IL XV CAPITOLO GENERALE DEI SAVERIANI

PERCHÉ E COME ESSERE MISSIONARI

 

Il capitolo è stato l’occasione per fare il punto sulla situazione dell’istituto, verificare il nostro modo di essere missionari ad gentes, trovare nuova energia e scoprire nuove modalità e far ripartire – con nuova creatività e carica spirituale – lo slancio missionario che è il cuore del progetto saveriano.

 

Dal 18 giugno al 19 luglio 2007, nel Centro saveriano di spiritualità missionaria di Tavernerio, i missionari saveriani hanno tenuto il loro XV capitolo generale. Erano presenti, oltre ai confratelli della direzione generale, quarantadue confratelli, rappresentanti delle diciannove circoscrizioni saveriane, dislocate in venti paesi dei quattro continenti. Per la prima volta più d’un terzo dei partecipanti, diciassette per la precisione, non erano italiani: sei erano originari del Messico, quattro della Spagna, due dell’Indonesia, due della Repubblica Democratica del Congo, due della Scozia, uno del Brasile. Questo fatto è il segno di un processo d’internazionalizzazione della Famiglia missionaria di mons. Conforti che è cominciato in sordina sessanta anni fa, ma che negli ultimi decenni si è fortemente accelerato. Un’altra novità significativa di questo capitolo è stata la partecipazione di un saveriano che insegna all’università di Pechino. In Cina, infatti, i missionari saveriani hanno incominciato la loro avventura missionaria all’inizio del secolo scorso e lì, da oltre un decennio, sono ritornati. Tutto questo testimonia che il piccolo seme gettato nel solco della Chiesa un secolo fa da un missionario mancato, che non era potuto partire per ragioni di salute e di ministero, il beato Guido M. Conforti, continua a crescere e a dare frutti anche fuori della terra in cui è stato seminato. Tutto ciò è anche un segno di speranza, in un momento in cui il gruppo più consistente dei saveriani, quelli d’origine italiana, sta invecchiando, che ci permette di guardare a una missione che sarà diversa, ma non al di fuori del solco tracciato dal fondatore.

Oltre alla presenza di nazionalità diverse, uno degli aspetti interessanti del capitolo è stata la fraternità immediata e la ricchezza dello scambio tra noi nei momenti di preghiera, di reciproco ascolto e di ricerca, in aula, nelle commissioni di studio e nei gruppi di lavoro come pure nei momenti informali dei pasti e della ricreazione. L’internazionalità della Famiglia missionaria – apparsa chiaramente nel capitolo – permette un diverso approccio alla missione e arricchisce il carisma di mons. Conforti di nuove prospettive. Ciò significa che  l’internazionalizzazione non offre solo un incremento quantitativo, ma contribuisce anche, e molto più, al rinnovamento qualitativo della congregazione.

 

MOMENTO DELICATO

MA CARICO DI SPERANZA

 

Un capitolo generale è sempre un momento particolare nella vita di una Famiglia missionaria. Anche questo è stato l’occasione per fare il punto sulla situazione dell’istituto, verificare il nostro modo di essere missionari ad gentes, trovare nuova energia e scoprire nuove modalità e far ripartire – con nuova creatività e carica spirituale – quello slancio missionario che è il cuore del progetto saveriano. Ciò è necessario oggi, nel momento in cui la missione ad gentes corre il rischio di essere appiattita e confusa nella missione globale di tutto il popolo di Dio (cf. Redemptoris missio n. 34) perdendo così la sua forza profetica.

Il XV capitolo generale è giunto in un momento della storia dell’istituto saveriano, che potremmo dire critico, nel senso positivo del termine, perché segnato da una serie di cambiamenti importanti e obbligati. Forse mai come oggi, dopo la stagione post-conciliare, ci sono stati tanti cambiamenti nella missione ad gentes. Essa si svolge all’interno di un insieme di fenomeni culturali e storici ai quali non sfugge neppure la nostra piccola congregazione. La globalizzazione, il pluralismo culturale e religioso, le migrazioni dei popoli, i conflitti etnici, il relativismo filosofico e teologico, quando non la negazione di Dio e dei valori religiosi, fenomeni tipici del mondo post-moderno, incidono sul nostro modo di fare missione.

Con un’immagine cara a mons. Pierre Claverie O.P., il vescovo d’Orano in Algeria, assassinato nel 1996, possiamo affermare che il missionario si trova sempre più “sulle linee di frattura” del mondo e della storia, in una posizione molto scomoda e in un tempo complesso e di difficile interpretazione, ma che è anche un kairós carico di speranza. Infatti, in molti paesi i missionari, soprattutto quelli provenienti dal mondo occidentale, sono visti con diffidenza per il sospetto che essi ripetano antichi schemi di colonizzazione. All’interno della Chiesa, poi, i missionari soffrono per la difficoltà di far interagire il loro carisma con quelli della chiesa locale e per il rischio di essere assorbiti dalle urgenze pastorali della chiesa locale a scapito del “primo annuncio”. Non basta sentirci dire che la nostra presenza è necessaria e desiderata: ci vuol poco a renderci conto che noi siamo richiesti dai vescovi delle giovani chiese per quanto siamo in grado di offrire in termini di mezzi materiali e di opere che gestiamo efficacemente, più che per il nostro “essere missionari”.

