LA FEDE DEL PAPA TEOLOGO

UN BEL LIBRO DA LEGGERE

 

Gesù di Nazaret di Joseph Ratzinger è il tentativo di presentare il Gesù dei vangeli come il Gesù reale, come il vero “Gesù storico”. Il risultato è un bel libro da leggere, che spinge verso una predicazione più biblica e meno moralistica, e un utile strumento _di evangelizzazione.

 

Il libro del papa su Gesù si fa leggere: ben documentato ma insieme scritto in forma piana e con grande afflato spirituale. Riesce a trasmettere il fascino della figura e del messaggio di Gesù. Ha scritto il più importante giornale tedesco, la Frankfurter Allgemeine: «Il più bel regalo che il papa ha fatto a se stesso e ai suoi lettori in occasione del suo 80° compleanno».

Sorprende che nell’edizione italiana manchi il sottotitolo dell’edizione originale tedesca, e cioè: Dal battesimo nel Giordano alla trasfigurazione. Il libro percorre, infatti, la prima parte della vita pubblica di Gesù di Nazaret, e attende di essere completato da una seconda parte, che ricostruirà il cammino di Gesù fino all’ultima cena, alla morte e alla risurrezione. Libro che si è fatto attendere, ma insieme, che ci fa attendere. Immagino che i due volumi saranno poi riuniti in uno solo, che giustifichi il titolo, solenne nella sua semplicità, dell’edizione italiana.

Sono attese reazioni dal mondo accademico. Lo stesso papa si è esposto ad esse, sollecitando le critiche, e non impegnando il magistero della Chiesa. In genere, saranno rispettose, come si addice all’Accademia; ma è prevedibile che saranno differenziate, in quanto in un tema storico e teologico così vasto e così centrale si possono mettere in atto diversi criteri storiografici e diverse metodologie. Ma si riconoscerà che lo studio del papa ha una sua linea storiografica ben definita, sulla base della migliore esegesi cattolica, soprattutto di lingua tedesca.

Il lettore/lettrice comune ha un bel libro da leggere e molto da imparare; un libro che si può leggere anche andando per argomenti, segnalati dai titoli dei capitoli. Spingerà alla conoscenza della Bibbia e dei vangeli in particolare. Il libro esige anche una predicazione più biblica, e meno moralistica. È un libro anche edificante, nel senso forte della parola: accompagnerà un cammino di fede.

 

LA QUESTIONE

DEL METODO

 

L’intenzione del papa, che qui scrive come teologo, è espressa nella Premessa: «Ho voluto fare il tentativo di presentare il Gesù dei vangeli come il Gesù reale, come il “Gesù storico” in senso vero e proprio» (18). Come si fa a raggiungere il Gesù reale, il Gesù storico? Innanzitutto, praticando il metodo storico, che va sotto il nome di metodo storico-critico, che ricostruisce il formarsi del testo della Bibbia e dei vangeli (storia delle tradizioni), e la redazione del testo (storia delle redazioni). Qui siamo di fronte a complessi problemi che vanno sotto il nome di ricerca sul Gesù storico.

La ricerca sul Gesù storico si divide in tre tappe. Semplificando: nella prima (Bultmann) si opera la separazione tra il Gesù della storia e il Cristo della fede; nella seconda (Käsemann) si ricuce lo strappo, ricuperando la dimensione storica dell’evento cristologico; la terza (Meier) nasce dalla molteplicità delle fonti a disposizione e da nuove metodologie, approdando a una varietà di risultati. Ratzinger non si inserisce in questa scansione, ma, in collegamento con altri esegeti, cattolici e protestanti (Jeremias, Gnilka, Berger, Söding) valorizza al massimo la testimonianza storica presente nei vangeli. Il libro andrà a rafforzare questa linea, peraltro ben definita e costante nella teologia moderna e contemporanea.

