ORIENTAMENTI MORALI E VIRTÙ CRISTIANE

LA STRADA   SCUOLA DI FORMAZIONE

 

Il pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti ha emanato un documento in cui tra l’altro attira l’attenzione anche sul grave problema della mobilità umana e gli aspetti morali della guida dei veicoli. Un documento su cui ci pare opportuno riflettere.

 

Non passa giorno, soprattutto non passa week end che non ci siano delle stragi sulla strada. Il più delle volte queste sono dovute all’imprudenza dei conducenti o, comunque, a circostanze in cui gioca quasi sempre un ruolo determinante il fattore umano. Si tratta di un fenomeno di enormi proporzioni a cui però spesso si guarda come a un fatto di semplice cronaca. Difficilmente si è portati a farne oggetto di riflessione, soprattutto personale, anche se oggi ci troviamo spesso tutti sulla strada ed esposti a tutti i suoi rischi.

Viene perciò quanto mai opportuno il documento, emanato il 19 giugno scorso dal pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, intolato: Orientamenti per la pastorale della strada. Il testo è suddiviso in quattro parti principali così distribuite: 1. Pastorale per gli utenti della strada; 2.Pastorale per la liberazione delle donne di strada; 3 Pastorale per i ragazzi di strada ; 4. Pastorale per le persone senza fissa dimora. Come si vede, non riguarda quindi soltanto il settore degli utenti della strada, ma ha un raggio di interesse assai più ampio. Qui abbiamo scelto di fermare l’attenzione sugli aspetti pastorali riguardanti gli utenti della strada. Sia perché l’estate è il tempo della maggiore mobilità, sia perché collegati con la guida di un veicolo ci sono dei problemi etici che non sempre si tengono presenti e che occorre richiamare. La mobilità in genere, e la guida di un veicolo, in particolare, offre l’opportunità di esercitare tutto un insieme di virtù, soprattutto umane, di cui spesso si parla, anche nelle nostre comunità, che poi dimentichiamo quando siamo al volante, quasi fossimo diventati improvvisamente delle persone diverse da ciò che lasciamo trasparire nel quotidiano.

Ci sembra perciò opportuno dedicare il presente “Speciale” – che esce nel culmine dell’estate, nel periodo con le ferie – per un invito a riflettere su questo aspetto importante della vita di tutti i giorni. La strada può diventare una vera e propria “scuola di formazione” per la conoscenza di sé e del proprio subconscio. Noi religiosi, dall’educazione stradale, possiamo imparare anche tante cose circa il modo di vivere insieme in comunità. La strada ci insegna anzitutto ad avere rispetto delle persone e delle norme che sono poste a sicurezza delle nostre persone e di quelle degli altri, ci educa alla prudenza, alla pazienza, alla cortesia, a un comportamento da persone adulte e responsabili, ci invita alla solidarietà, soprattutto in caso di bisogno, e richiede un continuo esercizio di quel dominio di sé che Paolo enumera tra i frutti dello Spirito (Gal 5,22).

Il documento, prima di affrontare gli aspetti specifici dell’utente della strada, premette alcune considerazioni riguardanti il “fenomeno della mobilità” e il progresso umano che esso rappresenta e ricorda, attraverso alcuni riferimenti tratti dall’Antico e Nuovo Testamento, che “Cristo è la via, Egli è la strada”. Detto questo, entra nel vivo delle indicazioni pastorali, partendo dagli “aspetti antropologici”, per giungere poi a quelli morali e alle cosiddette “virtù del conducente” e alla proposta di un sintetico “decalogo”del guidatore (cf. fuoritesto).

 

LA PARTICOLARE

PSICOLOGIA DELL’AUTISTA

 

Il veicolo, scrive il documento,1 è un mezzo di cui ci si può servire in modo prudente ed etico, per la «convivenza», la solidarietà e il servizio degli altri, oppure se ne può anche abusare.

Evasione dalla quotidianità e piacere di guidare

Al volante dell’auto, c’è chi accende il motore per lanciarsi nella corsa, per evadere dai ritmi assillanti della vita quotidiana, legati al lavoro. Il piacere di guidare diventa un modo di godere della libertà e autonomia di cui abitualmente non si dispone. Ciò porta anche a praticare gli sport di strada, il ciclismo, il motociclismo, a partecipare a corse automobilistiche, in un sano senso di competizione, anche se con i relativi rischi.

