LETTERA DEL GENERALE DEGLI ORIONINI

LE VOCAZIONI PRIORITÀ ASSOLUTA

 

La pastorale non solo giovanile ma esplicitamente vocazionale come prospettiva irrinunciabile di tutta la programmazione dell’istituto. Le ragioni di tante vocazioni giovanili mancate. Non rassegnarsi mai alla crisi delle vocazioni.

 

«Non si finisce mai di crescere e di far crescere la congregazione», scrive il superiore generale degli orionini, don Flavio Peloso, in apertura della sua ultima lettera, imperniata sul tema della pastorale giovanile e in particolare sulle vocazioni di speciale consacrazione. Nella elaborazione del loro ultimo progetto di pastorale giovanile-vocazionale gli orionini hanno fatto una decisa scelta di campo: «culmine e fonte della pastorale giovanile è la vocazione».

A quanti, nella congregazione, si pongono l’interrogativo se sia opportuno e legittimo parlare di pastorale giovanile orionina, quasi che l’orioninità fosse un optional, qualcosa di aggiunto, qualcosa di privato rispetto a una pastorale giovanile che avrebbe finalità, contenuti e metodo comune, è la Chiesa stessa, risponde don Flavio, che «ci chiede di essere “orionini”, perché il carisma è un dono per la Chiesa». È sempre la Chiesa «che ci vuole come dobbiamo essere, orionini , noi e le nostre parrocchie, orionine le nostre scuole, orionine le nostre opere di carità, orionini i nostri laici e i nostri giovani! Orionini ! Ci siamo per questo. Il carisma è la ragione e la modalità per cui esiste la congregazione stessa».

 

UNA DOMANDA

FREQUENTE

 

Una delle domande più frequenti che un po’ tutti i superiori religiosi si sentono porre oggi è quella rivolta in maniera esplicita anche a don Flavio: «Come stiamo in fatto di vocazioni?». Proprio la problematica risposta a una domanda del genere ha spinto gli orionini a fare della promozione vocazionale (con la formazione), la priorità assoluta di tutta la programmazione dell’istituto.

La congregazione di don Orione, che attualmente conta 43 novizi, da una quarantina d’anni si aggira su poco più di un migliaio di religiosi. Come ovunque, anche lì, il calo di vocazioni italiane (di oltre un terzo in vent’anni), è compensato dall’aumento di vocazioni soprattutto in alcuni paesi africani, asiatici e latino-americani.

Il rimedio più efficace al calo vocazionale per guardare con fiducia e speranza al futuro è uno solo: migliorare la qualità della vita consacrata. Ha buon gioco don Flavio a richiamare a questo proposito un passaggio del Perfectae caritatis: «Ricordino i religiosi che l’esempio della propria vita costituisce la migliore propaganda del proprio istituto ed il migliore invito ad abbracciare lo stato religioso» (24) . Già don Orione, comunque, cosa suggeriva a quanti si lamentavano con lui per il fatto di non “avere”, di non “vedere” nuove vocazioni? «Noi avremo sempre tutte quante le vocazioni che sapremo meritarci con la nostra preghiera e con il nostro buon esempio». Le vocazioni nascono là dove «il religioso è veramente religioso e fa vita di perfezione e di lavoro».

C’è un passaggio delle costituzioni degli orionini che, nella sua sostanza, non è difficile trovare anche nelle più recenti costituzioni e regole di vita degli altri istituti religiosi, quando si affronta la responsabilità personale in ordine al problema vocazionale: «Noi religiosi, vi si legge, siamo chiamati a dare personalmente chiara testimonianza della nostra vocazione, e ognuna delle nostre comunità, vivendo in preghiera, nella gioia della comunione fraterna e in alacre servizio, è segno attraente e credibile per quanti vogliono rispondere alla chiamata del Signore». È proprio questo il motivo per cui, commenta don Flavio, «la prima e più importante iniziativa vocazionale è “elevare” la vita religiosa delle comunità per renderle “vocazionali”, cioè capaci di attrarre, di essere segno, vocazione per altri».

