ORIENTAMENTI MORALI E VIRTÙ CRISTIANE
LA STRADA SCUOLA DI FORMAZIONE
Il pontificio
Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti ha emanato un
documento in cui tra l’altro attira l’attenzione anche sul grave problema della
mobilità umana e gli aspetti morali della guida dei veicoli. Un documento su
cui ci pare opportuno riflettere.
Non passa giorno, soprattutto non passa week end che non ci siano delle
stragi sulla strada. Il più delle volte queste sono dovute all’imprudenza dei
conducenti o, comunque, a circostanze in cui gioca quasi sempre un ruolo
determinante il fattore umano. Si tratta di un fenomeno di enormi proporzioni a
cui però spesso si guarda come a un fatto di semplice cronaca. Difficilmente si
è portati a farne oggetto di riflessione, soprattutto personale, anche se oggi
ci troviamo spesso tutti sulla strada ed esposti a tutti i suoi rischi.
Viene perciò quanto mai opportuno il documento, emanato il 19 giugno scorso
dal pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti,
intolato: Orientamenti per la pastorale della strada. Il testo è suddiviso in
quattro parti principali così distribuite: 1. Pastorale per gli utenti della
strada; 2.Pastorale per la liberazione delle donne di strada; 3 Pastorale per i
ragazzi di strada ; 4. Pastorale per le persone senza fissa dimora. Come si
vede, non riguarda quindi soltanto il settore degli utenti della strada, ma ha
un raggio di interesse assai più ampio. Qui abbiamo scelto di fermare
l’attenzione sugli aspetti pastorali riguardanti gli utenti della strada. Sia
perché l’estate è il tempo della maggiore mobilità, sia perché collegati con la
guida di un veicolo ci sono dei problemi etici che non sempre si tengono
presenti e che occorre richiamare. La mobilità in genere, e la guida di un
veicolo, in particolare, offre l’opportunità di esercitare tutto un insieme di
virtù, soprattutto umane, di cui spesso si parla, anche nelle nostre comunità,
che poi dimentichiamo quando siamo al volante, quasi fossimo diventati
improvvisamente delle persone diverse da ciò che lasciamo trasparire nel
quotidiano.
Ci sembra perciò opportuno dedicare il presente “Speciale” – che esce nel
culmine dell’estate, nel periodo con le ferie – per un invito a riflettere su
questo aspetto importante della vita di tutti i giorni. La strada può diventare
una vera e propria “scuola di formazione” per la conoscenza di sé e del proprio
subconscio. Noi religiosi, dall’educazione stradale, possiamo imparare anche
tante cose circa il modo di vivere insieme in comunità. La strada ci insegna
anzitutto ad avere rispetto delle persone e delle norme che sono poste a
sicurezza delle nostre persone e di quelle degli altri, ci educa alla prudenza,
alla pazienza, alla cortesia, a un comportamento da persone adulte e
responsabili, ci invita alla solidarietà, soprattutto in caso di bisogno, e
richiede un continuo esercizio di quel dominio di sé che Paolo enumera tra i
frutti dello Spirito (Gal 5,22).
Il documento, prima di affrontare gli aspetti specifici dell’utente della
strada, premette alcune considerazioni riguardanti il “fenomeno della mobilità”
e il progresso umano che esso rappresenta e ricorda, attraverso alcuni
riferimenti tratti dall’Antico e Nuovo Testamento, che “Cristo è la via, Egli è
la strada”. Detto questo, entra nel vivo delle indicazioni pastorali, partendo
dagli “aspetti antropologici”, per giungere poi a quelli morali e alle
cosiddette “virtù del conducente” e alla proposta di un sintetico “decalogo”del
guidatore (cf. fuoritesto).
LA PARTICOLARE
PSICOLOGIA DELL’AUTISTA
Il veicolo, scrive il documento,1 è un mezzo di cui ci si può servire in
modo prudente ed etico, per la «convivenza», la solidarietà e il servizio degli
altri, oppure se ne può anche abusare.
Evasione dalla quotidianità e piacere di guidare
Al volante dell’auto, c’è chi accende il motore per lanciarsi nella corsa,
per evadere dai ritmi assillanti della vita quotidiana, legati al lavoro. Il
piacere di guidare diventa un modo di godere della libertà e autonomia di cui
abitualmente non si dispone. Ciò porta anche a praticare gli sport di strada,
il ciclismo, il motociclismo, a partecipare a corse automobilistiche, in un
sano senso di competizione, anche se con i relativi rischi.
