GIORNATA DI STUDIO PRESSO L’ANTONIANUM (ROMA)

TRA AUTORITÀ E OBBEDIENZA

 

Messa a tema la connessione formativa tra obbedienza, autorità, fraternità e identità. In una società in cui, in nome dell’egualitarismo, si tendono ad abolire le differenze, reintroducendo ambigue asimmetricità tra le persone e creando spazi di disparità, occorre riscoprire come servire e obbedire vicendevolmente.

 

Il papa Benedetto XVI, nel suo intervento alla plenaria della Congregazione per gli Istituti VC e le Società VA, nel settembre del 2005, aveva sottolineato l’importanza per la vita consacrata di un autentico servizio dell’autorità: «Si tratta di un servizio necessario e prezioso, per assicurare una vita autenticamente fraterna, alla ricerca della volontà di Dio. In realtà è lo stesso Signore risorto, nuovamente presente tra i fratelli e le sorelle riuniti nel suo nome (cf. Perfectae caritatis 15), che addita il cammino da percorrere. Soltanto se il superiore da parte sua vive nell’obbedienza a Cristo e in sincera osservanza della regola, i membri della comunità possono chiaramente vedere che la loro obbedienza al superiore non solo non è contraria alla libertà dei figli di Dio, ma la fa maturare nella conformità con Cristo obbediente al Padre (cf ibid., 14)».

 

IL CASO SERIO

DELLA LIBERTÀ

 

L’Istituto francescano di spiritualità della pontificia università Antonianum, in ascolto delle parole del pontefice, ha voluto affrontare questo tema nell’annuale Giornata di studio, che si è svolta venerdì 27 aprile 2007.1 Di fronte a un uditorio molto numeroso si è dipanato un tema cruciale: Autorità e obbedienza. L’attuale dibattito nella vita consacrata e nella famiglia francescana.

Celebrata in preparazione del 2009, anno in cui tutti i francescani ricorderanno l’approvazione della Protoregola di san Francesco d’Assisi da parte di papa Innocenzo III, la Giornata ha contestualizzato la relazione autorità e obbedienza all’interno dei mutamenti culturali del XX secolo, facendo riferimento alla riscoperta della soggettività antropologica e al valore della libertà.

La relazione tra autorità e obbedienza è infatti al centro di un ampio dibattito tanto teologico quanto antropologico. Tale binomio focalizza la libertà dell’uomo, del consacrato e della consacrata. Come sappiamo non mancano autori che ritengono che la libertà sia la parola chiave di tutta la modernità e postmodernità. Il rapporto autorità e obbedienza diviene, per così dire, il caso serio della libertà, tesa tra autonomia e autoapertura. In particolare la vocazione minoritica dei francescani aiuta a fare lo sfondo per la riflessione in merito: già nel nome aiuta a illuminare il senso e la modalità di ogni funzione autorevole.

Il ministero dell’autorità non può che avere la sua radice in quell’essere minores et subditi omnibus che ha caratterizzato fin dall’inizio la primitiva fraternitas. Per questo i frati sono chiamati a servirsi e a obbedirsi vicendevolmente, realizzando così una asimmetria paradossale e reciproca in cui, a imitazione di Cristo, imparano che si può essere se stessi solo se si è per un altro e che nell’umiltà dell’amore sta il segreto della perfetta letizia.

La prima relazione è stata affidata al segretario della Congregazione per gli Istituti di  VC e Società di VA, mons. Agostino Gardin, il quale ha suggestivamente suddiviso il suo intervento in due punti: ha dapprima individuato il contesto della relazione che c’è tra autorità e obbedienza, ossia la comunità religiosa; in un secondo momento ha messo in evidenza “croci e delizie” dell’autorità e dell’obbedienza oggi. Già ministro generale dei conventuali, egli ha offerto una comunicazione assai concreta sui processi di rinnovamento in atto nella vita religiosa, mettendo bene in evidenza sia gli aspetti positivi (rapporti più schietti, partecipati, immediati) sia quelli più preoccupanti (individualismo, personalismo, perdita di ruolo dell’autorità). Va riconosciuto che dalla subordinazione del singolo alla comunità a volte si è passati alla subordinazione della comunità al singolo. Vi sono anche tentativi di ritornare a un certo formalismo rassicurante. Non mancano nemmeno fenomeni di infantilismo comunitario, basati (secondo mons. Gardin) su atteggiamenti etero-diretti. Particolare rilievo è stato dato al nesso tra fede e obbedienza: l’autentica obbedienza ha la sua radice in una fede viva. L’obbedienza, è stato sottolineato infine, non va praticata perché si producano prestazioni al superiore, ma perché siano esse siano offerte alla comunità e alla sua missione per la Chiesa e per il mondo, affinché si cresca meglio nella identità evangelica.

