FRA J. R. CARBALLO AI GIOVANI OFM

UNA SCELTA RADICALE DI VITA

 

«Fondato sulla certezza del vostro desiderio di seguire il Signore, non esito a chiedervi fin d’ora una scelta radicale di fede e di vita, di accogliere il messaggio di Gesù nella sua totalità e nella sua radicalità, per esigente che esso sia e anche quando è segnato dalla croce».

 

«Fate quello che vi dirà”: l’invito rivolto da Maria ai servi alle nozze di Cana è stato scelto da Fr. José Rodríguez Carballo, ofm, Ministro generale dei minori francescani, come titolo di una lunga lettera, con data 27 maggio  2007, solennità della Pentecoste,  ai giovani frati dell’Ordine in vista  del 3° Capitolo delle stuoie  che sarà celebrato in Terra Santa dal 1 all’8 luglio prossimo. I giovani, scrive Carballo, sono «un dono speciale dello Spirito»  per la Chiesa e per l’Ordine. Proprio per questo ha voluto indirizzare loro la lettera: «Lo faccio – afferma – per dirvi quanto vi amo e quanto spero in voi, quanto vi ama e spera in voi l’Ordine; lo faccio con il fermo proposito di farmi presente nel vostro cammino. Conosco le vostre possibilità e la vostra generosità. Conosco la vostra sete di pienezza. So che in molti di voi arde un forte desiderio di autenticità nel seguire Gesù Cristo e che, mossi dal fuoco dello Spirito, cercate con sincerità Dio sommamente amato». Perciò, «fondato su questa certezza, non esito a chiedervi fin d’ora una scelta radicale di fede e di vita, di accogliere il messaggio di Gesù nella sua totalità e nella sua radicalità, per esigente che esso sia e anche quando è segnato dalla croce».

 

Il primo invito che Carballo rivolge ai giovani è di cercare Dio, con la stessa sete di cui parla il salmista: «Come la cerva anela ai corsi d’acqua così l’anima mia anela a te, o Dio. L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio?» (Sal41,2s). Dobbiamo essere «mendicanti di senso, cercatori di Dio. Questa ricerca sostiene la nostra vita, la alimenta, la giustifica.

Questa ricerca è risposta a una chiamata che risuona sempre nel cuore, è vocazione di tutti quelli che amano e

non godono ancora della presenza dell’amato. Questa è anche la nostra vocazione, quella di essere cercatori di Dio».

Cercare Dio e incontrarlo anzitutto nel quotidiano. In effetti, «il quotidiano è, senza dubbio, il luogo preferito dal Signore per lasciarsi incontrare: Mosè, mentre pasceva il gregge di suo suocero Ietro (cf. Es 3,1ss); Gedeone, mentre batteva il grano (cf. Gdc 6,11-24); Amos, mentre pascolava il suo gregge (cf. Am 7,15); i primi discepoli, mentre stavano per mettersi a pescare (cf. Lc 4,18-21); la samaritana, mentre andava a prendere acqua (cf. Gv 4,4); Matteo, mentre stava seduto al banco delle imposte (cf. Mt 9,9); Francesco nei segni più piccoli e quotidiani, poiché tutti di Lui portano significazione. È significativo che i racconti vocazionali del Nuovo Testamento segnalino Gesù che passa (cf. Mc 1,16), cioè Gesù che si pone allo stesso livello dell’uomo, per incontrarlo sul suo stesso terreno.

Incontrare Dio nel quotidiano, fare esperienza di Dio giorno per giorno, è un invito ad abbandonare lo spazio sicuro dei nostri criteri e della nostra sapienza umana, per accettare di vivere il progetto di Dio che si “esilia” dalla sua gloria per fare esperienza incarnata nella nostra storia...

come trovare dio

nel quotidiano

Elemento essenziale per trovare Dio nel quotidiano è la fede. Infatti, «senza fede il quotidiano è solamente “il terribile quotidiano”; con la fede si trasforma in sacramento della presenza di Dio e sacramento della presenza davanti a Dio. I “segni dei tempi”, che dovrete decifrare, di solito sono quelli della vita di tutti i giorni. Dio si serve dei fatti più piccoli della vita per manifestarsi. Dio chiede di incontrarvi lì dove siete, in ciò che fate, nel contesto della vostra esistenza quotidiana. Non andate a cercare Dio da qualche altra parte. Egli è presente nell’appuntamento del quotidiano. Cercate Dio nella liturgia dei giorni feriali. Cercate Dio nella polvere, negli stracci delle pulizie e nel sudore della vostra quotidianità. No, non cercate il Signore nelle stravaganze o nel sensazionale. Cercatelo nella preghiera silenziosa, che tante volte risulta difficile; nei momenti di deserto e di prova, che la vita vi dispensa; nel cammino quotidiano della vita di fraternità, tante volte tortuoso e carico di difficoltà; nella quotidianità del vostro lavoro domestico, nello studio o nell’apostolato… Lì incontrerete il Signore!

