L’ECUMENISMO DOPO L’ASSEMBLEA DI SIBIU

REALISMO DOPO L’UTOPIA

 

Lo stato di salute del movimento ecumenico a Sibiu è sembrato un po’ affaticato. Non sono tuttavia mancati segnali positivi che consentono di guardare al futuro senza essere preda di un assoluto pessimismo. Finita l’utopia, comincia ora una fase di maggior realismo.

 

Viene spontaneo, ripensando ai giorni di Sibiu, immaginare che la metafora del tempo atmosferico (così spesso collegata dai commentatori alle valutazioni sull’ecumenismo) abbia fatto centro una volta di più… Una pioggia insistente, infatti, ha ingrigito il cielo rumeno già dalla seconda giornata della terza tappa del processo conciliare su Pace, giustizia e salvaguardia del creato, avviatosi nel lontano 1989 in Svizzera, a Basilea, proseguito nel ’97 con l’evento di Graz, e chiuso nel bel centro della Transilvania con l’assemblea svoltasi dal 4 al 9 settembre scorso. Il sole, invece, ha fatto capolino solo a tratti, fornendo finalmente un po’ di calore ai delegati convenuti (2.100 circa, da tutte le nazioni del vecchio continente) all’appuntamento proposto congiuntamente da KEK (Conferenza delle chiese europee) e da CCEE (Consiglio delle Conferenze episcopali europee) sul tema La luce di Cristo illumina tutti. Speranza di rinnovamento ed unità in Europa.

Lo stato di salute del movimento ecumenico qui emerso è appunto questo: senza lo smalto emerso un decennio fa a Graz da parte del popolo del dialogo, un po’ invecchiato, con i sogni legati al Vaticano II messi definitivamente in soffitta, e in cui ogni singola chiesa appare oggi interessata, più che ad aprirsi alle altre, a confermare la propria identità, in questa epoca liquida e sfuggente. Il che non toglie, si badi, che anche a Sibiu siano affiorati segnali positivi, in grado – nonostante tutto – di permetterci di guardare nel futuro senza essere preda di un assoluto pessimismo. Segnali come l’evidente bisogno di realismo, dopo l’utopia. O come il fatto che, se il tempo tiranno ha costretto a ridurre al massimo gli spazi per la discussione fra i delegati, questi ultimi, appena hanno potuto, l’hanno fatto notare: con garbo, senza adottare toni eccessivamente polemici nei confronti dell’organizzazione, ma anche con una certa fermezza, indizio di una volontà di partecipare sempre più attivamente ai processi decisionali del dialogo ecumenico, non più riservabile ai soli incontri bilaterali, di vertice. Fino ad auspicare che, se ci sarà una quarta assemblea (cosa a oggi non scontata, per svariati motivi), dovrà darsi regole alquanto diverse da questa… “Maggiore condivisione, meno conferenze, più dibattito…”: ecco le loro richieste! Il dato va visto nell’ottica giusta, positivamente, in relazione alla necessità di ampliare l’ambito degli interessi del movimento ecumenico: che ha voglia di occuparsi (anche) di ambiente, ingiustizie planetarie e pace, non solo di ecclesiologia e di teologia!

 

SI È UN PO’ PERSO

LO SMALTO INIZIALE

 

Il programma dei lavori prevedeva una meditazione biblica in apertura di ogni giornata, a cura di esponenti delle varie confessioni, tra cui il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano, e Rosemary Wenner, vescova metodista tedesca. In seguito si svolgeva il dibattito in plenaria per il resto della mattina e durante il pomeriggio continuava nei nove forum tematici (unità, spiritualità, testimonianza, Europa, migrazione, pluralismo religioso, creato, pace e giustizia). Le preghiere serali sono state celebrate nelle chiese della città (ortodosse, protestanti, greco e latino cattoliche). La sera dell’8 settembre si è tenuta una Veglia della _luce nella splendida Piata Mare, la piazza grande, _nonché una serie di preghiere ecumeniche in contemporanea in diverse città nel resto d’Europa, anche in Italia con l’iniziativa del Ponte ecumenico di preghiera per Sibiu. Le attività svoltesi intorno all’Assemblea, al di fuori del contesto ufficiale, hanno poi contribuito allo scambio di idee. Gli spazi informali in cui il popolo ecumenico ha potuto esprimersi in maniera libera e creativa – nelle pause dopo il pranzo e la cena – sono stati gli hearing, luoghi di dibattito su vari temi (ambiente, donne, giovani, migranti, microcredito ecc.), e l’Agorà allestita nei pressi della sede dell’Assemblea, con alcuni stand, non molti in verità, dove gruppi, organizzazioni e chiese hanno presentato le proprie attività e i propri materiali.

