impostazione di fondo del convegno è stata data dalla cosiddetta “scuola bolognese” di stampo neo-liberale rappresentata dai docenti Zamagni e Donati. L’esercizio del bene comune, nell’attuale clima collettivo da “anti-politica”, è stato applicato a quattro direttrici: globalizzazione, stato-mercato-terzo settore, bio-politica, questione educativa. Il raccordo è dato, secondo il neo-presidente CEI mons. Angelo Bagnasco, da quei valori “non negoziabili”, cioè non riconducibili al processo di secolarizzazione e di relativizzazione.
Come al solito gli organi di stampa si sono limitati a lanciare la notizia dell’avvenimento concentrandosi sul Messaggio del papa nel punto in cui denuncia il problema del lavoro precario dei giovani. In realtà Benedetto XVI aveva individuato l’obbiettivo alto del convenire: «Quale occasione migliore di questa per ribadire che operare per un giusto ordine nella società è immediatamente compito proprio dei fedeli laici? Come cittadini dello stato tocca ad essi partecipare in prima persona alla vita pubblica e, nel rispetto delle legittime autonomie, cooperare a configurare rettamente la vita sociale, insieme con tutti gli altri cittadini secondo le competenze di ognuno e sotto la propria autonoma responsabilità. Nel mio intervento al Convegno ecclesiale nazionale di Verona, l’anno scorso, ebbi a ribadire che agire in ambito politico per costruire un ordine giusto nella società italiana non è compito immediato della Chiesa come tale, ma dei fedeli laici. A questo loro compito della più grande importanza, essi debbono dedicarsi con generosità e coraggio, illuminati dalla fede e dal magistero della Chiesa e animati dalla carità di Cristo».
Si tratta dunque di aprire una stagione di nuova laicità in una società che «ha di fronte molteplici emergenze etiche e sociali in grado di minare la sua stabilità e di compromettere seriamente il suo futuro. Particolarmente attuale è la questione antropologica, che abbraccia il rispetto della vita umana e l’attenzione da prestare alle esigenze della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna. Come è stato più volte ribadito, non si tratta di valori e principi solo “cattolici”, ma di valori umani comuni da difendere e tutelare, come la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato».
LE SCIENZE AL SERVIZIO
DEL BENE COMUNE
Ci sembra opportuno presentare un breve resoconto dei temi principali della Settimana cominciando da alcune provocazioni di mons. Aldo Giordano, segretario generale del Consiglio degli episcopati europei (CCEE), nella tavola rotonda conclusiva. Il problema del bene comune si gioca oggi in Europa: a Bruxelles si impone infatti una «visione unilaterale che porta all’individualismo» ma al contempo «non si riesce a dare un contenuto, in termini di significato, alle parole che indicano i nostri valori importanti come libertà, dignità, senso della vita… Viviamo dunque tempi decisivi per ridare un contenuto al concetto di persona umana, proprio a cominciare dal rapporto con la famiglia».
Il dibattito sulle radici cristiane ha messo in luce, secondo mons. Giordano, che il mondo laico quando parla di cristianesimo pensa alle sue maschere, trovandovi un pericolo per la laicità o una confessione intollerante. In realtà «non c’è amore più grande di quello di chi dà la vita per gli altri, come Gesù. Il nostro bene comune è lui e l’Europa attende questo bene che vive in mezzo a noi. Si tratta solo di rimettersi in ricerca. Gli europei sono stati superbi, nel senso che hanno pensato di avere i lumi e si ritrovano invece a cercare una luce». Dunque «se ci si contrappone significa che non siamo guidati dal bene comune, anche come cattolici». Il luogo dove ripensare lo stesso bene comune sono laboratori interdisciplinari e interpersonali per uscire dalla frantumazione dei saperi.
Dall’economia politica (Zamagni) nasce una nuova attenzione a tre parole chiave: persona, democrazia, fraternità. La prima questione, quella antropologica, richiede un esercizio di nuova laicità, per cui lo stato deve porsi come equidistante da tutte le forme di argomentazione, religiose o meno. La democrazia deve poi farsi sempre più deliberativa e la politica sempre più associativa, dal momento che c’è divaricazione crescente tra politica pensata per il breve periodo a livello nazionale e conseguenze di scelte internazionali incidenti sulla sfera di libertà delle generazioni future. Infine, occorre andare oltre la solidarietà (principio di organizzazione sociale che consente ai diseguali di diventare eguali) verso la fraternità (principio di organizzazione sociale che consente agli eguali di esser diversi, di esprimere diversamente il piano di vita).