Diciamo subito che il capitolo non si è messo a piangersi addosso per le difficoltà incontrate e non ha deciso di ridurre gli impegni per far fronte ai problemi dell’invecchiamento e alla prevedibile progressiva scomparsa del personale missionario d’origine italiana (64%), non compensati dall’entrata dei giovani e neppure dal fenomeno, positivo e incoraggiante, dei sempre più numerosi confratelli non italiani, giovani ed entusiasti (35%). Tutt’altro. Il capitolo si è concluso sotto il segno della speranza e dell’ottimismo. L’ “Andate, ecco io vi mando…” di Gesù risuona ancora forte al nostro cuore. Con Giovanni Paolo II anche noi siamo convinti che “la missione è ancora agli inizi”! Per questo il capitolo ha invitato la nuova direzione generale a procedere a quelle chiusure, necessarie e possibili, che permettono di aprire nuovi fronti missionari in campi più bisognosi di prima evangelizzazione.

 

UN NUOVO MODELLO

DI MISSIONARIO

 

Il capitolo generale ha indicato, nello stesso tempo, un nuovo modo di essere missionari. Molti teologi da tempo lo dicono ed è la logica conseguenza delle novità ecclesiologiche del Vaticano II, ma noi stessi lo sentiamo: ormai è venuto il tempo di una missione più discreta, umile, solidale, propositiva, fondata più sull’ “essere” che sul “fare”. Le relazioni delle Regioni saveriane presentate al capitolo hanno mostrato che il tempo delle opere, grandi e imponenti, sta passando. Esse sono pesanti da assumere, dopo di noi, da parte della chiesa locale e inoltre finiscono per oscurare le vere motivazioni della nostra presenza. Ci pare che sia ora di far spazio a una missione più semplice e più “spirituale”, in dipendenza dallo Spirito Santo cioè, fondata soprattutto sulla testimonianza cristiana.

Purtroppo questa transizione non è semplice come potrebbe apparire, perché esige un’autentica metanoia, un cambiamento di visione. Ciò può causare ripensamenti, paure e incertezze, perché per rinnovare il modo di far missione dobbiamo rinnovare a fondo la maniera di vivere e le motivazioni che sono a monte. In poche parole, abbiamo bisogno di una spiritualità adatta a questo momento. Questo è stato il primo nodo del nostro capitolo, apparso già nella fase preparatoria e messo a fuoco dal convegno dell’anno scorso. Bisogna ricuperare, riproporre e, soprattutto, rendere operativa la nostra spiritualità missionaria. A questo tema ci ha aiutato a riflettere p. Luigi Guccini nell’introduzione spirituale del capitolo. La spiritualità, diceva, chiede di andare alla radice carismatica della nostra esistenza: perché siamo saveriani? Una domanda intrigante che vuol farci uscire dagli stereotipi dell’essere missionario tradizionale fondato sul fare, per ricondurci al nostro rapporto con Gesù Cristo e con il suo Spirito che è il protagonista della missione. È nella struttura dialogica della nostra vocazione e nella permanente obbedienza alla chiamata di Gesù che si situa la nostra identità più vera, pur mediata dalla esperienza spirituale del fondatore e dalla storia dell’istituto. In questa struttura fondamentalmente cristologica e teologica della missione si trova la spiritualità del missionario, la forza propulsiva della vocazione e il suo carisma autentico. Il resto, e cioè il dono di sé, il dialogo, l’attenzione alla cultura, la solidarietà, l’impegno per la  liberazione e la promozione umana, segue logicamente.

Il capitolo, malgrado la tacita risoluzione di non fare dei documenti, è caduto nella trappola di sempre, nella tentazione cioè di scrivere dei testi secondo il metodo invalso nei capitoli “speciali” del post-concilio, e si è un po’ perso nel precisare puntigliosamente le parole. Sarebbe stato meglio usare il tempo per individuare i cammini più adatti per coinvolgere l’istituto nel dopo-capitolo. Pazienza! Chissà quando verrà il giorno in cui saremo capaci di vincere questa tentazione intellettualistica? Comunque sia, i nostri Documenti capitolari, nel loro insieme, sono almeno brevi: trentacinque paginette, indice incluso. Comprendono cinque testi sulla spiritualità saveriana, sull’«oggi» della missione, sulle teologie saveriane internazionali, un testo d’indicazioni operative e uno di revisione di quelle alcune norme che avevano bisogno di essere ritoccate o aggiunte. Ma gli argomenti principali sono i primi due.

