IL 56° CAPITOLO GENERALE DEI CAMILLIANI

RICERCA DI STRADE NUOVE

 

Per essere fedeli alla mente del Fondatore, occorre intraprendere strade nuove, forse più difficili, perché esigono che non ci si limiti al dialogo ma si passi anche al confronto. Inoltre occorre un maggior coinvolgimento nella promozione della solidarietà e della giustizia nel mondo della salute.

 

Come realizzare la natura “profetica” della vita religiosa camilliana oggi? Se lo sono chiesti i religiosi camilliani riuniti, dal  3 al 19 maggio, presso la Casa del Divin Maestro di Ariccia (Roma), per celebrare il 56° Capitolo generale della loro storia. Per rispondere a questo interrogativo, durante la fase preparatoria, erano state coinvolte tutte le comunità locali sia attraverso la preghiera e la riflessione sul tema Uniti per la solidarietà e la giustizia nel mondo della salute, sia l’invito a formulare proposte riguardanti i vari settori della vita e dell’attività dell’Ordine. Risultato di tutto questo impegno, l’Instrumentum laboris messo poi in mano ai capitolari.

Aiutati da un’adeguata organizzazione, animati dalla presenza e dalla parola di due cardinali (T. Bertone e J. Barragan) e due vescovi (il vescovo di Albano e il segretario della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica) e allietati dal suggestivo scenario dei colli romani specchiantisi nel lago di Albano, i 59 capitolari, rappresentanti dei 35 paesi dove l’ordine di San Camillo è presente, hanno svolto un lavoro risultato di soddisfazione per tutti.

Durante la prima settimana erano presenti i rappresentanti della grande Famiglia di san Camillo, comprendente le congregazioni delle Figlie di San Camillo, delle Ministre degli infermi di San Camillo,  le Ancelle dell’Incarnazione, gli istituti secolari delle Missionarie degli Infermi “Cristo speranza”  e delle Kamilliani­sche Schwestern, la Famiglia camilliana laica (che conta più di 3000 membri nel mondo), e alcuni collaboratori operanti nelle istituzioni sanitarie dell’ordine. Giornate intense, trascorse nella gioia della comunione ma anche in un serio lavoro, sia per celebrare la crescita compiuta durante questi ultimi anni sia per identificare le resistenze che impediscono, religiosi e laici, di lasciarsi educare maggiormente alla comunione e alla collaborazione, nella linea indicata dalla Costituzione dell’ordine e dagli ultimi documenti ecclesiali sulla vita consacrata.

 

TRA FIDUCIA

E RESISTENZE

 

Lo sguardo sul sessennio appena trascorso è stato offerto dalla relazione sullo Stato dell’Ordine del superiore generale uscente, P. Frank Monks, che ha evidenziato luci e ombre nel quadro della vita e dell’attività dell’istituto, facendo emergere sentimenti diversi nel cuore dei partecipanti. Accanto alla gioia per l’incremento numerico, anche se leggero, dei religiosi a livello generale vi è l’apprensione per il futuro delle province occidentali. Il numero e la qualità delle opere e delle iniziative nei vari settori del mondo della salute non eliminano l’interrogativo sul loro valore di testimonianza e quindi sulla spiritualità. La gente apprezza i nostri servizi ma è capace di scorgervi lo spirito che li anima? Di fronte alle grandi sfide poste alla vita consacrata dal mondo in cui viviamo e operiamo, accanto ad atteggiamenti di fiducia, coraggio, speranza non mancano resistenze al cambiamento…

Oltre che dagli stimoli presenti nel discorso del superiore generale la riflessione sull’Instrumentum laboris è stata facilitata anche dagli interventi di alcuni esperti, il cui input ha ricevuto un consenso unanime. Padre Anthony Mac Sweeny ha condiviso alcune osservazioni sulla vita consacrata oggi, partendo da quell’evento straordinario che è stato il Congresso mondiale sulla vita consacrata del 2004. Soffermandosi sul rischio di uno scollamento pericoloso tra le attività e lo spirito che dovrebbe animarle, ha messo in rilievo la necessità di “pensare tutto a partire da Cristo”. Ciò porterà a quella “trasformazione” della mente di cui parla Paolo (cf. Rm 12, 2). Preziosi suggerimenti sono arrivati all’assemblea dalle conferenze di Sean Healy s.m.a. che ha parlato della giustizia in un mondo che cambia e di Gianni Manzone che ha presentato le motivazioni dell’impegno della Chiesa nel mondo della giustizia.

 

NUOVE MODALITÀ

DELLA PROFEZIA

 

Il titolo del tema capitolare impegnava i partecipanti su due fronti: da una parte vi era la richiesta di  un coinvolgimento più significativo dell’ordine nella promozione della solidarietà e della giustizia nel mondo della salute e, dall’altra, veniva auspicata una collaborazione più incisiva non solo all’interno della grande Famiglia di san Camillo, in particolare con i laici, ma anche con altri organismi ecclesiali e secolari, sensibili a questi problemi. In altre parole, i partecipanti al capitolo erano chiamati a rispondere al seguente interrogativo: come realizzare la natura profetica della vita religiosa camilliana, oggi?