Dalla sociologia (Donati) viene la consapevolezza della crisi del welfare state tradizionale, in presenza della competizione interna ed esterna all’Europa, e l’idea alternativa di una società della sussidiarietà solidale. Una società cioè che ridefinisce il benessere a partire dai soggetti che ne sono al tempo stesso destinatari e artefici, che riconosce allo Stato il ruolo di decisore di regole generali ma non il ruolo di produttore di una propria società civile.
Da bioetica e diritto (D’Agostino) scaturisce la denuncia dei rischi di gestione integrale della vita biologica da parte dello stato (biopolitica). Lo specifico della biopolitica si rivela quando giunge a svuotare i concetti di vita e morte, di salute e di malattia, di terapia e di cura di ogni specificità naturalistica e scientifica, oltre che antropologica. Bisogna perciò ricostruire in chiave positiva la categoria della fragilità, intesa come rispetto della vita e coscienza dell’umana finitudine.
FARE PACE CON LA VITA
FAR VIVERE LA PACE
Dalla filosofia morale (Alici) viene segnalata l’urgenza di una formazione ai principi chiave della convivenza unita al senso storico per cogliere come quei principi possono trovare applicazione. L’opera educativa sembra oggi messa alla prova da molteplici sfide, riconducibili almeno a tre nodi di fondo: l’autonomia personale intesa in modo narcisistico, l’autenticità immediata (logica del carpe diem e dell’usa e getta), la separazione fra sfera pubblica e sfera privata. L’appello all’autonomia richiede una cura della partecipazione, la domanda di autenticità chiama a una capacità progettuale che nasce dalla custodia del patrimonio storico, il riequilibrio pubblico-privato necessita di un comune elementare alfabeto dell’essere e del bene.
Alici ha sottolineato che «la vita e la pace, soprattutto oggi, sembrano costituire i due pilastri irrinunciabili senza i quali non si costituisce un habitat educativo degno e accogliente per la persona umana… L’impegno culturale e formativo per fare pace con la vita e per far vivere la pace non solo aiuta a preservare l’impegno in favore del bene comune dalle interferenze improprie e strumentali del bipolarismo politico, ma può offrire un contributo non secondario per la edificazione di quell’edificio antropologico, in cui tutti possiamo vivere, e dove la condivisione di valori irrinunciabili e unificanti impedisca a una sana dialettica democratica di soccombere al gioco destabilizzante delle delegittimazioni reciproche». Da qui la Settimana può attingere per individuare lo stile dei cattolici nel servizio al bene comune: senza trincee sui valori di fondo usati come vessilli di una cittadella assediata, ma anche senza dispersioni dentro le pieghe della storia. Questo esige non solo una coerenza fra il contenuto e lo stile del Vangelo, ma anche fra l’altezza degli ideali cristiani e le modalità, spesso campanilistiche e competitive, con cui si cerca di perseguirli.
La responsabilità dei credenti e delle comunità è di fare sintesi fra discernimento comunitario, lungimiranza progettuale e spiritualità dell’azione, in un’Italia sedotta da messaggi e da modelli che ostentano l’idolatria del benessere individuale e a buon mercato, che guarda con disaffezione crescente a stanchezza e impotenza della politica. Mons. Arrigo Miglio, presidente del Comitato promotore della Settimana, ha confermato dal canto suo che l’incontro ha aiutato «a comprendere l’importanza di superare ogni residuo di perniciosa divisione tra coloro che sono impegnati nella difesa della giustizia, della pace, della salvaguardia del creato e quanti sono altrettanto intensamente impegnati nella difesa della vita umana e della famiglia così come il Creatore l’ha pensata e voluta. Dalle relazioni e dall’assemblea è emersa una sensibilità aperta verso tutti questi valori fondamentali, che oltre a essere “non negoziabili” sono indivisibili e non possono sussistere uno senza gli altri».
Mario Chiaro
1 La 45ª Settimana sociale (18-21 ottobre 2007), dedicata al tema del “bene comune”, ha celebrato a Pistoia e Pisa il suo centenario. La scelta di Pistoia ha voluto essere un omaggio alla città della prima Settimana, quella di Pisa si legava invece al ricordo di Giuseppe Toniolo, che per anni vi insegnò economia, spendendosi per questo strumento di confronto pubblico.