FRA J. R. CARBALLO AI GIOVANI OFM
UNA SCELTA RADICALE DI VITA
«Fondato sulla certezza del vostro desiderio di seguire il Signore, non
esito a chiedervi fin d’ora una scelta radicale di fede e di vita, di accogliere
il messaggio di Gesù nella sua totalità e nella sua radicalità, per esigente
che esso sia e anche quando è segnato dalla croce».
«Fate quello che vi dirà”: l’invito rivolto da Maria ai
servi alle nozze di Cana è stato scelto da Fr. José Rodríguez Carballo, ofm,
Ministro generale dei minori francescani, come titolo di una lunga lettera, con
data 27 maggio 2007, solennità della
Pentecoste, ai giovani frati dell’Ordine
in vista del 3° Capitolo delle
stuoie che sarà celebrato in Terra Santa
dal 1 all’8 luglio prossimo. I giovani, scrive Carballo, sono «un dono speciale
dello Spirito» per la Chiesa e per
l’Ordine. Proprio per questo ha voluto indirizzare loro la lettera: «Lo faccio
– afferma – per dirvi quanto vi amo e quanto spero in voi, quanto vi ama e
spera in voi l’Ordine; lo faccio con il fermo proposito di farmi presente nel
vostro cammino. Conosco le vostre possibilità e la vostra generosità. Conosco
la vostra sete di pienezza. So che in molti di voi arde un forte desiderio di
autenticità nel seguire Gesù Cristo e che, mossi dal fuoco dello Spirito,
cercate con sincerità Dio sommamente amato». Perciò, «fondato su questa
certezza, non esito a chiedervi fin d’ora una scelta radicale di fede e di
vita, di accogliere il messaggio di Gesù nella sua totalità e nella sua
radicalità, per esigente che esso sia e anche quando è segnato dalla croce».
Il primo invito che Carballo rivolge ai giovani è di
cercare Dio, con la stessa sete di cui parla il salmista: «Come la cerva anela
ai corsi d’acqua così l’anima mia anela a te, o Dio. L’anima mia ha sete di
Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio?» (Sal41,2s).
Dobbiamo essere «mendicanti di senso, cercatori di Dio. Questa ricerca sostiene
la nostra vita, la alimenta, la giustifica.
Questa ricerca è risposta a una chiamata che risuona
sempre nel cuore, è vocazione di tutti quelli che amano e
non godono ancora della presenza dell’amato. Questa è
anche la nostra vocazione, quella di essere cercatori di Dio».
Cercare Dio e incontrarlo anzitutto nel quotidiano. In
effetti, «il quotidiano è, senza dubbio, il luogo preferito dal Signore per
lasciarsi incontrare: Mosè, mentre pasceva il gregge di suo suocero Ietro (cf.
Es 3,1ss); Gedeone, mentre batteva il grano (cf. Gdc 6,11-24); Amos, mentre pascolava
il suo gregge (cf. Am 7,15); i primi discepoli, mentre stavano per mettersi a
pescare (cf. Lc 4,18-21); la samaritana, mentre andava a prendere acqua (cf. Gv
4,4); Matteo, mentre stava seduto al banco delle imposte (cf. Mt 9,9);
Francesco nei segni più piccoli e quotidiani, poiché tutti di Lui portano
significazione. È significativo che i racconti vocazionali del Nuovo Testamento
segnalino Gesù che passa (cf. Mc 1,16), cioè Gesù che si pone allo stesso
livello dell’uomo, per incontrarlo sul suo stesso terreno.
Incontrare Dio nel quotidiano, fare esperienza di Dio
giorno per giorno, è un invito ad abbandonare lo spazio sicuro dei nostri
criteri e della nostra sapienza umana, per accettare di vivere il progetto di
Dio che si “esilia” dalla sua gloria per fare esperienza incarnata nella nostra
storia...
come trovare dio
nel quotidiano
Elemento essenziale per trovare Dio nel quotidiano è la
fede. Infatti, «senza fede il quotidiano è solamente “il terribile quotidiano”;
con la fede si trasforma in sacramento della presenza di Dio e sacramento della
presenza davanti a Dio. I “segni dei tempi”, che dovrete decifrare, di solito
sono quelli della vita di tutti i giorni. Dio si serve dei fatti più piccoli
della vita per manifestarsi. Dio chiede di incontrarvi lì dove siete, in ciò
che fate, nel contesto della vostra esistenza quotidiana. Non andate a cercare
Dio da qualche altra parte. Egli è presente nell’appuntamento del quotidiano.
Cercate Dio nella liturgia dei giorni feriali. Cercate Dio nella polvere, negli
stracci delle pulizie e nel sudore della vostra quotidianità. No, non cercate
il Signore nelle stravaganze o nel sensazionale. Cercatelo nella preghiera
silenziosa, che tante volte risulta difficile; nei momenti di deserto e di
prova, che la vita vi dispensa; nel cammino quotidiano della vita di
fraternità, tante volte tortuoso e carico di difficoltà; nella quotidianità del
vostro lavoro domestico, nello studio o nell’apostolato… Lì incontrerete il
Signore!
Questo suppone, tra l’altro, abbandono in Colui che,
avendo cura degli uccelli del cielo, dei gigli del campo e dell’erba, che oggi
c’è e domani muore, fa molto di più per ciascuno di noi (cf. Mt 6,25-34).
