ALTRI MOMENTI DI SILENZIO

 

Silenzio che accompagna i riti come azioni, gesti, posizioni e movimenti.

Questa forma di silenzio ricorre in vari momenti della celebrazione.

– Riunirsi in assemblea celebrante: riunirsi in assemblea è già una celebrazione del mistero pasquale. Convocati dalla fede e dalla parola di Dio i fedeli si riuniscono, si adunano nel silenzio dell’azione, costituendo il Corpo di Cristo. Pertanto, entrando nello spazio sacro della celebrazione, è opportuno che essi evitino di parlare, di distrarsi, di fare chiasso.

 

– Silenzio che accompagna azioni o gesti: pensiamo qui all’incensazione. Il sacerdote mette l’incenso nel turibolo in silenzio e i fedeli accompagnano il rito dell’incensazione in silenzio. Si tratta di un silenzio interiore, in cui l’assemblea comunica con Dio mediante lo sguardo, l’udito e l’olfatto. Abbiamo poi azioni e gesti come la preparazione del calice, l’infusione di un po’ d’acqua nel vino, la presentazione del pane e del vino all’altare, la purificazione delle mani, il segno di croce tracciato sulle offerte del pane e del vino prima della consacrazione, l’elevazione dell’ostia e del calice dopo la consacrazione, le genuflessioni dopo la consacrazione del pane e del vino, l’elevazione della patena e del calice al termine della preghiera eucaristica, il rito della frazione del pane eucaristico e l’infusione di una particella dell’ostia nel calice e la presentazione del corpo e sangue di Cristo immediatamente prima della comunione. Si tratta di azioni vissute in silenzio. L’assemblea prega in silenzio, mentre accompagna questi gesti e queste azioni.

 

– Silenzio che accompagna i movimenti. Dice l’“Ordinamento

generale”: «Quando il popolo è radunato, mentre il sacerdote fa il suo ingresso con il diacono e i ministri, si inizia il canto d’ingresso. Se all’introito non ha luogo il canto, l’antifona proposta dal messale romano viene letta o dai fedeli, o da alcuni di essi, o dal lettore, o altrimenti dallo stesso sacerdote che può anche adattarla a modo di monizione iniziale» 47-48). E al rito della comunione scrive: «Mentre il sacerdote assume il Sacramento, si inizia il canto di comunione... Se invece non si canta, l’antifona alla comunione proposta dal messale può essere recitata o dai fedeli, o da alcuni di essi, o dal lettore, altrimenti dallo stesso sacerdote dopo che questi si è comunicato, prima di distribuire la comunione ai fedeli» (86-87).

Vorrei qui sottolineare il momento della presentazione dei doni, o il rito della preparazione della mensa del Signore. Il canto di preparazione delle offerte non è obbligatorio. Il messale romano non ha un’antifona per questo momento, come invece avviene per l’ingresso e la comunione. Scrive l’ “Ordinamento generale”: «Il canto all’offertorio accompagna la processione con la quale si portano i doni; esso si protrae almeno fino a quando i doni sono stati deposti sull’altare... È sempre possibile accompagnare con il canto i riti offertoriali, anche se non si svolge la processione con i doni» (74) Ma più avanti è aggiunto: «Se non si fa il canto all’offertorio o non si suona l’organo, il sacerdote, nella presentazione del pane e del vino, può dire ad alta voce le formule della benedizione, alle quali il popolo risponde: Benedetto nei secoli il Signore» (142).

Il rito di preparazione della mensa del Signore consta di tre momenti o tappe: la preparazione dell’altare, la processione con i doni del pane e del vino e l’acqua e la deposizione dei doni sull’altare. Ci sono tre modi con cui i fedeli possono vivere questo rito: seguendolo in silenzio; accompagnando i momenti della preparazione dell’altare e la processione dei doni con un canto; o cantando durante i tre momenti. Ciò che non si deve fare è sovrapporre diversi riti tra loro, come le offerte dei fedeli e la presentazione dei doni all’altare.