 

NO A UN ECUMENISMO

DELLE COCCOLE

 

Per cogliere almeno per flash l’andamento della discussione, bisogna fare riferimento soprattutto ai tre interventi iniziali, uno ciascuno per le tre confessioni principali presenti, che hanno rappresentato il punto di riferimento obbligato per il resto dei lavori. A partire da quello, assai atteso, del cardinal Walter Kasper, presidente del pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, mostratosi ben conscio delle reazioni preoccupatissime da parte delle altre chiese cristiane al documento della Congregazione per la dottrina della fede Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina sulla Chiesa, reso noto a metà luglio. Reazioni che in diversi casi l’hanno interpretato senza mezzi termini come un vero e proprio macigno posto sulla strada per la stessa assemblea di Sibiu: «All’ecumenismo – ha detto dunque il porporato – non c’è alternativa responsabile. Ogni altra posizione contraddice la nostra responsabilità di fronte a Dio e al mondo. La questione dell’unità deve ardere dentro di noi. Cosa possiamo fare? Prima di qualsiasi terapia deve esserci l’analisi. La mia chiesa, la chiesa cattolica, ha recentemente messo in evidenza in un documento della Congregazione per la dottrina della fede tutte le differenze che purtroppo sussistono, e ha in questo modo richiamato alla memoria il compito che ancora si presenta dinanzi a noi. Io so che molti, in particolare molti fratelli e sorelle evangelici, si sono sentiti feriti da ciò. Questo non lascia indifferente neanche me…». Ma «un ecumenismo di coccole o di facciata, in cui si desidera solamente essere gentili gli uni con gli altri, non aiuta a compiere progressi; solamente il dialogo nella verità e nella chiarezza può sostenerci nell’andare avanti».

A parere di Kasper, è decisivo che l’appello alle differenze e ai cosiddetti profili non faccia perdere di vista la più importante base comune. Una considerazione che, a suo dire, trova manifestazione nel citato documento, in cui si dichiara espressamente che Gesù Cristo è presente con potere salvifico anche nelle chiese e comunità ecclesiali separate da quella cattolica. Non si tratta di un dato da poco: «Solo qualche decennio fa, dichiarazioni di portata simile sarebbero state ancora totalmente inconcepibili, e io stesso non sono certo che tutti i nostri partner ecumenici facciano lo stesso anche nei nostri confronti. Le divergenze non riguardano quindi l’essere cristiano, e neanche la questione della salvezza; le differenze fanno riferimento alla questione della concreta mediazione salvifica, nonché della forma visibile della chiesa...».

Hanno replicato a Kasper il metropolita Kirill di Smolensk, presidente del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca, e il vescovo Wolfgang Huber, presidente del Consiglio della chiesa evangelica in Germania, con interventi altrettanto realistici e poco diplomatici.

Per Kirill, il nodo strategico riguarda – in uno scenario continentale descritto come dominato dalla secolarizzazione e dal rifiuto esplicito della luce apportata da Cristo – l’esistenza di un’oggettiva coincidenza fra il nuovo approccio etico di certi ambienti cristiani e il paradigma della società postmoderna secolarizzata. Fino a condannare apertamente il fatto che alcuni credenti in Gesù riconoscano come ammissibili nel contempo il valore della vita e il diritto alla morte, il valore della famiglia e le unioni omosessuali, i diritti dei bambini e la possibilità di distruggere gli embrioni umani a fini medici. Un attacco a tutto campo contro il relativismo morale che ha lasciato trasparire con chiarezza, nello specifico, la vicinanza dell’ortodossia attuale con la sensibilità cattolica al riguardo, ma anche una vistosa distanza con quella protestante, ben più disponibile a venire a patti con le esigenze della scienza e della tecnica; in sintesi, con lo sguardo sul mondo proposto dalla postmodernità.

Huber, invece, ha discusso apertamente il documento vaticano, sostenendo che la Congregazione ha ripetuto un concetto molto infelice dal punto di vista ecumenico, già affermato dalla dichiarazione Dominus Iesus del 2000, in cui si dichiara che quelle nate dalla Riforma non sono chiese in senso proprio. «Ma altre chiese – ha continuato – mettono in questione tale affermazione. Nessuna chiesa può, da sola, rappresentare tutto lo spettro dei colori presenti nella luce, nessuna di esse può, da sola, riflettere la luce di Cristo. Una chiesa che pretende di essere la sola attualizzazione appropriata del fondamento che è Gesù Cristo, la sola a essere Cristo esistente in quanto comunità, degrada inevitabilmente le altre chiese e le impedisce di irraggiare e di risplendere insieme». Per le chiese protestanti, invece, il rispetto per la qualità ecclesiale degli altri è indispensabile; esso fonda l’unità nella diversità e apre la via a una diversità riconciliata: «Noi oggi dobbiamo costruire l’ecumenismo tenendo conto del fatto che le chiese in questione non hanno solamente differenti concezioni della chiesa, del ministero e dell’ordinazione, del rapporto tra la Scrittura e la tradizione, delle donne nel ministero, ma che esse hanno anche concezioni differenti di che cosa significa unità visibile».