Accade che si sentano come limitazione di libertà i divieti che i segnali
stradali impongono; specialmente quando non visti e controllati, alcuni
soggetti sono tentati di infrangere tali barriere, che invece sono poste a
protezione di sé e degli altri. Alcuni conducenti arrivano a considerare
umiliante il dover rispettare certe norme di prudenza che diminuiscono rischi e
pericoli del traffico. Altri ritengono intollerabile, quasi una limitazione dei
propri «diritti», l’essere costretti a seguire pazientemente un’altra vettura,
quando questa viaggia a velocità ridotta, perché i segnali stradali indicano,
per esempio, una proibizione di sorpasso.
Occorre tener conto del fatto che la personalità del conducente alla guida
è diversa da quella del pedone. Circostanze speciali, quando si guida un
veicolo, possono portare ad avere un comportamento inadeguato e perfino poco
umano. Consideriamo, qui di seguito, i principali fattori psicologici che
influiscono sul comportamento del conducente.
Istinto di dominio
L’istinto di dominio, o sentimento di prepotenza, nell’essere umano, spinge
a cercare il potere per affermarsi. La guida di un’ automobile offre la
possibilità di esercitare facilmente tale dominio sugli altri. Identificandosi
con l’automobile, il conducente sente aumentare il proprio potere, che si
esprime in velocità, il che dà luogo a un piacere, quello di guidare, appunto.
Tutto ciò può portare l’autista a voler gustare l’ebbrezza della velocità,
manifestazione caratteristica di crescita del suo potere.
Il disporre liberamente della velocità, l’avere la possibilità di
accelerare a proprio piacimento e di lanciarsi alla conquista del tempo, dello
spazio, superando, “sottomettendo” quasi, gli altri conducenti, diventano fonti
di soddisfazione derivante da dominio.
Vanità ed esaltazione personale
L’automobile si presta in modo particolare a essere usata dal proprietario
come oggetto di ostentazione di sé e mezzo per eclissare gli altri e suscitare
sentimenti di invidia. La persona si identifica così con la macchina e proietta
su di essa l’affermazione dell’ego. Quando si fa l’elogio della propria
automobile, in fondo, si elogia se stessi, poiché essa ci appartiene e,
soprattutto, la si guida. I record battuti, le grandi velocità raggiunte sono
ciò di cui molti automobilisti, anche non giovani, si vantano con maggiore
piacere; è facile costatare come non si possa sopportare di essere considerati
cattivi conducenti, anche se si può riconoscere di esserlo.
Squilibrio comportamentale e relative conseguenze
I comportamenti poco equilibrati variano a seconda delle persone e delle
circostanze: mancanza di cortesia, gestacci, imprecazioni, bestemmie, perdita
del senso di responsabilità, violazioni deliberate del Codice della strada. In
alcuni autisti lo squilibrio comportamentale si manifesta in modi irrilevanti,
mentre in altri produce gravi eccessi che dipendono dal carattere, dal livello
di educazione, dalla incapacità di autocontrollo e dalla mancanza del senso di
responsabilità.
Tali eccessi sono riscontrabili in moltissime persone normali. Questi
fenomeni di squilibrio comportamentale, che possono avere gravi conseguenze,
vengono fatti rientrare, tuttavia, nei limiti della normalità psicologica.
La guida di un’automobile fa emergere dall’inconscio inclinazioni che di
solito, quando non si è per strada, sono “controllate”. Alla guida, invece, gli
squilibri si manifestano, viene favorita la regressione a forme di
comportamento primitive. La guida è da considerarsi alla stregua di ogni altra
attività sociale, che presuppone un impegno a mediare tra le esigenze dell’io e
i limiti imposti dai diritti degli altri.
L’automobile tende insomma a mostrare l’essere umano per quello che egli è
“primitivamente”, e tutto ciò può risultare assai poco gradevole. Bisogna tener
conto di queste dinamiche e reagire, facendo appello alle tendenze nobili
dell’animo umano, al senso di responsabilità e al controllo di sé, per impedire
quelle manifestazioni di regressione psicologica abbastanza spesso legata alla
guida di un mezzo di locomozione.