Accade che si sentano come limitazione di libertà i divieti che i segnali stradali impongono; specialmente quando non visti e controllati, alcuni soggetti sono tentati di infrangere tali barriere, che invece sono poste a protezione di sé e degli altri. Alcuni conducenti arrivano a considerare umiliante il dover rispettare certe norme di prudenza che diminuiscono rischi e pericoli del traffico. Altri ritengono intollerabile, quasi una limitazione dei propri «diritti», l’essere costretti a seguire pazientemente un’altra vettura, quando questa viaggia a velocità ridotta, perché i segnali stradali indicano, per esempio, una proibizione di sorpasso.

Occorre tener conto del fatto che la personalità del conducente alla guida è diversa da quella del pedone. Circostanze speciali, quando si guida un veicolo, possono portare ad avere un comportamento inadeguato e perfino poco umano. Consideriamo, qui di seguito, i principali fattori psicologici che influiscono sul comportamento del conducente.

Istinto di dominio

L’istinto di dominio, o sentimento di prepotenza, nell’essere umano, spinge a cercare il potere per affermarsi. La guida di un’ automobile offre la possibilità di esercitare facilmente tale dominio sugli altri. Identificandosi con l’automobile, il conducente sente aumentare il proprio potere, che si esprime in velocità, il che dà luogo a un piacere, quello di guidare, appunto. Tutto ciò può portare l’autista a voler gustare l’ebbrezza della velocità, manifestazione caratteristica di crescita del suo potere. 

Il disporre liberamente della velocità, l’avere la possibilità di accelerare a proprio piacimento e di lanciarsi alla conquista del tempo, dello spazio, superando, “sottomettendo” quasi, gli altri conducenti, diventano fonti di soddisfazione derivante da dominio.

Vanità ed esaltazione personale

L’automobile si presta in modo particolare a essere usata dal proprietario come oggetto di ostentazione di sé e mezzo per eclissare gli altri e suscitare sentimenti di invidia. La persona si identifica così con la macchina e proietta su di essa l’affermazione dell’ego. Quando si fa l’elogio della propria automobile, in fondo, si elogia se stessi, poiché essa ci appartiene e, soprattutto, la si guida. I record battuti, le grandi velocità raggiunte sono ciò di cui molti automobilisti, anche non giovani, si vantano con maggiore piacere; è facile costatare come non si possa sopportare di essere considerati cattivi conducenti, anche se si può riconoscere di esserlo.

Squilibrio comportamentale e relative conseguenze

I comportamenti poco equilibrati variano a seconda delle persone e delle circostanze: mancanza di cortesia, gestacci, imprecazioni, bestemmie, perdita del senso di responsabilità, violazioni deliberate del Codice della strada. In alcuni autisti lo squilibrio comportamentale si manifesta in modi irrilevanti, mentre in altri produce gravi eccessi che dipendono dal carattere, dal livello di educazione, dalla incapacità di autocontrollo e dalla mancanza del senso di responsabilità.

Tali eccessi sono riscontrabili in moltissime persone normali. Questi fenomeni di squilibrio comportamentale, che possono avere gravi conseguenze, vengono fatti rientrare, tuttavia, nei limiti della normalità psicologica.

La guida di un’automobile fa emergere dall’inconscio inclinazioni che di solito, quando non si è per strada, sono “controllate”. Alla guida, invece, gli squilibri si manifestano, viene favorita la regressione a forme di comportamento primitive. La guida è da considerarsi alla stregua di ogni altra attività sociale, che presuppone un impegno a mediare tra le esigenze dell’io e i limiti imposti dai diritti degli altri.

L’automobile tende insomma a mostrare l’essere umano per quello che egli è “primitivamente”, e tutto ciò può risultare assai poco gradevole. Bisogna tener conto di queste dinamiche e reagire, facendo appello alle tendenze nobili dell’animo umano, al senso di responsabilità e al controllo di sé, per impedire quelle manifestazioni di regressione psicologica abbastanza spesso legata alla guida di un mezzo di locomozione.

