I DATI PIÙ RECENTI DI 205 ISTITUTI RELIGIOSI MASCHILI

UN CALO INARRESTABILE?

 

L’ultima fatica di A. Pardilla: il quadro aggiornato e completo del calo numerico nei primi quarant’anni postconciliari. Troppo ottimistiche le prospettive di una sicura “ripresa”. L’inadeguata recezione del Vaticano II anche in tanti ambienti di vita consacrata. Allo svuotamento del significato dei voti religiosi, è seguito anche quello delle “case religiose”.

 

«Chi semina confusione, raccoglie abbandoni». È un’espressione molto drastica e sintetica con cui il clarettiano Angel Pardilla commenta, sia in apertura che in chiusura, qualcosa come 300 pagine circa di tabelle, di schede e di dati statistici – da lui stesso elaborati – sull’andamento numerico degli istituti religiosi maschili nei primi quarant’anni postconciliari, ed esattamente dal 1 gennaio 1965 al 1 gennaio 2005.1 La pretesa dell’autore era quella di tracciare una prospettiva insieme statistica, sociologica e teologica di tutta la vita religiosa di questi ultimi quarant’anni. Nella seconda parte di questo lavoro, infatti, l’autore affronta il tema della identità – passata, presente e futura della vita religiosa nel suo complesso. Però, i dati statistici riportati nell’opera, si riferiscono solo a 205 istituti religiosi maschili. E non è poco! Visto, anzi, il prezioso risultato conseguito, verrebbe subito da incoraggiare Pardilla a completare l’opera – anche se forse molto più complessa! – con una ricerca analoga anche per quanto riguarda le religiose. Ci pare comunque che l’autore l’abbia già messa nella sua corposa agenda.

Ma prima di soffermarci su alcune considerazioni conclusive dell’autore sul calo numerico allarmante del quarantennio postconciliare (complessivamente si è passati da 329.799 a 214.903 membri, con una diminuzione, quindi, di ben 114.896 unità, pari al 34,83%), proviamo a “sfogliare” più da vicino queste schede e queste tabelle. Trattandosi di dati statistici, il punto di partenza non poteva non essere l’Annuario pontificio. Pur con tutti i pregi e il valore di questa prima e indispensabile fonte, per avere, però, una “radiografia veramente realistica”, l’autore ha pensato di avvalersi della diretta collaborazione dei segretari generali e degli archivisti dei vari istituti. È così successo, commenta con soddisfazione, che alcuni superiori generali, proprio grazie alla sua accurata ricostruzione, «per la prima volta sono riusciti ad avere una visione panoramica dell’andamento statistico del proprio istituto nel quarantennio postconciliare». Pardilla ha dovuto “accontentarsi” dei dati dell’Annuario pontificio, anche se a volte non verosimili, soltanto quando neanche i suoi diretti interlocutori sapevano offrirgli elementi più attendibili e precisi in merito ai propri stessi istituti.

 

QUEL TRAUMATICO

SECONDO QUINQUENNIO

 

Nel pieno rispetto di una suddivisione classica nella storia della vita consacrata, l’autore presenta in successione i dati relativi ai canonici regolari, ai monaci, agli ordini mendicanti, ai chierici regolari, alle congregazioni religiose clericali, alle congregazioni religiose laicali, alle società di vita apostolica, anche se queste ultime, a norma di diritto canonico, non appartengono propriamente agli istituti religiosi. Di ogni istituto, dopo aver ricordato l’anno di fondazione e quello di approvazione pontificia e il suo scopo originario, e dopo aver premesso la variazione complessiva dei suoi membri in questi quarant’anni, analizza gli stessi dati nella loro variazione anno per anno, con le relative percentuali di quinquennio in quinquennio. È forse questo uno dei dati (e delle fatiche!) più significativi. Risulta così di immediata evidenza che la fase più critica, cioè quella in cui l’emorragia degli abbandoni si è fatta “più scioccante”, è stata quella del secondo quinquennio (1970-1975). Gli istituti religiosi hanno perso allora, in cinque anni, più della decima parte dei loro membri: 33.066 unità, pari al 10,85%».

Già nel quinquennio precedente, comunque, il calo numerico non era stato uno scherzo: 24.895 unità, pari all’8,17%. Tutto questo consente a Pardilla di commentare che il calo dei primi due quinquenni (1965-1975) di 57.961 unità, pari al 19,02%, «è stato più traumatizzante di quello che si è verificato negli altri sei quinquenni messi insieme». L’unico dato “confortante”, in questo “dramma” complessivo, è quello che gli fa dire – o “sperare”? – che «il peggio è passato».