ASPETTI MORALI
DELLA GUIDA
Guidare vuol dire «convivere»
Il “convivere” è dimensione fondamentale dell’uomo e la strada deve perciò
essere più umana. L’automobilista, alla guida, non è mai solo, anche se non v’è
nessuno al suo fianco. Guidare un veicolo è in fondo una maniera di
relazionarsi, di avvicinarsi, di integrarsi in una comunità di persone. Tale
capacità di “convivere”, di entrare in rapporto con gli altri, presuppone nel
conducente alcune qualità concrete e specifiche: l’esser padrone di sé, la
prudenza, la cortesia, un adeguato spirito di servizio e la conoscenza delle norme
del codice della strada. Si dovrà prestare aiuto disinteressato a chi ha
bisogno, dando esempio di carità e di ospitalità.
Guidare significa controllarsi
Il comportamento della persona si connota per la capacità di controllarsi e
dominarsi, di non lasciarsi trasportare dagli impulsi. La responsabilità di
coltivare questa personale capacità di controllo e dominio è importante, tanto
per quel che riguarda la psicologia del conducente, quanto per i gravissimi
danni che possono essere causati alla vita e all’integrità delle persone e dei
beni, in caso di incidente.
Aspetti etici
Nella sua evoluzione, come fatto sociale, il comportamento alla guida dei
veicoli si è sviluppato talvolta al margine delle norme etiche; si è generato
così – lo osserviamo – un contrasto profondo fra la realtà del progresso
costante nel trasporto e l’aumento continuo e caotico del traffico sulle
strade, con conseguenze negative per chi guida e per i pedoni.
Per porre la base dei principi etici che devono reggere tutto ciò che
riguarda la «professionalità» dell’utente della strada, occorre anzitutto
considerare il pericolo, per le persone e per i beni, derivante dalla
circolazione stradale. Esso esiste per il conducente, per i suoi passeggeri,
per tutti gli automobilisti alla guida. La mancata osservanza delle norme
etiche basilari impedisce agli utenti della strada di godere dei propri diritti
personali e compromette anche la salvaguardia delle cose.
Il dovere di proteggere i beni può essere leso non solo da una guida
imprudente, ma anche dal non mantenere la vettura o il mezzo di trasporto in
condizioni meccaniche di sicurezza, trascurando il controllo tecnico periodico.
Il dovere di revisione dei veicoli va rispettato.
Vi sono altresì i casi di guida senza abilità fisica o capacità mentale,
per l’ abuso di alcol e di altri stimolanti o droghe, per stati di spossatezza
o di sonnolenza. V’è il pericolo derivante dalle «minimacchine» (citycars),
affidate a giovanissimi e adulti privi di patente, e quello dell’uso
spericolato dei ciclomotori e delle moto.
Considerato tutto ciò, per salvaguardare i diritti ed evitare i danni
causati da incidenti, le autorità pubbliche stabiliscono un insieme di norme
penali. Nella pratica, purtroppo, il carattere obbligatorio di tali norme non
viene avvertito, facilmente si attutisce o addirittura scompare nella
consapevolezza degli autisti, proprio per il fatto che esse appartengono
all’ambito del codice penale, vale a dire a eventi considerati non ordinari, ma
straordinari. Ciò pone il conducente più facilmente nella condizione di agire
contro la norma, nella speranza di non essere colto in fallo dall’autorità che
dovrebbe punirlo.
È chiaro, a questo riguardo, che una pedagogia a favore della cultura della
vita, in difesa del comandamento “Non uccidere” è sempre più necessaria. Nella
stessa prospettiva, risultano di grande utilità le varie campagne per la
sicurezza stradale, il miglioramento dei mezzi pubblici di trasporto, il
tracciato sicuro delle strade, la segnaletica e la pavimentazione adeguate
delle vie di comunicazione, la soppressione dei passaggi a livello incustoditi,
la creazione di una mentalità pubblica responsabile, tramite specifiche
associazioni, e la collaborazione con gli utenti da parte degli addetti al
servizio stradale.
Guida di un veicolo e suoi rischi
Quando esce in automobile, il conducente dev’essere consapevole, senza
fobie, che in qualsiasi momento potrebbe succedere un incidente. Nonostante la
buona qualità, in genere, delle odierne vie di comunicazione nei paesi
sviluppati, è insensato guidare “allegramente”, come se non esistessero
pericoli. L’atteggiamento alla guida dovrebbe essere lo stesso che si assume
quando si usano strumenti pericolosi, cioè di molta attenzione.
