VIAGGIO DEL PAPA IN AUSTRIA

HA PARLATO A TUTTA L’EUROPA

 

Il nostro continente «sarà per tutti luogo gradevolmente abitabile solo se verrà costruito su un solido fondamento culturale e morale di valori comuni che traiamo dalla nostra storia e dalle nostre tradizioni»: per questo esso «non può e non deve rinnegare le sue radici cristiane».

 

La responsabilità dell’Europa, l’irrinunciabilità delle radici cristiane, il significato della fede nella vita di tutti i giorni e il rapporto fede-ragione, l’importanza dell’eredità culturale e spirituale del cristianesimo, sono stati i temi toccati nel viaggio di Benedetto XVI in Austria, settimo pellegrinaggio internazionale del pontefice, che si è svolto dal 7 al 9 settembre. Il suo è stato ben di più di un semplice “pellegrinaggio” come si può desumere dalla grande attualità dei temi toccati. L’Austria è oggi un paese profondamente segnato dalla secolarizzazione, dall’abbandono delle fede di tanti cristiani, e anche dalla contestazione contro la Chiesa. Si può dire che nel suo piccolo è come lo specchio delle contraddizioni verificabili oggi in Europa, continente che spiritualmente sta andando sempre più alla deriva.

Tra le tappe importanti del viaggio vanno annoverati l’incontro con il corpo diplomatico, venerdì sera, la messa al santuario di Mariazell1 sabato mattina, la messa nel duomo di Vienna la domenica e le due tappe che hanno coinvolto da vicino la vita consacrata: i vespri con religiosi e religiose sabato sera e la domenica pomeriggio la visita al monastero cistercense di Heiligenkreuz,2 in cui soprattutto ha sostenuto che occorre una formazione “che integri fede e ragione”.

 

UNICITÀ DELLA CHIAMATA

DELL’EUROPA

 

L’Europa ha «una responsabilità unica nel mondo», ma se vuole correttamente esercitarla «non deve rinunciare a se stessa», e in particolare alle sue radici cristiane, e anzi assumere maggiore “rilevanza politica” esercitando una forte responsabilità nel consesso internazionale. Così si è presentato Benedetto XVI davanti al corpo diplomatico e al presidente della repubblica austriaco, nel Palazzo Hofburg3 di Vienna, soffermandosi sulla “unicità” della “chiamata” dell’Europa nei confronti nel mondo. «Il continente che, demograficamente, invecchia in modo rapido non deve diventare un continente spiritualmente vecchio», ha ammonito Benedetto XVI. L’Europa «acquisterà una migliore consapevolezza di se stessa se assumerà una responsabilità nel mondo che corrisponda alla sua singolare tradizione spirituale, alle sue capacità straordinarie e alla sua grande forza economica».

«Fa parte dell’eredità europea anche una tradizione di pensiero, per la quale è essenziale una corrispondenza sostanziale tra fede, verità e ragione», tema questo molto caro a Benedetto XVI. «Si tratta della questione – ha spiegato – se la ragione stia al principio di tutte le cose e a loro fondamento o no; se la realtà abbia alla sua origine il caso e la necessità, se quindi la ragione sia un casuale prodotto secondario dell’irrazionale, o se invece resti vero ciò che costituisce la convinzione di fondo della fede cristiana». «All’origine di tutte le cose – ha sottolineato il papa citando il prologo di Giovanni, “In principio era il Verbo” – c’è la Ragione creatrice di Dio che ha deciso di parteciparsi a noi esseri umani». Di qui l’attualità del pensiero del filosofo Jürgen Habermas, citato dal papa: «L’universalismo ugualitario, dal quale sono scaturite le idee di libertà e di convivenza solidale, è un’eredità immediata della giustizia giudaica e dell’etica cristiana dell’amore. Immutata nella sostanza, questa eredità è stata sempre di nuovo fatta propria in modo critico e nuovamente interpretata. A ciò fino a oggi non esiste alternativa».