Suppone una conoscenza reale di se stessi, senza complessi di inferiorità, ma
senza mettersi al di sopra delle proprie possibilità. Suppone libertà di fronte
al tempo, senza angosce e ansietà fuori luogo. Suppone di dare qualità alla
vita di ogni giorno. Nel quotidiano, nelle piccole cose che costituiscono, di
giorno in giorno, la nostra vita e il nostro mondo, si mette in gioco la vita e
si mette in gioco niente meno che l’amore. Nel quotidiano si rinnova la fonte
del cuore: si impara ad amare oltre le gratificazioni immediate, gratuitamente,
e si amano le persone nella loro realtà, senza pretendere di trasformarle a
nostra immagine e somiglianza. Nel quotidiano si dimostra la fedeltà
nell’amore. È vero che ogni giorno ha la sua croce, ma è anche vero che ogni
giorno il Signore ci riserva una novità che dà senso a questa croce e mette
bellezza nelle difficoltà che incontriamo.
Scommettete sul valore del quotidiano, altrimenti
correrete il rischio di vivere ai margini della realtà e di vivere una falsa
spiritualità: una spiritualità “senza carne”, senza senso, che prima o poi
finisce per lasciare scoperto il vuoto esistenziale su cui poggiava. Cercate lo
straordinario nell’ordinario. Date qualità alla vita di ogni giorno».
UNA RICERCA CHE DURI
TUTTA LA VITA
Quanto dura questa ricerca di Dio? L’interrogativo è
fondamentale soprattutto per chi si sente chiamato a seguire il Signore sulla
via della speciale consacrazione. «La risposta, scrive Carballo, è facile,
anche se non sempre è quella che ci aspettiamo e desideriamo. La ricerca di
Gesù dura tutta la vita. Il Signore, come dice Geremia, è come dei wadi,
torrenti infidi e dalle acque incostanti (cf. Ger 15,18): queste valli profonde
del deserto, che durante le tormente si riempiono d’acqua, ma nelle quali,
appena terminata la pioggia, l’acqua sparisce. Il Signore si lascia incontrare
da chi lo cerca, ma non si lascia mai prendere, per questo, quando uno meno se
lo aspetta, di nuovo scompare e la ricerca deve continuare. È così sempre, fino
a che “lo vedremo così come egli è” (1Gv 3,2). Smettere di cercarlo, è
perderlo. E per quanto più tempo si lascia di cercarlo, più è difficile tornare
a incontrarlo. Può succedere che nell’attesa del Signore, come alle fanciulle
della parabola, vi sopraggiunga il sonno e vi addormentiate. Vi sveglierà la
voce di Colui che vi chiama all’incontro con lo sposo, ma sarà necessario
essere lì quando egli arriverà e che le vostre lampade siano accese con l’olio
della carità e la fiamma del desiderio, perché non accada che si chiuda la
porta e voi rimaniate fuori, nella notte, lontani dalla festa e dalla gioia
(cf. Mt 25,1ss)».
È necessario ricordarsi che « la vita religiosa, non è
uno “stato” o una “meta”. La nostra vita è cammino ed è nel cammino che
incontriamo il Signore, che il Signore ci parla e si incontra con noi, come nel
caso dei discepoli di Emmaus (cf. Lc 24,13ss) o di Paolo (cf. At 9.3).
Mettetevi in cammino, perché è lungo il cammino che il Signore vi mostrerà il
suo volto e dove vi sarà dato di «comprendere meglio la propria vocazione».
Come Paolo sforziamoci di raggiungere la meta, lasciandoci conquistare da Cristo
(cf. Fil 12).
Mettetevi in cammino
perché nella nostra vita, come ci ricorda Gregorio di Nizza, procediamo
“di inizio in inizio, attraverso inizi che mai hanno fine”... Mettersi in
cammino significa intendere la vita come un processo mai terminato, come un
progetto sempre da perfezionare e vedersi lanciati in avanti, proiettati in
avanti dalla forza dello Spirito. Vivere la vita come processo e progetto
suppone di imparare a vivere non in funzione del nostro bisogno di sicurezza,
ma assumendo il rischio dell’autenticità e della verità (cf. Gn 12,1-9).
Si mette in cammino chi ascolta la parola della chiamata
del Signore, come la ascoltò nella sua terra di Ur dei Caldei il patriarca
Abramo (cf. Gn 12,1); chi presta attenzione al cuore, per conoscere le opere di
Dio in lui; chi cerca di piacere a Dio in tutto ciò che fa e confessa umilmente
che in ogni cosa desidera manifestargli l’amore che ha per lui, come l’apostolo
Pietro giunto al lago di Tiberiade: «Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo»
(Gv 21,17).
UNA SEQUELA
MOLTO ESIGENTE
La conseguenza logica della ricerca e dell’incontro,
sottolinea Carballo, è la sequela. Noi cerchiamo, per incontrare e, una volta
incontrato colui che cerchiamo, siamo chiamati a seguirlo: “seguimi” (Mc 2,14),
“seguitemi” (Mc 1,17). Ma cosa implica la sequela?
«Le esigenze della sequela Christi sono certamente molte.