Ne sono prova le cifre. Partendo dalla produzione mondiale di veicoli a
motore, rileviamo che nel 2001 furono quasi 57 milioni, mentre erano 10 milioni
e mezzo nel 1950. Nel corso del secolo XX, poi, per incidenti stradali, si
ritiene che circa 35 milioni di persone abbiano trovato la morte, mentre i
feriti si sarebbero aggirati attorno al miliardo e mezzo. Soltanto nel 2000 i
decessi sarebbero stati 1.260.000; degno di nota il fatto che circa il 90%
degli incidenti si verifica per errore umano.
Da non dimenticare il danno causato alle famiglie di chi subisce l’incidente,
oltre le prolungate conseguenze per i feriti, che restano troppo spesso
handicappati permanenti. Oltre al danno alle persone, in ogni caso, meritano
opportuna considerazione gli ingenti danni ai beni materiali.
Tutto ciò è una vera tragedia, e una grave sfida per la società e per la
Chiesa. Non sorprende che l’Assemblea Generale dell’ONU abbia affrontato
seriamente questo problema in una sessione plenaria, convocata specificamente
sulla sicurezza stradale, nell’aprile 2004, volta a rendere più sensibile
l’opinione pubblica alle proporzioni del fenomeno, in vista di precise
raccomandazioni per la sicurezza stradale.
Papa Paolo VI ebbe ad affermare: «Troppo sangue si versa ogni giorno in una
assurda contesa con la velocità e il tempo; e mentre gli organismi
internazionali si dedicano volenterosamente a sanare dolorose rivalità, mentre
è in atto un meraviglioso progresso verso la conquista dello spazio, mentre si
cercano mezzi adeguati per sanare le piaghe della fame, dell’ignoranza e della
malattia, è doloroso pensare come, in tutto il mondo, innumerevoli vite umane
continuino a essere sacrificate ogni anno a questa inammissibile sorte. La
coscienza pubblica deve riscuotersi, e considerare il problema alla stregua di
quelli più ardui, che tengono desti la passione e l’interesse del mondo
intero».
Obbligatorietà delle norme stradali
Quando qualcuno guida mettendo in pericolo la vita altrui o quella propria,
come pure l’integrità fisica e psichica delle persone, e anche beni materiali
considerevoli, egli si rende responsabile di colpa grave, pure quando questo
comportamento non provochi incidenti, perché, in ogni caso, esso comporta gravi
rischi. C’è da aggiungere che la maggior parte degli incidenti è provocata
proprio dall’imprudenza.
Il Magistero della Chiesa si è pronunciato chiaramente in relazione a
queste problematiche: «Le conseguenze spesso drammatiche delle infrazioni al
Codice della strada gli conferiscono un carattere di obbligazione intrinseca
molto più grave di ciò che generalmente non si pensi. Gli automobilisti non
possono contare solo sulla loro propria vigilanza e abilità per evitare gli
incidenti, bensì devono mantenere un giusto margine di sicurezza, se vogliono
essi stessi liberarsi degli imprudenti e ovviare alle imprevedibili difficoltà».
Infatti «giustamente le leggi civili della umana convivenza fanno sostegno alla
grande legge del “Non occides”: non ammazzare, che splende nel Decalogo di
tutti i tempi, ed è per tutti precetto sacro del Signore».
Dunque «occorre che ciascuno s’impegni a creare, mediante il rigoroso
rispetto del Codice della strada, una “cultura della strada”, basata sulla
diffusa comprensione dei diritti e dei doveri di ciascuno e sul comportamento
coerente che ne consegue».
Principi teologici, etici, giuridici e tecnologici sostengono la
moralizzazione dell’utenza stradale. «Tali principi si fondano sul rispetto
dovuto alla vita umana, alla persona umana, qual è inculcato fin dalle prime
pagine delle Sacra Scrittura. La persona umana è sacra: essa è stata creata a
immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gen 1,26), è redenta dal prezzo
inestimabile del sangue di Cristo (cfr. 1 Cor 6,20; 1 Pt 1,18-19), è stata
inserita nella Chiesa, nella Comunione dei Santi, col diritto e col dovere
della mutua, effettiva, sincera carità verso i fratelli e le sorelle, secondo
il precetto dell’apostolo Paolo: “La vostra carità non sia finta ... con amore
fraterno vogliatevi bene scambievolmente. Prevenitevi gli uni gli altri nel
rendervi onore” (Rm 12,9-10)».