L’Europa – ha insistito il papa – «sarà per tutti luogo gradevolmente abitabile solo se verrà costruita su un solido fondamento culturale e morale di valori comuni che traiamo dalla nostra storia e dalle nostre tradizioni»: per questo «l’Europa non può e non deve rinnegare le sue radici cristiane», che «sono una componente dinamica della nostra civiltà per il cammino nel terzo millennio». Soprattutto l’Europa di oggi, che «dopo gli orrori della guerra e le esperienze traumatiche del totalitarismo e della dittatura, ha intrapreso il cammino verso un’unità del continente». «La divisione che per decenni ha scisso il continente in modo doloroso è, sì, superata politicamente, ma l’unità resta ancora in gran parte da realizzare nella mente e nel cuore delle persone». Ciononostante, il “processo di unificazione” è «un’opera di grande portata» che ha dato “pace” all’Europa, grazie anche al “contributo” di Giovanni Paolo II.

Il tema delle radici cristiane è stato occasionato anche dall’incontro con i monaci cistercensi di Heiligenkreuz: «considerate le vostre abbazie e i vostri monasteri quello che sono», ossia «un luogo di forza spirituale”. La teologia cristiana, del resto, non è mai un discorso solamente umano su Dio, ma è sempre al contempo il Logos e la logica in cui Dio si rivela». Perciò «intellettualità scientifica e devozione vissuta sono due elementi dello studio che, in una complementarietà irrinunciabile, dipendono l’una dall’altra». «Il padre dell’ordine cistercense, san Bernardo, a suo tempo – ha ricordato Benedetto XVI – ha lottato contro il distacco di una razionalità oggettivante dalla corrente della spiritualità ecclesiale. La nostra situazione oggi, pur diversa, ha però anche notevoli somiglianze». Infatti, «nell’ansia di ottenere il riconoscimento di rigorosa scientificità nel senso moderno, la teologia può perdere il respiro della fede», ma «una teologia, che non respira più nello spazio della fede, cessa di essere teologia; finisce per ridursi a una serie di discipline più o meno collegate tra di loro».

«Perché oggi una chiamata al sacerdozio o allo stato religioso possa essere sostenuta fedelmente lungo tutta la vita – ha aggiunto – occorre una formazione che integri fede e ragione, cuore e mente, vita e pensiero. Una vita al seguito di Cristo ha bisogno dell’integrazione dell’intera personalità. Dove si trascura la dimensione intellettuale, nasce troppo facilmente una forma di pia infatuazione che vive quasi esclusivamente di emozioni e di stati d’animo che non possono essere sostenuti per tutta la vita. E dove si trascura la dimensione spirituale, si crea un razionalismo rarefatto che sulla base della sua freddezza e del suo distacco non può mai sfociare in una donazione entusiasta di sé a Dio».

 

LA DOMENICA NON SIA

SOLO UN FINE-SETTIMANA

 

Poco prima, la domenica mattina, aveva scosso i fedeli e la società austriaca ricordando il valore della domenica, come tempo di lode a Dio – richiamando il settimo giorno della creazione – e momento propizio per un rapporto più corretto tra l’uomo e l’ambiente. L’omelia è partita dalla testimonianza dei martiri di Abitene del 304, con quel loro «senza la domenica non possiamo vivere», di cui peraltro già Benedetto XVI aveva sottolineato l’importanza chiudendo il Congresso eucaristico italiano a Bari, nel giugno 2005, sullo stesso tema. «Per quei cristiani la celebrazione eucaristica domenicale non era un precetto, ma una necessità interiore». «Senza Colui che sostiene la nostra vita col suo amore – ha evidenziato il papa – la vita stessa è vuota. Lasciar via o tradire questo centro toglierebbe alla vita stessa il suo fondamento, la sua dignità interiore e la sua bellezza».