Questo suppone, tra l’altro, abbandono in Colui che, avendo cura degli uccelli del cielo, dei gigli del campo e dell’erba, che oggi c’è e domani muore, fa molto di più per ciascuno di noi (cf. Mt 6,25-34). Suppone una conoscenza reale di se stessi, senza complessi di inferiorità, ma senza mettersi al di sopra delle proprie possibilità. Suppone libertà di fronte al tempo, senza angosce e ansietà fuori luogo. Suppone di dare qualità alla vita di ogni giorno. Nel quotidiano, nelle piccole cose che costituiscono, di giorno in giorno, la nostra vita e il nostro mondo, si mette in gioco la vita e si mette in gioco niente meno che l’amore. Nel quotidiano si rinnova la fonte del cuore: si impara ad amare oltre le gratificazioni immediate, gratuitamente, e si amano le persone nella loro realtà, senza pretendere di trasformarle a nostra immagine e somiglianza. Nel quotidiano si dimostra la fedeltà nell’amore. È vero che ogni giorno ha la sua croce, ma è anche vero che ogni giorno il Signore ci riserva una novità che dà senso a questa croce e mette bellezza nelle difficoltà che incontriamo.

Scommettete sul valore del quotidiano, altrimenti correrete il rischio di vivere ai margini della realtà e di vivere una falsa spiritualità: una spiritualità “senza carne”, senza senso, che prima o poi finisce per lasciare scoperto il vuoto esistenziale su cui poggiava. Cercate lo straordinario nell’ordinario. Date qualità alla vita di ogni giorno».

 

UNA RICERCA CHE DURI

TUTTA LA VITA

 

 

Quanto dura questa ricerca di Dio? L’interrogativo è fondamentale soprattutto per chi si sente chiamato a seguire il Signore sulla via della speciale consacrazione. «La risposta, scrive Carballo, è facile, anche se non sempre è quella che ci aspettiamo e desideriamo. La ricerca di Gesù dura tutta la vita. Il Signore, come dice Geremia, è come dei wadi, torrenti infidi e dalle acque incostanti (cf. Ger 15,18): queste valli profonde del deserto, che durante le tormente si riempiono d’acqua, ma nelle quali, appena terminata la pioggia, l’acqua sparisce. Il Signore si lascia incontrare da chi lo cerca, ma non si lascia mai prendere, per questo, quando uno meno se lo aspetta, di nuovo scompare e la ricerca deve continuare. È così sempre, fino a che “lo vedremo così come egli è” (1Gv 3,2). Smettere di cercarlo, è perderlo. E per quanto più tempo si lascia di cercarlo, più è difficile tornare a incontrarlo. Può succedere che nell’attesa del Signore, come alle fanciulle della parabola, vi sopraggiunga il sonno e vi addormentiate. Vi sveglierà la voce di Colui che vi chiama all’incontro con lo sposo, ma sarà necessario essere lì quando egli arriverà e che le vostre lampade siano accese con l’olio della carità e la fiamma del desiderio, perché non accada che si chiuda la porta e voi rimaniate fuori, nella notte, lontani dalla festa e dalla gioia (cf. Mt 25,1ss)».

È necessario ricordarsi che « la vita religiosa, non è uno “stato” o una “meta”. La nostra vita è cammino ed è nel cammino che incontriamo il Signore, che il Signore ci parla e si incontra con noi, come nel caso dei discepoli di Emmaus (cf. Lc 24,13ss) o di Paolo (cf. At 9.3). Mettetevi in cammino, perché è lungo il cammino che il Signore vi mostrerà il suo volto e dove vi sarà dato di «comprendere meglio la propria vocazione». Come Paolo sforziamoci di raggiungere la meta, lasciandoci conquistare da Cristo (cf. Fil 12).

Mettetevi in cammino  perché nella nostra vita, come ci ricorda Gregorio di Nizza, procediamo “di inizio in inizio, attraverso inizi che mai hanno fine”... Mettersi in cammino significa intendere la vita come un processo mai terminato, come un progetto sempre da perfezionare e vedersi lanciati in avanti, proiettati in avanti dalla forza dello Spirito. Vivere la vita come processo e progetto suppone di imparare a vivere non in funzione del nostro bisogno di sicurezza, ma assumendo il rischio dell’autenticità e della verità (cf. Gn 12,1-9).

Si mette in cammino chi ascolta la parola della chiamata del Signore, come la ascoltò nella sua terra di Ur dei Caldei il patriarca Abramo (cf. Gn 12,1); chi presta attenzione al cuore, per conoscere le opere di Dio in lui; chi cerca di piacere a Dio in tutto ciò che fa e confessa umilmente che in ogni cosa desidera manifestargli l’amore che ha per lui, come l’apostolo Pietro giunto al lago di Tiberiade: «Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo» (Gv 21,17).

 

UNA SEQUELA

MOLTO ESIGENTE

 

La conseguenza logica della ricerca e dell’incontro, sottolinea Carballo, è la sequela. Noi cerchiamo, per incontrare e, una volta incontrato colui che cerchiamo, siamo chiamati a seguirlo: “seguimi” (Mc 2,14), “seguitemi” (Mc 1,17). Ma cosa implica la sequela?