Responsabilità morale degli utenti della strada
È certo che né l’automobilista o il motociclista, né il ciclista o il
pedone imprudenti vogliono le fatali conseguenze di un incidente da essi
provocato, e nemmeno hanno l’intenzione di arrecare danno alla vita o ai beni
altrui. Peraltro, poiché queste conseguenze sono il prodotto di un’azione
cosciente, possiamo parlare giustamente di responsabilità morale.
«Perché l’effetto dannoso sia imputabile, bisogna che sia prevedibile e che
colui che agisce abbia la possibilità di evitarlo; è il caso, di un omicidio
commesso da un conducente in stato di ubriachezza». Quando si guida senza le
dovute condizioni (ad esempio imprudentemente, senza le capacità necessarie,
ecc.), si mettono in pericolo vita e beni, il che presuppone una violazione
della legge morale, a causa del carattere volontario dell’atto.
La responsabilità morale dell’utente della strada, conducente o pedone,
deriva dall’obbligo di rispettare il quinto e il settimo comandamento: “Non
uccidere” e “non rubare”. I peccati più gravi contro la vita umana, contro il
quinto comandamento, sono il suicidio e l’omicidio, ma questo comandamento
richiede anche il rispetto della propria integrità fisica e psichica e di
quella altrui.
Sono atti contro tali comandamenti le imprudenti distrazioni e negligenze,
la cui gravità morale si misura sul loro grado di prevedibilità e in qualche
modo di intenzionalità. Ciò significa che, oltre alla proibizione di uccidere,
ferire o mutilare direttamente, il comandamento del Signore proibisce ogni atto
che possa procurare indirettamente tali danni. Lo stesso dicasi per quelli
causati ai beni del prossimo.
La legge morale proibisce di esporre qualcuno a serio pericolo, senza grave
ragione, come pure di rifiutare assistenza a una persona in pericolo. D’altro
lato, il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna che «la virtù della
temperanza dispone ad evitare ogni sorta di eccessi: l’abuso di cibo,
dell’alcol, del tabacco e dei medicinali. Coloro che, in stato di ubriachezza o
per uno smodato gusto della velocità, mettono in pericolo l’incolumità altrui e
la propria sulle strade, in mare, o in volo, si rendono gravemente colpevoli».
VIRTÙ CRISTIANE
DEL CONDUCENTE
Carità e servizio al prossimo
Papa Pio XII così esortava gli automobilisti, già nel 1956: «Voi non
dimenticate di rispettare gli utenti della strada, di osservare la cortesia e
la lealtà verso gli altri piloti e pedoni, e di mostrare loro il vostro
carattere servizievole. Mettete il vostro vanto nel saper dominare una
impazienza spesso ben naturale, nel sacrificare talora un poco del vostro senso
di onore per far trionfare quella gentilezza che è un segno di vera carità. Non
soltanto potrete così evitare incidenti spiacevoli, ma contribuirete a fare
dell’automobile uno strumento anche più utile per voi stessi e per gli altri e
capace di procurarvi un piacere di miglior lega».
A tale esortazione pontificia fa eco molto più tardi l’episcopato belga che
invita i conducenti a dare «prova di spirito di cortesia e carità, rispettando
la precedenza con un atteggiamento comprensivo per le manovre impacciate dei
principianti, prestando attenzione agli anziani e ai bambini, ai ciclisti e ai
pedoni, e dominandosi nei casi di infrazioni commesse da terze persone. La
solidarietà cristiana incita tutti gli utenti della strada a un grande spirito
di servizio, a prestare assistenza ai feriti e aiuto alle persone anziane, con
una sollecitudine particolare per i bambini e gli handicappati». E con
l’attenzione al corpo non si può dimenticare di prestare un’assistenza
spirituale, non meno urgente, in numerosi casi.
L’esercizio della carità, nel conducente, ha una duplice dimensione. La
prima si manifesta nella tenuta della propria autovettura, di cui occorre
curare lo stato tecnico dal punto di vista della sicurezza, per non mettere consapevolmente
a rischio la propria e l’altrui vita. Essere affezionati alla propria vettura
significa anche non pretendere da essa ciò che non può dare.
La seconda dimensione riguarda l’amore verso i viaggiatori di cui non
bisogna mettere a rischio la vita con manovre sbagliate e imprudenti che
possono arrecare danno tanto ai passeggeri quanto ai pedoni. Usiamo qui la
parola “amore” volendo significare le molteplici forme in cui si esprime
l’autentica carità, cioè il rispetto, la cortesia, la considerazione, ecc. Il
buon guidatore lascia passare cortesemente il pedone, non si sente offeso se un
altro lo supera, non ostacola colui che vuole correre più velocemente, non si
vendica.