Circa la spiritualità abbiamo sviluppato, attualizzandole, le indicazioni lasciateci dal fondatore nella sua Lettera Testamento del 1921, che per noi sono la sintesi della spiritualità che egli offre ai suoi figli: fede viva che ci faccia “veder Dio, cercar Dio e amar Dio in tutto”, “obbedienza pronta generosa e costante”, “amore intenso” per la famiglia saveriana che dobbiamo “amare qual madre”. Per quello che riguarda la missione, è stato ribadito l’impegno a tenere fissa la bussola sul nord dell’istituto, cioè sul fine unico dell’istituto che è il “primo annunzio” del Vangelo ai non cristiani e, di conseguenza, sull’animazione missionaria e vocazionale e sulla formazione dei futuri missionari. Abbiamo riaffermato l’impegno a trasferire agli autoctoni, appena possibile, quegli impegni pastorali che non sono in linea con il nostro fine unico.

Davanti alla frequente proposta di occuparci degli emigranti non cristiani presenti nelle nostre chiese, il capitolo ha riaffermato che questo tipo di impegno  non entra nel nostro compito specifico: non è possibile far tutto, per questo noi abbiamo scelto di occuparci dei non-cristiani che si trovano al di fuori delle nostre comunità d’origine, mentre occuparsi dei non-cristiani presenti sul territorio della chiesa locale è impegno di quest’ultima. Abbiamo però convenuto che dobbiamo essere, sempre e ovunque, accoglienti con i non-cristiani e che «non dovrebbe mai succedere che consideriamo come degli estranei o degli avversari coloro che, fedeli alla loro tradizione religiosa, non accettano la nostra evangelizzazione, perché essi continuano ad essere i destinatari della missione ad gentes».

 

MODELLO DEL MISSIONARIO

PER QUESTO TEMPO

 

Il capitolo si è poi occupato del nuovo modo di vivere e fare la missione ad gentes e ha delineato sei tratti della missione e del saveriano oggi.

I saveriani saranno:

– missionari che vivono la missione a partire dalla contemplazione e dalla comunione;

– missionari rispettosi e attenti alla cultura dei destinatari della missione, che curano lo studio della lingua e della cultura locale, anche quando questo si complica per il moltiplicarsi delle lingue e la mobilità dei missionari, che non si permettono pregiudizi e giudizi ingenerosi;

– missionari che curano il dialogo interculturale e interreligioso, sia a livello personale che comunitario, considerandolo compito essenziale della missione e oggi particolarmente urgente come contributo alla pace fra le religioni;

– missionari che, in umiltà e con lucidità, si mettono a servizio della crescita e dell’affermazione della chiesa locale, accettando generosamente ruoli di secondo piano e rimanendo sempre pronti ad andare anche oltre i confini della chiesa locale, quando fosse necessario per estendere l’evangelizzazione ai non cristiani;

– missionari che vivono la missione nella semplicità e nella povertà, evitando il protagonismo e curando invece la reciprocità, la qualità delle relazioni e la scelta dei mezzi poveri, accessibili alla popolazione locale e che, possibilmente, non creano dipendenza;

– infine missionari che si propongono di vivere la missione nella solidarietà e nella gratuità, cercando di essere, ovunque gli avvocati dei poveri.

Altri due documenti elaborati dal capitolo hanno dato, rispettivamente, una valutazione sostanzialmente positiva delle comunità internazionali di teologia e alcune indicazioni operative per il sessennio: tra di esse l’apertura di una nuova missione, un convegno sulla missione, la promozione ovunque del dialogo interculturale e interreligioso, la preparazione dei formatori per le teologie internazionali, il rilancio della formazione permanente e la promozione del carattere sopraregionale della Casa Madre di Parma.

 

LA NUOVA

DIREZIONE GENERALE

 

Verso la fine dei lavori capitolari è stata scelta la nuova direzione generale, che rispecchia abbastanza fedelmente la realtà dell’istituto. È stato riconfermato per un secondo sessennio il superiore uscente, p. Rino Benzoni, insieme con il suo vicario, p. Gigi Menegazzo. Ad essi sono stati affiancati, p. Carlo Girola, superiore regionale del Camerun-Ciad, p. Armando Germán Navarrete, messicano, superiore regionale della Colombia e il p. Alphonse Katindi Ramazani, congolese, fino a qualche mese fa rettore della comunità teologica di Yaoundé. A questi confratelli incombe la responsabilità di far giungere la riflessione del capitolo a tutto l’istituto e di presiedere per sei anni la fraternità saveriana, tenendo insieme la creatività – certo difficile da imbrigliare – dei missionari di mons. Conforti.

 

Gabriele Ferrari s.x.

ferrari@tavernerio-saveriani.it