«Le esigenze della sequela Christi sono certamente molte. Seguire Gesù non è mai stato facile e non lo è nemmeno oggi. Gesù, a chi vuole seguirlo, continua a chiedere, oggi come ieri, radicalità. Radicalità di fronte ai beni materiali: “va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri … poi vieni e seguimi” (Mt 19,28); “chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo” (Lc 14,33). Radicalità con se stessi: “se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9,23). Radicalità di fronte a ciò che più si ama: “Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo” (Lc 14,26). Gesù continua a esigere esclusività: “lascia i morti seppellire i loro morti” (Mt 8,22). Continua a reclamare una scelta definitiva: “nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio” (Lc 9,62). Poiché la chiamata e il dono di Dio sono irrevocabili (cf. Rm 11,29), dato che si fondano sul suo amore forte e fedele in eterno (cf. Sal 118,2), la risposta del discepolo non può essere part time. Il tornare sui propri passi non è previsto. Il dono di sé a Gesù non può che essere assoluto. Da ultimo, a chi chiede di seguirlo, Gesù chiede di entrare per la porta stretta, perché è la sola a portare alla vita (cf. Mt 7,13s). Essere discepolo è seguire Gesù, le sue orme, ripetere il suo cammino. Al discepolo non è permesso percorrere altro cammino.

“Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (Mt 8,20). Come il prode esce dalla tenda per percorrere la via (cf. Sal 18,6), così al discepolo si chiede di lasciare la tana, cioè ogni sicurezza, di rischiare, di andare oltre, di esporsi alle intemperie e mettere tutta la sua fiducia nel Signore. Il discepolo deve rinunciare anche al nido: deve, cioè, confrontarsi con la durezza dell’impatto con la vita quotidiana, con l’aggressività della vita, inevitabile quando uno vive la radicalità della consacrazione religiosa. In questo modo il discepolo è chiamato a creare un vuoto totale intorno a sé, a lasciar seccare le radici che gli danno sicurezza per lasciarsi conquistare dal Signore e perché il Signore sia tutto per lui: la sua sicurezza, la sua ricchezza, il suo bene, tutto il bene, l’unico bene. Se è vero che uno non nasce discepolo ma lo diventa, possiamo dire anche che l’uomo arriva a essere discepolo solo quando lascia la tana e il nido e confida totalmente nel Signore. È allora che nasce come uomo libero.

Tali esigenze sono incompatibili con una sequela condizionata, sia a livello di tempo – una sequela part time: “nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio” (Lc 9,62) –, sia in rapporto alla radicalità del dono di sé: “concedimi di andare a seppellire prima mio padre”; “lascia che io mi congedi da quelli di casa” (Lc 9,59.61); “lascia che i morti seppelliscano i loro morti” (Lc 9,60).

 

COSA IMPLICA

SEGUIRE GESÙ?

 

Seguire Gesù implica un desiderio profondo di vivere con lui, per lui e come lui per sempre, in ogni circostanza e momento. Seguire Gesù significa: condividere il suo cammino e il suo destino, adottare i criteri a cui lui si è ispirato, fare propri i suoi obiettivi e collaborare attivamente alla sua missione. Seguire Gesù significa adesione di tutta la persona all’unico che ha parole di vita eterna. Non si può seguire Gesù solo a livello di sentimenti. Seguire Gesù non è nemmeno semplicemente accettare intellettualmente una dottrina o un insegnamento, ma scegliere concretamente Gesù: è una vita, una prassi. La vita del discepolo diventa così un autentico rischio. Un rischio assoluto. Il rischio di una povertà esistenziale reale, che obbliga a confessare a se stessi che senza il Dio del Vangelo non esiste possibilità di speranza.

Inoltre, «non si può seguire Gesù senza una fede retta; non si può assumere la radicalità, che comporta “seguire più da vicino il Vangelo e le orme di nostro Signore Gesù Cristo”, senza una fede che implichi tutto ciò che siamo e si trasformi in “sorgente della nostra letizia e della nostra speranza, della nostra sequela di Gesù Cristo e della nostra testimonianza al mondo”... Ma la fede di cui stiamo parlando non è il risultato di un atto puramente intellettuale e nemmeno un impegno morale: è l’adesione totale alla persona di Gesù. È, prima di tutto, apertura incondizionata al rapporto personale con Gesù... Per questo è nella sequela che si manifesta la fede: «lasciarono tutto e lo seguirono» (cf. Mc 1,18.20; Lc 5,28). Crediamo in Lui e seguiamolo, fidiamoci di Lui e non domandiamogli dove ci conduce; conosciamo il suo amore e lo amiamo e non abbiamo bisogno di calcolare i rischi per esserci messi in cammino con lui. È stato tutto molto semplice: ci ha chiamato, come Abramo, il suo amico; ci ha attratti, come la sposa del Cantico, la sua amata; ci ha sedotto, come Geremia, il suo profeta. Le sue parole erano fiamme di fuoco: “se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mc 8,34) e noi ci siamo lasciati attirare dalla sua luce e dal suo calore: “subito lo seguirono” (Mc 1,18; cf. Mt 4,20.22; 8,18-22).