 

ASPETTI MORALI

DELLA GUIDA

 

Guidare vuol dire «convivere»

Il “convivere” è dimensione fondamentale dell’uomo e la strada deve perciò essere più umana. L’automobilista, alla guida, non è mai solo, anche se non v’è nessuno al suo fianco. Guidare un veicolo è in fondo una maniera di relazionarsi, di avvicinarsi, di integrarsi in una comunità di persone. Tale capacità di “convivere”, di entrare in rapporto con gli altri, presuppone nel conducente alcune qualità concrete e specifiche: l’esser padrone di sé, la prudenza, la cortesia, un adeguato spirito di servizio e la conoscenza delle norme del codice della strada. Si dovrà prestare aiuto disinteressato a chi ha bisogno, dando esempio di carità e di ospitalità.

Guidare significa controllarsi

Il comportamento della persona si connota per la capacità di controllarsi e dominarsi, di non lasciarsi trasportare dagli impulsi. La responsabilità di coltivare questa personale capacità di controllo e dominio è importante, tanto per quel che riguarda la psicologia del conducente, quanto per i gravissimi danni che possono essere causati alla vita e all’integrità delle persone e dei beni, in caso di incidente.

Aspetti etici

Nella sua evoluzione, come fatto sociale, il comportamento alla guida dei veicoli si è sviluppato talvolta al margine delle norme etiche; si è generato così – lo osserviamo – un contrasto profondo fra la realtà del progresso costante nel trasporto e l’aumento continuo e caotico del traffico sulle strade, con conseguenze negative per chi guida e per i pedoni.

Per porre la base dei principi etici che devono reggere tutto ciò che riguarda la «professionalità» dell’utente della strada, occorre anzitutto considerare il pericolo, per le persone e per i beni, derivante dalla circolazione stradale. Esso esiste per il conducente, per i suoi passeggeri, per tutti gli automobilisti alla guida. La mancata osservanza delle norme etiche basilari impedisce agli utenti della strada di godere dei propri diritti personali e compromette anche la salvaguardia delle cose.

Il dovere di proteggere i beni può essere leso non solo da una guida imprudente, ma anche dal non mantenere la vettura o il mezzo di trasporto in condizioni meccaniche di sicurezza, trascurando il controllo tecnico periodico. Il dovere di revisione dei veicoli va rispettato.

Vi sono altresì i casi di guida senza abilità fisica o capacità mentale, per l’ abuso di alcol e di altri stimolanti o droghe, per stati di spossatezza o di sonnolenza. V’è il pericolo derivante dalle «minimacchine» (citycars), affidate a giovanissimi e adulti privi di patente, e quello dell’uso spericolato dei ciclomotori e delle moto.

Considerato tutto ciò, per salvaguardare i diritti ed evitare i danni causati da incidenti, le autorità pubbliche stabiliscono un insieme di norme penali. Nella pratica, purtroppo, il carattere obbligatorio di tali norme non viene avvertito, facilmente si attutisce o addirittura scompare nella consapevolezza degli autisti, proprio per il fatto che esse appartengono all’ambito del codice penale, vale a dire a eventi considerati non ordinari, ma straordinari. Ciò pone il conducente più facilmente nella condizione di agire contro la norma, nella speranza di non essere colto in fallo dall’autorità che dovrebbe punirlo.

È chiaro, a questo riguardo, che una pedagogia a favore della cultura della vita, in difesa del comandamento “Non uccidere” è sempre più necessaria. Nella stessa prospettiva, risultano di grande utilità le varie campagne per la sicurezza stradale, il miglioramento dei mezzi pubblici di trasporto, il tracciato sicuro delle strade, la segnaletica e la pavimentazione adeguate delle vie di comunicazione, la soppressione dei passaggi a livello incustoditi, la creazione di una mentalità pubblica responsabile, tramite specifiche associazioni, e la collaborazione con gli utenti da parte degli addetti al servizio stradale.

Guida di un veicolo e suoi rischi

Quando esce in automobile, il conducente dev’essere consapevole, senza fobie, che in qualsiasi momento potrebbe succedere un incidente. Nonostante la buona qualità, in genere, delle odierne vie di comunicazione nei paesi sviluppati, è insensato guidare “allegramente”, come se non esistessero pericoli. L’atteggiamento alla guida dovrebbe essere lo stesso che si assume quando si usano strumenti pericolosi, cioè di molta attenzione.

