INTERROGATIVI SULLA VITA CONSACRATA

IN ASCOLTO DEI GIOVANI

 

Nei frequenti incontri con gli istituti religiosi, Rino Cozza ha colto alcuni interrogativi che si pongono oggi nei riguardi della vita consacrata, soprattutto tra i giovani. Sono le stesse domande che troviamo presenti anche nei libri-inchiesta. Quali risposte dare?

 

Trovo sempre interessanti  le domande che mi vengono poste o in occasione di incontri o attraverso lettere come questa:

Scrivo a nome di un gruppo di giovani religiose/i che stanno riflettendo  sulla disaffezione vocazionale delle nuove generazioni: abbiamo messo a confronto i dati emersi nella ricerca dell’Osservatorio del Nord-est e nel libro-inchiesta di F. Garelli con curiose recenti riflessioni  di qualche studioso di lungo corso. (…) Il modo di vedere le cose ci sembrano evidenziare due mondi distanti…

 

Le domande sottese alle quali rispondere sono: la perfezione evangelica nella Chiesa è esclusiva della VR? La disaffezione delle nuove generazioni è dovuta al fatto che la VC è stata spogliata del riconoscimento di eccellenza? Che cosa pensano i giovani dei religiosi e delle religiose?

 

La perfezione evangelica nella Chiesa è esclusiva della VR?

 

La lettera da cui prendo l’avvio ha lo spunto in alcune recenti espressioni di addetti ai lavori secondo i quali la pienezza della vita cristiana (perfezione) sarebbe conseguibile soltanto nello stato religioso. Il documento conciliare sulla VC porta il titolo di Perfectae caritatis indicando così che la perfezione evangelica sta nell’ “affinamento” della carità, in forza del battesimo che convoca tutti in ordine alla santità (perfezione). Non ci sono due livelli di santità. Questo modo di pensare «si differenzia dal tempo in cui si diceva che  il semplice fedele  cerca la propria salvezza, mentre la VR tende alla perfezione. La perfezione cristiana è quella della carità e questa può raggiungere il suo apice sia nel mondo sia in quella situazione che anticipa il regno».  «È tempo – scrive R Règamey – di dissipare i malintesi che hanno potuto fare dei religiosi una casta di “perfetti” e convincere i medesimi che debbono dare agli elementi della loro esistenza la qualità richiesta perché perseguano, secondo le loro modalità specifiche, la comune perfezione (…) Quello che più importa è di rispondere alla chiamata di Dio e di colmare l’intera misura da lui assegnata, qualunque essa sia ».1

La sistematizzazione dello stato di perfezione «trova in san Tommaso d’Aquino il paladino che nel termine stato vedeva il carattere pubblico e stabile dell’impegno religioso e nel  termine di perfezione la tensione verso il perfezionamento della carità, senza avere la pretesa di essere l’unica via per raggiungere questo traguardo (…). In seguito il pensiero di san Tommaso sarà sempre inteso in tal senso? Sembra di no. Pare che sia stato troppo spesso interpretato come una svalutazione della condizione del laico e  come se la vita religiosa costituisse un’acquisizione automatica della perfezione, mentre il pensiero di san Tommaso era molto diverso».2

San Giovanni Crisostomo scrive: «È un errore grossolano credere che altro si chieda da colui che vive nel mondo e altro al monaco (…); come si fa a pretendere che il livello che deve raggiungere il monaco sia più elevato? Tutti devono elevarsi alla medesima altezza.  È stato  un errore funesto credere che soltanto il monaco sia tenuto a una più grande perfezione (…), e quando egli ordina di seguire la via stretta, non parla solo per i monaci, ma per tutti gli uomini».3

Gregorio stesso non appartiene a coloro che fanno della perfezione evangelica il privilegio di una categoria;4 ed anche la regula Benedicti non menziona l’opposizione tra due tipi di vita cristiana e nei suoi strumenti delle buone opere propone le obbligazioni comuni ad ogni battezzato. Tutti costoro sono però anche unanimi nel riconoscere che i consigli introducono in una situazione cristiana tipica, condizione favorevole  per la crescita della carità. Più vicino a noi, E. Schillebeeckx scrive: «Strettamente parlando nel Vangelo esiste un solo consiglio (…) di cui viene espressamente detto che non costituisce l’oggetto di un comandamento del Signore. (…) Colui che non segue questo consiglio può raggiungere benissimo la perfezione della carità, mentre gli altri consigli valgono per tutti i cristiani in quanto sono indispensabili per poter realizzare nei fatti la vocazione universale alla perfezione della carità».5 Tillard – a partire dal fatto che la VR si riconosce  nel gruppo itinerante che seguiva da vicino Gesù – opportunamente osserva: se la perfezione fosse solo di questo gruppo ne rimarrebbero escluse «altre persone – sua madre Maria, Marta, Lazzaro, Zaccheo, Nicodemo – che per il fatto di  continuare a condurre un’esistenza più “normale” sarebbero per questo considerate meno perfette».6