Ma «ha rilevanza questo atteggiamento dei cristiani di allora anche per noi cristiani di oggi? Sì vale anche per noi, che abbiamo bisogno di una relazione che ci sorregga e dia orientamento e contenuto alla nostra vita. Anche noi abbiamo bisogno del contatto con il Risorto, che ci sorregge fin oltre la morte. Abbiamo bisogno di questo incontro che ci riunisce, che ci dona uno spazio di libertà, che ci fa guardare oltre l’attivismo della vita quotidiana verso l’amore creatore di Dio, dal quale proveniamo e verso il quale siamo in cammino. Senza il Signore e il giorno che a lui appartiene – ha aggiunto – non si realizza una vita riuscita».

«La domenica – ha proseguito Benedetto XVI – nelle nostre società occidentali, si è mutata in un fine-settimana, in tempo libero. Il tempo libero, specialmente nella fretta del mondo moderno, è certamente una cosa bella e necessaria». Ma, ha osservato, «se il tempo libero non ha un centro interiore, da cui proviene un orientamento per l’insieme, esso finisce per essere tempo vuoto che non ci rinforza e ricrea. Il tempo libero necessita di un centro: l’incontro con Colui che è la nostra origine e la nostra meta». In realtà, «proprio perché nella domenica si tratta in profondità dell’incontro, nella Parola e nel Sacramento, con il Cristo risorto, il raggio di tale giorno abbraccia la realtà intera». Non solo: «I primi cristiani hanno celebrato il primo giorno della settimana come “Giorno del Signore”, perché era il giorno della risurrezione. Ma molto presto la Chiesa ha preso coscienza anche del fatto che il primo giorno della settimana è il giorno del mattino della creazione». Per questo «la domenica è nella Chiesa anche la festa settimanale della creazione, la festa della gratitudine e della gioia per la creazione di Dio». Allora, «in un’epoca, in cui, a causa dei nostri interventi umani, la creazione sembra esposta a molteplici pericoli, dovremmo accogliere coscientemente proprio anche questa dimensione della domenica».

 

GESÙ CRISTO, DONO DI

UN’AMICIZIA CHE CONTINUA

 

L’omelia della messa nella chiesa cattedrale di Santo Stefano, a Vienna, ha completato il ciclo avviato il giorno prima con l’omelia a Mariazell, laddove il papa ha osservato che se guardiamo a Cristo, «ci rendiamo conto che il cristianesimo è di più e qualcosa di diverso da un sistema morale, da una serie di richieste e di leggi. È il dono di un’amicizia che perdura nella vita e nella morte». «A questa amicizia – ha chiarito il papa – noi ci affidiamo».

«Ma proprio perché il cristianesimo è più di una morale, è appunto il dono di un’amicizia, proprio per questo porta in sé anche una grande forza morale di cui noi, davanti alle sfide del nostro tempo, abbiamo tanto bisogno». «Se con Gesù Cristo e con la sua Chiesa – ha aggiunto – rileggiamo in modo sempre nuovo il Decalogo del Sinai, penetrando nelle sue profondità, allora ci si rivela come un grande ammaestramento». Esso è un «sì a Dio, a un Dio che ci ama e ci guida» e «tuttavia ci lascia la nostra libertà»; un sì “alla famiglia”, “alla vita”, “a un amore responsabile”, “alla solidarietà, alla responsabilità sociale e alla giustizia”, “alla verità” e “al rispetto delle altre persone e di ciò che ad esse appartiene». «In virtù della forza della nostra amicizia col Dio vivente – ha concluso – noi viviamo questo molteplice sì e al contempo lo portiamo come indicatore di percorso entro il nostro mondo».

Chiamare Cristo «l’unico mediatore della salvezza valido per tutti» non significa affatto «disprezzo delle altre religioni né assolutizzazione superba del nostro pensiero, ma solo l’essere conquistati da Colui che ci ha interiormente toccati e colmati di doni, affinché noi potessimo a nostra volta fare doni anche agli altri». Di fatto, ha proseguito, «la nostra fede si oppone decisamente alla rassegnazione che considera l’uomo incapace della verità – come se questa fosse troppo grande per lui».

