UN AMICO SUFI RICORDA P. RAGHEED
ERA L’INNOCENZA FATTA PERSONA
Adnane Mokrani,
teologo sufi, ha scritto per l’uccisione del sacerdote iracheno Ragheed questa
commossa testimonianza, introdotta da un riepilogo storico degli avvenimenti di
Daniela D’Andrea, collaboratrice del CIPAX, centro interconfessionale per la
pace.
Il 3/06/2007 alla fine della divina liturgia nella chiesa dello Spirito Santo di Mousul, nord Iraq, il parroco, don Ragheed1 e i suoi tre assistenti sono stati vittima di un feroce attentato. Una raffica di proiettili ha stroncato le loro preziose vite davanti gli occhi della comunità incredula e delle mogli degli assistenti. I loro corpi sono stati poi portati in mezzo alla strada e circondati da una serie di bombe al fine di non far giungere loro i primi soccorsi. La chiesa era già stata ripetutamente minacciata e attaccata, ma il suo parroco don Ragheed non aveva ceduto alle minacce. Più erano insistenti, più la comunità si raccoglieva intorno a lui e cresceva.
Ragheed aveva studiato a Roma ospite del Pontificio collegio irlandese e si era licenziato in teologia ecumenica presso l’Angelicum. Aveva ricevuto l’ordinazione sacerdotale sempre in Roma. Durante il suo soggiorno in Italia non aveva mai fatto segreto del suo desiderio di tornare in Iraq, come mai aveva fatto segreto il dolore per il suo paese. Era un giovane brillante, molto intelligente e perspicace, pastore buono dal cuore grande e grande coraggio. Una volta tornato in Iraq è stato uno dei pochi sacerdoti a non lasciare la città e a continuare a pascere il suo gregge e infondere loro il coraggio della verità e della disponibilità al martirio per la pace. Uomo di dialogo sognava sempre l’unità e la pace. La sua improvvisa morte ha lasciato una profonda ferita nella sua chiesa, la chiesa caldea, come in tutta la chiesa irachena. Il nostro amico Adnane, che lo aveva incontrato nel suo soggiorno romano, gli ha dedicato la seguente lettera aperta che vuole essere un ultimo addio e dichiarazione d’amore fraterno, ma anche un testamento spirituale. Perché non si dimentichi! (Daniela D’Andrea).
«In nome di Dio, clemente e misericordioso, Ragheed, fratello mio, Ti chiedo perdono, fratello, di non essere stato accanto a te quando i criminali hanno aperto il fuoco su te e i tuoi fratelli, ma le pallottole che hanno trafitto il tuo corpo puro e innocente, hanno trafitto anche il mio cuore e la mia anima.
Tu sei stato una delle prime persone che ho conosciuto al mio arrivo a Roma, nei corridoi dell’Angelicum, dove ci siamo conosciuti e dove abbiamo bevuto assieme il nostro cappuccino nella caffetteria dell’università. Tu mi avevi colpito per la tua innocenza, la tua allegria, il tuo sorriso tenero e puro che non ti lasciava mai. Io non posso che immaginarti sorridente, felice, pieno di gioia di vivere.
Ragheed per me è l’innocenza fatta persona, un’innocenza saggia, che porta nel suo cuore le preoccupazioni del suo popolo infelice. Mi ricordo di quella volta nella mensa dell’università, quando l’Iraq era sotto embargo e tu mi hai detto che il prezzo di un solo cappuccino avrebbe potuto colmare i bisogni di una famiglia irachena per un’intera giornata, come se tu ti sentissi in qualche modo colpevole di essere lontano dal tuo popolo assediato e di non condividerne le sofferenze.
Eccoti di ritorno in Iraq, non solo per condividere con la gente il loro destino di sofferenze, ma anche per unire il tuo sangue a quello delle migliaia di iracheni che muoiono ogni giorno.
Non potrò mai dimenticare il giorno della tua ordinazione all’Urbaniana. Con le lacrime agli occhi, mi avevi detto: “Oggi sono morto per me”. Una frase molto dura. Nell’immediato non avevo ben capito, o forse non l’avevo presa sul serio come avrei dovuto. Ma oggi, attraverso il tuo martirio, l’ho capita questa frase.
Tu sei morto nella tua anima e nel tuo corpo per risuscitare nel tuo Bene amato e nel tuo Maestro e affinché Cristo resusciti in te, malgrado le sofferenze e tristezze, malgrado il caos e la follia.
In nome di quale dio della morte ti hanno ucciso? In nome di quale paganesimo ti hanno crocifisso?... Sapevano veramente quello che facevano?
Oh Dio, noi non ti chiediamo vendetta o rivincita, ma vittoria, vittoria del giusto sul falso, della vita sulla morte, dell’innocenza sulla perfidia, del sangue sulla spada. Il tuo sangue non sarà stato versato invano, caro Ragheed, poiché ha santificato la terra del tuo paese e il tuo sorriso tenero continuerà ad illuminare dal cielo le tenebre delle nostre notti e ad annunciarci un domani migliore.
Ti chiedo scusa, fratello, ma quando i vivi si incontrano, essi credono di avere tutto il tempo per conversare, farsi visita e dirsi i propri sentimenti e i propri pensieri. Tu mi avevi invitato in Iraq... Sogno sempre di visitare la tua casa, i tuoi genitori, il tuo ufficio. Non avrei mai pensato che sarebbe stata la tua tomba che un giorno avrei visitato o che sarebbero stati i versetti del mio Corano che avrei recitato per il riposo della tua anima.
Un giorno, ti ho accompagnato per acquistare degli oggetti ricordo e dei regali per la tua famiglia alla vigilia della tua prima visita in Iraq dopo una lunga assenza. Tu mi avevi parlato del tuo lavoro futuro: “Vorrei guidare la mia gente sulla base della carità prima della giustizia” mi avevi detto. Allora mi era difficile immaginarti come “giudice” canonico. Ma oggi il tuo sangue e il tuo martirio hanno detto la loro parola, verdetto di fedeltà e di pazienza, di speranza contro ogni sofferenza e di sopravvivenza, malgrado la morte, malgrado il nulla.
Fratello, il tuo sangue non è stato versato invano e l’altare della tua chiesa non era una mascherata. Tu hai preso il tuo ruolo con profonda serietà, fino alla fine, con un sorriso che nulla spegnerà. mai.
Il tuo fratello che ti vuole bene
Adnane Mokrani
1 Cf.