Quanto fin qui espresso potrebbe essere sintetizzato in una recente espressione di G. Frosini: «La VC non è un’altra via rispetto a quella dei cristiani comuni, è una memoria radicale della vocazione comune (…), di cui i religiosi si impegnano a diventare testimoni qualificati dinanzi alla distratta mentalità generale. È quasi un Vangelo leggibile nella vita. Oggi questa visione ritorna forte all’attenzione nonostante che i documenti conciliari e post continuino a esprimersi sostanzialmente con il vecchio linguaggio».7

Allora da dove nasce in alcuni/e il progetto di VR?  «L’impegno di questi non procede fondamentalmente dal desiderio calcolato di ottenere con maggior sicurezza la perfezione ma dal fatto che essi sono stati come avvinti dalla persona o dal messaggio di Gesù».8

 

La disaffezione delle nuove generazioni è dovuta al fatto che la VC è stata spogliata del riconoscimento di eccellenza?

 

 È la paura di chi vede concorrenziale la crescente stima della vocazione laicale, comprimaria  nella «chiamata alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità» (LG 40). I redattori della lettera cui sto rispondendo, questa paura di concorrenzialità la trovano espressa, ad esempio, nell’articolo di una rivista,  che si esprime così: «La crisi di identità della vita religiosa è dovuta all’aver accolto gli elementi positivi comuni alla vita di ogni cristiano e respingendo così gli specifici elementi positivi, biblici, e teologici della vita religiosa».9 Questo modo di pensare, riproponendo quella teologia che definiva la vita religiosa secondo categorie di “diversità”, “di più”, evidenzia  il comprensibile disagio di quei  religiosi  che si sono visti mancare sotto i piedi il loro humus culturale e faticano ad accettare una ricollocazione che pone in dubbio alcune delle certezze prima consolidate.

Ma questa paura non tocca le nuove generazioni, vale a dire quelle post-conciliari. Cerco di evidenziare ciò riportando il dire di un gruppo di adulti, interpellati sull’argomento, incontrati in una giornata di riflessione sul documento Cristifideles laici:

«Si sta comprendendo che un unico ideale, un unico grande amore, un unico disegno di perfezione evangelica possono esplicitarsi in vie diverse e complementari».

«Per chi è chiamato, la VR è la scelta di senso per cui spendere la vita e non di aristocrazia in seno al cristianesimo: è questione di modalità e intensità di vivere il Vangelo e non di contenuto».

«Il futuro è di chi sa conciliare la generosità del dare con la generosità del ricevere, di chi sa ripensarsi insieme a tutto il popolo di Dio. Questo è il senso di vocazione particolare: parte di un tutto con cui integrarsi attraverso lo scambio di doni (carismi). Da qui scaturisce il riconoscersi reciprocamente necessari: membra di un unico Corpo».

«La voglia di emergere, di stagliarsi sugli altri, di essere meno uguali ha sempre avuto adepti anche nella Chiesa. Non so se la riprova stia anche nel fatto che le uniche vocazioni ecclesiali non in crisi sono quelle definite “eccellenti” o “eminenti”. Anche tra i religiosi, spesso, il titolo di fratello sembra relegato all’esercizio di umiltà e non titolo a cui tendere con tutte le forze qualsiasi sia il “servizio” di cui uno è richiesto ».

«La VR trova la sua identità nel centrare la vita su Dio in una maniera particolarmente visibile, esprimendo in forma originale l’unica vocazione cristiana che consiste nell’amore di Dio coniugato con l’amore alla vita: è questione di amore non di posizione sociale».

Queste ultime espressioni mi hanno riportato alla memoria una considerazione di Tillard: «Chi può dire, per esempio, che il tale generale illustre ami la patria più  di quel modesto artigiano che lavora per essa nell’oscurità del suo villaggio?».10

 

Che cosa pensano i giovani dei religiosi /e?

 

Innanzitutto c’è da chiedersi se i giovani conoscono la VR. Da una recente indagine11 risulta che «anche se la dimensione religiosa sembra non essere estranea a buona parte di essi, sono soltanto circa il 7% che dichiarano di conoscere sufficientemente bene la VR; la maggior parte degli altri identifica i religiosi/e come coloro che vivono in comunità, portano un abito particolare e sono riconosciuti in termini di “utilità” sociale piuttosto che di specificità della testimonianza. Dunque una generazione, quella dei giovani, distante ma non ostile, anzi nell’insieme, in essi traspare simpatia nei confronti dei religiosi/e che riconoscono come  persone sincere, vivaci, forti, sicure di sé,  con le quali però il confronto non sembra facile in quanto poco aperti alla modernità, tendenzialmente vecchi, portatori di una mentalità arretrata. Ma è proprio sull’ipotesi vocazionale che la ricerca mostra un distacco profondo, pensando (i giovani) che con i religiosi/e non è possibile condividere valori, progetti di vita, impegno ecclesiale».12 Pertanto si tratta di una distanza anagrafica, culturale e valoriale (almeno nella modalità espressiva) con conseguente impossibilità di trasmettere l’eredità storico-carismatica di un istituto. Questo avviene quando il patrimonio di sapienza della vita religiosa si è bloccato su un modello di società che non c’è più e su un modello di comportamenti che non esprimono più un valore. A questo punto basta il lasso di tempo di una generazione per essere tagliati fuori dalla vita dei giovani e dai loro progetti di avvenire. Non poter risolvere il problema comporta l’essere emarginati per insignificanza. Infatti la difficoltà  della VR non consiste nel non sapere quale grande tesoro essa sia, irrinunciabile, per la Chiesa, ma piuttosto nel non sapere come ridarle “significato” nei nuovi contesti entro i quali i consueti segni non mediano più, cioè non rimandano più a ciò per cui sono stati detti. Tale crisi di significatività conduce alla mancanza di ragioni comprensibili al giovane d’oggi, per le quali spendere la propria vita. E ci sono delle eccezioni che confermano la regola.