E il tema della rassegnazione, insieme al venir meno della cogenza dei comandamenti, secondo il papa sono «il nocciolo della crisi dell’occidente, dell’Europa. Se per l’uomo non esiste una verità, egli, in fondo, non può neppure distinguere tra il bene e il male». Così, «le grandi e meravigliose conoscenze della scienza diventano ambigue: possono aprire prospettive importanti per il bene, per la salvezza dell’uomo, ma anche – lo vediamo – diventare una terribile minaccia, la distruzione dell’uomo e del mondo. Noi abbiamo bisogno della verità». Ma certo, ha continuato, «a motivo della nostra storia abbiamo paura che la fede nella verità comporti intolleranza».

«Se questa paura, che ha le sue buone ragioni storiche, ci assale, è tempo di guardare a Gesù come lo vediamo qui nel santuario di Mariazell». «Lo vediamo in due immagini: come bambino in braccio alla Madre e, sull’altare principale della basilica, come crocifisso. Queste due immagini della basilica ci dicono: la verità non si afferma mediante un potere esterno, ma è umile e si dona all’uomo solamente mediante il potere interiore del suo essere vera». Insomma, «la verità dimostra se stessa nell’amore. Non è mai nostra proprietà, un nostro prodotto, come anche l’amore non si può produrre, ma solo ricevere e trasmettere come dono. Di questa interiore forza della verità abbiamo bisogno. Di questa forza della verità noi come cristiani ci fidiamo. Di essa siamo testimoni. Dobbiamo trasmetterla in dono nello stesso modo in cui l’abbiamo ricevuta».

Come ha commentato al termine del viaggio padre Federico Lombardi, direttore della Sala stampa vaticana, «il papa ha detto più volte – e si vedeva – che in Austria si sente a casa, perché è originario di una terra così vicina, confinante e strettamente unita da un punto di vista culturale e storico all’Austria, com’è la Baviera. Il papa parlava la sua lingua, la parlava con grande partecipazione e con grande finezza. A mio avviso, l’omelia a Mariazell, per quanto il discorso sia stato tenuto nelle condizioni più difficili da un punto di vista fisico, è stato uno dei discorsi che io ho sentito, almeno personalmente, come detto con più partecipazione e finezza spirituale dal papa stesso. Quindi, per noi è stato un punto veramente alto. Il papa nella sua lingua ha tracciato questa sintesi tra teologia e spiritualità, tra fede ed esperienza spirituale del guardare a Cristo, con una intensità che, secondo me, rimarrà un documento di particolare preziosità per noi».

 

Fabrizio Mastrofini

 

1 Situato in una verde conca della Stiria, nel cuore della Mitteleuropa alle estreme propaggini delle Alpi orientali, questo antico santuario è il cuore dell’Austria mariana e una delle più frequentate mete di pellegrinaggio dell’Europa centrale. Costruito 850 anni fa, può essere considerato il simbolo delle radici cristiane dell’Europa.

2 Il monastero cistercense di Heiligenkreuz fu fondato 874 anni fa da san Leopoldo. È un monastero pieno di storia e di vitalità. Il 14 agosto scorso si è tenuta la vestizione di sei novizi. Il 15 agosto, solennità dell’Assunzione, i sette novizi dello scorso anno hanno emesso i loro voti. Quest’anno un confratello è stato ordinato al sacerdozio e cinque sono divenuti diaconi. Oggi al monastero appartengono 78 confratelli, 46 dei quali sacerdoti.

3 Originariamente un castello, la Hofburg fu per più di sette secoli la centrale dell’impero asburgico. Oggi è la sede del presidente della Repubblica austriaca, oltre che un importante centro congressi e di numerose collezioni d’arte.