Cari giovani, non chiudetevi al suo amore, nell’illusione di una impossibile autosufficienza (cf. Gn 3,1-7). Lasciate che Gesù entri nel vostro “spazio vitale”. Come la samaritana del Vangelo, offritegli ciò che siete, ciò che avete, la vostra verità senza restrizioni. Solo lui sazierà definitivamente la vostra sete di pienezza.

Di fronte la rischio di una fede momentanea e occasionale, che non porti a unificare la vita, o davanti al rischio di una appartenenza parziale, che non sfocia nell’esperienza di un vero discepolato, dovete ricordare che credere è coinvolgersi nel progetto di Dio, fidandosi della sua fedeltà, confidando nella sua promessa, saldi sulla roccia della sua bontà e misericordia. E, dato che la storia della salvezza ha raggiunto la sua pienezza in Cristo, credere significa seguire Gesù, mettere Gesù al centro della propria vita, fare di Gesù il fondamento del nostro presente e del nostro futuro. Di fronte al rischio della frammentazione e della schizofrenia spirituale e interiore, Gesù è l’amore che dà unità al vostro cammino, alla vostra storia; Gesù è l’unico che può portarvi ad unità, che può condurvi alla fonte della perfetta comunione.

 

INCONTRARE IL TESORO

FACILITA IL CAMMINO

 

«L’incontro precede la sequela. I discepoli seguono il Signore solo dopo essersi incontrati con lui. Lo stesso accade a Paolo. In entrambi i casi c’è stato un incontro con Gesù e una parola da parte sua; chi l’ha ascoltata e accolta nel cuore si è sentito “conquistato” (Fil 3,12), “prescelto” (Rm 1,1), “chiamato” (1Cor 1,1) “amato” (Gal 2,20). Lo stesso accade oggi. Per seguire Gesù bisogna incontrarlo, credere in lui, ascoltarlo, seguirlo e morire con lui per poter con lui risorgere.

D’altra parte l’incontro è ciò che dà senso alla sequela nelle sue esigenze più radicali. Si lascia qualcosa, perché si incontra qualcosa; si lascia tutto, perché si incontra tutto, o meglio, colui che è tutto. È significativo che nella vocazione dei primi discepoli il distacco, la rinuncia, si esprime attraverso un doppio movimento di separazione e di avvicinamento: lasciano tutto (cf. Mc 1,18.20) e si avvicinano a lui (cf. Mc 3,13). È tale la gioia della scoperta che giustifica la vendita di tutto, per raggiungere il tesoro (cf. Mt 13,44).

Mentre la tristezza blocca, la gioia motiva la decisione di seguire Gesù. La gioia della scoperta, una scoperta sempre gratuita e sorprendente, la passione per il “tesoro nascosto”, l’amore per Gesù fa sì che la rinuncia a tutto ciò che uno ha non risulti come un atto eroico, uno straordinario sacrificio o un’estrema privazione, ma sia come una conseguenza dell’aver incontrato colui che può colmare le aspirazioni più alte e la vita stessa di una persona. Per chi conosce Gesù – per chi incontra il tesoro nascosto – egli è il solo necessario e tutto il resto è secondario. Non perché tutto perda di significato, ma perché, alla fine, tutto è considerato una perdita pur di guadagnare lui (cf. Fil 3,7.12).

Il discepolo lascia tutto per avvicinarsi a colui che è tutto: “forse anche voi volete andarvene? … Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna” (Gv 6,67s). Il discepolo si pone nell’essenziale e l’essenziale sta solo in chi ha parole di vita eterna. Il discepolo non ha alcun bene superiore a lui (cf. Sal 16,2). Il discepolo, come Paolo, è stato conquistato da lui (cf. Fil 3,12), fino a poter dire che lui è la sua vita (cf. Fil 1,21; Gal 2,20). Essere discepolo non si misura per quello che uno lascia – anche se deve lasciare molte cose – ma per quello che incontra.

Anche in questo caso voglio domandarti: Ti sei realmente incontrato con Gesù? Come? Quando? I discepoli lo ricordano esattamente (cf. Gv 1,39). Come alimenti questo primo incontro?

 

NON SI PUÒ TENERE

UN PIEDE IN DUE SCARPE

 

Ma «non basta cercare e incontrare, è necessario decidersi. Chi desidera tenere un piede in due scarpe non può camminare. È ora di scegliere con decisione Cristo, di seguirlo incondizionatamente, mossi solo dalla fede. Non è l’ora di tendere al ribasso nella vita cristiana, religiosa e francescana. Non è il tempo per la mediocrità. Non lo è mai stato e non lo è oggi. È l’ora, come dirà Chiara, «per aderire col più profondo del cuore a colui, … il cui affetto appassiona, la cui contemplazione ristora, la cui benignità sazia, la cui soavità ricolma, il cui ricordo risplende soavemente». È il momento per dare tutto il cuore per colui e a colui che è il “Re dei re” e “Signore dei signori”. È l’ora della fedeltà... La fedeltà consiste nel fare i cambiamenti necessari in ogni istante della vita, per rimanere lungo tutto il suo corso saldamente ancorati ai valori che ci definiscono... La fedeltà non è la stabilità del luogo, ma del cuore, fino a poter dire con il salmista: “se contro di me si accampa un esercito, il mio cuore non teme” (Sal 26,3), “saldo è il mio cuore, Dio, saldo è il mio cuore” (Sal 56,8). E poiché di cuore si tratta, ricordate che la fedeltà è sempre incalzata e per questo deve essere attentamente custodita. Niente è più precario e minacciato della fedeltà. Sparisce nel momento in cui  smettiamo di curarla. Vocazioni e matrimoni naufragano per trascuratezza.