Ne sono prova le cifre. Partendo dalla produzione mondiale di veicoli a motore, rileviamo che nel 2001 furono quasi 57 milioni, mentre erano 10 milioni e mezzo nel 1950. Nel corso del secolo XX, poi, per incidenti stradali, si ritiene che circa 35 milioni di persone abbiano trovato la morte, mentre i feriti si sarebbero aggirati attorno al miliardo e mezzo. Soltanto nel 2000 i decessi sarebbero stati 1.260.000; degno di nota il fatto che circa il 90% degli incidenti si verifica per errore umano. 

Da non dimenticare il danno causato alle famiglie di chi subisce l’incidente, oltre le prolungate conseguenze per i feriti, che restano troppo spesso handicappati permanenti. Oltre al danno alle persone, in ogni caso, meritano opportuna considerazione gli ingenti danni ai beni materiali.

Tutto ciò è una vera tragedia, e una grave sfida per la società e per la Chiesa. Non sorprende che l’Assemblea Generale dell’ONU abbia affrontato seriamente questo problema in una sessione plenaria, convocata specificamente sulla sicurezza stradale, nell’aprile 2004, volta a rendere più sensibile l’opinione pubblica alle proporzioni del fenomeno, in vista di precise raccomandazioni per la sicurezza stradale.

Papa Paolo VI ebbe ad affermare: «Troppo sangue si versa ogni giorno in una assurda contesa con la velocità e il tempo; e mentre gli organismi internazionali si dedicano volenterosamente a sanare dolorose rivalità, mentre è in atto un meraviglioso progresso verso la conquista dello spazio, mentre si cercano mezzi adeguati per sanare le piaghe della fame, dell’ignoranza e della malattia, è doloroso pensare come, in tutto il mondo, innumerevoli vite umane continuino a essere sacrificate ogni anno a questa inammissibile sorte. La coscienza pubblica deve riscuotersi, e considerare il problema alla stregua di quelli più ardui, che tengono desti la passione e l’interesse del mondo intero».

Obbligatorietà delle norme stradali

Quando qualcuno guida mettendo in pericolo la vita altrui o quella propria, come pure l’integrità fisica e psichica delle persone, e anche beni materiali considerevoli, egli si rende responsabile di colpa grave, pure quando questo comportamento non provochi incidenti, perché, in ogni caso, esso comporta gravi rischi. C’è da aggiungere che la maggior parte degli incidenti è provocata proprio dall’imprudenza.

Il Magistero della Chiesa si è pronunciato chiaramente in relazione a queste problematiche: «Le conseguenze spesso drammatiche delle infrazioni al Codice della strada gli conferiscono un carattere di obbligazione intrinseca molto più grave di ciò che generalmente non si pensi. Gli automobilisti non possono contare solo sulla loro propria vigilanza e abilità per evitare gli incidenti, bensì devono mantenere un giusto margine di sicurezza, se vogliono essi stessi liberarsi degli imprudenti e ovviare alle imprevedibili difficoltà». Infatti «giustamente le leggi civili della umana convivenza fanno sostegno alla grande legge del “Non occides”: non ammazzare, che splende nel Decalogo di tutti i tempi, ed è per tutti precetto sacro del Signore».

Dunque «occorre che ciascuno s’impegni a creare, mediante il rigoroso rispetto del Codice della strada, una “cultura della strada”, basata sulla diffusa comprensione dei diritti e dei doveri di ciascuno e sul comportamento coerente che ne consegue».

Principi teologici, etici, giuridici e tecnologici sostengono la moralizzazione dell’utenza stradale. «Tali principi si fondano sul rispetto dovuto alla vita umana, alla persona umana, qual è inculcato fin dalle prime pagine delle Sacra Scrittura. La persona umana è sacra: essa è stata creata a immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gen 1,26), è redenta dal prezzo inestimabile del sangue di Cristo (cfr. 1 Cor 6,20; 1 Pt 1,18-19), è stata inserita nella Chiesa, nella Comunione dei Santi, col diritto e col dovere della mutua, effettiva, sincera carità verso i fratelli e le sorelle, secondo il precetto dell’apostolo Paolo: “La vostra carità non sia finta ... con amore fraterno vogliatevi bene scambievolmente. Prevenitevi gli uni gli altri nel rendervi onore” (Rm 12,9-10)».