Sarebbe forse quanto mai interessante addentrarci nei dati statistici dei singoli istituti religiosi per verificare se veramente il “peggio” è ormai decisamente alle spalle. Avvalendoci delle schede e delle tabelle che troviamo nel volume, limitiamoci, in questa sede, a vedere da vicino la situazione degli undici istituti religiosi che al 1 gennaio 2005 avevano più di 4.000 membri. Di questi riportiamo, anzitutto, il numero dei membri al 1 gennaio 1965, poi quello aggiornato al 1 gennaio 2005, e, infine, quello relativo alla variazione tra i due dati e la relativa percentuale. I gesuiti, ad esempio, erano 36.038 nel 1965, sono 19.850 nel 2005, con un calo di 16.188 unità, pari al 44.91%. Seguono poi i salesiani: da 22.042 a 16.645, con un calo di 5.397 (24,48%); i frati minori: da 27.009 a 15.794, con un calo di 11.215 (41.52%); i frati cappuccini: da 15.838 a 11.229, con un calo di 4.609 (29,10%); i benedettini confederati: da 12.070 a 7.798, con un calo di 4.272 (35,39%); i domenicani: da 10.091 a 6.109, con un calo di 3.982 (39,46%); i verbiti: da 5.773 a 6.075, con un aumento di 302 (5,23%); i fratelli delle scuole cristiane: da 17.926 a 5.719, con un calo di 12.207 (68,09%); i redentoristi: da 8.858 a 5.432, con un calo di 3.426 (38,67%); i frati conventuali: da 4.650 a 4.595, con un calo di 55 (1.18%); gli oblati di Maria immacolata: da 7.607 a 4.569, con un calo di 3.038 (39,93%); i fratelli maristi: da 10.228 a 4.369, con un calo di 5.829 (57,28%); i carmelitani scalzi: da 4.022 a 4.051, con un aumento di 29 (0.72%); i lazzaristi: da 5.992 a 4.049, con un calo di 1.943 (32,42%).

Bastano, forse, anche solo questi dati per renderci conto del trauma vissuto, e spesso tuttora in atto, di tanti istituti religiosi maschili. Ben 75 istituti dei 205 ricordati nel volume, in questi quarant’anni, hanno perso più del 20% dei propri membri. Il “grido delle cifre”, come lo chiama Pardilla, diventa particolarmente allarmante a proposito degli istituti religiosi laicali, con un calo medio del 59,13% dei propri membri. Se pensiamo che ben 23 di questi istituti hanno perso più della metà dei membri e fra questi ne troviamo 2 con un calo di oltre l’80%, 9 con un calo di oltre il 70%, 12 con un calo di oltre il 50%, è allora facile convenire con lui quando osserva che «la sopravvivenza di alcuni di questi istituti appare molto problematica».

Pur nell’ampia ricchezza dei dati offerti dal volume, sarebbe stato preziosissimo almeno un dato complessivo – aggiornato al 2005 e per ogni singolo istituto – dei membri suddivisi per continente. Del resto, alcuni superiori generali, dopo aver fatto notare a Pardilla che «le allarmanti caratteristiche del calo nei paesi occidentali erano in realtà le stesse in molti istituti religiosi», avevano anche aggiunto che molti dati erano “compensati o dissimulati” dal numero crescente di religiosi provenienti soprattutto dal contenente asiatico e da quello africano. Questo fatto ormai ampiamente risaputo, una volta documentato e aggiornato anche sul piano statistico, in maniera molto più immediata darebbe la percezione del “dramma” dei numeri, e non solo dei numeri!, del presente e del futuro della vita consacrata maschile nei paesi occidentali.

 

NON RECEPITO

IL CONCILIO

 

Nella seconda parte del suo volume Pardilla, raccogliendo alcune riflessioni anche precedentemente già espresse in altre sedi, si interroga, in maniera molto critica, sul problema della identità, presente e futura, della vita religiosa nel suo complesso. Anche stando a una semplice analisi sociologica delle cifre, si deve riconoscere senza esitazione, osserva, che «i dati negativi hanno una chiara prevalenza su quelli positivi». Guardando con “realismo” il futuro non sembra proprio condivisibile il tono “festoso e ottimistico” di certe dichiarazioni, anche da parte di persone che occupano posti di grande responsabilità nella vita consacrata, secondo le quali si starebbe profilando all’orizzonte «una costellazione di segni che preannunciano un immediato futuro di novità e di splendore». Secondo Pardilla, in fatto di calo numerico, non ha nessun “solido fondamento” la convinzione di chi pensa che si sia ormai “toccato il fondo” e che quindi sia in atto la “fase di recupero”. La conferma viene immediatamente dalla semplice analisi dei numeri nell’ultimo quinquennio (2000-2005). Sono più di un centinaio, quasi il 60%, gli istituti con un bilancio “in rosso”. Tra questi vanno annoverati quasi tutti i più importanti.