Essere fedele, quindi, esige disciplina, lavorare fino al termine della vita, non dando niente per scontato, e lottando come l’atleta fino a che la gara non sia terminata e non si conquisti la corona (cf. 1Cor 9,25). La fedeltà esige vigilanza, perché il tempo della difficoltà non vi sorprenda come un ladro. La fedeltà non è tale fino a quando non la si mette alla prova. La fedeltà esige un discernimento costante per capire “ciò che è gradito al Signore” (cf. Ef 5,8-10). La fedeltà esige anche costanza per non venir meno di fronte alle difficoltà o “persecuzioni” (cf. Mc 4,17), per non darsi per vinti: “non esiste insuccesso – dice Kin Hubbard – che il non provarci. Non esiste sentiero che quello che ci imponiamo. Non esiste ostacolo insuperabile che la nostra stessa debolezza verso il proposito”. Ma a noi spetta, parafrasando il poeta Hölderlin, stare a capo scoperto sotto le tempeste di Dio, per afferrarne un raggio di luce con le mani.

Mantenetevi fedeli e fermi nel proposito, e la vita sarà un miracolo che accade ogni giorno. Siate fedeli fino alla morte e il Signore vi darà la corona della vita (cf. Ap 2,10). Affrontate la prova ricordando la fedeltà di Dio, la cui misericordia e compassione non hanno fine, ma si rinnovano ogni mattino (cf. Lam 3,21-25). Scommettete sempre sull’amore (cf. 1Cor 16,13). Diceva Bernanos “perché una stanza sia calda, è necessario che il focolare sia ben acceso”. Avete bisogno di scommettere sull’amore ardente e appassionato per il Signore, per l’umanità amata dal Signore, sull’esempio di Francesco e di tanti frati che ci hanno preceduto in questi 800 anni.

Cari fratelli, siete disposti a darvi totalmente a Gesù, a seguirlo con cuore indiviso? Siete disposti ad affrontare le prove che comporta la sequela di Cristo?»

 

RAVVIVARE

LA MEMORIA

 

«Sono ormai passati alcuni anni da quando ciascuno di voi ha ascoltato la chiamata del Signore. Allora, come Eliseo seguì Elia e si mise al suo servizio (cf. 1Re 19,21), come la promessa sposa segue il suo futuro sposo (cf. Ger 2,2), come il gregge segue il pastore (cf. Sal 79,2) e il popolo il suo re (cf. 2Sam 15,13;17,19), così voi avete seguito il Signore. Sono passati alcuni anni e, mentre la maggior parte di voi segue ogni giorno da vicino le orme di Gesù Cristo, può capitare che a qualcuno sia venuto meno l’entusiasmo dell’inizio e più di qualcuno cominci a fare i conti: ho lasciato tutto per seguire il Signore e ora? (cf. Mt 19,27).

Caro giovane frate, ti invito a ravvivare la memoria di quel giorno in cui il Signore, passando al tuo fianco, ha fissato i suoi occhi su di te e amandoti (Mc 10,21) ti disse: seguimi. E ti invito anche a far memoria di quel giorno in cui con totale disponibilità, come il profeta e come Maria, rispondesti “Eccomi” (Is 6,8; cf. Lc 1,38) e con totale generosità, come i primi discepoli, lasciasti tutto per seguirlo (cf. Lc 5,11)...

Passano gli anni e la fedeltà del Signore rimane, come è chiamata a rimanere la vostra risposta. Passano gli anni e il Signore, oggi come ieri, è geloso di voi. Per Gesù siete i suoi discepoli (cf. Mc 4,34). Passano gli anni e Gesù vi chiede ed esige prontezza (cf. Mc 1,18.20; 2,14; Lc 9,59-62). Passano gli anni e, benché oggi non sia di moda, Gesù esige un’opzione definitiva (cf. Lc 9,62). Passano gli anni e, come a Pietro, Gesù vi rinnova l’invito: “seguimi”» (Gv 21,19).

 

Ma, prosegue Carballo, «vedendo le esigenze della sequela di Gesù, alcuni di voi potrebbero forse pensare, anche senza dirlo apertamente, che esse non sono accettabili per l’uomo di oggi. Di fatto, ai nostri giorni, particolarmente tra le giovani generazioni, che di solito sono più sensibili all’influsso dell’ambiente in cui vivono, più accoglienti e, per ciò stesso, più vulnerabili, sono molti coloro che vivono sotto il segno dell’emozione e della provvisorietà e si lasciano dominare dalla dittatura del relativismo per la quale tutto è sospetto, tutto è sempre negoziabile e che, in molti cuori, alimenta sentimenti di incertezza, insicurezza e instabilità. Sono molte le vittime del dubbio sistematico, costrette a rifugiarsi nel quotidiano e nel mondo dell’emotività.