 

Per il teologo Ratzinger, il metodo storico-critico ha una sua funzione e utilità, ma finisce per scomporre il testo, smontandolo e rimontandolo, senza cogliere la cosa, di cui parla il testo, e la cosa di cui parla il testo dei vangeli plasma (un termine ricorrente nella scrittura del teologo Ratzinger) la vita del discepolo e della Chiesa. Il metodo storico-critico è come la scala del filosofo Wittgenstein: si utilizza la scala per arrivare al livello, dove si vuole arrivare, e cioè, qui, al livello storico, e poi la scala non serve più. Occorre procedere oltre, per cogliere la cosa di cui parla il testo. E si procede oltre, praticando – in compagnia di esperti esegeti – quello che ora si chiama «approccio canonico», o «esegesi canonica», che studia il testo nel contesto dell’unità e della totalità della Scrittura. Per fare questo è necessario il passo della fede, ma è un passo giustificato dal genere di testo, con cui si è alle prese. L’esegesi storica si prolunga in esegesi teologica, se si vuole superare il frammento della ricostruzione storica, e cogliere il tutto nel frammento e oltre il frammento.

Il problema è: c’è discontinuità tra il Gesù storico e il Cristo della fede? C’è discontinuità tra il Gesù della storia e il Cristo del dogma? La risposta del teologo Ratzinger può essere così sintetizzata: il Cristo della fede è la migliore interpretazione del Gesù della storia. Una esegesi, attenta alla metodologia storica, ma attenta anche alla unità e alla totalità della Scrittura, riesce a istituire il giusto rapporto tra storia e dogma, come si evince dalla conclusione dell’opera: il dogma di Nicea (325 d.C.) introducendo nel Credo la parola omooúsios (della stessa sostanza), «non ha ellenizzato la fede, non l’ha gravata di una filosofia estranea, bensì ha fissato proprio l’elemento incomparabilmente nuovo e diverso che era apparso nel parlare di Gesù con il Padre» (405).

 

LE FONTI

A CUI HA ATTINTO

 

Il libro del papa teologo reca in appendice anche una selezionata bibliografia, brevemente commentata, che permette di conoscere le fonti, a cui ha attinto, e gli studi con cui si è confrontato. Voglio, qui, segnalare almeno due studi citati, che permettono di cogliere meglio il libro di Benedetto XVI su Gesù.

Il biblista nordamericano John Meier (sacerdote cattolico della diocesi di New York, e non gesuita come è erroneamente indicato nella bibliografia del libro di Ratzinger, e docente in una delle più prestigiose università cattoliche degli USA, la Notre Dame University di South Bend in Indiana, ha scritto negli anni novanta l’opera in tre volumi, Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico (edizione italiana presso la Queriniana, 2001-2003), esemplare per l’utilizzazione del metodo storico-critico. L’autore nordamericano è pienamente consapevole che la sua opera affronta il più grande enigma della ricerca religiosa moderna: chi era Gesù? Per rispondere alla domanda, John Meier immagina il seguente scenario: «Se un cattolico, un protestante, un ebreo e un agnostico – tutti onesti storici competenti dei movimenti religiosi del primo secolo – fossero rinchiusi nelle viscere della biblioteca dell’Harvard Divinity School ... senza la possibilità di uscire prima di aver elaborato un documento comune su chi fosse Gesù di Nazaret e su cosa abbia significato ...», un ebreo marginale è ciò che, secondo Meier, quel documento rivelerebbe. Meier si attiene al metodo storico-critico, e non lo oltrepassa, ma senza riduzionismi, come invece fanno altri studiosi, tra cui occorre citare il circolo Jesus Seminar negli USA, e da noi, il libro-intervista di Augias-Pesce, dove viene riaffermata la discontinuità tra il Gesù della storia e il Cristo della fede. Si potrebbe dire che l’opera del Meier è il più recente e il più onesto tentativo di praticare il metodo storico-critico nella ricerca del Gesù storico, tenendo presente tutta la complessità della ricerca, ma non procedendo oltre. L’oltre è il passo della fede. Procedimento legittimo, in campo scientifico, ma solo propedeutico a una ricerca storico-teologica, qual è praticata nel libro di Benedetto XVI.