Non sarebbe corretto, però, mettere sullo stesso piano il futuro dei singoli istituti e il futuro della vita consacrata. Non si può non distinguere, cioè, la vicenda storica di un determinato istituto o di una forma di vita consacrata dalla missione ecclesiale della vita consacrata in quanto tale. «La prima, come si legge in Vita consecrata, può mutare col mutare delle situazioni, la seconda è destinata a non venir meno» (63). Dal momento che la vita consacrata è «parte irrinunciabile della Chiesa» (VC 3) e che, perciò, la Chiesa «non può assolutamente rinunciare alla vita consacrata» (VC 105), questa, arriva a dire Pardilla, «è un elemento irrinunciabile della rivelazione di Cristo e della sua trasmissione».

Pur nella certezza che «anche nel futuro della Chiesa e del mondo il Padre continuerà a chiamare a questa speciale forma di sequela di Cristo e di testimonianza dello Spirito», come spiegare, però, il calo preoccupante e inarrestabile anche degli istituti religiosi più insigni? Pardilla non ha nessuna ombra di dubbio al riguardo. È proprio vero, dice, che «chi semina confusione raccoglie abbandoni». La causa di tutto, a suo avviso, è sicuramente riconducibile a una “inadeguata recezione del concilio”.

Già in occasione di un’assemblea dell’Unione dei superiori generali (maggio 1986), di fronte all’altissima percentuale di abbandoni del primo ventennio, aveva invitato i superiori generali a lavorare efficacemente per un futuro diverso. Ogni istituto avrebbe dovuto «offrire ai candidati e a tutti i suoi membri, in tutte le fasi della formazione, una identità chiara, forte ed eminentemente positiva della vita religiosa e del carisma del proprio istituto». E invece, anche nel campo della vita consacrata, è decisamente mancata un’autentica e fedele recezione degli insegnamenti del concilio. Partendo dalla chiamata universale alla santità si sono tratte, però, delle “conclusioni sconvolgenti”. È il caso di quanti sono giunti a sostenere che «vivere nello stato religioso non serve a nulla»; che «lottare per rimanere fedele agli impegni della professione religiosa è uno sforzo inutile»; che «il cristiano che lascia la vita religiosa e si sposa non perde nulla di positivo», anzi, vedrebbe migliorato la sua “positività umana” e la sua personalità. Subito dopo il concilio si è arrivati a ritenere “ingiusti e offensivi” tutti gli avverbi e tutti gli aggettivi di superiorità attribuiti allo stato religioso, negando che i consacrati, con la loro scelta, avrebbero potuto imitare “meglio” e seguire “più da vicino” il Cristo del vangelo. E così, la testimonianza evangelica della consacrazione religiosa ha finito con il diventare «un mero segno, privo di qualsiasi realtà specifica, un fenomeno senza il minimo contenuto ontologico», nient’altro che un “guscio vuoto”.

Perché meravigliarsi, allora, se «il tradimento dell’autentico e pieno senso dei testi conciliari sulla vita religiosa, portato avanti mediante una diffusa e tendenziosa interpretazione, è stato un disastro per il passato e per il presente della vita religiosa»? Il numero crescente degli abbandoni da una parte e il sempre più modesto numero di nuove professioni dall’altro, lo stanno a confermare.

L’esortazione apostolica Vita consecrata, ossia il testo più rilevante del magistero di Giovanni Paolo II sulla vita consacrata, «è stata disprezzata o respinta con sdegno» anche in non pochi ambienti della vita religiosa. Si è dimenticato troppo in fretta quanto il documento vaticano afferma a proposito della “obiettiva eccellenza” della vita consacrata, come quando la definisce come il «modo più radicale di vivere il Vangelo su questa terra» (18).

Si dovrebbe sempre partire da queste premesse, e propriamente da questa inadeguata e spesso anzi contestata recezione del concilio, per capire la impietosa diagnosi, fatta da Pardilla, della stato attuale della vita religiosa, uno stato «preoccupante, anche se non c’è pericolo di morte». La mancanza di una chiara identità positiva, conclude l’autore, continuerà a essere «il fattore determinante dei casi di abbandono della vita religiosa». Per il futuro c’è una sola alternativa: la difesa e il rilancio convinto degli insegnamenti conciliari sui consigli evangelici, dal momento che «lo svuotamento dei voti religiosi porta allo svuotamento delle case religiose».

 

Angelo Arrighini

 

 

1 Pardilla A., I religiosi ieri, oggi e domani, Editrice Rogate, Roma 2007.