 

ALCUNI

ELEMENTI DI SINTESI

 

Giungendo ora a tracciare qualche elemento di sintesi, direi che si è rivelata senz’altro vincente, nonostante qualche prevedibile inciampo organizzativo, l’opzione di recarsi in un paese ortodosso e dell’Europa orientale, che ha risposto con sincero calore all’occasione presentatasi; e che hanno perso una notevole occasione, al contrario, i tanti rappresentanti dei media nostrani che hanno disertato l’evento (erano pochissimi, in effetti, i giornalisti italiani a Sibiu, in particolare dei quotidiani, segno a un tempo di un inveterato provincialismo e di un sostanziale disinteresse nei confronti dei temi del dialogo interreligioso).

In seconda battuta, andrà notato che, con il raduno rumeno è in ogni caso finita e consegnata alla storia una fase legata al processo conciliare sopra citato, avviatosi a Basilea diciotto anni fa, e a un modello di dialogo semplificato, talora ingenuamente ottimistico (l’ecumenismo delle coccole, per dirla appunto con Kasper): una stagione pure densa di stimoli, giocata positivamente su alcune parole d’ordine (popolo del dialogo, ecumenismo spirituale, e così via), e che lascia ora inevase non poche domande sulla strada da intraprendere da parte del movimento ecumenico, ma altresì una trasparente esigenza di franchezza, di parresìa. Del resto, le ripetute affermazioni identitarie che sono affiorate persino in questo frangente sono da ritenersi un autentico segno dei tempi, sia pure fortemente ambiguo: tempi complessi per l’ecumenismo, di timori verso le derive relativistiche, di necessità di discussioni franche su questioni percepite come strategiche, a partire dalla morale sociale e dall’etica della vita... Il che, del resto, non può far velo alle acquisizioni definitive del processo stesso, cominciando dalle buone pratiche ecumeniche già in atto (la Charta oecumenica, ad esempio, resta come punto di riferimento strategico) e dalla consapevolezza che il cammino di avvicinamento delle comunità che si richiamano allo stesso lieto annuncio, in realtà, non rappresenta tanto una semplice opzione fra quelle possibili, un’eventualità fra le altre, bensì la sola modalità credibile dell’essere cristiani oggi. Perché, come ha ricordato l’arcivescovo Tettamanzi nella sua meditazione biblica del 6 settembre, «a radunarsi a Sibiu in questa nostra assemblea ecumenica è l’unica chiesa del Signore. Anche se il percorso storico del movimento ecumenico appare faticoso e controverso, noi qui possiamo vivere un’esperienza simile a quella del monte Tabor».

 

Brunetto Salvarani

 

INTERVENTO DEL CARD. KASPER

NO A UN ECUMENISMO DI FACCIATA

 

L’ecumenismo è ormai entrato in una nuova fase. Un ecumenismo di coccole o di facciata, in cui si desidera solamente essere gentili gli uni con gli altri, non aiuta a compiere progressi; solamente il dialogo nella verità _e nella chiarezza può sostenerci nell’andare avanti.

 

Il tema di questa terza Assemblea Ecumenica Europea La luce di Cristo illumina tutti calza esattamente a pennello per la città di Sibiu. Qui in Transilvania, convivono da secoli ungheresi, rumeni, ortodossi, cattolici, greco-cattolici e cristiani evangelici. Tutte le problematiche di respiro europeo e di natura ecumenica si riflettono in questa regione. Non per niente Sibiu è stata dichiarata nel 2007 capitale europea della cultura.

 

1. La complessa storia di questa regione mostra che il tema La luce di Cristo illumina tutti non è affatto un _cibo facilmente digeribile; al contrario, esso provoca domande e queste ultime, in alcuni casi, forse addirittura contraddizioni. La luce di Cristo illumina veramente tutti, anche i non cristiani, i musulmani forse? Illumina _persino coloro che non conoscono nulla di Gesù Cristo e le non poche persone che, nell’Europa di oggi, sebbene sappiano qualcosa su di lui, ne rifiutano il messaggio, coloro che – per citare la Bibbia – hanno preferito le tenebre alla luce (Gv 3, 19)? Illumina addirittura coloro che perseguitano Cristo e chi in lui crede?

Veramente si tratta di una tematica affatto semplice e tantomeno priva di insidie. Ciononostante, non è questo un argomento che una qualche assennata commissione ecumenica preparatoria ha escogitato; si tratta, piuttosto, di una libera citazione dal Prologo del Vangelo secondo Giovanni. In questo passo si parla della vera luce che illumina ogni essere umano e che attraverso Gesù Cristo è entrata definitivamente nel mondo (Gv 1, 9). Lo stesso Gesù Cristo ha definito se stesso come la luce del mondo (Gv 8, 12). Quindi dovremmo, d’ora in poi, trasferire il tema proposto: “La luce di Cristo e la Chiesa”, su un ulteriore orizzonte, cioè “La luce di Cristo e il mondo”.

 

In questo modo ci muoviamo con la nostra tematica su un saldo terreno biblico, anzi io aggiungerei: ci muoviamo su un saldo terreno comune. Davanti a tutto ciò che differenzia ortodossi, evangelici e cattolici, la fede in Gesù Cristo ci unisce. Come cristiani riconosciamo insieme che, attraverso Gesù Cristo, ci è stato fatto dono della luce della vita, e che questa luce viene irradiata nel nostro battesimo comune, che i Padri della Chiesa hanno definito come illuminazione (photismos). Insieme riconosciamo nella nostra professione di fede che Gesù Cristo è luce da luce, Dio vero da Dio vero. Insieme lo riconosciamo come l’unico redentore e salvatore per ogni essere umano e come la salvezza del mondo.