Di grande espressione orante è accompagnare in silenzio la preparazione dell’altare, la processione dei doni e la presentazione dei doni all’altare o la deposizione dei doni sull’altare fatta dal sacerdote. In silenzio, seguendo con lo sguardo, i fedeli che portano i doni compiono un rito significativo per tutti i presenti. Ciascun fedele si identifica con coloro che lo rappresentano. Ognuno porta all’altare la propria vita, il proprio lavoro, tutto ciò che in questo momento i doni significano, attraverso il Corpo di Cristo dato e il Sangue di Cristo sparso. Mentre questo si compie, essi raccolgono le ragioni dell’azione di grazie, rappresentate dai doni e risvegliano in sé l’atteggiamento di sacrificio dell’azione di grazie che si espliciterà nella preghiera eucaristica.

Silenzio nelle azioni e posizioni corporali

– Stare in piedi: Anzitutto l’alzarsi e lo stare in piedi. Fin dai primi secoli, la Chiesa non usa recitare le preghiere in ginocchio nelle domeniche e solennità, e nemmeno nel tempo pasquale. Lo stare in piedi è segno di Cristo risorto e dei cristiani risorti in Cristo, il vincitore, è prontezza all’ascolto della parola del Vangelo, annuncio del mistero pasquale celebrato. Tradizionalmente la Chiesa rende grazie in piedi, recita le preghiere presidenziali in piedi, la preghiera in comune in piedi. Perciò è più significativo fare l’annuncio di Cristo risorto nelle acclamazioni dopo la consacrazione in piedi.

 

– Stare seduti: stando seduti assumiamo una posizione corporale di accoglienza, di meditazione, di preghiera del cuore. Stando seduti, i fedeli non parlano, stanno in silenzio, in ascolto, meditazione e preghiera. Non si tratta, quindi, di un semplice riposo, ma di un silenzio pieno, traboccante.

 

– Stare in ginocchio si tratta di una posizione di umiltà, di riverenza, di rispetto, di concentrazione, come anche di adorazione.

 

– Gli inchini: sono altrettante azioni, non gesti veri e propri. Ci possono essere inchini della testa o del corpo. A volte sono accompagnati da parole proprie o del sacerdote. Inchini del capo al nome delle tre persone della santissima Trinità, al nome di Gesù, di Maria o del santo commemorato. Inchini del corpo o inchini profondi. I fedeli li fanno passando davanti all’altare quando non c’è sull’altare o nell’ambito del presbiterio il Santissimo Sacramento; lo fa il diacono per chiedere la benedizione prima di annunciare il Vangelo, lo fanno i ministri prima e dopo l’incensazione, lo fanno tutti i fedeli se rimangono in piedi durante il racconto dell’istituzione dell’Eucaristia, quando il sacerdote genuflette.

 

– Genuflettere: anche la genuflessione è fatta in silenzio, ossia senza dire nulla. Ha un significato diverso dallo stare inginocchiati. È un segno di adorazione.

 

– Prostrarsi: si tratta di uno dei due riti più significativi della sacra liturgia. La prostrazione si compie in momenti solenni di forte esperienza del sacro. Nel rito di apertura della celebrazione della Parola che commemora la Passione e morte del Signore il Venerdì santo, il sacerdote si prostra in silenzio davanti all’altare. Il popolo prega, accompagnando in silenzio.

Inoltre, abbiamo la prostrazione nella professione perpetua dei religiosi e religiose e nella consacrazione delle vergini. Il professando avverte la sua piccolezza davanti alla vocazione a cui è chiamato, del compito da attuare. Sente il suo niente davanti al sacro, davanti a Dio a cui sarà consacrato.

Di intenso significato è la prostrazione dei candidati per il servizio del Regno nelle ordinazioni del diacono, del presbitero e del vescovo. Gesto o posizione di chi sente il bisogno di essere purificato, di chi avverte il bisogno di aiuto e di protezione della comunità, degli angeli e dei santi,

soprattutto del Dio santo di fronte al compito a cui è chiamato.

Colui che è associato alla missione messianica di Cristo deve aver fatto una forte esperienza della propria piccolezza, della sua condizione di peccatore, una persona bisognosa di purificazione. Infine, accompagnato dalle litanie dei santi e dalle invocazioni delle preci, il silenzio lo avvolge, si lascia toccare da Dio che lo purifica e lo sostiene mediante l’intercessione di tutti i fedeli, degli

angeli e dei santi.