La relazione della docente al Laterano e all’Antonianum, sr. Vittorina Ma­rini (cf. Speciale/Testimoni, 10/2007), ha mostrato la complessità delle tematiche che il magistero della Chiesa ha dovuto affrontare in questo anni, sia per la necessità di rileggere la relazione autorità-obbedienza alla luce della crescente ecclesiologia di comunione, sia per l’esigenza di contrastare l’ingresso indebito nella vita religiosa di tendenze individualistiche e secolaristiche proprie del nostro tempo. In conclusione, ha fatto osservare che il binomio (negli anni del postconcilio), a partire da un contesto comunionale-partecipativo, si è sviluppato secondo uno spirito più evangelico, più ecclesiale e più apostolico. Allo stesso tempo però il magistero ha dovuto ammettere, una progressiva crisi della vita religiosa connessa sia all’autorità che la regge, sia all’espressione del voto di obbedienza

 

ESSERE RICEVUTI

NELL’OBBEDIENZA

 

Padre Fernando Uribe, esperto delle fonti francescane, ha messo in evidenza le caratteristiche della relazione autorità e obbedienza nella Regola Bollata del santo, leggendola nel suo contesto, ossia in relazione agli altri suoi scritti. In Francesco è necessario innanzitutto comprendere il significato della parola obbedienza, che ricorre 48 volte (14 volte troviamo il verbo obbedire); mentre, paradossalmente, la parola paupertas (povertà) ricorre solo 14 volte. Forse il significato più singolare del termine si trova nel cap. 2 della RegB, dove si fa riferimento alla professione dei frati dopo l’anno di noviziato: “Terminato, poi, l’anno della prova, siano ricevuti all’obbedienza, promettendo di osservare sempre questa vita e Regola” (2,11).

Per capire il senso dell’espressione ricordiamo che la radice etimologica del verbo audire significa “udire”; collocato però dopo il prefisso ob, tale verbo acquista maggiore intensità: “ascoltare frontalmente” o, meglio ancora, “udire con la massima attenzione”. Francesco, il quale voleva una fraternità itinerante, vedeva come  punto di riferimento non una casa o un convento, ma proprio l’obbedienza. Se per il monaco l’ambiente vitale, dove adempiere il suo impegno di vivere il Vangelo, è il monastero (inteso come spazio fisico, stabilitas loci), per il frate minore tale ambito è lo spazio teologico dell’obbedienza, nel quale può entrare in una relazione vitale di ricerca caritatevole e comunitaria della volontà di Dio. Da questo punto di vista possiamo affermare che la Fraternitas è il sacramento mediatore della ob-audientia, il luogo privilegiato dove si discerne la volontà divina.

Nella mente di Francesco c’è infatti una relazione stretta tra fraternità e obbedienza, al punto che non è possibile capire questa senza quella. Il concetto di “obbedienza al fratello” ha pertanto il doppio movimento della reciprocità, secondo quanto si deduce dall’esortazione contenuta nella Regola del 1221, dove si chiede ai frati che “per la carità che viene dallo Spirito, di buon volere si servano e si obbediscano vicendevolmente”. In effetti la stessa vita fraterna coincide in Francesco con l’essere nell’obbedienza. La vita fraterna, tuttavia, non sostituisce mai la persona nella sua responsabilità. Nonostante la sua fondamentale dimensione comunitaria, la concezione francescana dell’obbedienza suppone la responsabilità personale di ciascun fratello. I frequenti richiami a rispettare la coscienza (l’anima) dei frati e la Regola vanno in questo senso.

La corrispondente concezione dell’autorità si desume dal titolo scelto da Francesco per identificarla: “ministri” e “ministri e servi”. Il compito prioritario dei ministri e servi non è in funzione dell’organizzazione né dell’efficacia di determinati programmi, ma dell’obbedienza, dato che il loro servizio entra in una prospettiva eminentemente teologica, costituita da una scala di valori al cui vertice non è più l’autorità del ministro ma la volontà di Dio. Anche se i ministri hanno alcune funzioni amministrative, il loro compito fondamentale è servire all’obbedienza. Insieme agli altri frati, pure loro devono assumere l’impegno di ascoltare la voce di Dio e di seguire la sua volontà. Nella loro condizione di ministri e servi, non sono altro che i mediatori d’ufficio in funzione di tale ascolto, propiziando un adeguato discernimento.