Mi sembra importante che all’inizio di questa nostra assemblea non ci soffermiamo ad evidenziare in prima battuta le differenze che si frappongono tra di noi, quanto piuttosto a fare opportunamente memoria del nostro fondamento comune. L’ecumenismo non rappresenta solamente un umano sentimento di comune appartenenza. L’ecumenismo intende rendere realtà la nostra fede comune nell’unico Dio, nell’unico Signore Gesù Cristo, nell’unico battesimo e nell’unica Chiesa, che professiamo nel Credo comune. Il movimento ecumenico – come si dichiara nella formula di base del Consiglio ecumenico delle Chiese – viene sostenuto da persone che invocano il Dio uno e trino e che riconoscono Gesù in quanto Redentore e Signore. Sulla base di questo fondamento comune dovremmo, nei prossimi giorni, prendere delle decisioni e da esso lasciarci ispirare. Senza tale fondamento costruiremmo sulla sabbia e faremmo solamente dei castelli in aria.

L’aver riconosciuto nuovamente questa base comune rappresenta il dono fattoci dall’ecumenismo: abbiamo riscoperto che non siamo estranei né concorrenti gli uni per gli altri, quanto piuttosto fratelli e sorelle in Cristo. Per questo dono non potremo essere mai abbastanza grati. Anche quando insorgano differenze e problemi, non dobbiamo lasciar turbare la nostra gioia. Non dovremmo neanche lasciarci rubare la gioia da coloro che ritengono che l’ecumenismo sia fallimentare. Per noi l’ecumene rappresenta il mandato di Gesù Cristo, il quale ha pregato, “perchè tutti siano una cosa sola” (Gv 17, 21); esso deriva dall’ impulso dello Spirito Santo (UR 1; 4) e rappresenta una risposta alla chiamata dei nostri tempi. Abbiamo teso le nostre mani gli uni gli altri e non abbiamo più intenzione di lasciarle andare di nuovo.

 

UN TESORO

IN VASI DI CRETA

 

2. Noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta (2 Cor 4, 7), poiché sebbene poggiati sullo stesso fondamento comune, Gesù Cristo, viviamo in Chiese separate. Noi facciamo questo contro la volontà e contro il mandato di Gesù. Non dovremmo, dunque, tollerare le scissioni esistenti tra di noi come se fossero ovvie, oppure abituarci ad esse o persino abbellirle. Esse sono una contraddizione alla volontà di Gesù perciò una espressione del peccato; esse rappresentano il fallimento della nostra missione storica, rendere testimonianza della luce di Cristo a tutti gli uomini e insieme impegnarci per l’unità e la pace per tutti gli esseri umani.

A causa delle nostre divisioni abbiamo oscurato la luce di Gesù Cristo per molte persone e abbiamo reso la realtà Gesù Cristo non credibile. Le nostre divisioni – e la storia ne è la dimostrazione – sono corresponsabili delle divisioni in Europa e della secolarizzazione di questo continente. Le nostre divisioni, inoltre, sono corresponsabili dei dubbi che molti hanno nei confronti della Chiesa, nonché del loro metterla in discussione. Di fronte a tale situazione, in cui le nostre Chiese si trovano, non possiamo affatto ritenerci contenti di noi stessi; non possiamo continuare ad andare avanti come se nulla fosse. All’ecumenismo non c’è alternativa responsabile. Ogni altra posizione contraddice la nostra responsabilità di fronte a Dio e di fronte al mondo. La questione dell’unità deve inquietarci; essa deve ardere dentro di noi.

 

NO A UN ECUMENISMO

SOLO DI FACCIATA

 

3. Cosa possiamo fare? Prima di qualsiasi terapia deve esserci l’analisi. La mia chiesa, la Chiesa cattolica, ha recentemente messo in evidenza in un documento della Congregazione per la dottrina della fede tutte le differenze che purtroppo sussistono, e ha in questo modo richiamato alla memoria il compito che ancora si presenta dinanzi a noi. Io so che molti, in particolar modo molti fratelli e sorelle evangelici, si sono sentiti feriti da ciò. Questo non lascia indifferente neanche me e rappresenta un peso anche per me. Poiché la sofferenza e il dolore dei miei amici è anche il mio dolore. Non era nelle nostre intenzioni ferire o sminuire chicchessia. Volevamo rendere testimonianza della Verità, cosa che ci attendiamo anche da parte delle altre Chiese, e così come le altre Chiese di certo fanno. Anche a noi non piacciono tutte le dichiarazioni fatte dalle altre Chiese, e soprattutto non ci piace affatto quello che, di quando in quando, affermano sul nostro conto. Ma lasciamo questo da parte. Un ecumenismo di coccole o di facciata, in cui si desidera solamente essere gentili gli uni con gli altri, non aiuta a compiere progressi; solamente il dialogo nella verità e nella chiarezza può sostenerci nell’andare avanti.