La virtù della prudenza
Questa virtù è sempre stata presentata come una delle più necessarie e
importanti in relazione alla circolazione stradale. Lo conferma il testo
seguente: «Un’altra virtù che non può essere dimenticata è quella della
prudenza. Questa esige un margine adeguato di precauzioni con cui far fronte
agli imprevisti che si possono presentare in qualsiasi occasione». Certamente
non si comporta secondo prudenza chi si distrae, alla guida, con il telefonino
o con la televisione.
E ancora, in tema di prudenza: «Gli utenti della strada non devono
circolare a una velocità eccessiva, bisogna calcolare un ampio margine di
tempo, teoricamente e psicologicamente necessario, per frenare; non devono
sopravvalutare la propria abilità e prontezza; bisogna controllare
continuamente la propria attenzione e conversazione. A questo proposito, anche
i compagni di viaggio devono conoscere le loro responsabilità».
La virtù della giustizia
Non c’è dubbio che ogni relazione umana deve essere retta dalla giustizia,
a maggior ragione se è in gioco la vita. Fin dal momento in cui la Chiesa si è
interessata del problema del traffico, ha fatto riferimento a questa virtù.
Ricordiamo a tale proposito la seguente esortazione: «La giustizia esige da chi
guida una conoscenza completa ed esatta del codice della strada. Chi usa la
strada, infatti, deve conoscerne i regolamenti e prenderli in considerazione.
L’automobilista, inoltre, è obbligato a cercare di trovarsi in condizioni
fisiche e psicologiche adeguate. Se è in stato di ebbrezza, non dovrà mai
sedersi al volante e non deve essere autorizzato a farlo. Egli è obbligato,
come più di qualsiasi altra persona, alla sobrietà: l’alcol, in effetti,
provoca uno stato di euforia e riduce la presenza di spirito a un punto che può
essere fatale ».
Rispettando la giustizia, «l’utente della strada dovrà anche riparare il
danno causato ad un altro. Se, in coscienza, ne è responsabile, deve adoperarsi
affinché la vittima, o i suoi parenti prossimi, siano adeguatamente
indennizzati. Qualora il danno si producesse poi in maniera completamente
indipendente dalla sua volontà, sarà nondimeno obbligato, in coscienza, a
indennizzare la vittima secondo quanto prescrive la legge e, in caso di
contestazione e processo, dovrà rispettare la sentenza».
D’altra parte, si devono anche incoraggiare al perdono dell’aggressore i
familiari delle vittime, come segno, pur difficile, di maturità umana e
cristiana. In questo processo di perdono, è utile, se non necessario, il
sostegno spirituale del cappellano o dell’operatore pastorale e la celebrazione
della apposita «Giornata del perdono».
La virtù della speranza
La speranza è un’altra virtù che deve distinguere il conducente e il
viaggiatore. Chi intraprende un viaggio, infatti, parte sempre con una
speranza, quella di arrivare sicuramente a destinazione, per sbrigare affari o
godere della natura, per visitare luoghi famosi o che suscitano dei ricordi o
per riabbracciare i propri cari. Per i credenti, la ragione di tale speranza,
pur tenendo conto dei problemi e dei pericoli della strada, sta nella certezza
che, nel viaggio verso una meta, Dio cammina con l’uomo e lo preserva dai
pericoli. In virtù di questa compagnia di Dio e grazie alla collaborazione
dell’uomo, egli giungerà a destinazione.
Pur essendo Dio la roccia su cui si fonda la speranza cristiana, la
devozione cattolica ha trovato numerosi intercessori presso di lui, i suoi e
nostri veri amici, gli angeli e i santi e le sante di Dio, ai quali ci si
affida per superare i pericoli del viaggio, con la grazia divina. Ricordiamo
san Cristoforo (portatore di Cristo), la presenza dell’angelo custode,
l’arcangelo Raffaele, che accompagnava Tobia (cfr. Tb 5,1ss.), e che la Chiesa
considera protettore dei viaggiatori. Significativi sono altresì i titoli dati
a Maria SS.ma, in relazione al cammino. La invochiamo, infatti, come Madonna
della strada, Vergine pellegrina, icona della donna migrante.
Il ricorso ai nostri intercessori celesti non deve far dimenticare
l’importanza del segno della croce, fatto prima di iniziare un viaggio. Con
tale segno ci rimettiamo direttamente alla protezione della santissima Trinità.