Responsabilità morale degli utenti della strada

È certo che né l’automobilista o il motociclista, né il ciclista o il pedone imprudenti vogliono le fatali conseguenze di un incidente da essi provocato, e nemmeno hanno l’intenzione di arrecare danno alla vita o ai beni altrui. Peraltro, poiché queste conseguenze sono il prodotto di un’azione cosciente, possiamo parlare giustamente di responsabilità morale.

«Perché l’effetto dannoso sia imputabile, bisogna che sia prevedibile e che colui che agisce abbia la possibilità di evitarlo; è il caso, di un omicidio commesso da un conducente in stato di ubriachezza». Quando si guida senza le dovute condizioni (ad esempio imprudentemente, senza le capacità necessarie, ecc.), si mettono in pericolo vita e beni, il che presuppone una violazione della legge morale, a causa del carattere volontario dell’atto. 

La responsabilità morale dell’utente della strada, conducente o pedone, deriva dall’obbligo di rispettare il quinto e il settimo comandamento: “Non uccidere” e “non rubare”. I peccati più gravi contro la vita umana, contro il quinto comandamento, sono il suicidio e l’omicidio, ma questo comandamento richiede anche il rispetto della propria integrità fisica e psichica e di quella altrui.

Sono atti contro tali comandamenti le imprudenti distrazioni e negligenze, la cui gravità morale si misura sul loro grado di prevedibilità e in qualche modo di intenzionalità. Ciò significa che, oltre alla proibizione di uccidere, ferire o mutilare direttamente, il comandamento del Signore proibisce ogni atto che possa procurare indirettamente tali danni. Lo stesso dicasi per quelli causati ai beni del prossimo. 

La legge morale proibisce di esporre qualcuno a serio pericolo, senza grave ragione, come pure di rifiutare assistenza a una persona in pericolo. D’altro lato, il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna che «la virtù della temperanza dispone ad evitare ogni sorta di eccessi: l’abuso di cibo, dell’alcol, del tabacco e dei medicinali. Coloro che, in stato di ubriachezza o per uno smodato gusto della velocità, mettono in pericolo l’incolumità altrui e la propria sulle strade, in mare, o in volo, si rendono gravemente colpevoli».

 

VIRTÙ CRISTIANE

DEL CONDUCENTE

 

Carità e servizio al prossimo

Papa Pio XII così esortava gli automobilisti, già nel 1956: «Voi non dimenticate di rispettare gli utenti della strada, di osservare la cortesia e la lealtà verso gli altri piloti e pedoni, e di mostrare loro il vostro carattere servizievole. Mettete il vostro vanto nel saper dominare una impazienza spesso ben naturale, nel sacrificare talora un poco del vostro senso di onore per far trionfare quella gentilezza che è un segno di vera carità. Non soltanto potrete così evitare incidenti spiacevoli, ma contribuirete a fare dell’automobile uno strumento anche più utile per voi stessi e per gli altri e capace di procurarvi un piacere di miglior lega».

A tale esortazione pontificia fa eco molto più tardi l’episcopato belga che invita i conducenti a dare «prova di spirito di cortesia e carità, rispettando la precedenza con un atteggiamento comprensivo per le manovre impacciate dei principianti, prestando attenzione agli anziani e ai bambini, ai ciclisti e ai pedoni, e dominandosi nei casi di infrazioni commesse da terze persone. La solidarietà cristiana incita tutti gli utenti della strada a un grande spirito di servizio, a prestare assistenza ai feriti e aiuto alle persone anziane, con una sollecitudine particolare per i bambini e gli handicappati». E con l’attenzione al corpo non si può dimenticare di prestare un’assistenza spirituale, non meno urgente, in numerosi casi.

L’esercizio della carità, nel conducente, ha una duplice dimensione. La prima si manifesta nella tenuta della propria autovettura, di cui occorre curare lo stato tecnico dal punto di vista della sicurezza, per non mettere consapevolmente a rischio la propria e l’altrui vita. Essere affezionati alla propria vettura significa anche non pretendere da essa ciò che non può dare.

La seconda dimensione riguarda l’amore verso i viaggiatori di cui non bisogna mettere a rischio la vita con manovre sbagliate e imprudenti che possono arrecare danno tanto ai passeggeri quanto ai pedoni. Usiamo qui la parola “amore” volendo significare le molteplici forme in cui si esprime l’autentica carità, cioè il rispetto, la cortesia, la considerazione, ecc. Il buon guidatore lascia passare cortesemente il pedone, non si sente offeso se un altro lo supera, non ostacola colui che vuole correre più velocemente, non si vendica.

