IL SINODO DEI VESCOVI DEL 2008

I RELIGIOSI  E LA PAROLA DI DIO

 

Un’occasione per domandarci fino a che punto la parola di Dio è entrata a far parte del nostro patrimonio spirituale e della nostra esperienza di vita. Dal concilio molte cose sono migliorate, ma resta ancora parecchio da fare.

 

La prossima assemblea ordinaria del sinodo dei vescovi si terrà a Roma nell’autunno 2008, e avrà come tema la Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa. Dopo il sinodo sull’Eucaristia era un tema obbligato nella riflessione che la Chiesa sta facendo sui “luoghi” centrali della sua vita e della sua missione nel mondo d’oggi. Nel testo dei Lineamenta, il documento che avvia la preparazione del sinodo, c’è un paragrafo che si riferisce al ruolo che i religiosi possono svolgere nel far conoscere e nel far circolare all’interno della Chiesa e quindi nel mondo la linfa vivente della parola di Dio: «In questo cammino della parola di Dio al popolo un ruolo specifico hanno le persone di vita consacrata. Esse, come sottolinea il Vaticano II, “abbiano quotidianamente tra le mani la Sacra Scrittura, affinché dalla lettura e dalla meditazione dei Libri sacri imparino ‘la sovraeminente scienza di Gesù Cristo’ (Fil 3,8)” (PC 6) e trovino rinnovato slancio nel loro compito di educazione e di evangelizzazione specie dei poveri, dei piccoli e degli ultimi”» (Lineamenta n. 27).

 

CENTRALITÀ

DELLA PAROLA

 

La parola di Dio è la fonte della missione, non solo nel senso di origine, ma anche come contenuto dell’impegno dei religiosi nella Chiesa di oggi. Quest’affermazione non è per sé una novità perché – continua il testo dei Lineamenta – già nei primi tempi della Chiesa i Padri e i monaci del deserto invitavano i cristiani a leggere e a gustare le parole della Sacra Scrittura. L’espressione, che i Padri usano, suona un po’ singolare per noi, ma esprime bene la durata e metodicità con cui si deve affrontare la Parola che deve, appunto, “essere ruminata” per poter essere assimilata, fino a diventare il luogo della viva comunione con Dio. Così Ambrogio di Milano afferma che «quando l’uomo inizia a leggere le divine Scritture, Dio torna a passeggiare con lui nel paradiso terrestre».

Giovanni Paolo II in Vita consecrata raccomanda ai religiosi di mettere la Sacra Scrittura al primo posto tra le fonti che alimentano la loro vita spirituale: «La parola di Dio è la prima sorgente d’ogni spiritualità cristiana. Essa alimenta un rapporto personale con il Dio vivente e con la sua volontà salvifica e santificante. È per questo che la lectio divina, fin dalla nascita degli istituti di vita consacrata, in particolar modo nel monachesimo, ha ricevuto la più alta considerazione. Grazie ad essa, la parola di Dio viene trasferita nella vita, sulla quale proietta la luce della sapienza che è dono dello Spirito» (n. 94).

Quando leggiamo queste parole non possiamo non ringraziare Dio per il lungo cammino percorso in questi quarant’anni dalla conclusione del concilio Vaticano. Noi non ci iscriviamo di certo nelle fila di quanti considerano il Vaticano II come un momento d’involuzione della vita della Chiesa, anzi! Siamo convinti invece che è stata quella “nuova Pentecoste” che lo spirito profetico di Giovanni XXIII aveva visto spuntare all’orizzonte della Chiesa. Certo, il cammino intrapreso per il rinnovamento della vita religiosa rimane ancora incompiuto, siamo ancora in mezzo al guado e non riusciamo ancora a vedere chiaramente la sponda del fiume alla quale siamo destinati ad approdare. Ma quando leggiamo i nn. 24-25 di Ripartire da Cristo, non possiamo non riconoscere che il cammino percorso è stato lungo e benefico. In particolare per quanto concerne il ritorno alla parola di Dio, possiamo affermare che si è proceduto con intelligenza, diligenza e amore. Oggi possiamo dire che i religiosi, e non solo i monaci per i quali la Parola è sempre stata la prima fonte della loro preghiera e della loro vita, hanno preso sul serio l’invito del Perfectæ caritatis a prendere e ad avere quotidianamente nelle mani la Sacra Scrittura.

