MEDITAZIONE BIBLICA
DOV’È DIO? DOMANDA O GRIDO?
È l’interrogativo
che risuona da sempre nel cuore dell’uomo. A porsi questa domanda è l’uomo
biblico come anche lo stesso credente di oggi. Eppure Dio è più vicino a noi di
quanto noi pensiamo, ma egli si lascia trovare solo da chi ha fede.
Dov’è Dio, o meglio dov’era Dio? è la domanda che da sempre l’uomo si pone,
soprattutto in certe situazioni senza via di uscita che s’incrociano a volte
nella vita.
La domanda diventa allora quasi un grido che spesso scuote la nostra fede
perché pare che il cielo rimanga muto e all’angoscia non ci sia alcuna
risposta.
La domanda sul luogo della presenza di Dio ritorna più volte anche nella
Bibbia: si trova in bocca a coloro che affermano: «Dio non esiste!» (Sal 14,1;
53,2), e in bocca ai nemici dei credenti, a quanti cioè deridono la fede,
l’adesione salda dei giusti al loro Dio.
Ma la stessa domanda si trova significativamente anche sulla bocca dei
credenti nell’ora della catastrofe, nell’ora del trionfo del male; lo
testimoniano espressioni presenti in una profezia successiva alla shoah di
Gerusalemme del 587 a.c. e alla deportazione dei figli di Israele a Babilonia:
«Dov’è colui che fece uscire dall’acqua del Nilo il pastore del suo gregge?
Dov’è colui che pose in lui [Mosè] il suo Spirito santo? ... Dov’è colui che
fece avanzare Israele tra i flutti del mare (Is 63,11.13)?»
Anche Benedetto XVI si è posto recentemente lo stesso interrogativo, nel
viaggio compiuto in Germania, visitando il campo di sterminio nazista di
Auschwitz (28 maggio 2006): «Sempre di nuovo emerge la domanda: dov’era Dio in
quei giorni? Perché egli ha taciuto? Come poté tollerare questo eccesso di
distruzione, questo trionfo del male?».
Va detto pertanto con chiarezza: la fede nel nostro Dio in verità non
permette una simile domanda, non permette che la nostra incredulità abbia la
meglio sull’adesione fiduciosa al Signore. Essa sposta invece la direzione del
nostro interrogativo e ci suggerisce di domandarci nell’ora del male, oggi come
ieri, ad Auschwitz come in altri contesti di indicibile disumanità: dov’era,
dov’è l’uomo? Dov’era, dov’è la sua umanità? Questa è la vera domanda che i
credenti dovrebbero porsi; anzi, è la stessa domanda rivolta da Dio all’uomo
dopo la caduta: «Adamo, dove sei?» (cf. Gen 3,9).
DOVE STA IL DIO
CREATORE DELL’UNIVERSO?
Per esprimere la trascendenza di Dio, la Scrittura afferma a più riprese
che egli è «colui che abita i cieli» (Sal 2,4), che «il nostro Dio è nell’alto
dei cieli» (Sal 115,3), che «il Signore ha nei cieli il suo trono» (Sal 2,4):
egli infatti è Santo, cioè distinto e separato dalla sua opera, «altro» da
questo universo. Il credente ebreo, confessando che Dio abita i cieli al di là
della creazione, proclama dunque che egli è al di sopra di ogni realtà
visibile, che è, appunto, Qadosh, Santo, anzi il tre volte Santo (cf. Is 6,3).
Questa del resto è una visione che è diventata patrimonio anche dei cristiani:
infatti anche noi invochiamo Dio come il «Padre nostro che è nei cieli» (Mt
6,9); e in cielo, presso di lui, dimora Gesù quale Signore risorto (cf. Mc
16,19; Col 3,1), che verrà con potenza e gloria nell’ultimo giorno di questa
creazione (cf. Mc 13,26 e par.; Fil 3,21).