La virtù della prudenza

Questa virtù è sempre stata presentata come una delle più necessarie e importanti in relazione alla circolazione stradale. Lo conferma il testo seguente: «Un’altra virtù che non può essere dimenticata è quella della prudenza. Questa esige un margine adeguato di precauzioni con cui far fronte agli imprevisti che si possono presentare in qualsiasi occasione». Certamente non si comporta secondo prudenza chi si distrae, alla guida, con il telefonino o con la televisione.

E ancora, in tema di prudenza: «Gli utenti della strada non devono circolare a una velocità eccessiva, bisogna calcolare un ampio margine di tempo, teoricamente e psicologicamente necessario, per frenare; non devono sopravvalutare la propria abilità e prontezza; bisogna controllare continuamente la propria attenzione e conversazione. A questo proposito, anche i compagni di viaggio devono conoscere le loro responsabilità».

La virtù della giustizia

Non c’è dubbio che ogni relazione umana deve essere retta dalla giustizia, a maggior ragione se è in gioco la vita. Fin dal momento in cui la Chiesa si è interessata del problema del traffico, ha fatto riferimento a questa virtù. Ricordiamo a tale proposito la seguente esortazione: «La giustizia esige da chi guida una conoscenza completa ed esatta del codice della strada. Chi usa la strada, infatti, deve conoscerne i regolamenti e prenderli in considerazione. L’automobilista, inoltre, è obbligato a cercare di trovarsi in condizioni fisiche e psicologiche adeguate. Se è in stato di ebbrezza, non dovrà mai sedersi al volante e non deve essere autorizzato a farlo. Egli è obbligato, come più di qualsiasi altra persona, alla sobrietà: l’alcol, in effetti, provoca uno stato di euforia e riduce la presenza di spirito a un punto che può essere fatale ».

Rispettando la giustizia, «l’utente della strada dovrà anche riparare il danno causato ad un altro. Se, in coscienza, ne è responsabile, deve adoperarsi affinché la vittima, o i suoi parenti prossimi, siano adeguatamente indennizzati. Qualora il danno si producesse poi in maniera completamente indipendente dalla sua volontà, sarà nondimeno obbligato, in coscienza, a indennizzare la vittima secondo quanto prescrive la legge e, in caso di contestazione e processo, dovrà rispettare la sentenza».

D’altra parte, si devono anche incoraggiare al perdono dell’aggressore i familiari delle vittime, come segno, pur difficile, di maturità umana e cristiana. In questo processo di perdono, è utile, se non necessario, il sostegno spirituale del cappellano o dell’operatore pastorale e la celebrazione della apposita «Giornata del perdono».

La virtù della speranza

La speranza è un’altra virtù che deve distinguere il conducente e il viaggiatore. Chi intraprende un viaggio, infatti, parte sempre con una speranza, quella di arrivare sicuramente a destinazione, per sbrigare affari o godere della natura, per visitare luoghi famosi o che suscitano dei ricordi o per riabbracciare i propri cari. Per i credenti, la ragione di tale speranza, pur tenendo conto dei problemi e dei pericoli della strada, sta nella certezza che, nel viaggio verso una meta, Dio cammina con l’uomo e lo preserva dai pericoli. In virtù di questa compagnia di Dio e grazie alla collaborazione dell’uomo, egli giungerà a destinazione.

Pur essendo Dio la roccia su cui si fonda la speranza cristiana, la devozione cattolica ha trovato numerosi intercessori presso di lui, i suoi e nostri veri amici, gli angeli e i santi e le sante di Dio, ai quali ci si affida per superare i pericoli del viaggio, con la grazia divina. Ricordiamo san Cristoforo (portatore di Cristo), la presenza dell’angelo custode, l’arcangelo Raffaele, che accompagnava Tobia (cfr. Tb 5,1ss.), e che la Chiesa considera protettore dei viaggiatori. Significativi sono altresì i titoli dati a Maria SS.ma, in relazione al cammino. La invochiamo, infatti, come Madonna della strada, Vergine pellegrina, icona della donna migrante.