 

DALL’ESILIO

AL RITORNO DELLA PAROLA

 

Non è difficile – in un rapido flashback – ricordare quanto poco spazio fino a cinquant’anni fa era dato alla parola di Dio nella spiritualità della vita religiosa. Essa era sostituita dalla parola dei fondatori e di probati auctores della vita spirituale, tutti validi, ma non paragonabili per forza e autorevolezza alla parola di Dio. Le costituzioni degli istituti religiosi nati nell’epoca moderna fino al concilio non erano tessute con la parola di Dio, ma costituivano un insieme di consigli e di norme prevalentemente giuridiche e ascetiche che, se citavano la Bibbia, lo facevano per provare le affermazioni già fatte.

Tra le pratiche di pietà, la meditazione era raramente fatta sulla parola di Dio, che per altro era poco conosciuta e che, in assenza di una previa spiegazione, era costretta a rimanere di difficile interpretazione e, in ogni caso, oscura e inesplorata nelle sue ricchezze. Fino al concilio la Bibbia, con l’eccezione dei vangeli, era un libro abbastanza inconsueto nella vita spirituale dei religiosi cattolici, come del resto anche nella vita dei comuni fedeli. La Chiesa cattolica veniva, infatti, da un periodo di polemico abbandono della Sacra Scrittura, divenuta invece il cavallo di battaglia dei riformatori evangelici del sec. XVI. Il posto della parola di Dio era occupato dall’insegnamento della gerarchia. Non dobbiamo – certo – dimenticare le eccezioni.

 

UN CLIMA

CAMBIATO

 

Ma l’aria generale della vita ecclesiale non si nutriva, come avviene oggi, della parola di Dio. Distingue tempora et concordabis jura …Oggi, grazie a Dio, possiamo affermare che l’esilio della Parola è finito. E lo vediamo in tanti modi.

Anzitutto nell’aggiornamento delle costituzioni. I testi delle costituzioni o della Regola di vita sono stati redatti in modo radicalmente nuovo rispetto a prima del concilio, quando gli articoli costituzionali dovevano essere di carattere strettamente giuridico, senza cedimenti a “tentazioni” spirituali o bibliche o teologiche. Oggi la Chiesa chiede anzi che le costituzioni degli istituti religiosi, recenti o riscritte che siano, abbiano un fondamento biblico e teologico, affinché possano nutrire la preghiera e la meditazione dei religiosi e siano per essi quasi un vangelo “sminuzzato”, che alimenta in modo immediato e quotidiano la sequela di Cristo. I riferimenti in margine o in calce al testo costituzionale non sono riportati solo per mostrare che il testo non ha inventato nulla, ma sono un invito a fare della parola di Dio la chiave di lettura della Regola di vita, il primo manuale per la sua comprensione e quindi per una corretta interpretazione della natura e della qualità della vita e della missione della vita religiosa.

Chi non ricorda com’erano gli esercizi spirituali e i ritiri mensili per i religiosi una volta? Una serie di conferenze spirituali su temi «spirituali», spesso di tipo ascetico e morale, temi di riflessione, che hanno formato dei santi – nessuno lo vuol negare – ma che raramente avevano come punto di partenza e come sfondo la Parola nel suo compiersi come storia di salvezza. Essi venivano da autori, certamente rispettabili, della vita spirituale del tempo, e sembravano costruire delle teorie autonome e autarchiche per i religiosi: più una filosofia o un’etica che una teologia della vita religiosa.

Oggi non si riesce più a concepire un corso di esercizi spirituali che non parta dalla lettura attualizzante della parola di Dio. Contestualmente è stata introdotta la lettura spirituale della Parola, detta con termine proprio lectio divina. All’inizio non sono mancate voci che mettevano in dubbio la validità di questa nuova pratica, come fosse un’eredità monastica non omogenea con la spiritualità apostolica degli istituti di vita apostolica e diaconale. Giovanni Paolo II ha incoraggiato i religiosi a praticarla con assiduità (Vita consecrata nn. 6.94.101) e Benedetto XVI l’ha richiamata a tutta la Chiesa, religiosi compresi (!), chiamandola, con il suo vero nome, “lettura orante” della Parola (Sacramentum caritatis n. 45).

Un gran merito in questo rilancio della lectio divina va ascritto al cardina­le Carlo M. Martini che, guarda caso, non è un monaco, ma un religioso di vita apostolica, che ha contribuito a rendere popolare e accessibile a tutti la lectio divina, diventata un modo nuovo e attuale di leggere e pregare la parola di Dio. Oggi, pur senza conoscerne sempre bene la tecnica, oppure addomesticandola secondo il livello delle persone che la praticano, questa lettura orante della Parola può essere detta ormai prassi comune nelle comunità religiose, un nuovo cammino che ha rinnovato anche lo stile delle riunioni e delle revisioni di vita delle comunità.

