SI APRONO

FRA TENTAZIONI E NUOVE POSSIBILITÀ

 

La vita consacrata è chiamata oggi a offrire un altro modello di società e a non copiare lo stile di quella in cui viviamo. Per fare questo è necessario un discernimento che le permetta di essere fedele ai segni dei tempi e dei luoghi. Lo strumento per non lasciarsi catturare dal mondo è l’ascesi.

 

Le persone consacrate, se vogliono dare pieno significato alla loro vocazione, sono chiamate a una vita religiosa mistico-profetica a servizio della vita, di quella vita che Gesù è venuto a portare affinché tutti l’abbiano in abbondanza (cf. Gv 10,10). È una chiamata molto esigente, oggi insidiata da molte tentazioni che, se ascoltate, rischiano di pregiudicarla e di farle perdere il suo significato. Lo scrive fr. Álvaro Rodríguez Echeverría – rieletto superiore generale dei Fratelli delle Scuole Cristiane il 28 maggio nel scorso del 44° Capitolo generale – in un contributo sulla rivista della CLAR dal titolo Le realtà e le sfide della vita religiosa oggi (gennaio-marzo 2007).1 Nello scrivere queste note, fr. Álvaro ha potuto attingere alla sua lunga esperienza sia come superiore generale e dai quasi 80 viaggi compiuti in ogni parte del mondo dove l’istituto è presente, sia anche dalla sua carica di presidente dell’Unione dei superiori generali (USG) e dalla partecipazione al congresso sulla vita consacrata del 2004 sul tema Passione per Cristo, passione per l’umanità.

 

LE TENTAZIONI

DI OGGI

 

Quali sono anzitutto, a suo giudizio, le “tentazioni” a cui è esposta la vita consacrata e che possono essere motivo, da una parte, di perdita di significato e, dall’altra, occasione di stimolo a dare risposte adeguate alle diverse situazioni con cui occorre oggi confrontarsi?

La prima tentazione, scrive fr. Álvaro, è “il secolarismo e la società del benessere”, tentazione segnalata anche da Benedetto XVI nell’udienza del 22 maggio 2006, in cui aveva detto: «Di fatto, la cultura secolarizzata è penetrata nella mente e nel cuore di non pochi consacrati che vedono in essa una forma di accesso alla modernità e di avvicinamento al mondo contemporaneo. La conseguenza è che assieme a un indubbio impulso generoso, capace di testimonianza e di donazione totale, la vita consacrata esperimenta oggi l’insidia della mediocrità, dell’imborghesimento e della mentalità consumista».

La vita consacrata, osserva fr. Álvaro è chiamata invece a offrire un altro modello di società e a non copiare lo stile della società in cui viviamo. Per fare questo è necessario un discernimento che ci permetta di essere fedeli ai segni dei tempi e dei luoghi. Il nostro atteggiamento deve essere come quello dei pescatori della parabola che gettano nel mare una rete che raccoglie ogni genere di pesci; una volta piena, essi si siedono, separano i buoni in ceste e gettano via gli altri (cf. Mt 13,47-48).

Lo strumento per non lasciarsi catturare dal mondo è l’ascesi, nel senso che la lotta per l’affermazione dei valori del Regno comporta uno sforzo personale e comunitario: questo dà significato all’esistenza, allontana il narcisismo, evita la depressione e permette di vivere in mezzo ai conflitti. Fr. Álvaro cita a questo proposito la religiosa nordamericana Joan Chittister, secondo cui la vita religiosa ha il compito di tenere viva la domanda su Dio; e ciò che scrisse il celebre filosofo e teologo ebreo Martin Buber nel lontano 1952, secondo il quale la parola “Dio” è stata macchiata, vilipesa e profanata, mentre però esiste anche una tendenza a metterla a tacere; ma c’è fortunatamente anche una resistenza al suo abbandono. Ma ecco le sue parole: «Le diverse generazioni umane hanno deposto su di essa tutto il peso della loro vite angustiate, fino a schiacciarla al suolo; sta lì, piena di polvere e sotto tutto questo peso. Le diverse generazioni umane hanno fatto a pezzi questa parola con le loro divisioni religiose; per essa hanno ucciso e sono morte, in essa ci sono tutte e ciascuna delle impronte delle loro mani, tutte e ciascuna goccia del loro sangue... Non possiamo pulire la parola “Dio”, non possiamo riuscire del tutto; ma possiamo invece prenderla su dal suolo, così profanata e infranta com’è, e intronizzarla dopo un’ora di afflizione». «Mi pare, sottolinea fr. Álvaro che questo testo esprima molto bene ciò a cui siamo chiamati».