Indubbiamente è importante che l’appello alle differenze e ai cosiddetti profili, non ci faccia perdere di vista la più evidente e più importante base comune. Questa considerazione trova chiara manifestazione anche nel citato documento, in cui si dichiara espressamente che Gesù Cristo è presente con potere salvifico anche nelle Chiese e nelle comunità ecclesiali separate da noi. E questo non è veramente da poco. Solo qualche decennio fa, dichiarazioni di questa portata sarebbero state ancora totalmente inconcepibili, e io stesso non sono certo che tutti i nostri partner ecumenici facciano lo stesso anche nei nostri confronti. Le divergenze non riguardano quindi l’essere cristiano, e non riguardano neanche la questione della salvezza; le differenze fanno riferimento alla questione della concreta mediazione salvifica, nonché alla forma visibile della Chiesa. Sia per i cattolici sia per gli ortodossi queste non sono affatto questioni marginali, in quanto la Chiesa è formata secondo l’analogia del mistero dell’ Incarnazione (LG 8). Essa è una Chiesa visibile, visibile anche nel suo aspetto ministeriale. E chi può negare che in merito a tale questione tra di noi purtroppo non si sia ancora raggiunto un consenso.

A questo punto arriviamo tocchiamo il vero nodo gordiano, che finora purtroppo non è stato ancora sciolto. Poiché non siamo concordi sulla comprensione della Chiesa e, per larga parte, neanche sulla comprensione dell’Eucaristia, non possiamo riunirci assieme alla mensa del Signore e insieme mangiare dell’unico pane eucaristico né bere all’unico calice eucaristico. Ciò rappresenta un dispiacere e, per molti, un pesante fardello. Non serve proprio a nulla nascondere le ferite; anche se fanno male, bisogna tenerle allo scoperto; solo così facendo è possibile curarle e, con l’aiuto di Dio, guarirle.

 

ALLA RICERCA

DI UNA TERAPIA

 

4. Dopo l’analisi, lasciatemi dunque spendere una parola sulla terapia. Noi non dovremmo ricercare sempre presso gli altri la colpa dell’indicibile sofferenza che è già scaturita dalle nostre divisioni. Tutte le commissioni di storici che si sono riunite negli ultimi anni hanno dimostrato che le unilaterali attribuzioni di colpa, nella maggior parte dei casi sono risultate non sostenibili a una successiva valutazione storica; in genere la colpa si divide da ambo le parti. Noi dovremmo onestamente riconoscere questo, e quindi chiedere perdono a Dio e ai fratelli. Un nuovo inizio è possibile solo attraverso la purificazione della memoria. Nessun progresso ecumenico sarà possibile senza conversione e penitenza. Da ciò deve provenire la disponibilità al rinnovamento e alla riforma, che è necessaria in ogni Chiesa e che richiede ad ogni Chiesa di cominciare da se stessa.

Nel tentativo di giungere a un consenso superando tutti i fossati, il metodo delle convergenze usato fino a ora, si è dimostrato proficuo, e si è continuato ad applicarlo in molte questioni sinora controverse. Mi ricordo del consenso fondamentale sulla dottrina della giustificazione. Ma nel frattempo questo metodo si è palesemente esaurito; in questo momento non andiamo più molto avanti su questo sentiero. Per me tutto ciò non rappresenta alcun motivo per cedere alla rassegnazione. Possiamo testimoniare gli uni gli altri le nostre rispettive posizioni in modo onesto e coinvolgente. Possiamo farlo in maniera non polemica né limitante. Possiamo farlo nella speranza che cosi uno scambio di doni – così come lo ha definito papa Giovanni Paolo II – diventi possibile. Questo significa: possiamo imparare gli uni dagli altri. Invece di incontrarci al minimo comune denominatore, possiamo arricchirci vicendevolmente del patrimonio di cui ci è stato fatto dono.

Anche lungo questo percorso, negli ultimi decenni è successo molto di positivo. Noi cattolici abbiamo imparato dagli evangelici riguardo al significato della parola di Dio; al momento, loro stanno imparando da noi in merito al significato e alla forma della liturgia. I cattolici e gli evangelici sono grati alle chiese sorelle ortodosse per un più attento senso per il mistero; in questo modo, tra l’altro, nell’occidente è cresciuto l’amore per le icone. Questi sono esempi che facilmente si potrebbero moltiplicare.

Noi ci conosciamo ancora troppo poco, e per questo ci amiamo ancora troppo poco.

Dobbiamo essere coscienti di questo: noi non possiamo “costruire” l’unità; essa non può essere una nostra opera. Essa è un dono dello Spirito di Dio; Egli solo può riconciliare i cuori. Per questo Spirito di unità noi dobbiamo pregare. L’ecumenismo spirituale rappresenta il centro ed il cuore dell’ecumenismo (UR 8).

