CON MARIA DONIAMO A DIO
LA NOSTRA UMILTÀ
Lo sguardo di Dio si pone non sulle nostri doti,
cose che conosce meglio di noi perché è lui che le ha fatte, ma su quella cosa
che è tutta nostra e che possiamo donare a lui: la nostra umiltà.
Il cosiddetto cantico di
Maria (Lc 1,46-55) è in realtà soprattutto un’ampia descrizione di Dio. In
questo breve testo ci sono quindici forme verbali esprimenti azioni: di queste,
due riguardano Maria (magnificare, esultare), una riguarda le generazioni future
(proclamare), le altre dodici riguardano tutte Dio, il protagonista di questo
discorso. Non ce ne meravigliamo, ma questo modo di esprimersi ci fa capire
come colmo di Dio è il profondo di Maria, come la sua identità è assorbita da
questa presenza. Ed ecco allora il modello della vita.
Ci sono poche idee in
questo discorso, ma molto forti.
La prima è contenuta
nella frase iniziale, che è stata tradotta “L’anima mia magnifica il Signore”,
ed è una traduzione un po’ debole. Maria è come dicesse “Io grido con
entusiasmo grandi cose di Dio”. È un breve tratto di discorso che si può dire
soltanto se si è entusiasti. Noi recitiamo spesso il Magnificat, cerchiamo di
immedesimarci, ma facciamo anche lo sforzo di cogliere questo cuore che inventa
un discorso e che subito esplode di gioia. Che cuore deve essere quello di
Maria che, appena si esprime, canta la glorificazione totale di Dio! Anche a
noi farebbe bene avere momenti in cui, al di là di tutto, soltanto perché Dio è
Dio, ci sentiamo entusiasti di lui! Lo merita.
Maria non era andata da
Elisabetta per cantare, ma per servire. C’è qui una bellissima indicazione di
come Maria somigli a suo figlio Gesù, lei, la perfetta cristiana, come la
definì Paolo VI. All’interno di questo essere lì per l’altra, dunque all’interno
di un grande moto di carità, sboccia un canto, un discorso che non può essere
detto (anche se Luca scrive: Maria disse), perché è troppo poco. Ci sono
parole, come ricorda Agostino, che non si possono dire, occorre cantarle, dare
un altro tono, un’altra vibrazione. Così, appena la bocca di Maria si apre
sotto l’influsso dello Spirito, prorompe in questa magnificenza di Dio.
Perché dice così? Perché,
in realtà, Maria esprime se stessa. La creatura è proprio vera, è proprio
giusta, conosce la vita e la gioia quando non fa esperienza di se stessa –
creatura – e neanche di un’altra. Queste esperienze danno sì gioia, ma troppo
poca. La creatura si esalta in Dio stesso.
In realtà Maria ci dice
che mentre è lì per servire, si sente pienamente se stessa e felice non solo
perché porta Dio nel suo ventre, ma perché è con Dio, e questo porta
sicuramente al culmine la tipica gioia cristiana che deriva dall’essere di Dio
(Paolo, in Fil 4,4, osa dire a uomini e donne che vivono e soffrono:
“Rallegratevi”, perché potete farlo).
Dunque vivo per esaltarti
mio Dio, vivo perché tu sia conosciuto e vivo perché tu sia amato: questo dà
gioia. Ogni volta che parliamo, in qualche maniera, di Gesù a un fratello o a
una sorella noi ci lasciamo portare da questo sentimento fondamentale: è bello
conoscere Dio, te lo dico.
Maria, colma di questo
sentimento, vuol essere capita così.
La frase che segue ci fa
comprendere come Maria voglia essere capita e guardata: colei che Dio ha
guardata e sta guardando. È come se Maria ci dicesse che lei è quella che è
perché Dio guarda la sua umiltà. Lo sguardo di Dio si pone non sulle nostri
doti, cose che lui conosce meglio di noi perché è lui che le ha fatte, ma su
quella cosa che è tutta nostra e che possiamo donare a Dio: la nostra umiltà.
Maria allora non vuole
che la capiamo per tutte le altre sue magnifiche doti e risorse, ma
nell’incontro della piccola creatura con lo sguardo appassionato di Dio.
Dobbiamo ricordare anche
noi che quando siamo umili Dio è estasiato di noi. Questo Dio che resiste
duramente ai superbi, come dice la Scrittura, è conquistato dagli umili. È un
criterio antropologico: tu come vuoi essere conosciuto? E mi viene forse da
rispondere che tengo ancora allo sguardo degli altri, perché mi costruisce, mi
sostiene, lo cerco, ne sento il bisogno, ne vivo. È la malattia del mondo.
Quanto ci tengo che invece sia Dio a guardarmi come lui sa guardarmi? Davanti a
Dio non possiamo pavoneggiarci. Dobbiamo presentarci come il nulla che siamo ed
essere felici del nulla che siamo...
La nostra maniera di
vivere oggi, fatta di esteriore e di immagini, è l’esatto contrario di questa
interpretazione della persona umana. Abbiamo inventato parole per esprimerci:
il look, l’immagine, quel che appare, che spesso è l’unica cosa che c’è. Che
poveretti siamo se abbiamo bisogno di un oggetto, di un vestito per essere. Non
sprechiamo però la parola “essere”, usiamo piuttosto la parola “apparire”:
tutto è soltanto apparenza, e dietro c’è il vuoto, e il vuoto siamo noi quando
viviamo questo atteggiamento.
Maria ci tiene molto
invece a essere vista e considerata secondo Dio, anzi ci dice di guardarla,
perché sa benissimo che il nostro sguardo non può fermarsi in lei, ma rimbalza
in Dio. Sono molto saggi i cristiani che non si fermano a Maria, ma la guardano
per essere aiutati a purificarsi. È purificante lo sguardo di Maria. Maria
esprime la grande letizia della propria pochezza: grandi cose ha fatto in me
l’Onnipotente.
mons. Giuseppe Pollano
da un incontro al Sermig