I mezzi più efficaci per suscitare vocazioni sono quelli ben noti a tutti: la preghiera fiduciosa e costante al Padrone della messe, la testimonianza personale e comunitaria, manifestata nella gioia e nello spirito di famiglia, l’impegno apostolico nelle parrocchie, nelle scuole e negli istituti, dove con la catechesi, i sacramenti, i contatti personali, ogni religioso ha l’opportunità di fare la proposta vocazionale. Inoltre, non vanno sottovalutati gli esercizi e i ritiri spirituali per giovani, le giornate annuale delle vocazioni e altre simili iniziative idonee all’orientamento vocazionale, l’animazione dei gruppi giovanili di impegno cristiano, con l’esperienza di servizio, specialmente nelle opere caritative (uno dei punti di forza del carisma orionino), la periodica accoglienza di giovani nelle comunità spiritualmente più vive.

Può succedere, a volte, che l’incontro e la relazione con i giovani siano frenati da un insieme di timore, di imbarazzo, impreparazione, inadeguatezza. Dovrebbe essere possibile a tutti, osserva don Flavio, superare questi stati d’animo: «Quanti giovani avviciniamo nelle nostre scuole, parrocchie, case di carità! Molti giovani si avvicinano per motivi di studio, di lavoro, di volontariato, per un interesse pratico. Si tratta di esporsi, di andare oltre il ruolo e di instaurare un dialogo anche su cose elementari, di cortesia, di amicizia». Era successo direttamente anche a don Orione quando un giorno si è imbattuto in un ragazzo, Marco Ivaldi: «Cosa ti è successo? Perché piangi? Ti farò io un po’ di catechismo». Da questo incontro, «ne venne fuori… la congregazione».

 

GIOVANI

E VOCAZIONE

 

Ancora nel 2006 l’Eurisko aveva svolto un’ampia indagine su “Giovani e vocazioni”, con un campione di giovani italiani dai 16 ai 19 anni. Uno dei risultati per certi versi più clamorosi era il fatto che dieci giovani su cento dichiararono di aver sentito almeno una volta nella vita la vocazione a farsi prete, religioso o suora. Anche se la maggior parte di questi intervistati ha poi abbandonato l’idea nel giro di pochi mesi, giustamente però non si poteva non porsi la domanda: «Perché tante vocazioni mancate»? Altrettanto immediata la risposta: «Perché non hanno trovato altri con cui parlarne». Infatti, il 71% dei giovani ha dichiarato di non avere conosciuto amici con lo stesso desiderio. Nel 29% dei casi l’idea era nata da un’esperienza personale, come la visita a un monastero, un pellegrinaggio, un ritiro spirituale, un’esperienza di volontariato. Però, senza alcuna comunicazione, senza alcun scambio con persone che avevano vissuto la stessa esperienza, tutto è svanito in brevissimo tempo.

Fa seriamente riflettere il fatto che in nessun caso l’idea di una chiamata al sacerdozio o alla vita consacrata sia venuta su invito di un sacerdote o padre spirituale. Senza una relazione personale è difficile far decollare una chiamata impegnativa del genere. Proprio per questo è quanto mai giustificato e comprensibile l’invito di don Flavio ai suoi confratelli: «Offriamoci all’incontro con i giovani, cominciando anche dal semplice parlare di sé, dalla comunicazione autobiografica per aprire alla reciproca confidenza e iniziare una relazione. E poi, non temiamo con i giovani di portare il discorso sulle “sorgenti della vita”, su Gesù, sulla fraternità e la solidarietà verso i più poveri. Così, mentre noi salviamo i giovani, i giovani salvano noi. Frequentare i giovani è frequentare il futuro. Fa bene a loro e fa bene a noi».

Proprio l’ultimo capitolo generale degli orionini aveva raccomandato di favorire la presenza dei giovani nelle proprie comunità. In ogni centro giovanile, in ogni oratorio, in ogni gruppo di volontari, dovrebbero essere previsti e coltivati gruppetti di giovani “vocazionalmente” orientati, con cui condividere momenti di preghiera, di spiritualità, qualche attività e possibili segni di amicizia.

Nessuno come un superiore generale sa di dover fare i conti con le condizioni sociali ed ecclesiali in cui concretamente opera la propria congregazione. Eppure don Flavio può convintamente affermare che là dove esiste una pastorale giovanile specificamente e vocazionalmente orientata, si hanno più facilmente dei riscontri positivi in fatto di vocazioni. Non ha nessun dubbio nell’affermare che «la grazia più grande di Dio alla Chiesa e alla congregazione sono le persone consacrate per il Regno». Proprio per questo la gran parte della carità di tutti gli orionini andrebbe esercitata in chiave vocazionale.