Nel recente mese di luglio ho partecipato a una parte dei Capitoli provinciali di una congregazione13 che attualmente gode di un coefficiente di crescita notevolmente superiore alla media di tutte le altre congregazioni presenti in Italia. L’istituto (nato nel 1870) conta ora circa 420 religiose e da diversi anni ammette (annualmente) al noviziato, dopo attento discernimento, circa 10-15 giovani provenienti dal nord e sud d’Italia. L’impatto con le assemblee capitolari è stato ricco di stupore riscontrando che la maggior parte delle delegate erano di giovane età, con un bagaglio culturale e spirituale di tutto rilievo e con una relazionalità gioiosa e spontanea. All’origine di questo significativo fatto vocazionale – mi è stato spiegato - c’è il fatto di puntare su esperienze (in particolare una) prolungate e progressive, rivolte ai giovani e alle coppie, in cui i contenuti evangelici vengono proposti e vissuti in un clima di accoglienza reciproca, di voglia di autenticità, di gioia di vivere, di preghiera, di progetto, di quotidianità ricca di idealità, il tutto nell’orizzonte della contemporaneità. È vero anche per la VR ciò che si dice dell’età evolutiva, che i valori si trasmettono per contagio e preferibilmente a pari, cioè da giovane a giovane, in contesto di insieme; valori affidati alla testimonianza di persone ricche di umanità, di libertà, di responsabilità, di simpatia, di relazioni vere (testimoniando in tale maniera che l’essere sorelle è punto di convergenza di una istanza spirituale e umana, senza che una sia in contrapposizione all’altra.

Dopo quanto detto è ancora possibile credere che basti l’etichetta di status perfectionis, – stato di perfezione –  a risolvere la crisi vocazionale? Nel recente libro-indagine di F.Garelli si parla – in riferimento ai giovani – di «primati in via d’estinzione (…): tali primati e priorità oggi stentano a essere riconosciuti, a fronte di una cultura che tende a valorizzare le varie condizioni e scelte di vita e di un cammino di maturazione ecclesiale che sottolinea la specificità delle diverse vocazioni, dei vari carismi e delle molte strade di salvezza».14

 

Cozza Rino csj

 

 

1 P.R Règamey in Dizionario degli Istituti di perfezione, v.  6, 1478-1484. Nella costituzione Lumen gentium il Concilio vede tutti i fedeli, in ragione del battesimo e del sacerdozio spirituale che ne deriva, come fondamentalmente eguali e tutto ciò che riguarda il popolo di Dio “riguarda allo stesso titolo laici, religiosi e chierici (LG 30). È scomparso il riferimento alla “perfezione” mentre è rimasta la nozione di stato. Nel Codice di diritto canonico “ la nozione di stato è specificata non più come stato di perfezione ma di “vita consacrata”. G. Lesage – G. Rocca in Dizionario degli Istituti di perf. v. 8, 210.

2 G. Lesage – G. Rocca, in Dizionario degli Istituti di perfezione v. 8, 208.

3 G. Crisostomo, Adv.opp.vit. mon., 3,14: pp. 47,372-375 – citato in J.M.R.Tillard, Davanti a Dio e per il mondo, Milano, 112.

4 J.M.R. Tillard, Davanti a Dio e per il mondo, 123.

5 E. Schillebeeckx, Il celibato del ministero ecclesiastico, Roma 21968.

6 J.M.R. Tillard, Davanti a Dio e per il mondo, 172.

7 G. Frosini in Religiosi in Italia, n. 358.

8 J.M.R. Tillard, Davanti a Dio e per il mondo, 177.

9 Religiosi in Italia  2, 2002, 183.

10 J.M.R. Tillard, Davanti a Dio e per il mondo, 71.

11 Indagine dell’Osservatorio Cism-Usmi del nord est.

12 Da una relazione di Fr. G. Dal Piaz (Osservatorio nord-est).

13 Suore Francescane Alcantarine.

14 F. Garelli, (a cura), Chiamati a scegliere, Edizioni san Paolo, 100-101.