 

ATTENTI AL DUBBIO

E AL RELATIVISMO!

 

Sono molti i sedotti dalla cultura del part time e dello zapping,1 che porta a non assumere impegni di lunga durata, a passare da un’esperienza all’altra, senza approfondirne nessuna. Sono molti i sedotti dalla cultura light, che non lascia spazio per l’utopia, per il sacrificio, per la rinuncia. Sono molti i sedotti dalla cultura del soggettivismo, per i quali l’individuo è la misura di tutto e tutto è visto e valutato in funzione di se stessi, della propria realizzazione. Questa mentalità postmoderna genera, specialmente nelle nuove generazioni, una personalità incerta, poco definita, che rende più complicato poter comprendere ciò che già di per sé è difficile: le esigenze radicali della sequela di Cristo».

Senza dubbio, «il mare in cui vi è toccato navigare è agitato (cf. Lc 8,23). Per seguire Gesù dovete confrontarvi con un contesto complesso e ambiguo che giudica la vita consacrata da cima a fondo, come si guarda a un vecchio cappotto fuori moda. Dovete confrontarvi con una cultura in cui il cambiamento è apprezzato come espressione di dinamismo, di progresso e capacità creatrice e che, per contrario, svaluta e guarda con sospetto alla stabilità e a ciò che è permanente, anche quando si tratta di qualcosa che dà fondamento, consistenza e senso alla vita. Dovete confrontarvi con una cultura che sacralizza il “disordine dello spirito” e che porta ad ammirare la flessibilità e le facili sistemazioni, invece della convinzione e della fermezza in ciò che è essenziale. Dovete confrontarvi con una cultura che genera un grande “disordine amoroso”, molto difficile da gestire, che con frequenza interrompe il dialogo dell’amore e può facilmente finire nel più atroce egocentrismo. Dovete confrontarvi con una cultura satura di “saperi”, ma che in molti casi ignora la sapienza dell’essenziale; con una cultura che porta a sentirsi come la “folla solitaria” della grande città, tentata da quell’individualismo che spegne la gioia dell’appartenenza, corrode l’identità e genera un’esistenza “blanda”, in cui le tensioni si dissimulano davanti alla televisione, alla stimolazione musicale o al computer. Dovete confrontarvi con una cultura in cui la parola dominante, “niente a lunga scadenza”, logora la fiducia nelle proprie capacità, la lealtà e l’impegno definitivo...».

 

PRENDETE IL LARGO

SIATE FORTI!

 

«Cari giovani, prendete il largo (cf. Lc 5,4), siate forti! (1Cor 16,13)! Se volete seguire Gesù dovete essere preparati a dar battaglia a tutte queste manifestazioni della cultura postmoderna; dovete essere pronti ad andare controcorrente e contro la cultura dominante. Seguire Cristo oggi suppone di assumere un progetto controculturale fondato su una solida e profonda esperienza di Dio e nella radicalità evangelica. La sequela di Gesù non ha niente a che vedere con le ideologie di moda o con l’avvicendarsi delle filosofie. Tanto meno è per i mediocri, non ammette sconti. Gesù chiede tutto, “il Signore ti chiede tutto”, perché lui prima ti ha dato tutto. Lui ci ha amato per primo.

A quanti di voi si sentono motivati a seguire Cristo con radicalità dico: confidate nel Signore e sarete felici, proclamate le meraviglie che il Signore compie in voi e dite sempre: “il Signore è grande” (Sal 38,17); che i suoi comandamenti siano la vostra delizia, confidate sempre nella sua parola e adempite sempre la sua volontà (cf. Sal 118,41-48). Non stancatevi di fare il bene e non scoraggiatevi, perché solo così potrete mietere al tempo opportuno (cf. Gal 6,9; 2Cor 4,8).

A chi di voi, nel dono di sé, è tentato dalla mediocrità o, talvolta, dall’idea di volgere indietro lo sguardo e andare via, dico con forza: il Signore sta bussando alla porta del vostro cuore, Lasciatelo entrare! Egli, come ripete di frequente Benedetto XVI, non prende nulla e dà tutto. Dategli o, meglio ancora, datevi un’altra opportunità. Egli vi sta aspettando da qualche parte, in qualche mezzogiorno della vostra vita di tutti i giorni, come la samaritana (cf. Gv 4,1ss), proprio mentre camminate sommersi da tante preoccupazioni. Permettetegli di chiedervi quanti “mariti” avete, quanti “Baal” state adorando e a quanti “idoli” avete consegnato il vostro cuore, con quante realtà, che vi sottraggono al “primo amore”, siete giunti a un compromesso. Fermatevi un momento e pensate: è forse il marito “conformismo” che mi porta ad adattarmi a ciò che c’è, senza il minimo senso critico? O il marito “neoliberalismo e consumismo” che mi fa assumere il comfort come uno stile di vita, spegnendo la “scintilla della follia” – la follia dell’amore – che aveva messo in movimento la mia vita alla sequela di Cristo? Sarà forse il marito “individualismo” che poco a poco mi separa dagli altri e mi chiude in me stesso? O il marito “secolarismo” che mi allontana dal pozzo di acqua viva, dall’incontro con il Signore e mi porta a frequentare “cisterne screpolate”, che non spengono la sete del cuore e lo rendono incapace di un’esperienza spirituale profonda e trasformante? “Hai detto bene ‘non ho marito’; infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero” (Gv 4,17s). A chi stai consegnando il tuo cuore? Chiedetevi se Dio è realmente il centro affettivo indiscutibile delle vostre vite.