Ebbene, proprio la verità del Dio che si è discostato dalla sua opera ha
reso necessaria la rivelazione, l’alzare il velo di Dio stesso su di sé: egli è
disceso dai cieli per parlare al suo popolo e incontrarlo, fino a discendere
nel Figlio, Parola fatta carne in Gesù di Nazaret, e così donare agli uomini il
suo volto.
Fu chiesto un giorno a rabbi Isacco Meir di Gher: «Dove abita Dio?». Ed
egli rispose: «Dove non abita?». Dio si è fatto uomo perché l’uomo diventi
veramente uomo.
Ma vediamo più da vicino questo rivelarsi della Presenza di Dio agli
uomini.
I TANTI LUOGHI
DELLA SUA PRESENZA
Dio ha iniziato a rivelare se stesso agli uomini chiamando Abramo, il primo
credente nel Dio vivente e vero, stringendo con lui un’alleanza perenne e
donandogli la promessa e la benedizione a favore di tutta l’umanità (cf. Gen
12,1-3; 15,1-7; 17,1-8; 22,18); egli si è poi rivelato a Mosè, consegnando gli
il suo Nome santo (cf. Es 3,7-15) e affidandogli la missione di liberare
Israele dalla schiavitù dell’Egitto. Ora, il Dio che si è rivelato ai padri
abita i cieli dei cieli, ma ha voluto incontrare Mosè in un luogo preciso: sul
monte Oreb, il monte di Dio, in un roveto ardente (cf. Es 3,1-6). E
nell’affidare a Mosè la missione, Dio gli ha dato nel contempo la promessa:
«Quando tu avrai fatto uscire il popolo dall’Egitto, voi servirete, farete
culto a Dio su questo monte» (Es 3,12). Ecco la meta, il vero scopo dell’esodo:
libertà dalla schiavitù per servire Dio e incontrarlo al Sinai.
Una volta avvenuto l’esodo dall’Egitto, il popolo redento incontra Dio sul
monte Sinai, per stringere con lui alleanza: il Signore sarà il suo Dio e
Israele sarà il suo popolo (cf. Lv 26,12).
Ma poiché il popolo di Israele – chiamato al servizio, al culto (‘avodah)
di Dio nel deserto, fuori dalla «casa di schiavitù» (Es 13,3.14; 20,2; Dt 5,6)
– è un popolo in cammino verso la terra promessa, Dio che è in alleanza con lui
sceglie di accompagnarlo nel suo esodo. E così, per ordine di Dio, Mosè
costruisce la tenda dell’incontro (cf., ad esempio, Es 27,21; 28,43) che sempre
dovrà seguire il popolo pellegrinante «verso la terra dove scorre latte e
miele» (Es 3,8).
Una volta che Israele sarà entrato nella terra, questa tenda dell’incontro
tra Dio e il suo popolo continuerà la propria peregrinazione. Dapprima sarà
stabilita a Silo da parte di Giosuè (cf. Gs 18,1; Gdc 18,31); poi David la
porterà a Gerusalemme (cf. 2Sam 6,17); infine avrà il suo luogo stabile nel
tempio costruito da Salomone (cf. 1Re 8,1-9).
Ecco dunque, finalmente, il luogo per eccellenza della presenza di Dio: il
Dio che abita i cieli dei cieli stabilisce un luogo della sua presenza sulla
terra, il Santo dei santi (cf., ad esempio, Es 26,33-34; 1Re 8,6) all’interno
del tempio; e tutto questo al fine di incontrare il suo popolo. In perfetta
consonanza con il vocabolario della Scrittura, la tradizione ebraica ha
indicato questa presenza di Dio con il termine Shekinah. Nel 587 a.C.
l’infedeltà del popolo e la rottura dell’alleanza causeranno la distruzione del
tempio e la profanazione del luogo della Shekinah. Ma quando avverrà il ritorno
da Babilonia, il secondo esodo, proprio la Shekinah sarà alla testa del popolo:
il secondo tempio sarà il segno del Dio-con-noi.