 

TRA AMORE UMANO

E AMORE DIVINO

 

Una seconda tentazione si manifesta quando «la scoperta dell’amore umano fa perdere il significato dell’amore divino». Fr. Álvaro cita a questo riguardo quanto ebbe a dichiarare Bernardo Olivera, superiore generale dei trappisti, al capitolo generale del suo ordine, nel 2005: «Sembrerebbe che la scoperta dell’amore umano abbia fatto diventare irreale la ricerca monastica di Dio. Ovviamente non si tratta ancora di fare un processo alla vocazione dei giovani, di mettere in discussione la formazione che offriamo ad essi. Alcuni interrogativi pertinenti potrebbero essere i seguenti: su quali basi umane si costruisce l’edificio spirituale? Che genere di antropologia ha fatto da presupposto al processo formativo? Siamo convinti che la grazia costruisce sulla natura? Favoriamo delle dicotomie, pur affermando il contrario? È fuor di dubbio che uno dei grandi meriti del mondo d’oggi è l’importanza attribuita all’io personale. ma sappiamo che si tratta di un valore relativo perché, secondo il Vangelo, “chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà” (Mt 16,25).

«Oggi, commenta fr. Álvaro, dobbiamo tener conto della situazione in cui vive il giovane il quale è posto di fronte alla frammentazione e alla dispersione, è esposto al pericolo del fascino dell’immediato e del provvisorio, cosa che conduce a un’etica individualista e relativista, limita la ricerca dei valori e orienta verso una ricerca insoddisfatta dell’“essere insieme” senza una direzione chiara né un progetto definito. L’ambiente porta a una ricerca di piccolo cabotaggio e a una felicità di basso costo. Ossia, tutto il contrario di ciò che dovremmo offrire nella vita religiosa».

 

Un’ulteriore tentazione è di dimenticare che siamo esseri umani e fratelli. Quando in noi prevalgono altri interessi, diversi da quelli del Vangelo, è naturale che l’egoismo e l’individualismo abbiano il primato su ciò che è costitutivo della persona (aspetto umano), del cristiano (come fratello) e della vita religiosa (un progetto comune al servizio del Regno). D’altra parte la fraternità scaturisce spontaneamente quando si vive con sincerità e verità l’umanità. Negare l’umano porta a comportarsi in maniera in-umana e di conseguenza a negare Dio, il quale, incarnandosi, «ha assunto l’intera natura umana» (GS 3).

«Penso, scrive fr. Álvaro, che il migliore antidoto sia una spiritualità dell’incarnazione che permetta di integrare il Vangelo e la realtà, l’amore a Dio e l’amore al prossimo, mistica e profezia, fede e zelo, passione per Cristo e passione per l’umanità. Si tratta di una spiritualità equilibrata, umana, integrante, cristocentrica, che attribuisce un grande valore alla scoperta di Dio nella realtà, alla fraternità, alla gratuità e alla semplicità. Essere umani non vuol dire rendere la vita religiosa light (leggera), ma essere capaci di far in modo che la persona occupi sempre il primo posto, prima delle norme stabilite e di determinati interessi. Ciò non è mai stato facile. Ma è da qui nascono le vere comunità dove la sintonia delle idee e degli ideali porta all’unità della condivisione. Se non prestiamo attenzione al substrato umano che deve sostenere la vita consacrata, è facile finire col costruire sulla sabbia».

C’è inoltre la tentazione del “funzionalismo” e della “istituzionalizzazione” della nostra missione. In effetti, a volte c’è il rischio di pensare alla missione e ai ministeri in chiave istitituzionalizzata. La conseguenza è di fare affidamento sui programmi, le strutture e un ordine imposto dall’esterno, anziché sullo spirito che dovrebbe animare i religiosi e sul discernimento comune della volontà di Dio. La cosa più importante sembra consista nel conservare le opere che abbiamo e nel difendere le strutture che ci animano, il numero dei nostri fratelli e delle nostre sorelle o il prestigio delle nostre opere anziché rispondere a partire dalla tenerezza di Dio e del Vangelo alle necessità del mondo, alle nuove povertà... Senza dubbio sono necessari anche gli aspetti amministrativi. Ma senza una vita spirituale profonda, centrata in Cristo e sul Vangelo, la nostra missione diventa un’attività sociale, utile ma incapace di dare pieno significato alla nostra vita: «Non dobbiamo dimenticare che come religiosi, per definizione, dobbiamo essere più un grido dell’assoluto di Dio che non una funzione: una presenza del Verbo incarnato più che un compito».

