UNA FORMAZIONE PERMANENTE GLOBALE
QUANDO NELLA VITA OCCORRE UNA SVOLTA
Dopo il concilio
tutti gli istituti hanno sentito il bisogno di promuovere delle iniziative di
formazione permanente. Alla buona volontà tuttavia spesso non hanno corrisposto
le condizioni per realizzare in maniera concreta ed efficace un programma preciso.
Nel corso della vita possono capitare dei momenti in cui uno sperimenta
qualche difficoltà, che sembra interrompa o blocchi il flusso normale della sua
esistenza. Può essere una nuova destinazione, magari non desiderata o non
accettata, una malattia, la morte di qualche persona cara, un fatto inatteso
che impressiona e mette in crisi, un’amicizia che provoca un momento di
debolezza, richiama alla conversione. Il flusso normale della vita subisce una
brusca sterzata o una pausa che rende difficile la ripresa e costringe a rivedere
tutto.
Cosa fare in circostanze del genere? P. Stefano Camerlengo, dei Missionari
della Consolata, vice-superiore generale, parlando di questo argomento, sotto
il profilo della formazione permanente, osserva:1 questo è il momento in cui la
Provvidenza di Dio chiama a rendersi conto che si deve fare un passo avanti,
superarsi e crescere. Non è una richiesta da poco. Si incomincia a porsi
domande strane e inconsuete sul senso della vita, della consacrazione e della
missione; si percepisce che qualcosa deve cambiare, che sta nascendo qualche
cosa di nuovo. È un momento di doloroso travaglio che, se accettato, può
portare a una crescita; se rifiutato, può causare una pericolosa regressione.
Questi sono i momenti in cui deve intervenire un’offerta di formazione
permanente speciale. Sarebbe una grave mancanza se a questo punto mancasse un
aiuto. Non bastano più le pratiche comuni, le proposte abituali: esercizi
spirituali, corsi di rinnovamento... Sono necessari tempo, stimoli e persone
accoglienti, e capaci che sappiano analizzare e orientare le reazioni e le
decisioni.
La formazione permanente non può, quindi, ridursi alla frequenza di corsi
accademici. Deve caratterizzarsi per il confronto con altri sulla propria
esperienza, la vita vissuta, i principi del Vangelo.
In definitiva ciò che fa la differenza tra un periodo di aggiornamento
accademico e un periodo di formazione permanente è la presenza di una persona
con cui ci si confronta in modo periodico e sistematico sulla propria vita,
sulla propria esperienza di Dio e sulle prospettive del futuro, una persona che
aiuti a conoscersi e a vedere dove Dio vuole condurci in una certa fase della
vita. Il corso scolastico, opportunamente scelto, ha una sua collocazione e
serve a riempire il tempo in modo utile. Ma se l’aspetto accademico prende il
sopravvento sul tempo del silenzio e della conoscenza di sé, impedisce di
prendere in mano seriamente i veri problemi.
Questo processo di formazione permanente deve essere globale, coinvolgere
tutta la persona con la sua storia umana, cristiana, religiosa, missionaria,
cioè in tutte le sue dimensioni. Un periodo sabbatico non deve limitarsi al
“fare” della persona, ma rivolgersi al suo “essere”. E proprio perché nessuno è
uguale agli altri e per evitare la tentazione di fuggire ai propri problemi, si
dovrebbero offrire dei corsi personalizzati, rispettando e aiutando il cammino
personale di ognuno.
La formazione permanente, oltre alla persona, deve rivolgersi pure a tutto
il suo mondo religioso, al carisma dell’istituto, agli obiettivi della attività
svolta nella comunità locale. Tutto infatti va “in crisi” e tutto deve essere
ripensato e ricollocato nella nuova e giusta prospettiva.
La formazione permanente dovrebbe aiutare a rimanere in silenzio e nella
solitudine per riuscire a guardarsi in faccia e lasciarsi mettere in questione
dalla parola di Dio e dalla lettura della propria esperienza di vita, contro la
tentazione di vivere la vocazione più nella testa che nella strada della vita.