Il richiamo alla responsabilità personale e a rispettare la coscienza di ciascuno in un clima di libertà, può essere di grande efficacia se, da parte di coloro che devono obbedire, si osserva la sincerità con Dio, con se stessi e con la Fraternità. Quando viene a mancare tale sincerità, possono accadere dei conflitti nel rapporto tra autorità e obbedienza. Il criterio supremo che si deve prendere come guida nelle situazioni conflittuali, pur rispettando la Regola e la coscienza di ciascuno, è lo spirito di fraternità. L’autorità in definitiva viene vista come servizio all’obbedienza e pertanto mantiene al suo centro la volontà di Dio.

 

LA PEDAGOGIA

DELL’IDENTITÀ

 

Il segretario generale della Formazione e studi dei Frati Minori, p. Massimo Fusarelli, a partire dalla Lettera di Francesco a frate Leone, ha richiamato le caratteristiche dell’accompagnamento francescano. Particolarmente incisivi i suoi riferimenti al tema della libertà e della identità: «Educare la libertà resta l’obiettivo alto di qualsiasi pedagogia francescana. Non basterà educare la libertà da e per, senza educare la libertà stessa nella quale la persona vede esaltata la sua identità propria». Dipende dal modello di vita religiosa che realmente agisce nella persona e nella mentalità del formatore e di tutta la Fraternità. Spesso, a fronte di modelli intellettuali aggiornati, in realtà stanno funzionando vecchi modelli di comunità, di relazioni e di obbedienza. Occorre dunque una purificazione profonda e anche una scelta chiara di quale modello e di quale apertura al futuro animi la visione di un istituto.  Se un itinerario formativo vuole condurre a un’autentica e profonda trasformazione della persona, e non all’assimilazione di valori estrinseci o all’assunzione di atteggiamenti precostituiti, allora educare la libertà nell’amore e nella responsabilità costituisce la parola più alta, impegnativa e liberante della formazione.

Di identità ha parlato anche il cappuccino psicoterapeuta p. Giovanni Salonia, mettendo in evidenza le diverse caratteristiche dell’obbedienza francescana nei confronti del ministro: obbedienza vera, caritativa e perfetta, in cui emerge con particolare evidenza l’orizzonte fraterno di tale relazione. Ha sottolineato poi come tale l’obbedienza non è funzionale ma identitaria: l’obbedienza esprime cioè la nostra natura di figli dell’unico Padre.

Infine, suor Mary Melone, preside dell’Istituto superiore di Scienze religiose dell’Antonianum, a partire dalla espressione attribuita a Francesco riportata dal Celano, per il quale ministro generale dell’ordine è lo Spirito Santo, ha sottolineato il ruolo del Paraclito nella relazione tra autorità e obbedienza, mettendo in evidenza come tale relazione sia determinata alla crescita della comunione fraterna, richiamando la suggestiva immagine trinitaria dell’azione dello Spirito che “unisce sottraendosi”.  Così deve essere il ruolo dell’autorità, non centrata su se stessa ma posta al servizio della comunione.

In una società in cui, in nome dell’egualitarismo, si tendono ad abolire le differenze e dove, tuttavia, si reintroducono assimmetricità ambigue, che creano disparità in forza della debolezza del pensiero e del senso di responsabilità, san Francesco propone una figura reciproca in cui i frati, minori e sottomessi a ogni creatura, si devono servire e obbedire vicendevolmente. In tal modo in Francesco troviamo approfondito quanto ha raccomandato Benedetto XVI: soltanto se il superiore vive nell’obbedienza a Cristo e in sincera osservanza della regola, i membri della comunità possono vedere che la loro obbedienza a lui fa maturare la propria libertà conformandosi a Cristo, Figlio obbediente al Padre.

 

p. Paolo Martinelli, OFMCap

 

1 Le Giornate si prefiggono di mostrare l’immanenza del carisma francescano alla vita della Chiesa. Per questo motivo in questi incontri si vuole che questioni ecclesiali rilevanti interroghino l’attività di ricerca per mostrare come l’esperienza e la riflessione francescana siano capaci di interagire con le istanze del nostro tempo. Per questo, nel 2005, in relazione all’anno eucaristico indetto da Giovanni Paolo II e nella prospettiva dell’assemblea del Sinodo dei vescovi, si era affrontato il tema Eucaristia, vita spirituale e francescanesimo. Successivamente, in relazione ai 40 anni dalla promulgazione del Perfectae caritatis, la Giornata di studio del 2006 si era concentrata su un serrato confronto circa la ricezione del decreto sul rinnovamento della VC nella famiglia francescana.