 

L’EUROPA HA TRADITO

SPESSO LA SUA MISSIONE

 

5. L’unità della Chiesa non è fine a se stessa. Nessuno, neanche la Chiesa, vive per se stesso. Gesù ha pregato a tale proposito, perché tutti siano una cosa sola, perché il mondo creda (Gv 17, 21). L’unità dei cristiani è subordinata all’unità del mondo e, in particolare nella nostra situazione, all’unificazione dell’Europa. È stata la luce di Cristo che ha unito e reso grande l’Europa. Importanti figure di santi si stagliano all’inizio della storia europea e lungo tutto il suo percorso: Martino e Benedetto, Cirillo e Metodio, Ulrico, Adalberto, donne come Elisabetta di Ungheria e di Turingia, Edvige di Polonia, Slesia e Germania, Brigitta di Svezia e molti altri. Non si può pensare all’Europa senza i riformatori, né senza Johann Sebastian Bach, né senza testimoni quali Dietrich Bonhoeffer.

Coloro che negano le radici cristiane dell’Europa, possono essere semplicemente invitati a fare una volta un viaggio da Gibilterra, attraverso Spagna, Francia, Germania, Scandinavia e Polonia fino all’Estonia, oppure da Roma attraverso l’antica Costantinopoli e attraverso Kiev fino a Mosca. Il viaggiatore incontrerà le diverse popolazioni e udrà parlare i diversi idiomi, ma, ovunque, troverà la croce e, nel centro di ogni antica città, le cattedrali. Le radici cristiane dell’Europa possono essere contestate solamente contro l’evidenza. Le radici cristiane non sono rimaste infruttuose anche nell’era moderna. La concezione moderna della dignità della persona umana, nonché i diritti umani universali, affondano le loro radici nella tradizione ebraico-cristiana. Non dobbiamo quindi buttar via in toto l’era moderna, quanto piuttosto proteggerla contro l’autodistruzione.

Purtroppo l’Europa ha tradito spesso la sua missione: nelle numerose guerre tra popolazioni cristiane, nello sfruttamento e nell’assoggettamento coloniale di altre popolazioni, nell’ultimo secolo con due spaventosi conflitti mondiali, due dittature nemiche di Dio e dell’uomo, attraverso le quali ha avuto luogo l’olocausto di sei milioni di ebrei nel cuore dell’Europa. Oggi l’Europa corre il rischio non solo di tradire i propri ideali quanto piuttosto di dimenticarli in modo banale. _Il pericolo principale non è rappresentato dall’opposizione atea quanto piuttosto dalla dimenticanza di Dio, che semplicemente passa sopra i precetti di Dio, dall’indifferenza, dalla superficialità, dall’individualismo e dalla mancanza di disponibilità a impegnarsi per il bene comune e a saper sacrificarsi per questo scopo. Non stiamo danzando in questa situazione come su un vulcano e su una polveriera? A tutti i contemporanei attenti le nuove sfide sono chiare da tempo. Ne nomino solamente alcune: il grido per la giustizia in un mondo globalizzato, dove l’ingiustizia spesso grida verso il cielo, la minaccia attraverso un terrorismo spietato, il confronto sperabilmente pacifico, ma anche necessariamente sincero, con l’Islam.

Una religiosità vana e annacquata ormai non ci aiuta più. Mai la salvezza del cristiano ha coinciso con l’adeguamento al mondo. “Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente”: è il forte invito che ci rivolge l’apostolo Paolo (Rm 12, 2). La nuova evangelizzazione è il nostro compito. Viene richiesto il pane nero della fede convinta e vissuta. L’Europa non può essere solo una unità economica e politica; l’Europa necessita, se vuole avere un futuro, di una visione comune e di un comune sistema di valori fondamentali. L’Europa, e questo significa: noi cristiani d’Europa dobbiamo infine destarci; l’Europa deve schierarsi dalla propria parte, dalla parte della sua storia e dei suoi valori che un tempo le hanno dato grandezza e che possono garantirle un nuovo avvenire. Questa è la nostra missione comune.

Il nostro obiettivo è l’unità dell’Europa, non la sua uniformità. Le diverse culture rappresentano una ricchezza. Siamo nondimeno legati dalle concezioni della dignità donata da Dio a ogni uomo, della sacralità della vita, di una convivenza possibile nella giustizia e nella solidarietà, dell’attenzione nei confronti del creato e di una nuova cultura della compassione e dell’amore.

Di questa alternativa secondo lo spirito del Vangelo noi dobbiamo essere insieme segni, testimoni e strumenti. Per questo dobbiamo porre l’attenzione all’alterità delle altre religioni, ma dobbiamo anche avere il coraggio per il nostro essere altro, il coraggio della differenza in quanto cristiani, il coraggio di riconoscere la luce di Gesù Cristo che illumina tutti e di portarla fuori nel mondo che ne ha urgentemente bisogno. Chi può quindi donarci qualcosa di meglio? Dove troviamo altrimenti tali Parole di vita? (cf. Gv 6, 68).

 

MESSAGGIO FINALE

 

La luce di Cristo illumina tutti!