Entrando nella vostra vita, il Signore vi chiederà qualcosa di molto semplice come un po’ d’acqua: “dammi da bere” (Gv 4,7). Felice scusa! Ascoltatelo! Anzi parlate con lui, come fece la samaritana, certamente anche voi tornerete a casa senz’acqua e senza brocca, ma con la sete, fino ad allora sconosciuta, di attirare a lui tutta la città (cf. Gv 4,28s). Accogliete la notizia sorprendente che è il Padre a cercarvi e ad attendere la risposta della vostra adorazione e, di sicuro, anche voi direte col salmista: “poiché la tua grazia vale più della vita” (Sal 62,4). Allora la vostra sete saziata si trasformerà in annuncio».

«Agli uni e agli altri, ai forti e ai deboli, ricordo che non siete soli. Colui che vi chiama, vi dà la grazia per seguirlo. Nella chiamata c’è la grazia per seguirlo. Il nostro Dio è il Dio dell’impossibile (cf Lc 1,37) e, fidandosi di Lui, non ci sarà nulla di impossibile nemmeno per voi (cf Fil 4,13). Non confidate nelle vostre forze. Confidate nel Signore e sarete come un albero piantato lungo l’acqua, che estende le sue radici fino alla corrente e non teme il caldo (cf Ger 17,8). Confidate nel Signore ed egli avrà cura di voi. Scoprite le ragioni per andare avanti. Siate pronti in ogni momento per dar ragione delle vostre scelte vocazionali. Siate fedeli al vostro primo amore (cf Os 2,9). Costruite l’unità della vita intorno al primato di Dio e il resto verrà in aggiunta. Egli sarà per voi, come lo fu per Francesco, il bene, tutto il bene, il sommo bene, che supera ogni altro bene: egli sarà la bellezza che attrae costantemente il vostro sguardo; la ricchezza che sazia la vostra sete di pienezza; la sicurezza che vi rende coraggiosi. Non anteponete niente all’amore di Cristo e vi assicuro che, malgrado debolezze e fiacchezze, rimarrete fedeli alla forma vitae che avete professato. Siate fedeli a Dio che ha fatto un’alleanza eterna con voi e che non smette di farvi il bene» (cf Ger 32,40).

La missione-evangelizzazione è una componente essenziale della nostra vocazione. Esistiamo per la missione-evangelizzazione. Parlare della missione-evangelizzazione è, quindi, parlare della nostra vocazione e della nostra ragion d’essere nella Chiesa e nel mondo. Chiamati, come i primi discepoli, a stare con il Maestro, siamo allo stesso tempo inviati (cf. Mc 3,14s) per annunciare con le parole e le opere che «non c’è nessun onnipotente eccetto lui». Così contribuiremo a riempire la terra del vangelo di Cristo.

Cari Fratelli, non rifugiatevi facilmente nel “solito”, non chiudete il cuore alla chiamata del Signore che vi invita ad “uscire”, ad “andare” incontro all’altro...

Apritevi alla chiamata del Signore che vi chiede di essere suoi collaboratori per aprire il cuore di molti al dono di Dio, allo Spirito del Signore. Uscite da voi stessi, apritevi alla missione e la missione trasformerà le vostre vite. La paura che molti di voi sentono si cambierà in audacia per testimoniare con coraggio Cristo (cf At 2,4). Non si tratta di essere avventurosi, ma di rispondere ad una vocazione che certamente avete ricevuto: quella di essere missionari. Lasciate risuonare nei vostri cuori la parola del Signore: «come il padre ha mandato me, anch’io mando voi» (Gv 20,21), «andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni» (Mt 28,19), «vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga» (Gv 15,16). Non senti che il Signore sta sussurrando al tuo cuore e ti dice, come a Francesco: «va’, ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina».

 

UN PROGETTO

ECOLOGICO DI VITA

 

Carballo richiama quindi l’attenzione sulla necessità di darsi un progetto personale e fraterno  o, come egli lo chiama, un progetto ecologico di vita « che preveda un tempo per il Signore, un tempo per gli altri e un tempo per noi stessi; un progetto attento che la persona sia sempre protagonista della propria storia, discernendo e stabilendo obiettivi a corto, medio e lungo raggio, con delle mediazioni concrete».