La parola di Dio ha contribuito inoltre a rinnovare le pratiche di pietà e le devozioni proprie dei vari istituti che, rivisitate oggi a distanza di anni, danno la misura del cammino percorso. La Liturgia delle Ore oggi è ormai diventata la preghiera della vita consacrata, in sintonia con quella della Chiesa intera. Possiamo davvero dire, con un po’ di orgoglio (ci sarà permesso?) che di strada ne abbiamo fatta davvero molta.

 

IL CAMMINO

DA PERCORRERE

 

Certo con tutto questo rimane ancora del cammino da percorrere e il prossimo sinodo potrà essere l’occasione per una revisione e per un’ulteriore tappa in questa approssimazione alla Parola. Ci rendiamo conto che la conoscenza della Parola non è ancora sufficiente e che allo studio di essa non dedichiamo ancora abbastanza tempo. Notiamo che qualche volta la usiamo senza conoscerne il senso vero, che la spiritualizziamo staccandola dal suo contesto oppure la strumentalizziamo piegandola ai nostri interessi personali o usandola come stampella per i nostri argomenti. Allora la Parola non è quella “voce” che risuona per invitarci a rivolgerci a Dio e a metterci al suo servizio e che dovremmo accoglie­re con senso di adorazione, ma diventa qualcosa che noi usiamo come se avessimo su di essa un potere personale. C’è ancora un po’ di strada da percorrere. In fondo non sono che pochi anni che abbiamo cambiato le nostre abitudini e i ritorni di fiamma dell’antico modo di vivere la vita religiosa non sono da escludere.

Rileggendo il documento Ripartire da Cristo (n. 24) possiamo renderci conto di quello che ancora dobbiamo fare affinché la Parola penetri nei nostri ambienti e vi metta stabilmente radice: «È necessario che l’ascolto della Parola diventi un incontro vitale ... che fa cogliere nel testo biblico la parola viva che interpella, orienta, plasma l’esistenza. È lì infatti che il Maestro si rivela, educa il cuore e la mente. È lì che si matura la visione di fede, imparando a guardare la realtà e gli avvenimenti con lo sguardo stesso di Dio, fino ad avere «il pensiero di Cristo» (1 Cor 2, 16).

In fondo questo impegno per ridare alla Parola uno spazio centrale nella vita consacrata, e prima di tutto nel periodo della formazione di base, è in linea con il carisma del fondatore a cui lo Spirito Santo ha fatto comprendere un aspetto particolare della “Parola-fatta-carne”, del Figlio di Dio che ha assunto la nostra umanità e la nostra storia. È dal mistero pasquale di Cristo, Parola vivente, che sono nati i carismi che lo Spirito ha distribuito nella sua Chiesa. Per questo, discepoli dei fondatori, dobbiamo ritornare alla vera sorgente dei carismi, e cioè alla parola di Dio, letta nello Spirito che l’ha animata nella sua vicenda “nella carne” e che la rende ancora oggi risposta viva e “spirituale” per il mondo d’oggi. E sarà proprio lo Spirito di Gesù che, animando la Parola, condur­rà i discepoli d’oggi “alla verità tutta intera» (Gv 16, 13).

La parola di Dio sarà così l’alimen­to per la vita, per la preghiera e per il cammino apostolico, lo strumento più efficace per la formazione permanente dei religiosi. È una strada che dobbiamo continuare a percorrere, come ha detto Giovanni Paolo II ai religiosi: «È neces­sario che non vi stanchiate di sostare in meditazione sulla Sacra Scrittura e, soprattutto, sui santi vangeli, perché s’imprimano in voi i tratti del Verbo Incarnato» (Omelia del 2 febbraio 2001).

Non basta tuttavia una lettura spirituale o una lectio divina solo individuale. Dobbiamo far di tutto perché essa diventi componente necessaria della nostra vita comunitaria affinché essa informi il nostro «essere insieme», come famiglia di Dio, come piccola Chiesa. Così «nutriti della Parola, resi uomini e donne nuovi, liberi, evangelici, i consacrati potranno essere autentici servi della Parola nell’impegno dell’evangelizzazione» (Ripartire da Cristo n. 24).

Gabriele Ferrari s.x.