IL SENSO
DEL TEMPO CHE PASSA
Per noi che viviamo nel tempo, gli avvenimenti della storia sono il luogo
dove possiamo cogliere qualcosa del mistero di Dio e dei suoi progetti su di
noi. E infatti, mentre cresce e si sviluppa la nostra esistenza, troviamo in
essa fatti e situazioni che hanno un particolare significato per la conoscenza
di noi stessi. Questi passaggi impegnativi, e per questo difficili, sono
comunemente chiamati crisi, ma sarebbe preferibile vederli come sfide, che
fanno riflettere, appelli a guardare avanti, a superarsi e crescere nella
propria interiorità; sono momenti di maturazione, autentici kairoi, momenti di
grazia importanti e fecondi che rivelano chi siamo, dove andiamo e come
dobbiamo rispondere. Tanti sono i personaggi biblici di riferimento: Abramo,
Giacobbe, Giuseppe, Mosè, Geremia, Elia, Maria, Pietro, Paolo e Gesù stesso.
Nicodemo, per esempio (Gv 2, 23-3, 15), può essere preso come icona di
riferimento.
Colpito dalla predicazione del Signore; sente che deve fare qualche cosa;
si reca da Gesù non per cambiare, ma per essere confermato nelle sue sicurezze.
Invece Gesù lo sfida a cambiare, a rinascere nel mistero dell’incarnazione
e della pasqua.
Nicodemo fa fatica a credere e a lasciare le sue sicurezze per accettare
nuove proposte; è vecchio, crede di avere già fatto tutto il cammino
necessario; non crede possibile, non vuole lasciare le certezze per il rischio
della fede.
Ma la sua salvezza sta proprio nel fare quel passo che Gesù gli chiede e,
alla fine, lo deve aver fatto per riconoscere in Gesù il Re di Israele e comperare
per lui una misura regale di profumi: “ cento libbre di mirra e aloe” (Gv
19,39).
Questi passaggi impegnativi della nostra vita non devono essere considerati
elementi negativi, ma positivi, parte del processo della nostra crescita umana.
LA VITA
COME CRESCITA
La crescita e le crisi che l’accompagnano sono realtà iscritte nella natura
umana dal Creatore. È una legge alla quale ha voluto sottostare anche Gesù
Cristo che è cresciuto: “in sapienza, età e grazia” (Lc 2, 52). Crescere è la
prima vocazione dell’uomo, il suo compito permanente. Noi diventiamo a poco a
poco quello che vogliamo essere. È la strada tracciata all’uomo dal progetto di
Dio: “ A quanti l’hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio”
(Gv 1,12). Tutto ciò che cresce e dà frutto, anche attraverso la croce, dà
gloria a Dio; mentre tutto quello che blocca la crescita è peccato, rifiuto di
Dio. La crescita non è semplicemente un ingrandimento ma una trasformazione, un
processo doloroso che comporta sforzo e rischio, cambiamento e in un certo
senso morte.
Non tutti accettano la legge pasquale del cambiamento e della
trasformazione, della potatura (Gv 15), fino alla morte del chicco di grano per
rinascere moltiplicato nella spiga (Gv 12,23-25).
La storia della salvezza è piena di esempi: da Israele che non vuole
camminare nel deserto e mormora (Es 16) a Nicodemo che non vuole rinascere (Gv
3); da Pietro che, dopo aver creduto, cede alla paura (Mt 14, 22) al giovane
ricco che non osa avventurarsi con Gesù e se ne va triste, perché rifiuta la
crescita, il rischio, il cammino (Lc 18, 19).
Chi non accetta la fatica di crescere rimane nell’illusione di mantenere la
quiete presente, oppure lascia che la storia vada avanti e lui rimane indietro
rifugiandosi in forme di nevrosi segnate da egocentrismo, fuga dalle
responsabilità, ricerca infantile di facili gratificazioni, come farsi
coccolare o attirare l’attenzione. Oppure, si cade nel legalismo, nei sogni,
nell’aggressività, per compensare la crescita mancata, o nel pessimismo e,
molto spesso, nella depressione.
San Gregorio Nisseno definisce la crescita spirituale come una transizione
«da un inizio a un altro inizio, fino all’inizio senza fine della vita eterna».
Sul piano della vita spirituale coloro che non accettano la fatica della
crescita e del ricominciare, si bloccano e si condannano alla tristezza e alla
mediocrità (Ap 2,4-5; 3, 15-16). Essi si precludono la possibilità di giungere
allo “stato di uomo perfetto nella misura che conviene alla piena maturità di
Cristo” (Ef 4, 13).