 

Noi, pellegrini cristiani di tutta l’Europa e oltre, diamo testimonianza del potere trasformante di questa luce, che è più potente delle tenebre, e la proclamiamo come speranza che abbraccia tutti gli aspetti per le nostre Chiese, per tutta l’Europa e per il mondo intero.

 

Prima raccomandazione: Raccomandiamo di rinnovare la nostra missione come singoli credenti e come chiese per proclamare Cristo come la Luce e il Salvatore del mondo.

 

Seconda raccomandazione: Raccomandiamo di proseguire il dibattito sul riconoscimento reciproco del battesimo, tenendo conto degli importanti risultati su questo argomento in diversi paesi ed essendo consapevoli che la questione è profondamente connessa con una comprensione dell’Eucaristia, del ministero e dell’ecclesiologia in generale.

 

Terza raccomandazione: Raccomandiamo di trovare dei modi di sperimentare delle attività che ci uniscano: la preghiera l’uno per l’altro e per l’unità, pellegrinaggi ecumenici, formazione teologica e studio in comune, iniziative sociali e diaconali, progetti culturali, sostenere la vita della società basata sui valori cristiani.

 

Quarta raccomandazione: Raccomandiamo la partecipazione completa dell’intero popolo di Dio e, in quest’Assemblea in particolare, di prestare attenzione all’appello dei giovani, degli anziani, delle minoranze etniche, dei portatori di handicap.

La luce di Cristo per l’Europa

Riteniamo che ogni essere umano sia stato creato a immagine e somiglianza di Dio (Gn 1, 27) e meriti lo stesso grado di rispetto e amore nonostante le differenze di credenza, cultura, età, genere, origine etnica, dall’inizio della vita alla morte naturale. Nella consapevolezza che le nostre radici comuni sono molto più profonde delle nostre divisioni, mentre cerchiamo il rinnovamento e l’unità e di capire il ruolo delle chiese nella società europea di oggi, ci siamo concentrati sull’incontro con le persone di altre religioni. Consapevoli, in particolare, del rapporto unico che abbiamo con il popolo ebraico in quanto popolo dell’Alleanza, rifiutiamo tutte le forme contemporanee di antisemitismo e, insieme a loro, vogliamo promuovere l’Europa come un continente libero da ogni forma di violenza. Nella nostra storia europea, ci sono stati periodi di aspri conflitti ma ci sono anche stati periodi di coesistenza pacifica tra le persone di tutte le religioni. Oggi non c’è alternativa al dialogo: non un compromesso, ma un dialogo della vita in cui possiamo dire la verità nell’amore. Abbiamo tutti bisogno di imparare di più su tutte le religioni, e le raccomandazioni della Charta oecumenica andrebbero ulteriormente sviluppate. Rivolgiamo un appello ai nostri confratelli cristiani e a tutti coloro che credono in Dio affinché rispettino il diritto delle altre persone alla libertà religiosa, ed esprimiamo la nostra solidarietà nei confronti delle comunità cristiane che vivono nel medio oriente, in Iraq o in altre parti del mondo come minoranze religiose e sentono che la loro esistenza è minacciata.

Incontrando Cristo nei nostri fratelli e nelle nostre sorelle nel bisogno (Mt 25, 44-45), illuminati insieme dalla Luce di Cristo, noi cristiani, in conformità con i comandamenti della Bibbia per l’unità dell’umanità (Gn 1, 26-27), ci impegniamo: a pentirci del peccato dell’esclusione, ad approfondire la nostra comprensione dell’«alterità», a difendere la dignità e i diritti di ogni essere umano, ad assicurare la tutela di coloro che più ne hanno bisogno, a condividere la luce di Cristo che altri portano all’Europa. Rivolgiamo un appello agli stati europei affinché pongano fine all’ingiustificabile detenzione amministrativa illegale dei migranti, compiano ogni sforzo per assicurare l’immigrazione regolare, l’integrazione dei migranti, dei rifugiati e di coloro che chiedono asilo, sostengano il valore dell’unità della famiglia e combattano il traffico di esseri umani e il loro sfruttamento. Rivolgiamo un appello alle chiese affinché intensifichino la loro cura pastorale degli immigrati vulnerabili.

 

Quinta raccomandazione: Raccomandiamo che le nostre chiese riconoscano che gli immigranti cristiani non sono semplici destinatari di cura religiosa ma che possono svolgere un ruolo completo e attivo nella vita della Chiesa e della società; che offrano una migliore cura pastorale per i migranti, i richiedenti asilo e i rifugiati; che promuovano i diritti delle minoranze etniche in Europa, in particolare del popolo Rom.

Molti di noi sono grati per aver potuto sperimentare profondi cambiamenti in Europa negli ultimi decenni. L’Europa è più dell’Unione Europea. Come cristiani, condividiamo la responsabilità di plasmare l’Europa come un continente di pace, solidarietà, partecipazione e sostenibilità. Apprezziamo l’impegno delle istituzioni europee: l’UE, il Consiglio d’Europa e l’OSCE per un dialogo aperto, trasparente e regolare con le Chiese dell’Europa. I più alti rappresentanti ci hanno onorati con la loro presenza e hanno in tal modo espresso un forte interesse nel nostro lavoro. Dobbiamo affrontare la sfida di immettere energie spirituali in questo dialogo. L’Europa è nata come un progetto politico per garantire la pace e adesso deve trasformarsi in un’Europa dei popoli, più che uno spazio economico.