Esso, infatti, ci indirizza anzitutto al Padre, come origine e meta; a questo
proposito ricordiamo le espressioni del salmo: “Egli darà ordine ai suoi angeli
di custodirti in tutti i tuoi passi” (Sal 91 [90],11).
Il segno della croce, poi, ci affida a Gesù Cristo, la nostra guida (cf. Gv
8,12). L’incontro di Emmaus (cf. Lc 24,13-35) ci assicura che il Signore si fa
incontro a ciascuno nel cammino, prende alloggio nella casa di chi lo invita, e
viaggia con noi, sta seduto al nostro fianco.
Infine il segno della croce ci rimette allo “Spirito Santo, che è Signore e
dà la vita”. Egli illumina la mente e concede, a chi lo invoca, il dono della
prudenza per giungere alla meta. Ce lo conferma il canto del Veni Creator:
“Ductore sic te praevio, vitemus omne noxium” (“Se sei tu a guidarci, eviteremo
tutto ciò che ci danneggia”).
Durante il viaggio si potrà con frutto anche pregare vocalmente,
alternandosi specialmente, nella recitazione, con chi ci accompagna, come per
la recita del Rosario che, per il suo ritmo e la sua dolce ripetizione, non
distrae il conducente. Ciò contribuirà a sentirsi immersi nella presenza di
Dio, a rimanere sotto la sua protezione, e potrà nascere il desiderio di una
celebrazione comunitaria, o liturgica, se possibile, in punti “spiritualmente
strategici” della strada o della ferrovia (santuari, chiese e cappelle, anche
mobili).
MISSIONE
DELLA CHIESA
La denuncia di situazioni pericolose, come quelle causate dal traffico, fa
parte della missione della Chiesa, è realizzazione cioè della sua missione
profetica. È preoccupante il numero di incidenti, in cui anche i pedoni possono
avere una grave responsabilità. Denuncia va fatta, inoltre, della pericolosità
di certe competizioni automobilistiche e di quelle illegali per le strade, che
costituiscono grave rischio.
È abbastanza usuale indicare la causa di un incidente nelle condizioni del
fondo stradale, in un problema meccanico o in circostanze ambientali; bisogna
però sottolineare che grandissima parte degli incidenti automobilistici sono
determinati da leggerezze gravi e gratuite – quando non si tratta perfino di
stupidità e arroganza nel comportamento del conducente o del pedone – e quindi
dal fattore umano.
Educazione stradale
Di fronte a un problema così grave, tanto la Chiesa quanto lo stato –
ciascuno nell’ambito delle proprie competenze – devono operare, oltre la
denuncia, al fine di creare una coscienza generale e pubblica per quel che
riguarda la sicurezza stradale e promuovere, con tutti i mezzi, una
corrispondente, adeguata educazione dei conducenti, come pure dei viaggiatori e
pedoni.
In termini più generali, ricordiamo che per poter compiere bene un’azione,
sono necessari tre elementi, vale a dire sapere ciò che si deve fare, volerlo
realizzare e, infine, aver sviluppato a sufficienza una serie di riflessi e
abitudini necessari per eseguirlo con precisione, esattezza e rapidità. Ciò
vale anche per l’educazione stradale: essa deve coinvolgere l’intelligenza, la
volontà e anche i comportamenti abitudinari.
La Chiesa, a tale proposito, si preoccuperà di sensibilizzare le coscienze
e di promuovere un’educazione stradale che tenga in considerazione i tre citati
elementi: sapere ciò che si deve fare, consapevoli del pericolo, della
responsabilità e degli obblighi che ne derivano per conducenti o pedoni;
volerlo compiere con attenzione e dedizione e, infine, sviluppare sufficienti
riflessi e abitudini per un’azione precisa, che non comporti rischi né
imprudenze.
Per raggiungere tali fini non si dovranno trascurare, oltre all’impegno
familiare, le possibilità educative che hanno le parrocchie, le associazioni
laicali e i movimenti ecclesiali, soprattutto per bambini e giovani.
Tutto ciò significa destare e incoraggiare quella che potremmo chiamare
un’«etica della strada», la quale non è cosa diversa dall’etica in generale, ma
ne costituisce una applicazione.