Seguire Gesù non è mai stato facile e non lo è nemmeno oggi. Gesù, a chi vuole
seguirlo, continua a chiedere, oggi come ieri, radicalità. Radicalità di fronte
ai beni materiali: “va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri … poi vieni
e seguimi” (Mt 19,28); “chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non
può essere mio discepolo” (Lc 14,33). Radicalità con se stessi: “se qualcuno
vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e
mi segua” (Lc 9,23). Radicalità di fronte a ciò che più si ama: “Se uno viene a
me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle
e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo” (Lc 14,26). Gesù
continua a esigere esclusività: “lascia i morti seppellire i loro morti” (Mt
8,22). Continua a reclamare una scelta definitiva: “nessuno che ha messo mano
all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio” (Lc 9,62).
Poiché la chiamata e il dono di Dio sono irrevocabili (cf. Rm 11,29), dato che
si fondano sul suo amore forte e fedele in eterno (cf. Sal 118,2), la risposta
del discepolo non può essere part time. Il tornare sui propri passi non è
previsto. Il dono di sé a Gesù non può che essere assoluto. Da ultimo, a chi
chiede di seguirlo, Gesù chiede di entrare per la porta stretta, perché è la
sola a portare alla vita (cf. Mt 7,13s). Essere discepolo è seguire Gesù, le
sue orme, ripetere il suo cammino. Al discepolo non è permesso percorrere altro
cammino.
“Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i
loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (Mt 8,20). Come
il prode esce dalla tenda per percorrere la via (cf. Sal 18,6), così al discepolo
si chiede di lasciare la tana, cioè ogni sicurezza, di rischiare, di andare
oltre, di esporsi alle intemperie e mettere tutta la sua fiducia nel Signore.
Il discepolo deve rinunciare anche al nido: deve, cioè, confrontarsi con la
durezza dell’impatto con la vita quotidiana, con l’aggressività della vita,
inevitabile quando uno vive la radicalità della consacrazione religiosa. In
questo modo il discepolo è chiamato a creare un vuoto totale intorno a sé, a
lasciar seccare le radici che gli danno sicurezza per lasciarsi conquistare dal
Signore e perché il Signore sia tutto per lui: la sua sicurezza, la sua
ricchezza, il suo bene, tutto il bene, l’unico bene. Se è vero che uno non
nasce discepolo ma lo diventa, possiamo dire anche che l’uomo arriva a essere
discepolo solo quando lascia la tana e il nido e confida totalmente nel
Signore. È allora che nasce come uomo libero.
Tali esigenze sono incompatibili con una sequela
condizionata, sia a livello di tempo – una sequela part time: “nessuno che ha
messo mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio”
(Lc 9,62) –, sia in rapporto alla radicalità del dono di sé: “concedimi di
andare a seppellire prima mio padre”; “lascia che io mi congedi da quelli di
casa” (Lc 9,59.61); “lascia che i morti seppelliscano i loro morti” (Lc 9,60).
COSA IMPLICA
SEGUIRE GESÙ?
Seguire Gesù implica un desiderio profondo di vivere con
lui, per lui e come lui per sempre, in ogni circostanza e momento. Seguire Gesù
significa: condividere il suo cammino e il suo destino, adottare i criteri a
cui lui si è ispirato, fare propri i suoi obiettivi e collaborare attivamente
alla sua missione. Seguire Gesù significa adesione di tutta la persona
all’unico che ha parole di vita eterna. Non si può seguire Gesù solo a livello
di sentimenti. Seguire Gesù non è nemmeno semplicemente accettare
intellettualmente una dottrina o un insegnamento, ma scegliere concretamente
Gesù: è una vita, una prassi. La vita del discepolo diventa così un autentico
rischio. Un rischio assoluto. Il rischio di una povertà esistenziale reale, che
obbliga a confessare a se stessi che senza il Dio del Vangelo non esiste
possibilità di speranza.
Inoltre, «non si può seguire Gesù senza una fede retta;
non si può assumere la radicalità, che comporta “seguire più da vicino il
Vangelo e le orme di nostro Signore Gesù Cristo”, senza una fede che implichi
tutto ciò che siamo e si trasformi in “sorgente della nostra letizia e della
nostra speranza, della nostra sequela di Gesù Cristo e della nostra testimonianza
al mondo”... Ma la fede di cui stiamo parlando non è il risultato di un atto
puramente intellettuale e nemmeno un impegno morale: è l’adesione totale alla
persona di Gesù. È, prima di tutto, apertura incondizionata al rapporto
personale con Gesù... Per questo è nella sequela che si manifesta la fede:
«lasciarono tutto e lo seguirono» (cf. Mc 1,18.20; Lc 5,28). Crediamo in Lui e
seguiamolo, fidiamoci di Lui e non domandiamogli dove ci conduce; conosciamo il
suo amore e lo amiamo e non abbiamo bisogno di calcolare i rischi per esserci
messi in cammino con lui. È stato tutto molto semplice: ci ha chiamato, come
Abramo, il suo amico; ci ha attratti, come la sposa del Cantico, la sua amata;
ci ha sedotto, come Geremia, il suo profeta. Le sue parole erano fiamme di
fuoco: “se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua
croce e mi segua” (Mc 8,34) e noi ci siamo lasciati attirare dalla sua luce e
dal suo calore: “subito lo seguirono” (Mc 1,18; cf. Mt 4,20.22; 8,18-22).