Indica quindi luoghi privilegiati di incontro con Cristo: l’Eucaristia, la Parola, la preghiera, la vita fraterna in comunità, la formazione permanente...

Anzitutto l’Eucaristia: «Facendo mie le parole di Giovanni Paolo II, vi dico: “incontratelo, carissimi, e contemplatelo in modo tutto speciale nell’Eucaristia, celebrata e adorata ogni giorno, come fonte e culmine dell’esistenza e dell’azione apostolica”. Partecipate attivamente, possibilmente ogni giorno, all’Eucaristia, così che la vostra vita si plasmi quotidianamente nella logica eucaristica e la vostra consacrazione assuma una struttura eucaristica: totale oblazione di sé, strettamente associata al sacrificio eucaristico. La celebrazione eucaristica sia il centro della vostra vita spirituale. Lasciate che sia lo stesso Gesù a insegnarvi nell’Eucaristia la verità dell’amore.

In secondo luogo la sua Parola, luogo in  cui il Maestro «interpella, orienta, plasma l’esistenza di chi si avvicina a lui con cuore povero... Fate della lettura orante della Parola il cibo quotidiano della vostra vita e missione, della vostra preghiera e della vostra vita di ogni giorno. Che non passi nemmeno un giorno senza ascoltare, “ruminare”, e “dare alla luce” attraverso la parola e le buone opere, la Parola depositata dal seminatore nella fertile terra dei vostri cuori (cf. Mc 4,1ss). Senza immergersi nella Parola, le parole che pronunciamo mancheranno di significato, di fondamento e di ispirazione».

In terzo luogo la preghiera, ambito adatto per maturare la scelta vocazionale e rigenerarla ogni giorno, contemplando il suo volto: «La nostra vita e missione non possono essere feconde senza l’incontro quotidiano con il Signore, senza che il nostro cuore sia costantemente rivolto verso di lui, senza momenti prolungati di colloquio silenzioso con colui dal quale ci sappiamo amati, chiamati e inviati: “come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me” (Gv 15,4); “senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5). Senza preghiera la nostra fede si indebolirà progressivamente e correremo il rischio di soccombere alle seduzioni dei surrogati. Pregare incessantemente (cf. Lc 22,40), invece, è il segreto di una vita religiosa e francescana autentica e feconda, in cui si scopre la bellezza della sequela di Cristo Gesù».

A tutto questo deve aggiungersi la vita fraterna, attraverso cui «si fa concreto l’amore (cf. Gv 4,8) e dove la tenerezza di Dio  si traduce in gesti: La Fraternità è il luogo per dare alla carità il volto dell’amicizia, della cortesia, della delicatezza, della gratuità e dove prende carne l’esperienza di Dio, che ci si dona gratuitamente nell’Eucaristia, nella Parola e nell’orazione. La Fraternità è anche il luogo dove mettiamo alla prova la nostra capacità di ascolto e di accoglienza della fecondità di Dio, aprendoci alla diversità dell’altro. La Fraternità è, di fatto, comunione nella diversità, il luogo in cui si mostra la fede e la fiducia che uno ha nell’altro, nel diverso. Per questo la Fraternità è il primo luogo di evangelizzazione (cf. Gv 13,35), la “prima testimonianza per il mondo”, il primo atto missionario dei frati, una buona notizia per tutti, un’azione profetica di speranza per il nostro mondo diviso e frammentato».

 

Un altro elemento sui cui Carballo insiste è la formazione permanente che non deve ridursi a una semplice formazione-informazione intellettuale, né a una attualizzazione di contenuti e all’acquisizione di nuove capacità professionali e pastorali... «La formazione permanente consiste, prima di tutto, nell’assumere la responsabilità di vivere in un modo che corrisponda alla forma vitae che abbiamo abbracciato. La formazione permanente è darsi una forma, non solo una informazione. È la libertà impegnata con se stessi a vivere un continuo processo di trasformazione personale verso ciò che uno ha scelto come sua forma di vita; è seguire Cristo per lasciarsi trasformare da lui, in un Fraternità di fratelli chiamati alla stessa vocazione e missione. In tempi, come i nostri, di una certa debolezza di tutte le scelte di vita, con serie difficoltà a dire “per sempre”, questa consistenza della formazione permanente è essenziale se si desidera rimanere fedeli».

Fra gli altri luoghi privilegiati per l’incontro con il Signore sono segnalati anche i poveri e l’accompagnamento personalizzato.

 

Questi alcuni contenuti della lettera. Carballo afferma di averla scritta ai giovani «tenendo la Sacra Scrittura in mano e nel cuore» per dire loro: «sia la Parola, cioè Cristo stesso, a guidare la vostra esistenza – la vostra ricerca e l’incontro con il Signore, la vostra sequela di Gesù e la vostra testimonianza – interrogandovi, illuminandovi e trasformandovi come nel caso dei discepoli di Emmaus» (cf. Lc 24,13-35)

Fra J.R. Carballo

 

1 Zapping vuol dire passare da un canale all’altro, da un programma all’altro della televisione attraverso il telecomando.