Soggetti a cui rivolgersi
Questione importante è la determinazione dei soggetti dell’educazione
stradale; consideriamo anzitutto quelli “attivi”. Poiché il traffico è questione
legata al bene comune, nella soluzione del problema della formazione di
automobilisti, motociclisti, ciclisti e pedoni, è implicata tutta una serie di
attori ed enti sociali, oltre l’individuo e la famiglia, la società in generale
e i pubblici poteri.
L’individuo ha l’obbligo etico di rispettare le norme di circolazione e,
per questo, deve avere delle conoscenze che siano frutto di una formazione atta
ad approfondire il suo senso di responsabilità. Il ruolo della famiglia risulta
evidente e fondamentale nell’educazione stradale, che fa parte del bagaglio
necessario da trasmettere ai figli per una buona educazione generale.
Da parte sua, la società ha l’obbligo e il diritto di affrontare questo
problema, poiché esso riguarda il bene comune. Si usa il termine società in
accezione ampia e diversificata, poiché ingloba, ad esempio, la scuola,
l’impresa privata, il club, l’istituzione, la stampa, ecc. Col termine società
si intendono altresì i pubblici poteri e l’amministrazione civile, il cui
intervento in questo campo, come in altri, deve essere retto dal principio di
sussidarietà.
Fra i soggetti «passivi», da educare, citiamo in primo luogo il bambino. È
necessario che egli sia preparato molto presto ad affrontare il traffico, nel
quale dovrà passare parte della propria vita, e questo per due ragioni
fondamentali.
Anzitutto perché educare il bambino a dirigersi nel traffico vuol dire
mettere a sua disposizione il migliore mezzo per proteggere la propria vita.
Sono molti, infatti, i bambini che ogni anno muoiono sulla strada, e molti sono
anche coloro che, senza perdere la vita, restano menomati nelle loro facoltà e
segnati per sempre nel fisico e/o nella psiche. E poi l’educazione stradale del
bambino è la migliore garanzia di una generazione futura più sicura e corretta,
in questo ambito.
L’accento va posto anche sul ruolo insostituibile della scuola, che forma e
informa. È soprattutto a scuola che il bambino può cogliere, per tempo, il
fondamento etico dei problemi del traffico e il perché delle sue regole. A
scuola si apprende che i problemi del traffico appartengono al più vasto campo
delle problematiche della convivenza umana, per la quale la prima urgenza è il
rispetto degli altri. A scuola si apprende l’autolimitazione cosciente nell’uso
e nel godimento dei beni comuni; vi si deve imparare la cortesia e la grandezza
d’animo nelle relazioni umane.
La scuola è l’istituzione alla quale la famiglia affida una parte molto
importante dei suoi compiti educativi. Ciò fa di essa uno degli strumenti
potenti e insostituibili di formazione integrale della persona. Il mancato
adempimento del dovere di provvedere anche all’educazione stradale creerebbe
una pericolosa lacuna formativa, difficilmente colmabile.
Una occasione importante di educazione stradale è offerta a coloro che
desiderano ottenere la patente di guida. È una tappa di formazione specifica,
di evidente importanza, soprattutto se il soggetto non ha ricevuto in
precedenza alcuna educazione stradale. Le scuole guida hanno una grande
responsabilità, così come la civica amministrazione, a cui compete di regolare
le prove alle quali deve sottoporsi l’aspirante conducente.
Un altro soggetto da formare, infine, è la moltitudine degli utenti stessi
della strada: non solo i conducenti, ma anche i pedoni non automobilisti, i
quali, nella maggior parte, non hanno ricevuto un’educazione stradale
conveniente. Molti di loro, essendo persone anziane, hanno riflessi meno pronti
per affrontare il traffico in tutta sicurezza. V’è dunque per loro più
facilmente il rischio di un incidente...
L’ultimo punto di questa sezione del documento presenta alcune indicazioni
concrete riguardanti la pastorale della strada e l’evangelizzazione di questo
ambiente. E conclude affermando: «La mobilità con i suoi problemi, vero segno
dei tempi, caratteristica delle società contemporanee nel mondo intero,
costituisce oggi una sfida importante e urgente per le istituzioni, per le
persone e anche per la Chiesa, che ha una missione a tale riguardo. I credenti
nel Figlio di Dio fatto uomo per salvare l’umanità non possono restare inerti
di fronte a questo nuovo orizzonte che si apre per l’evangelizzazione, per
promuovere integralmente, nel nome di Gesù Cristo, tutto l’uomo e ogni uomo».
1 Il documento è citato testualmente; solo nella parte finale è
leggermente abbreviato e sintetizzato per ragioni di spazio.