Cari giovani, non chiudetevi al suo amore, nell’illusione
di una impossibile autosufficienza (cf. Gn 3,1-7). Lasciate che Gesù entri nel
vostro “spazio vitale”. Come la samaritana del Vangelo, offritegli ciò che
siete, ciò che avete, la vostra verità senza restrizioni. Solo lui sazierà
definitivamente la vostra sete di pienezza.
Di fronte la rischio di una fede momentanea e
occasionale, che non porti a unificare la vita, o davanti al rischio di una
appartenenza parziale, che non sfocia nell’esperienza di un vero discepolato,
dovete ricordare che credere è coinvolgersi nel progetto di Dio, fidandosi
della sua fedeltà, confidando nella sua promessa, saldi sulla roccia della sua
bontà e misericordia. E, dato che la storia della salvezza ha raggiunto la sua
pienezza in Cristo, credere significa seguire Gesù, mettere Gesù al centro
della propria vita, fare di Gesù il fondamento del nostro presente e del nostro
futuro. Di fronte al rischio della frammentazione e della schizofrenia
spirituale e interiore, Gesù è l’amore che dà unità al vostro cammino, alla
vostra storia; Gesù è l’unico che può portarvi ad unità, che può condurvi alla
fonte della perfetta comunione.
INCONTRARE IL TESORO
FACILITA IL CAMMINO
«L’incontro precede la sequela. I discepoli seguono il
Signore solo dopo essersi incontrati con lui. Lo stesso accade a Paolo. In
entrambi i casi c’è stato un incontro con Gesù e una parola da parte sua; chi
l’ha ascoltata e accolta nel cuore si è sentito “conquistato” (Fil 3,12),
“prescelto” (Rm 1,1), “chiamato” (1Cor 1,1) “amato” (Gal 2,20). Lo stesso
accade oggi. Per seguire Gesù bisogna incontrarlo, credere in lui, ascoltarlo,
seguirlo e morire con lui per poter con lui risorgere.
D’altra parte l’incontro è ciò che dà senso alla sequela
nelle sue esigenze più radicali. Si lascia qualcosa, perché si incontra
qualcosa; si lascia tutto, perché si incontra tutto, o meglio, colui che è
tutto. È significativo che nella vocazione dei primi discepoli il distacco, la
rinuncia, si esprime attraverso un doppio movimento di separazione e di avvicinamento:
lasciano tutto (cf. Mc 1,18.20) e si avvicinano a lui (cf. Mc 3,13). È tale la
gioia della scoperta che giustifica la vendita di tutto, per raggiungere il
tesoro (cf. Mt 13,44).
Mentre la tristezza blocca, la gioia motiva la decisione
di seguire Gesù. La gioia della scoperta, una scoperta sempre gratuita e
sorprendente, la passione per il “tesoro nascosto”, l’amore per Gesù fa sì che
la rinuncia a tutto ciò che uno ha non risulti come un atto eroico, uno
straordinario sacrificio o un’estrema privazione, ma sia come una conseguenza
dell’aver incontrato colui che può colmare le aspirazioni più alte e la vita
stessa di una persona. Per chi conosce Gesù – per chi incontra il tesoro
nascosto – egli è il solo necessario e tutto il resto è secondario. Non perché
tutto perda di significato, ma perché, alla fine, tutto è considerato una
perdita pur di guadagnare lui (cf. Fil 3,7.12).
Il discepolo lascia tutto per avvicinarsi a colui che è
tutto: “forse anche voi volete andarvene? … Signore, da chi andremo? Tu hai
parole di vita eterna” (Gv 6,67s). Il discepolo si pone nell’essenziale e
l’essenziale sta solo in chi ha parole di vita eterna. Il discepolo non ha
alcun bene superiore a lui (cf. Sal 16,2). Il discepolo, come Paolo, è stato
conquistato da lui (cf. Fil 3,12), fino a poter dire che lui è la sua vita (cf.
Fil 1,21; Gal 2,20). Essere discepolo non si misura per quello che uno lascia –
anche se deve lasciare molte cose – ma per quello che incontra.
Anche in questo caso voglio domandarti: Ti sei realmente
incontrato con Gesù? Come? Quando? I discepoli lo ricordano esattamente (cf. Gv
1,39). Come alimenti questo primo incontro?
NON SI PUÒ TENERE
UN PIEDE IN DUE SCARPE
Ma «non basta cercare e incontrare, è necessario
decidersi. Chi desidera tenere un piede in due scarpe non può camminare. È ora
di scegliere con decisione Cristo, di seguirlo incondizionatamente, mossi solo
dalla fede. Non è l’ora di tendere al ribasso nella vita cristiana, religiosa e
francescana. Non è il tempo per la mediocrità. Non lo è mai stato e non lo è
oggi. È l’ora, come dirà Chiara, «per aderire col più profondo del cuore a
colui, … il cui affetto appassiona, la cui contemplazione ristora, la cui
benignità sazia, la cui soavità ricolma, il cui ricordo risplende soavemente».