Un altro testo esemplare è il Gesù (2004, in edizione italiana presso la Queriniana nel 2006) del biblista protestante, aperto al cattolicesimo, Klaus Berger dell’università di Heidelberg, in Germania, che pratica una esegesi storico-teologica, nella convinzione che «gli scritti biblici relativi a Gesù vennero redatti, senza eccezioni, in un orizzonte mistico e solo in un orizzonte mistico possono quindi essere compresi». Berger utilizza, per dire così, la scala del metodo storico, ma poi l’abbandona per mettersi in sintonia con la storia, di cui rendono testimonianza i vangeli, raccogliendo la sfida, così formulata: «Gesù può dire ancora qualcosa di interessante alle donne e agli uomini del nostro tempo?». Il Gesù di Berger si colloca, metodologicamente, nella linea del Gesù di Nazaret di Ratzinger, anche se, più che a una ricostruzione della figura di Gesù, è interessato al suo messaggio in rapporto a tematiche, che riguardano l’uomo contemporaneo, come: Gesù e la felicità umana; Gesù e la sofferenza umana; Gesù e le donne; il progetto politico di Gesù, e altre tematiche ancora.

 

RITORNARE

AL VANGELO

 

Il libro del papa teologo utilizza una metodologia storico-teologica, come fa Berger e a differenza di Meier, ma non per confrontarsi con i problemi dell’uomo contemporaneo, – quali felicità, sofferenza, politica, ecc. – ma per mostrare come il Gesù della storia è il Cristo delle fede, e il Cristo della fede è il Gesù della storia.

L’intento è, dunque, storico-teologico. Tra il Gesù della storia e il Cristo della fede non c’è discontinuità, ma, invece, è possibile mostrare la corrispondenza tra storia e dogma, nell’orizzonte di una esegesi, che presti attenzione, al di là delle stratificazioni storiche ricostruite dal metodo storico, all’unità e alla totalità della Bibbia.

Nella sua ricostruzione Ratzinger utilizza largamente il quarto vangelo, il vangelo di Giovanni, di cui rivendica «l’attendibilità storica» (257-279). Il quarto vangelo non è «un’opera largamente poetica» (Hengel); né si presenta come «un’opera letteraria, che testimonia la fede e vuole rafforzare la fede, e non come resoconto storico» (Broer); ma, invece, è da ritenere come «vangelo pneumatico», che rimanda alla realtà storica e alla tradizione della Chiesa, che, sotto l’azione dello Spirito, introduce alla profondità della parola e degli avvenimenti. Ratzinger domanda, stringendo le fila della sua ri-proposizione della questione giovannea, a proposito del vangelo di Giovanni: «Come può rafforzare la fede se si propone come testimonianza storica – e lo fa con grande vigore, – ma non offre poi informazioni storiche?» (268). Il teologo Joseph Ratzinger valorizza, sotto il profilo storico, il vangelo di Giovanni; ma, insieme, si può dire che il cristiano Joseph Ratzinger si sente un discepolo ideale della «comunità giovannea».

Utilizzando il vangelo di Giovanni, e procedendo anche oltre le conclusioni cui arrivava il grande commentario di riferimento di Rudolf Schnackenburg (1965-1985; in traduzione italiana in tre volumi presso la Paideia), Ratzinger trova «il punto di appoggio», su cui si basa il suo libro: «Considero Gesù a partire dalla sua comunione con il Padre. Questo è il vero centro della sua personalità. Senza questa comunione non si può capire niente e partendo da essa egli si fa presente anche a noi oggi» (10).

L’invito, insistente, che promana dal Gesù del papa teologo, è così formulato: «Ritorniamo dunque al Vangelo, ritorniamo all’autentico Gesù» (78). Un richiamo, che non può non avere per il discepolo e per la comunità dei discepoli, una incidenza non solo di conoscenza, ma anche di pratica.

 

Rosino Gibellini