Il ricorso ai nostri intercessori celesti non deve far dimenticare l’importanza del segno della croce, fatto prima di iniziare un viaggio. Con tale segno ci rimettiamo direttamente alla protezione della santissima Trinità. Esso, infatti, ci indirizza anzitutto al Padre, come origine e meta; a questo proposito ricordiamo le espressioni del salmo: “Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi” (Sal 91 [90],11).

Il segno della croce, poi, ci affida a Gesù Cristo, la nostra guida (cf. Gv 8,12). L’incontro di Emmaus (cf. Lc 24,13-35) ci assicura che il Signore si fa incontro a ciascuno nel cammino, prende alloggio nella casa di chi lo invita, e viaggia con noi, sta seduto al nostro fianco.

Infine il segno della croce ci rimette allo “Spirito Santo, che è Signore e dà la vita”. Egli illumina la mente e concede, a chi lo invoca, il dono della prudenza per giungere alla meta. Ce lo conferma il canto del Veni Creator: “Ductore sic te praevio, vitemus omne noxium” (“Se sei tu a guidarci, eviteremo tutto ciò che ci danneggia”).

Durante il viaggio si potrà con frutto anche pregare vocalmente, alternandosi specialmente, nella recitazione, con chi ci accompagna, come per la recita del Rosario che, per il suo ritmo e la sua dolce ripetizione, non distrae il conducente. Ciò contribuirà a sentirsi immersi nella presenza di Dio, a rimanere sotto la sua protezione, e potrà nascere il desiderio di una celebrazione comunitaria, o liturgica, se possibile, in punti “spiritualmente strategici” della strada o della ferrovia (santuari, chiese e cappelle, anche mobili).

 

MISSIONE

DELLA CHIESA

 

La denuncia di situazioni pericolose, come quelle causate dal traffico, fa parte della missione della Chiesa, è realizzazione cioè della sua missione profetica. È preoccupante il numero di incidenti, in cui anche i pedoni possono avere una grave responsabilità. Denuncia va fatta, inoltre, della pericolosità di certe competizioni automobilistiche e di quelle illegali per le strade, che costituiscono grave rischio.

È abbastanza usuale indicare la causa di un incidente nelle condizioni del fondo stradale, in un problema meccanico o in circostanze ambientali; bisogna però sottolineare che grandissima parte degli incidenti automobilistici sono determinati da leggerezze gravi e gratuite – quando non si tratta perfino di stupidità e arroganza nel comportamento del conducente o del pedone – e quindi dal fattore umano.

Educazione stradale

Di fronte a un problema così grave, tanto la Chiesa quanto lo stato – ciascuno nell’ambito delle proprie competenze – devono operare, oltre la denuncia, al fine di creare una coscienza generale e pubblica per quel che riguarda la sicurezza stradale e promuovere, con tutti i mezzi, una corrispondente, adeguata educazione dei conducenti, come pure dei viaggiatori e pedoni.

In termini più generali, ricordiamo che per poter compiere bene un’azione, sono necessari tre elementi, vale a dire sapere ciò che si deve fare, volerlo realizzare e, infine, aver sviluppato a sufficienza una serie di riflessi e abitudini necessari per eseguirlo con precisione, esattezza e rapidità. Ciò vale anche per l’educazione stradale: essa deve coinvolgere l’intelligenza, la volontà e anche i comportamenti abitudinari.

La Chiesa, a tale proposito, si preoccuperà di sensibilizzare le coscienze e di promuovere un’educazione stradale che tenga in considerazione i tre citati elementi: sapere ciò che si deve fare, consapevoli del pericolo, della responsabilità e degli obblighi che ne derivano per conducenti o pedoni; volerlo compiere con attenzione e dedizione e, infine, sviluppare sufficienti riflessi e abitudini per un’azione precisa, che non comporti rischi né imprudenze.

Per raggiungere tali fini non si dovranno trascurare, oltre all’impegno familiare, le possibilità educative che hanno le parrocchie, le associazioni laicali e i movimenti ecclesiali, soprattutto per bambini e giovani.

Tutto ciò significa destare e incoraggiare quella che potremmo chiamare un’«etica della strada», la quale non è cosa diversa dall’etica in generale, ma ne costituisce una applicazione.