È il momento per dare tutto il cuore per colui e a colui che è il “Re dei re” e
“Signore dei signori”. È l’ora della fedeltà... La fedeltà consiste nel fare i
cambiamenti necessari in ogni istante della vita, per rimanere lungo tutto il
suo corso saldamente ancorati ai valori che ci definiscono... La fedeltà non è
la stabilità del luogo, ma del cuore, fino a poter dire con il salmista: “se
contro di me si accampa un esercito, il mio cuore non teme” (Sal 26,3), “saldo
è il mio cuore, Dio, saldo è il mio cuore” (Sal 56,8). E poiché di cuore si
tratta, ricordate che la fedeltà è sempre incalzata e per questo deve essere
attentamente custodita. Niente è più precario e minacciato della fedeltà.
Sparisce nel momento in cui smettiamo di
curarla. Vocazioni e matrimoni naufragano per trascuratezza.
Essere fedele, quindi, esige disciplina, lavorare fino al
termine della vita, non dando niente per scontato, e lottando come l’atleta
fino a che la gara non sia terminata e non si conquisti la corona (cf. 1Cor
9,25). La fedeltà esige vigilanza, perché il tempo della difficoltà non vi
sorprenda come un ladro. La fedeltà non è tale fino a quando non la si mette
alla prova. La fedeltà esige un discernimento costante per capire “ciò che è
gradito al Signore” (cf. Ef 5,8-10). La fedeltà esige anche costanza per non
venir meno di fronte alle difficoltà o “persecuzioni” (cf. Mc 4,17), per non
darsi per vinti: “non esiste insuccesso – dice Kin Hubbard – che il non
provarci. Non esiste sentiero che quello che ci imponiamo. Non esiste ostacolo
insuperabile che la nostra stessa debolezza verso il proposito”. Ma a noi
spetta, parafrasando il poeta Hölderlin, stare a capo scoperto sotto le
tempeste di Dio, per afferrarne un raggio di luce con le mani.
Mantenetevi fedeli e fermi nel proposito, e la vita sarà
un miracolo che accade ogni giorno. Siate fedeli fino alla morte e il Signore
vi darà la corona della vita (cf. Ap 2,10). Affrontate la prova ricordando la
fedeltà di Dio, la cui misericordia e compassione non hanno fine, ma si rinnovano
ogni mattino (cf. Lam 3,21-25). Scommettete sempre sull’amore (cf. 1Cor 16,13).
Diceva Bernanos “perché una stanza sia calda, è necessario che il focolare sia
ben acceso”. Avete bisogno di scommettere sull’amore ardente e appassionato per
il Signore, per l’umanità amata dal Signore, sull’esempio di Francesco e di
tanti frati che ci hanno preceduto in questi 800 anni.
Cari fratelli, siete disposti a darvi totalmente a Gesù,
a seguirlo con cuore indiviso? Siete disposti ad affrontare le prove che
comporta la sequela di Cristo?»
RAVVIVARE
LA MEMORIA
«Sono ormai passati alcuni anni da quando ciascuno di voi
ha ascoltato la chiamata del Signore. Allora, come Eliseo seguì Elia e si mise
al suo servizio (cf. 1Re 19,21), come la promessa sposa segue il suo futuro
sposo (cf. Ger 2,2), come il gregge segue il pastore (cf. Sal 79,2) e il popolo
il suo re (cf. 2Sam 15,13;17,19), così voi avete seguito il Signore. Sono
passati alcuni anni e, mentre la maggior parte di voi segue ogni giorno da
vicino le orme di Gesù Cristo, può capitare che a qualcuno sia venuto meno
l’entusiasmo dell’inizio e più di qualcuno cominci a fare i conti: ho lasciato
tutto per seguire il Signore e ora? (cf. Mt 19,27).
Caro giovane frate, ti invito a ravvivare la memoria di
quel giorno in cui il Signore, passando al tuo fianco, ha fissato i suoi occhi
su di te e amandoti (Mc 10,21) ti disse: seguimi. E ti invito anche a far
memoria di quel giorno in cui con totale disponibilità, come il profeta e come
Maria, rispondesti “Eccomi” (Is 6,8; cf. Lc 1,38) e con totale generosità, come
i primi discepoli, lasciasti tutto per seguirlo (cf. Lc 5,11)...
Passano gli anni e la fedeltà del Signore rimane, come è
chiamata a rimanere la vostra risposta. Passano gli anni e il Signore, oggi
come ieri, è geloso di voi. Per Gesù siete i suoi discepoli (cf. Mc 4,34).
Passano gli anni e Gesù vi chiede ed esige prontezza (cf. Mc 1,18.20; 2,14; Lc
9,59-62). Passano gli anni e, benché oggi non sia di moda, Gesù esige
un’opzione definitiva (cf. Lc 9,62). Passano gli anni e, come a Pietro, Gesù vi
rinnova l’invito: “seguimi”» (Gv 21,19).