LA «SHEKINAH»
SI FA CARNE IN GESÙ
Venendo ora al Nuovo Testamento, ecco che alla «pienezza dei tempi» (Gal
4,4), al compimento di tutte le promesse e le alleanze, nei tempi messianici
Dio visita il suo popolo.
È l’evangelista Luca, in particolare, a indicare il nuovo luogo della
presenza di Dio: Maria è il luogo individuabile della Shekinah, perché porta in
grembo Gesù, Dio fatto uomo, Shekinah fatta carne. In Maria, figlia di Sion e
nuova Eva, grembo della nuova umanità, trova compimento la promessa fatta da
Dio al suo popolo: «Ecco, io vengo a dimorare nel tuo seno» (Zc 2,14). Ormai
appare in maniera netta qual era l’intenzione di Dio nel suo discendere verso
l’uomo per incontrarlo e creare comunione con lui: non solamente porre la
dimora in mezzo al suo popolo attraverso la tenda, attraverso il tempio
(sacramenti della sua presenza, certo segnati dalla provvisorietà), quanto
piuttosto porre la dimora nell’uomo, nel credente, fare dell’uomo la sua
dimora. In Gesù Dio si è manifestato, si è rivelato compiutamente; in Gesù Dio
abita in mezzo al suo popolo; in Gesù Dio incontra l’uomo e l’uomo incontra
Dio: davvero Gesù è il luogo della Shekinah, della Gloria di Dio, e la sua
umanità è la tenda innalzata da Dio in mezzo agli uomini.
Non si dimentichi infine che quando Maria di Magdala si reca al sepolcro
nell’alba di Pasqua, essa «vede due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla
parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù» (Gv
20,12). Questa annotazione, che richiama con buona probabilità il particolare
dei due cherubini collocati sull’arca dell’alleanza, mira a imprimere nel cuore
dei credenti una verità di capitale importanza: in Gesù risorto opera per
sempre la potenza della Shekinah di Dio!
In altre parole, dopo la vicenda terrena di Gesù, dopo la sua morte e
resurrezione non è più il tempio la dimora del Signore, e il velo che alla
morte di Gesù si squarcia dall’alto in basso (cf. Mc 15,38 e par.) attesta
profeticamente la fine della funzione del Santo dei santi. Il tempio potrà
dunque presto sparire e, in effetti, la sua fine comincia con le ultime parole
di Gesù in croce: «Tutto è compiuto!» (Gv 19,30). La meditazione dei primi
cristiani – favorita prima dalla presenza del tempio a Gerusalemme, poi dalla
sua distruzione nel 70 d.C. a opera dei romani – comprenderà in profondità tale
verità e giungerà ad affermare che Gesù è il nuovo tempio: «Egli parlava del
tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si
ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola
detta da Gesù» (Gv 2,21-22). La sua morte ha significato la distruzione del suo
corpo, ma al terzo giorno egli è stato rialzato da Dio: Gesù risorto è il
tempio escatologico innalzato «non da mani d’uomo» (cf. Mc 14,58), bensì da Dio
stesso, per essere «luce per la rivelazione alle genti e gloria del popolo di
Israele» (cf. Lc 2,32); Gesù risorto è «la Tenda più grande e più perfetta, non
costruita da mano d’uomo» (Eb 9,11), che ci ha aperto la via verso il Padre
(cf. Eb 10,20).
LA SHEKINAH DI DIO
NELLA VITA DEL CREDENTE
Ora, se Gesù è il tempio, la dimora escatologica di Dio, di conseguenza i
cristiani, che attraverso la fede, il battesimo e l’Eucaristia sono incorporati
a lui per formare con lui un solo corpo, sono anch’essi tempio di Dio, e lo
sono sia a livello comunitario sia a livello personale. È Paolo l’autore di
questa rivelazione, una rivelazione tanto più audace se si pensa che egli la
indirizzò ai cristiani di Corinto quando ancora il tempio di pietre si ergeva
in Gerusalemme: «Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio
abita in voi? ... Santo è il tempio di Dio che siete voi (1Cor 3,16-17)».