Purtroppo, osserva don Flavio, in alcune nazioni «ci si è quasi rassegnati al fatto che “c’è crisi di vocazioni” e che “non ci si può fare niente”», col rischio di by-passare, anche in importanti incontri a livello di congregazione, ogni specifico discorso vocazionale. «Dedichiamo tante energie e preoccupazioni per ben governare una casa, per sviluppare un’opera, per aprire nuove attività. Perché non dedicare altrettanta e più attenzione per governare lo sviluppo vocazionale della congregazione?». Già don Orione diceva di non saper chiamare «vero zelo quello di un religioso o sacerdote che si tenesse pago di istruire i giovani e non cercasse di avviare verso il santuario quelli nei quali vede l’innocenza».

 

DA DOVE

INCOMINCIARE?

 

Una volta, osserva don Flavio, almeno in Italia, le vocazioni venivano in seminario «quasi come un frutto spontaneo che maturava nell’ambiente cristiano della famiglia e della parrocchia». Anzi, dopo l’abbondante “mietitura” fatta dai vescovi per i propri seminari, don Orione diceva di limitarsi a “spigolare” per sé quelle che rimanevano sul campo! Oggi la situazione è radicalmente cambiata. Un po’ ovunque non c’è più nulla da “raccogliere” o da “spigolare” in fatto di vocazioni. «Occorre suscitarle e coltivarle», e la pastorale giovanile si deve necessariamente orientare verso “specifiche iniziative vocazionali”.

Da dove incominciare? Dalla elaborazione di un “progetto vocazionale provinciale”, risponde don Flavio, purchè sia un vero progetto. Oggi non bastano più iniziative sporadiche. Si deve puntare su qualcosa di continuativo e di collegato con tutte le realtà della provincia religiosa. Non basta più accontentarsi di un confratello incaricato o di una casa designata a questo specifico compito. Tutti i religiosi si devono sentire pienamente coinvolti. Nel contesto della pastorale giovanile, ci dev’essere un progetto chiaramente vocazionale, con la previsione di specifiche iniziative per le vocazioni di speciale consacrazione.

Le parole-chiave di questo progetto sono quelle della continuità, della ordinarietà e della comunitarietà. Anzitutto, continuità. Non bastano, cioè, anche belle iniziative ma saltuarie, come campi estivi, ritiri e cose del genere. C’è bisogno, invece, di «un progetto vocazionale durante tutto l’anno, adattabile ma preciso, che dia continuità alla proposta e all’accompagnamento dei giovani».

Insieme alla continuità ci dev’essere, però anche la organicità. Anche qui, non possono bastare iniziative e proposte vocazionali anche molto coinvolgenti, ma fine a sé stesse. Vanno accompagnate da un cammino interiore ed esperienziale ordinario – fatto di relazione, di direzione spirituale, di confessione – con i giovani coinvolti. Insieme alla organicità, infine, va garantita anche la comunitarietà dell’esperienza. Infatti è sempre «dalle comunità e nelle comunità che nascono e crescono le vocazioni... soprattutto quelle più vive, di giovani legati alla vita». Da giovani “solitari” o “ai margini” della vita, in questo campo, non c’è molto da attendersi.

Don Flavio non poteva non concludere queste sue riflessioni sull’impegno vocazionale della sua congregazione religiosa se non facendo propria la preghiera che Benedetto XVI aveva inserito nel suo messaggio per la giornata mondiale di preghiera per le vocazioni nell’aprile scorso: «La Vergine, che ha prontamente risposto alla chiamata del Padre dicendo: “Eccomi, sono la serva del Signore”, (Lc 1,38), interceda perché non manchino all’interno del popolo cristiano i servitori della gioia divina: sacerdoti che, in comunione con i loro vescovi, annunzino fedelmente il Vangelo e celebrino i sacramenti, si prendano cura del popolo di Dio, e siano pronti a evangelizzare l’intera umanità. Faccia sì che anche in questo nostro tempo aumenti il numero delle persone consacrate, le quali vadano contro corrente, vivendo i consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza, e testimonino in modo profetico Cristo e il suo liberante messaggio di salvezza».

A.Arr.