Ma, prosegue Carballo, «vedendo le esigenze della sequela
di Gesù, alcuni di voi potrebbero forse pensare, anche senza dirlo apertamente,
che esse non sono accettabili per l’uomo di oggi. Di fatto, ai nostri giorni,
particolarmente tra le giovani generazioni, che di solito sono più sensibili
all’influsso dell’ambiente in cui vivono, più accoglienti e, per ciò stesso,
più vulnerabili, sono molti coloro che vivono sotto il segno dell’emozione e
della provvisorietà e si lasciano dominare dalla dittatura del relativismo per
la quale tutto è sospetto, tutto è sempre negoziabile e che, in molti cuori,
alimenta sentimenti di incertezza, insicurezza e instabilità. Sono molte le
vittime del dubbio sistematico, costrette a rifugiarsi nel quotidiano e nel
mondo dell’emotività.
ATTENTI AL DUBBIO
E AL RELATIVISMO!
Sono molti i sedotti dalla cultura del part time e dello
zapping,1 che porta a non assumere impegni di lunga durata, a passare da
un’esperienza all’altra, senza approfondirne nessuna. Sono molti i sedotti
dalla cultura light, che non lascia spazio per l’utopia, per il sacrificio, per
la rinuncia. Sono molti i sedotti dalla cultura del soggettivismo, per i quali
l’individuo è la misura di tutto e tutto è visto e valutato in funzione di se
stessi, della propria realizzazione. Questa mentalità postmoderna genera,
specialmente nelle nuove generazioni, una personalità incerta, poco definita,
che rende più complicato poter comprendere ciò che già di per sé è difficile:
le esigenze radicali della sequela di Cristo».
Senza dubbio, «il mare in cui vi è toccato navigare è
agitato (cf. Lc 8,23). Per seguire Gesù dovete confrontarvi con un contesto
complesso e ambiguo che giudica la vita consacrata da cima a fondo, come si
guarda a un vecchio cappotto fuori moda. Dovete confrontarvi con una cultura in
cui il cambiamento è apprezzato come espressione di dinamismo, di progresso e
capacità creatrice e che, per contrario, svaluta e guarda con sospetto alla stabilità
e a ciò che è permanente, anche quando si tratta di qualcosa che dà fondamento,
consistenza e senso alla vita. Dovete confrontarvi con una cultura che
sacralizza il “disordine dello spirito” e che porta ad ammirare la flessibilità
e le facili sistemazioni, invece della convinzione e della fermezza in ciò che
è essenziale. Dovete confrontarvi con una cultura che genera un grande
“disordine amoroso”, molto difficile da gestire, che con frequenza interrompe
il dialogo dell’amore e può facilmente finire nel più atroce egocentrismo.
Dovete confrontarvi con una cultura satura di “saperi”, ma che in molti casi
ignora la sapienza dell’essenziale; con una cultura che porta a sentirsi come
la “folla solitaria” della grande città, tentata da quell’individualismo che
spegne la gioia dell’appartenenza, corrode l’identità e genera un’esistenza
“blanda”, in cui le tensioni si dissimulano davanti alla televisione, alla
stimolazione musicale o al computer. Dovete confrontarvi con una cultura in cui
la parola dominante, “niente a lunga scadenza”, logora la fiducia nelle proprie
capacità, la lealtà e l’impegno definitivo...».
PRENDETE IL LARGO
SIATE FORTI!
«Cari giovani, prendete il largo (cf. Lc 5,4), siate
forti! (1Cor 16,13)! Se volete seguire Gesù dovete essere preparati a dar
battaglia a tutte queste manifestazioni della cultura postmoderna; dovete
essere pronti ad andare controcorrente e contro la cultura dominante. Seguire
Cristo oggi suppone di assumere un progetto controculturale fondato su una
solida e profonda esperienza di Dio e nella radicalità evangelica. La sequela
di Gesù non ha niente a che vedere con le ideologie di moda o con
l’avvicendarsi delle filosofie. Tanto meno è per i mediocri, non ammette
sconti. Gesù chiede tutto, “il Signore ti chiede tutto”, perché lui prima ti ha
dato tutto. Lui ci ha amato per primo.
A quanti di voi si sentono motivati a seguire Cristo con
radicalità dico: confidate nel Signore e sarete felici, proclamate le
meraviglie che il Signore compie in voi e dite sempre: “il Signore è grande”
(Sal 38,17); che i suoi comandamenti siano la vostra delizia, confidate sempre
nella sua parola e adempite sempre la sua volontà (cf. Sal 118,41-48). Non
stancatevi di fare il bene e non scoraggiatevi, perché solo così potrete
mietere al tempo opportuno (cf. Gal 6,9; 2Cor 4,8).
A chi di voi, nel dono di sé, è tentato dalla mediocrità
o, talvolta, dall’idea di volgere indietro lo sguardo e andare via, dico con
forza: il Signore sta bussando alla porta del vostro cuore, Lasciatelo entrare!
Egli, come ripete di frequente Benedetto XVI, non prende nulla e dà tutto.
Dategli o, meglio ancora, datevi un’altra opportunità. Egli vi sta aspettando
da qualche parte, in qualche mezzogiorno della vostra vita di tutti i giorni,
come la samaritana (cf. Gv 4,1ss), proprio mentre camminate sommersi da tante
preoccupazioni. Permettetegli di chiedervi quanti “mariti” avete, quanti “Baal”
state adorando e a quanti “idoli” avete consegnato il vostro cuore, con quante
realtà, che vi sottraggono al “primo amore”, siete giunti a un compromesso.
