LINEE DI RICERCA E RIFLESSIONE
GESÙ VISTO DALL’AFRICA
Mentre in occidente
si riaccende il dibattito sulla figura di Gesù di Nazaret è bene tener conto
anche della riflessione che viene da altri continenti, in particolare dai Sud
del mondo. Qui mettiamo a fuoco come l’Africa offra in merito interessanti
prospettive.
Uno studio di Diane Stinton, teologa canadese, docente di teologia alla
Daystar University di Nairobi, merita grande attenzione in quanto tenta in modo
convincente e originale di fare il punto della situazione nel campo della
cristologia contemporanea in Africa. Nella prima parte di Gesù d’Africa. Voci
di cristologia africana contemporanea (Emi, Bologna 2007), di carattere
introduttivo e metodologico, troviamo una puntuale ricostruzione della parabola
teologico-cristologica nell’Africa subsahariana negli ultimi cinquant’anni.
Punto ideale di partenza per tale ricostruzione è il 1957, anno in cui il
Ghana, primo tra gli stati africani, raggiunse l’indipendenza.
OLTRE LA TEOLOGIA
“COLONIALE”
Lo snodo e scoglio più problematico per la teologia africana fu ed è quello
di emanciparsi dalla “cattività nord atlantica” della Chiesa, dalla dominazione
della teologia occidentale, da una cristologia asservita al colonialismo, da un
linguaggio del tutto incomprensibile alle menti e ai cuori degli africani.
Secondo Kwesi Dickson, attuale presidente della Conferenza panafricana della
Chiesa, «nonostante il notevole impegno e progresso nella ricerca del
cristianesimo africano, la teologia coloniale è ancora ben presente e operante,
è viva e in buona salute» (p. 49).
Alla presa di distanza dal modello cristologico occidentale deve
corrispondere uno sforzo nell’elaborazione di modelli cristologici di
riferimento per il cammino delle comunità cristiane in Africa. «Finché un
popolo è a immagine e somiglianza di un altro, non raggiungeremo il vero obiettivo
di essere cristiani, cioè umani, a immagine di Cristo», scriveva John Pobee,
teologo anglicano ghanese. Perciò lo sforzo emancipatore ha, in un certo senso,
ritardato l’emergere di riflessioni cristologiche autoctone. Tuttavia, affinché
alla pars destruens corrisponda un’adeguata pars construens è necessaria una
fatica metodologica. Alla luce della proposta della Stinton, pare di
individuare nella riflessione di Mugambi, teologo anglicano kenyota, un apporto
significativo in tal senso.
Nella ricostruzione storico-metodologica campeggia la sintetica
presentazione di quattro monografie che nel biennio 1984-85 segnarono la
nascita delle cristologie africane proponendo modelli di riferimento per le
riflessioni successive (pp. 20-27).1 Ovviamente l’autrice dichiara anche i
limiti entro i quali svolge il suo studio, sia a livello geografico (Kenya,
Ghana con puntate in Uganda) sia nel privilegiare sei autori come termine di
confronto. Offre dunque un’analisi critica della riflessione cristologia di
cinque teologi e una teologa tra i più rappresentativi dell’area privilegiata,
in modo da svilupparsi attorno a temi/titoli cristologici in grado di
catalizzare la riflessione di questi teologi in piena rispondenza alla
sensibilità e cultura africana.
I NOMI
DEL SALVATORE
Gesù come guaritore, fonte della vita, dispensatore e promotore di vita.
Emerge in questa linea il ministero soteriologico di Cristo. Si tratta di un
modello cristologico capace di radicarsi in un dato centrale della cultura
africana subsahariana: la vita, che Gesù ripristina ovunque è stata ridotta e
sostiene/difende contro ciò che ne costituisce una minaccia. È una sorta di
piattaforma comune anche agli altri modelli cristologici e funge da principio
critico di autenticità per ogni cristologia africana.
Gesù come mediatore, Proto-Antenato, Proto-Forza-Vitale, portatore di una
forma trascendentale della “unione vitale” e della “forza vitale” primitiva. Si
tratta di un modello cristologico che riflette sull’inestricabile collegamento
tra la vita e gli antenati in base a una diffusa credenza africana. La vita ha
la sua origine da Dio e giunge a noi oggi per la mediazione degli antenati, i
quali nel ciclo della vita giocano un ruolo vitale. Gesù è colui che realizza
in sé l’ideale dell’antenato africano in modo del tutto originale, perché ha
portato la forza vitale in pienezza. Perciò è chiamato “Proto-Antenato” nel
senso di “Primo” ma anche di “Modello” da cui imparare a essere uomini e donne
che, vivendo, trasmettono vita.