 

Sesta raccomandazione: Raccomandiamo di sviluppare la Charta oecumenica come linea guida in grado di stimolare il nostro cammino ecumenico in Europa.

La luce di Cristo per il mondo intero

La Parola di Dio rende inquieti noi e la nostra cultura europea: coloro che vivono non dovrebbero più vivere per se stessi ma per colui che è morto per loro ed è stato risuscitato! I cristiani devono essere liberi dalla paura e dall’insaziabile avarizia che ci spinge a vivere per noi stessi, impotenti, prevenuti e chiusi. La parola di Dio ci invita a non sperperare il prezioso patrimonio di coloro che negli ultimi 60 anni hanno lavorato per la pace e l’unità in Europa. La pace è un dono straordinario e prezioso. Paesi interi aspirano alla pace. Interi popoli attendono di essere liberati dalla violenza e dal terrore. Ci impegniamo con urgenza a rinnovare i nostri sforzi per questi obiettivi. Rifiutiamo la guerra come strumento per la risoluzione dei conflitti, per i quali promuoviamo i mezzi non violenti, ed esprimiamo la nostra viva preoccupazione per il riarmo militare. La violenza e il terrorismo nel nome della religione sono una negazione della religione!

 

La luce di Cristo splende sul termine “giustizia”, collegandola con la misericordia divina. Così illuminata, sfugge a qualunque pretesa ambigua. In tutto il mondo – anche in Europa – l’attuale processo della radicale globalizzazione del mercato sta approfondendo la divisione della società umana tra vincitori e perdenti, sminuisce il valore di innumerevoli persone, ha implicazioni catastrofiche in termini ambientali e, in modo specifico per quanto concerne i cambiamenti climatici, non risulta compatibile con un futuro sostenibile del nostro pianeta.

 

Settima raccomandazione: Esortiamo tutti i cristiani europei di sostenere con forza gli Obiettivi di sviluppo del Millennio delle Nazioni Unite come provvedimento pratico urgente per alleviare la povertà.

 

Ottava raccomandazione: Raccomandiamo che, da parte del CCEE e della KEK, insieme alle chiese dell’Europa e _alle chiese degli altri continenti, venga avviato un progetto consultivo che affronti le problematiche della responsabilità europea nei confronti della giustizia ecologica, davanti alla minaccia dei cambiamenti climatici; la responsabilità europea nei confronti di una giusta impostazione della globalizzazione, così come nei confronti del popolo Rom e delle altre minoranze etniche europee.

Oggi più che mai, riconosciamo che l’Africa, un continente già strettamente intrecciato con la nostra storia e con il nostro futuro, sperimenta livelli di povertà nei confronti dei quali non possiamo rimanere indifferenti e inattivi. Le ferite dell’Africa hanno commosso il cuore della nostra Assemblea.

 

Nona raccomandazione: Raccomandiamo di sostenere le iniziative per la cancellazione del debito e la promozione del commercio equo e solidale.

Attraverso un dialogo sincero e obiettivo, contribuiamo e promuoviamo la creazione di un’Europa rinnovata in cui gli immutabili principi e valori morali cristiani, ricavati direttamente dal Vangelo, assurgono a testimonianza e ci spingono a un impegno attivo nella società europea. Il nostro compito consiste nel promuovere questi principi e valori, non soltanto nella vita privata ma anche nella sfera pubblica. Vogliamo cooperare con le persone delle altre religioni che condividono la nostra preoccupazione per creare un’Europa dei valori che prosperi anche politicamente ed economicamente.

Preoccupati per la creazione di Dio, preghiamo per una maggiore sensibilità e rispetto per la sua meravigliosa diversità. Lavoriamo per contrastare il suo vergognoso sfruttamento, a causa del quale tutta la creazione geme aspettando la redenzione (cf. Rm 8, 22-23) e ci impegniamo ad adoperarci per la riconciliazione fra l’umanità e la natura.

 

Decima raccomandazione: Raccomandiamo che il periodo che va dal 1 settembre al 4 ottobre venga dedicato a pregare per la salvaguardia del creato e alla promozione di stili di vita sostenibili per contribuire a invertire la tendenza del cambiamento climatico.

 

Rendendo omaggio a tutti coloro che hanno contribuito a questo cammino... ci uniamo nella preghiera:

O Cristo, la Vera Luce che illumina e santifica ogni essere umano che viene in questo mondo, fai splendere su di noi la luce della tua presenza, affinché in essa possiamo contemplare la luce inavvicinabile, e guida i nostri sentieri per porre in opera i tuoi comandamenti. Donaci la salvezza e guidaci nel tuo regno eterno, poiché Tu sei il nostro Creatore e Datore di tutto ciò che è buono. La nostra speranza riposa in te e a te diamo gloria, ora e per sempre. Amen.