Fermatevi un momento e pensate: è forse il marito “conformismo” che mi porta ad
adattarmi a ciò che c’è, senza il minimo senso critico? O il marito
“neoliberalismo e consumismo” che mi fa assumere il comfort come uno stile di
vita, spegnendo la “scintilla della follia” – la follia dell’amore – che aveva
messo in movimento la mia vita alla sequela di Cristo? Sarà forse il marito
“individualismo” che poco a poco mi separa dagli altri e mi chiude in me
stesso? O il marito “secolarismo” che mi allontana dal pozzo di acqua viva,
dall’incontro con il Signore e mi porta a frequentare “cisterne screpolate”,
che non spengono la sete del cuore e lo rendono incapace di un’esperienza
spirituale profonda e trasformante? “Hai detto bene ‘non ho marito’; infatti
hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai
detto il vero” (Gv 4,17s). A chi stai consegnando il tuo cuore? Chiedetevi se
Dio è realmente il centro affettivo indiscutibile delle vostre vite.
Entrando nella vostra vita, il Signore vi chiederà
qualcosa di molto semplice come un po’ d’acqua: “dammi da bere” (Gv 4,7).
Felice scusa! Ascoltatelo! Anzi parlate con lui, come fece la samaritana,
certamente anche voi tornerete a casa senz’acqua e senza brocca, ma con la
sete, fino ad allora sconosciuta, di attirare a lui tutta la città (cf. Gv
4,28s). Accogliete la notizia sorprendente che è il Padre a cercarvi e ad
attendere la risposta della vostra adorazione e, di sicuro, anche voi direte
col salmista: “poiché la tua grazia vale più della vita” (Sal 62,4). Allora la
vostra sete saziata si trasformerà in annuncio».
«Agli uni e agli altri, ai forti e ai deboli, ricordo che
non siete soli. Colui che vi chiama, vi dà la grazia per seguirlo. Nella
chiamata c’è la grazia per seguirlo. Il nostro Dio è il Dio dell’impossibile
(cf Lc 1,37) e, fidandosi di Lui, non ci sarà nulla di impossibile nemmeno per
voi (cf Fil 4,13). Non confidate nelle vostre forze. Confidate nel Signore e
sarete come un albero piantato lungo l’acqua, che estende le sue radici fino
alla corrente e non teme il caldo (cf Ger 17,8). Confidate nel Signore ed egli
avrà cura di voi. Scoprite le ragioni per andare avanti. Siate pronti in ogni
momento per dar ragione delle vostre scelte vocazionali. Siate fedeli al vostro
primo amore (cf Os 2,9). Costruite l’unità della vita intorno al primato di Dio
e il resto verrà in aggiunta. Egli sarà per voi, come lo fu per Francesco, il
bene, tutto il bene, il sommo bene, che supera ogni altro bene: egli sarà la
bellezza che attrae costantemente il vostro sguardo; la ricchezza che sazia la
vostra sete di pienezza; la sicurezza che vi rende coraggiosi. Non anteponete
niente all’amore di Cristo e vi assicuro che, malgrado debolezze e fiacchezze,
rimarrete fedeli alla forma vitae che avete professato. Siate fedeli a Dio che
ha fatto un’alleanza eterna con voi e che non smette di farvi il bene» (cf Ger
32,40).
La missione-evangelizzazione è una componente essenziale
della nostra vocazione. Esistiamo per la missione-evangelizzazione. Parlare
della missione-evangelizzazione è, quindi, parlare della nostra vocazione e
della nostra ragion d’essere nella Chiesa e nel mondo. Chiamati, come i primi
discepoli, a stare con il Maestro, siamo allo stesso tempo inviati (cf. Mc
3,14s) per annunciare con le parole e le opere che «non c’è nessun onnipotente
eccetto lui». Così contribuiremo a riempire la terra del vangelo di Cristo.
Cari Fratelli, non rifugiatevi facilmente nel “solito”,
non chiudete il cuore alla chiamata del Signore che vi invita ad “uscire”, ad
“andare” incontro all’altro...
Apritevi alla chiamata del Signore che vi chiede di
essere suoi collaboratori per aprire il cuore di molti al dono di Dio, allo
Spirito del Signore. Uscite da voi stessi, apritevi alla missione e la missione
trasformerà le vostre vite. La paura che molti di voi sentono si cambierà in
audacia per testimoniare con coraggio Cristo (cf At 2,4). Non si tratta di
essere avventurosi, ma di rispondere ad una vocazione che certamente avete
ricevuto: quella di essere missionari. Lasciate risuonare nei vostri cuori la
parola del Signore: «come il padre ha mandato me, anch’io mando voi» (Gv
20,21), «andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni» (Mt 28,19), «vi ho
costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga» (Gv
15,16). Non senti che il Signore sta sussurrando al tuo cuore e ti dice, come a
Francesco: «va’, ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina».
UN PROGETTO
ECOLOGICO DI VITA
Carballo richiama quindi l’attenzione sulla necessità di
darsi un progetto personale e fraterno
o, come egli lo chiama, un progetto ecologico di vita « che preveda un
tempo per il Signore, un tempo per gli altri e un tempo per noi stessi; un
progetto attento che la persona sia sempre protagonista della propria storia,
discernendo e stabilendo obiettivi a corto, medio e lungo raggio, con delle
mediazioni concrete».