Gesù come amato, uno di famiglia, madre, fratello, amico, membro della
comunità. Questo modello ben si sposa con i temi della famiglia/clan/comunità
che costituiscono l’humus della società africana. Prevalgono, a livello
cristologico, le immagini relazionali della condivisione, della comunione,
dell’amicizia…con ovvie ricadute a livello ecclesiale, come si evince da questa
bella espressione di Matthew Edusei, teologo cattolico ghanese: «Per me
l’immagine di Gesù è quella di uno che siede a tavola insieme ad altri. Tutti
sono invitati. Nessuno è escluso. Questo per me è molto africano» (p. 254).
Gesù come Grande Capo, salvatore, liberatore che sulla croce partecipa da
vicino alle lotte delle persone per la vita. È un modello di cristologia che
incrocia l’importanza di una leadership sociale e religiosa per la vita della
comunità in Africa. Le immagini qui si moltiplicano e Gesù è visto come
modello, guida, maestro, pastore, capo, re, guerriero, liberatore, testa,
giudice, maestro di iniziazione, mago della pioggia, indovino, capitano di marina
e numerose altre che la varietà delle lingue locali trova rispondenti alla sua
figura di “Primo tra molti fratelli”. È attorno a questo titolo che si sviluppa
la cosiddetta “teologia della liberazione africana” con un doppio aggancio: il
primo di natura “spirituale”, il secondo di natura socio-politica globale. La
sfida è quella di «liberare il Vangelo in modo che il vangelo possa diventare
lievito di liberazione» (Jean-Marc Ela, teologo cattolico camerunese).
A ben vedere si riportano così alla luce elementi della cristologia
primitiva ormai sepolti da noi in occidente o al più estremamente
psicologizzati in un cristianesimo cerebrale. Preziosa dunque l’attenzione
riservata alle fonti orali della cristologia africana contemporanea.
LA DOMANDA
DI SIGNIFICATO
A questo punto, per indicare linee future di sviluppo della riflessione
cristologia in Africa, la Stinton si fa illuminare dalla domanda: “Gesù Cristo
è significativo per la vita di Africa, oggi?” (p. 328).
Se da un lato si riconosce la forza liberante di una cristologia africana
in grado di emanciparsi dalla “cattività nordatlantica”, dall’altra si avverte
la necessità di un passaggio dalla “teologia della liberazione” a una “teologia
della costruzione/ricostruzione”. Essa consente al messaggio evangelico di
dispiegare tutta la sua forza di liberazione, innervando gli aspetti culturali
dell’identità, per condurre a una costruzione/ricostruzione di una società e
comunità autenticamente africana.
In tal senso la cristologia in Africa dovrà favorire il passaggio da una
religiosità intesa come superstiziosa disperazione a una come espressione di
autentica fede. Così facendo, attiverà e sosterrà autentici cammini di
speranza.
Tuttavia, al di là delle teologie di cartello, ciò che appare decisivo per
la significatività di Gesù Cristo in Africa oggi è che la Chiesa, la teologia e
le comunità cristiane mantengano Cristo in reale e fecondo contatto con tutte
le forme di povertà della vita umana ivi presenti. In un tempo in cui i mezzi
di comunicazione globale presentano l’Africa come una terra-senza-Dio,
l’evangelo dovrebbe aiutare gli africani a riacquistare fiducia e speranza. O
la cristologia continuerà a camminare tra la gente mostrando il vero volto di
Cristo liberatore, amico, speranza nella sofferenza o essa si ridurrà a essere
niente di più che un facile divertimento accademico.
Lo slittamento del cristianesimo verso l’emisfero sud fa dell’Africa una
delle aree centrali della ricerca teologica. Chi ignora gli importanti passi
avanti fatti in quel continente o considera le cristologie africane alla
stregua di manifestazioni esotiche periferiche rispetto alla Chiesa universale,
tradisce la propria miopia teologica. A correggere almeno parzialmente tale
difetto già provvede lo studio di Diane Stinton. che tuttavia non risulterà di
immediata comprensione a coloro che non abbiano ancora messo piede e cuore in
Africa.
Afua Kuma, contadina e levatrice in uno sperduto villaggio del Ghana,
analfabeta ma felice, nel suo canto in lingua Akan professa la sua cristologia
dal basso: «O grande e potente Gesù, incomparabile Indovino, il sole e la luna
sono il tuo vestito. Esso rifulge come la stella del mattino. Sekyere Buruku,
alto monte, tutte le nazioni vedono la tua gloria. I Monti di Gerusalemme t
circondano;siamo in mezzo alle montagne di Sion. Satana, i tuoi proiettili non
possono raggiungerci. Se satana dice di volerci attaccare, siamo sempre il
popolo di Gesù. Se Satana ci infastidisce, Gesù Cristo, tu che sei il leone
delle praterie, tu le cui unghie sono taglienti, dilanierai le sue viscere e le
lascerai sul terreno in pasto alle mosche».
1 Ben
Udoh E., Guest Christology: an interpretative view of the christological
problem in Africa; Bediako K., Jesus in african culture: a ghanaian
perspective; Nyamiti C., Christ of our ancestor: cristology from an african
perspective; Mofokeng T., The crucified among the crossbearers. Towards a black
christology.