 

QUALI PORTE

OGGI SI APRONO?

 

Nella situazione attuale, quali sono le porte che si aprono davanti a noi? La prima, scrive fr. Álvaro, è quella indicata dal congresso del 2004: una esperienza personale alimentata da una passione. Si tratta della passione per Dio che diventa compassione per il fratello e la sorella. In altre parole, «possiamo dire che una caratteristica della vita religiosa è la theopatia, vale a dire la passione per Dio e per l’umanità... Si tratta di un’attrattiva profonda quasi irresistibile verso Dio, di un’esperienza spirituale che Dio è l’Assoluto e che tutto il nostro essere ha il suo riferimento ultimo in lui. È l’esperienza di amare e di essere amati; è la certezza che Dio è tutto».

Questa passione per Dio si traduce poi in compassione per i fratelli come solidarietà, vicinanza, presenza, accoglienza, accompagnamento: «Siamo chiamati a essere il volto più umano e compassionevole della Chiesa o, come diceva p. Radcliffe durante il congresso, un nido ecologico di libertà».

Un interrogativo che dobbiamo porci è che cosa possiamo offrire oggi ai giovani e che cosa questi possono offrire a noi. Di fronte alla loro mancanza di fedeltà, a volte si è tentati di attribuire la colpa unicamente agli antivalori presenti nella società o alle loro stesse debolezze e incoerenze. In realtà, osserva fr. Álvaro, se è vero che molte cause di difficoltà personali stanno dentro l’individuo, non possiamo negare anche l’influsso determinante del sistema in cui questi vive e non possiamo però non tenere conto del sistema di vita che offriamo ai giovani i quali pensano che valga la pena di unirsi a noi.

Dovremmo inoltre chiederci: fino a che punto i valori e le tendenze dei giovani di oggi, con tutte le loro ambiguità, ma anche con tutta la loro ricchezza a volte più evangelica, trova accoglienza nelle nostre strutture, nei programmi di formazione e nelle nostre comunità? Fino a che punto accompagniamo processi di individuazione e favoriamo l’integrazione personale di fronte alla frammentazione della persona provocata oggi dalla società? Ci accontentiamo di offrire la sicurezza dell’osservanza e di creare dipendenze che spersonalizzano? Di fronte alla ricerca insaziabile di significato e di trascendenza, i giovani scoprono nei nostri occhi il fuoco di una passione irresistibile per Dio e il suo Regno? Decisiva, sottolinea fr. Álvaro, è pertanto la qualità che essi si attendono dalla nostra vita di comunità: «Si tratta naturalmente di una comunità che attribuisce più importanza alle relazioni che alle strutture, che integri armoniosamente l’aspetto personale e quello comunitario; che risponda e si apra alle nuove povertà; che ci aiuti a vivere i valori evangelici».

Fr. Álvaro accenna a questo punto all’inculturazione e alla interculturalità che introducono l’interrogativo: come integrare oggi una realtà sempre più pluriculturale in un mondo sempre più globalizzato; inoltre come rispondere con creatività alle nuove forme di disumanizzazione e di povertà, in una rinnovata fedeltà creativa ai propri carismi?

I religiosi sono chiamati anche a tenere viva la speranza: «Mi pare, conclude fr. Álvaro, che oggi una delle dimensioni più importanti della nostra vita religiosa consista nel tenere viva la speranza; tenere viva la speranza che la nostra vita vale la pena, che ha un futuro e continuerà a essere uno strumento di salvezza per il mondo. Una speranza confortata anche dai nuovi germi di vocazione che stanno sbocciando altrove, in Africa, in Asia, in America latina, e nonostante tutto, anche in Europa, in America del nord e in Oceania.

Tentazioni che ci insidiano, quindi, ma anche porte che si aprono.

 

A.D.

1 Rodríguez Echeverría Á., «La realidad y los desafíos de la Vida Religiosa hoy», CLAR gennaio- marzo (2007) 72-81.