Indica quindi luoghi privilegiati di incontro con Cristo:
l’Eucaristia, la Parola, la preghiera, la vita fraterna in comunità, la
formazione permanente...
Anzitutto l’Eucaristia: «Facendo mie le parole di
Giovanni Paolo II, vi dico: “incontratelo, carissimi, e contemplatelo in modo
tutto speciale nell’Eucaristia, celebrata e adorata ogni giorno, come fonte e
culmine dell’esistenza e dell’azione apostolica”. Partecipate attivamente,
possibilmente ogni giorno, all’Eucaristia, così che la vostra vita si plasmi
quotidianamente nella logica eucaristica e la vostra consacrazione assuma una
struttura eucaristica: totale oblazione di sé, strettamente associata al
sacrificio eucaristico. La celebrazione eucaristica sia il centro della vostra
vita spirituale. Lasciate che sia lo stesso Gesù a insegnarvi nell’Eucaristia
la verità dell’amore.
In secondo luogo la sua Parola, luogo in cui il Maestro «interpella, orienta, plasma
l’esistenza di chi si avvicina a lui con cuore povero... Fate della lettura
orante della Parola il cibo quotidiano della vostra vita e missione, della
vostra preghiera e della vostra vita di ogni giorno. Che non passi nemmeno un
giorno senza ascoltare, “ruminare”, e “dare alla luce” attraverso la parola e
le buone opere, la Parola depositata dal seminatore nella fertile terra dei
vostri cuori (cf. Mc 4,1ss). Senza immergersi nella Parola, le parole che
pronunciamo mancheranno di significato, di fondamento e di ispirazione».
In terzo luogo la preghiera, ambito adatto per maturare
la scelta vocazionale e rigenerarla ogni giorno, contemplando il suo volto: «La
nostra vita e missione non possono essere feconde senza l’incontro quotidiano
con il Signore, senza che il nostro cuore sia costantemente rivolto verso di
lui, senza momenti prolungati di colloquio silenzioso con colui dal quale ci
sappiamo amati, chiamati e inviati: “come il tralcio non può far frutto da se
stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me” (Gv
15,4); “senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5). Senza preghiera la nostra
fede si indebolirà progressivamente e correremo il rischio di soccombere alle
seduzioni dei surrogati. Pregare incessantemente (cf. Lc 22,40), invece, è il
segreto di una vita religiosa e francescana autentica e feconda, in cui si
scopre la bellezza della sequela di Cristo Gesù».
A tutto questo deve aggiungersi la vita fraterna,
attraverso cui «si fa concreto l’amore (cf. Gv 4,8) e dove la tenerezza di
Dio si traduce in gesti: La Fraternità è
il luogo per dare alla carità il volto dell’amicizia, della cortesia, della
delicatezza, della gratuità e dove prende carne l’esperienza di Dio, che ci si
dona gratuitamente nell’Eucaristia, nella Parola e nell’orazione. La Fraternità
è anche il luogo dove mettiamo alla prova la nostra capacità di ascolto e di
accoglienza della fecondità di Dio, aprendoci alla diversità dell’altro. La
Fraternità è, di fatto, comunione nella diversità, il luogo in cui si mostra la
fede e la fiducia che uno ha nell’altro, nel diverso. Per questo la Fraternità
è il primo luogo di evangelizzazione (cf. Gv 13,35), la “prima testimonianza
per il mondo”, il primo atto missionario dei frati, una buona notizia per
tutti, un’azione profetica di speranza per il nostro mondo diviso e
frammentato».
Un altro elemento sui cui Carballo insiste è la
formazione permanente che non deve ridursi a una semplice
formazione-informazione intellettuale, né a una attualizzazione di contenuti e all’acquisizione
di nuove capacità professionali e pastorali... «La formazione permanente
consiste, prima di tutto, nell’assumere la responsabilità di vivere in un modo
che corrisponda alla forma vitae che abbiamo abbracciato. La formazione
permanente è darsi una forma, non solo una informazione. È la libertà impegnata
con se stessi a vivere un continuo processo di trasformazione personale verso
ciò che uno ha scelto come sua forma di vita; è seguire Cristo per lasciarsi
trasformare da lui, in un Fraternità di fratelli chiamati alla stessa vocazione
e missione. In tempi, come i nostri, di una certa debolezza di tutte le scelte
di vita, con serie difficoltà a dire “per sempre”, questa consistenza della
formazione permanente è essenziale se si desidera rimanere fedeli».
Fra gli altri luoghi privilegiati per l’incontro con il
Signore sono segnalati anche i poveri e l’accompagnamento personalizzato.
Questi alcuni contenuti della lettera. Carballo afferma
di averla scritta ai giovani «tenendo la Sacra Scrittura in mano e nel cuore»
per dire loro: «sia la Parola, cioè Cristo stesso, a guidare la vostra
esistenza – la vostra ricerca e l’incontro con il Signore, la vostra sequela di
Gesù e la vostra testimonianza – interrogandovi, illuminandovi e trasformandovi
come nel caso dei discepoli di Emmaus» (cf. Lc 24,13-35)
Fra J.R. Carballo
1 Zapping vuol dire passare da un canale all’altro,
da un programma all’altro della televisione attraverso il telecomando.