Grazie all’inabitazione dello Spirito nelle profondità del cuore, Dio
diventa più presente nel cristiano di quanto il cristiano lo sia a se stesso –
«interior intimo meo», secondo le celebri parole di Agostino.
Ma è ancora Giovanni, attento più di ogni altro autore del Nuovo Testamento
al tema del dove di Dio, a ricordare alcune parole importantissime di Gesù
nell’ora del suo passaggio da questo mondo al Padre (cf. Gv 13,1): «Se uno mi
ama, osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e
metteremo la nostra dimora in lui»(Gv 14,23). La dimora di Dio, la Shekinah di
Dio
Padre e Figlio, attraverso lo Spirito santo si stabilisce nel credente, nel
cristiano che ama Gesù e osserva la sua parola: ecco l’ultima dimora di Dio
nella storia!
DIO TUTTO
IN TUTTI
La Gloria di Dio si rivelò sul monte Sinai; scese in mezzo al suo popolo
nella tenda dell’incontro e peregrinò con i figli di Israele fino alla terra
promessa; si stabilì nel Santo dei santi, al cuore del tempio; seguì il popolo
in esilio e con esso fece ritorno a Gerusalemme, localizzandosi nel tempio,
luogo al quale Gesù si recava scorgendovi il sacramento della presenza di Dio;
infine, la Shekinah è divenuta presenza piena e definitiva in Gesù Cristo e,
attraverso di lui, il Figlio di Dio morto e risorto, ormai la Tri-unità di Dio
abita in ogni cristiano.
Ritornando ora alla domanda iniziale: dov’è Dio; qual è il luogo della sua
presenza? possiamo rispondere: Dio prende dimora in ogni cristiano e, insieme,
nella comunità dei credenti, corpo di Cristo, tempio di Dio: «La dimora
definitiva, il solo tempio destinato a succedere a tutte le tende provvisorie,
è il santuario che noi siamo chiamati a formare, attraverso Gesù che vive in
noi tutti e che, con il Padre e lo Spirito, pone in noi la dimora di Dio». E di
questa presenza sono segno il pane e il vino eucaristici, corpo e sangue di
Gesù, sintesi di tutta la sua vita, dalla sua preesistenza presso il Padre fino
alla sua venuta nella gloria: una vita che, nella sua parabola terrena, egli ha
speso nella libertà e per amore di Dio e degli uomini, insegnandoci così a
vivere come egli ha vissuto, a morire offrendo puntualmente la nostra vita come
egli ha fatto, nella speranza di giungere tutti insieme alla vita eterna.
Sì, nell’ultimo giorno questo cosmo, questa terra che tanto amiamo e alla
quale vogliamo essere pienamente fedeli, sarà trasformata «in cielo e terra
nuovi» (cf. Ap 21,1), sarà dimora del Regno, ossia dimora definitiva di Dio in
mezzo al suo popolo, comprendente ormai tutta l’umanità. Allora, finalmente,
«Dio sarà tutto in tutti» (cf. 1Cor 15,28), e noi saremo manifestati quali
figli di Dio, quale corpo di Cristo; saremo figli nel Figlio, fino a essere il
Figlio, come dice splendidamente Ireneo di Lione: «Per questo il Verbo si è
fatto uomo e il Figlio di Dio si è fatto Figlio dell’uomo, affinché l’uomo,
mescolandosi a Dio e ricevendo l’adozione filiale, diventi figlio di Dio».
La domanda posta all’inizio trova quindi una risposta solo nella fede,
ossia nell’adesione del credente al Dio che nessuno ha mai visto né può vedere
finché è in vita (cf. Es 33,20; 1 Tm 6,16).
La presente relazione è una nostra sintesi redazionale della meditazione
biblica tenuta da Enzo Bianchi il 31 maggio 2006 a Vicenza, in occasione del II
Festival Biblico. La riflessione è contenuta integralmente in un fascicolo di
meditazioni bibliche reperibile presso il monastero di Bose.