LE SFIDE
DELLA VITA
Ogni tappa della vita è messa in moto da un avvenimento o da una situazione
interiore che introduce in un periodo di turbamento, nel corso del quale si
arriva a una scelta o a una diversa definizione di sé, che riavviano il corso
della vita in modo nuovo rispetto al punto di partenza. È di solito un
avvenimento inatteso, traumatico, una situazione nuova che viene a interrompere
il cammino: una malattia, una morte, un cambiamento inatteso o non voluto di
attività, il distacco di una persona cara, la coscienza del tempo che passa, la
scoperta di una verità importante, il venir meno dello slancio iniziale. Tutto
ciò produce shock, sconcerto, accompagnato da sentimenti di paura o di rabbia,
di rifiuto o fuga, che normalmente si vivono sotto forma di stanchezza o
depressione, di dubbio e incertezza persistenti, che provocano la pericolosa
tentazione di lasciare perdere tutto.
Sarebbe fatale prendere decisioni in tale stato d’animo. Esso non è segno
di una realtà negativa di per sé, ma invito a progredire e cercare un nuovo
atteggiamento interiore. È la crisi propriamente detta, cioè un momento di
passaggio segnato da difficoltà e smarrimento. È un periodo di prova, di
ricerca, discernimento, di sofferenza ma anche di crescita, novità, speranza
pasquale.
Esso richiede gli atteggiamenti propri di chi entra nel deserto: la
costanza nel cammino, il silenzio per l’ascolto, l’aiuto di una guida per
essere orientato, la libertà interiore e la povertà per sperare e disporsi a
ricevere l’aiuto. Posto davanti al bivio, alla necessità di scegliere se
procedere verso una nuova fedeltà e nuovi orizzonti oppure restare dove si è,
senza correre rischi, chi accetta di essere messo in crisi rinasce e inizia una
nuova vita. La crisi si conclude quando si prende una decisione. È questo il
momento della verità e della libertà secondo la frase di Gesù: “Conoscerete la
verità e la verità vi farà liberi” (Gv 8, 32).
LA SAPIENZA
DEL CUORE (Sal 90, 4.12)
La formazione permanente in generale, e il periodo sabbatico in particolare,
hanno lo scopo di aiutare i missionari per un cammino di purificazione per
arrivare alla “saggezza della vita”, alla qualità dell’essere. Essa suppone un
radicale mutamento del rapporto con le cose e le persone: passare dal possesso
alla contemplazione, all’ascolto, alla gratuità. Grazie all’ascolto di se
stessi si riesce a valutare la propria vita in modo più profondo e vero;
davanti al male non si dispera, ma si trova il coraggio per cambiare e la
serenità per accettare quello che non si può cambiare. Ci sentiamo dei “poveri
uomini” ma felici perché abbiamo affidato la nostra sorte nelle mani di Dio che
come buon Pastore ci conosce personalmente e è pronto a offrire la sua vita per
noi (Gv 10,11-14).
Questo cammino di rinnovamento è pervaso di fiducia, perché possiamo dire
con Paolo: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione,
l’angoscia, la persecuzione...? In tutte queste cose noi siamo più che
vincitori per virtù di colui che ci ha amati” (Rm. 8, 35.27). Questa è la fonte
della sapienza e la ragione della pace.
P. Stefano conclude ricordando quanto il beato Allamano tenesse alla
formazione permanente. È un argomento su cui ritorna continuamente nelle sue
lettere e negli incontri personali, anche se non poteva a quel tempo pensare a
un tempo di formazione permanente così come è intesa attualmente.
Su questa esigenza è ritornato anche l’ultimo capitolo generale dell’istituto,
il quale scrive: «I cambiamenti e l’odierna complessità sociopolitica e
culturale esigono una costante rilettura della realtà locale, nazionale e
mondiale, orientata a migliorare il nostro servizio secondo il carisma IMC».
Per questa ragione è necessario proseguire nella formazione personale: «Occorre
dare tempo alla formazione permanente, intesa come cura della propria vita e
preparazione personale, per rispondere con competenza ed efficacia ai propri
impegni, presi con Dio, con se stessi, con la missione vissuta nell’istituto».
P. Stefano Camerlengo, IMC
1 Una riflessione sulla formazione permanente, in Bollettino Ufficiale
per gli atti della direzione generale, maggio 2007.