Soggetti a cui rivolgersi

Questione importante è la determinazione dei soggetti dell’educazione stradale; consideriamo anzitutto quelli “attivi”. Poiché il traffico è questione legata al bene comune, nella soluzione del problema della formazione di automobilisti, motociclisti, ciclisti e pedoni, è implicata tutta una serie di attori ed enti sociali, oltre l’individuo e la famiglia, la società in generale e i pubblici poteri.

L’individuo ha l’obbligo etico di rispettare le norme di circolazione e, per questo, deve avere delle conoscenze che siano frutto di una formazione atta ad approfondire il suo senso di responsabilità. Il ruolo della famiglia risulta evidente e fondamentale nell’educazione stradale, che fa parte del bagaglio necessario da trasmettere ai figli per una buona educazione generale. 

Da parte sua, la società ha l’obbligo e il diritto di affrontare questo problema, poiché esso riguarda il bene comune. Si usa il termine società in accezione ampia e diversificata, poiché ingloba, ad esempio, la scuola, l’impresa privata, il club, l’istituzione, la stampa, ecc. Col termine società si intendono altresì i pubblici poteri e l’amministrazione civile, il cui intervento in questo campo, come in altri, deve essere retto dal principio di sussidarietà.

Fra i soggetti «passivi», da educare, citiamo in primo luogo il bambino. È necessario che egli sia preparato molto presto ad affrontare il traffico, nel quale dovrà passare parte della propria vita, e questo per due ragioni fondamentali.

Anzitutto perché educare il bambino a dirigersi nel traffico vuol dire mettere a sua disposizione il migliore mezzo per proteggere la propria vita. Sono molti, infatti, i bambini che ogni anno muoiono sulla strada, e molti sono anche coloro che, senza perdere la vita, restano menomati nelle loro facoltà e segnati per sempre nel fisico e/o nella psiche. E poi l’educazione stradale del bambino è la migliore garanzia di una generazione futura più sicura e corretta, in questo ambito.

L’accento va posto anche sul ruolo insostituibile della scuola, che forma e informa. È soprattutto a scuola che il bambino può cogliere, per tempo, il fondamento etico dei problemi del traffico e il perché delle sue regole. A scuola si apprende che i problemi del traffico appartengono al più vasto campo delle problematiche della convivenza umana, per la quale la prima urgenza è il rispetto degli altri. A scuola si apprende l’autolimitazione cosciente nell’uso e nel godimento dei beni comuni; vi si deve imparare la cortesia e la grandezza d’animo nelle relazioni umane.

La scuola è l’istituzione alla quale la famiglia affida una parte molto importante dei suoi compiti educativi. Ciò fa di essa uno degli strumenti potenti e insostituibili di formazione integrale della persona. Il mancato adempimento del dovere di provvedere anche all’educazione stradale creerebbe una pericolosa lacuna formativa, difficilmente colmabile.

Una occasione importante di educazione stradale è offerta a coloro che desiderano ottenere la patente di guida. È una tappa di formazione specifica, di evidente importanza, soprattutto se il soggetto non ha ricevuto in precedenza alcuna educazione stradale. Le scuole guida hanno una grande responsabilità, così come la civica amministrazione, a cui compete di regolare le prove alle quali deve sottoporsi l’aspirante conducente.

Un altro soggetto da formare, infine, è la moltitudine degli utenti stessi della strada: non solo i conducenti, ma anche i pedoni non automobilisti, i quali, nella maggior parte, non hanno ricevuto un’educazione stradale conveniente. Molti di loro, essendo persone anziane, hanno riflessi meno pronti per affrontare il traffico in tutta sicurezza. V’è dunque per loro più facilmente il rischio di un incidente...

L’ultimo punto di questa sezione del documento presenta alcune indicazioni concrete riguardanti la pastorale della strada e l’evangelizzazione di questo ambiente. E conclude affermando: «La mobilità con i suoi problemi, vero segno dei tempi, caratteristica delle società contemporanee nel mondo intero, costituisce oggi una sfida importante e urgente per le istituzioni, per le persone e anche per la Chiesa, che ha una missione a tale riguardo. I credenti nel Figlio di Dio fatto uomo per salvare l’umanità non possono restare inerti di fronte a questo nuovo orizzonte che si apre per l’evangelizzazione, per promuovere integralmente, nel nome di Gesù Cristo, tutto l’uomo e ogni uomo».

 

1 Il documento è citato testualmente; solo nella parte finale è leggermente abbreviato e sintetizzato per ragioni di spazio.