Per quanto riguarda il primo fronte, la storia passata e presente dell’ordine camilliano mostra che il profetismo è stato praticato più attraverso la prossimità ai poveri e ai malati che non attraverso la denuncia. San Camillo stesso, nell’insufflare nuovi valori nel settore dell’assistenza agli infermi, ha privilegiato la via del servizio eroico alle prese di posizione programmatiche, anche se queste ultime non sono state da lui ignorate. Seguendo il suo esempio, nei quattro secoli di storia dell’istituto, oltre 300 religiosi camilliani sono morti servendo gli appestati e le vittime di altre malattie infettive. Anche oggi, l’assistenza agli ultimi (ammalati di AIDS, senza tetto, tossicodipendenti, malati cronici…) occupa un posto rilevante nella scaletta delle attività dell’ordine.

L’esigenza di abbinare alla prossimità al malato forme d’intervento più incisive, che contribuiscano a combattere l’ingiustizia presente nel mondo della salute e a promuovere maggiore solidarietà non solo nei paesi in via di sviluppo ma anche nell’occidente si è manifestata più volte nell’ordine camilliano. Negli ultimi capitoli generali, infatti, i temi trattati (1989: Verso i poveri e il terzo mondo; 1995: Quale religioso camilliano per il 2000?; 2001: Testimoni dell’amore misericordioso e promotori della salute) indicano il desiderio di vivere la profezia secondo modalità più adeguate ai grandi cambiamenti avvenuti nella società e nel mondo della salute.

Non sono mancati stimoli da parte della Chiesa a intraprendere questo cammino. Durante il  sinodo sulla vita consacrata (1994) è stato rivolto un pressante appello ai religiosi affinché, senza abbandonare gli apostolati tradizionali, s’impegnino nell’evangelizzazione della “cultura della società intera”, ricercando metodi di proclamazione del Vangelo adeguati alle necessità delle diverse professioni (nella politica, nell’industria, nelle comunicazioni sociali, nell’educazione, nel diritto, nell’ecologia, nel mondo della salute e della sofferenza ecc.).1

Da parte sua, Giovanni Paolo II, così si era espresso, rivolgendosi ai partecipanti del Capitolo generale camilliano del 1995: «Vi esorto ad abbinare sempre all’insostituibile prossimità verso il malato l’evangelizzazione della cultura sanitaria, per testimoniare la visione evangelica del vivere, del soffrire e del morire. È questo un fondamentale compito che dev’essere attuato dagli istituti di formazione delle vostre famiglie religiose...».

Seguendo questo cammino l’Instrumentum laboris  elaborato per il Capitolo di quest’anno sulla base di dati sociologici e biblico-teologici ha incoraggiato i capitolari a scavare maggiormente i contenuti del carisma per farne emergere ricchezze finora non utilizzate adeguatamente.

È maturata così la consapevolezza che per essere fedeli alla mente del fondatore, occorre intraprendere strade nuove, forse più difficili, perché esigono che non ci si limiti al dialogo ma si passi anche al confronto, denunciando conclamate ingiustizie nel mondo della salute (es. brevetto sui farmaci, casi di disumanizzazione del servizio agli ammalati…), influenzando politiche sanitarie attraverso persone e mezzi adeguati, partecipando agli areopaghi dove si forma cultura sanitaria e si elaborano principi e direttive etiche e bioetiche. Non è forse mettersi dalla parte dei poveri e degli ammalati, l’adottare, ad esempio, una «maggiore cautela nelle modalità di acquisto di prodotti alimentari e farmaceutici presso ditte direttamente coinvolte nella speculazione a danno dei paesi in via di sviluppo, così come servirsi di istituti di credito (banche) direttamente coinvolti nella produzione e commercio di armi?».

Inoltre la promozione della solidarietà e della giustizia non è da restringere entro le mura delle istituzioni sanitarie, perché il carisma camilliano comprende anche la prevenzione e il mantenimento della salute in tutti i suoi aspetti. Questo spiega l’interesse mostrato dai capitolari per i problemi ecologici,  inducendoli a sottolineare la necessità di un «coinvolgimento nell’educazione e nella sensibilizzazione a un maggior rispetto dell’ambiente e al risparmio delle risorse naturali, evitando i pericoli legati al cattivo uso o all’abuso della tecnologia».

Sul secondo fronte – quello della comunione e della collaborazione – è emerso il bisogno di ampliare gli orizzonti, lasciando che il grido dei poveri abbatta le mura delle varie cittadelle (comunità, province, ordine…) a volte chiuse in se stesse, in modo da superare atteggiamenti autoreferenziali riconoscendo e apprezzando le risorse presenti in altri gruppi e organismi sia ecclesiali che civili, «dando ai laici ciò che è dei laici», come suggerisce autorevolmente Benedetto XVI nella sua enciclica. Ciò non deve avvenire indiscriminatamente ma con l’intento di mantenere vivo il carisma dell’istituto, trasmettendolo attraverso una efficace formazione dei e con i collaboratori.

 

LE CONSEGNE

DEL CAPITOLO

 

Consapevoli del pericolo sempre incombente ai religiosi di perdersi  nelle opere, i capitolari hanno insistito con vigore perché il carisma e la spiritualità camilliana siano resi «oggetto preferenziale di studio e di approfondimento personale e comunitario, non solo nelle tappe formative», per rendere i religiosi più consapevoli della necessità di radicarsi nel Cristo misericordioso, da cui traggono senso e vigore tutte le iniziative in favore della giustizia e della solidarietà.

Inoltre essi hanno lasciato come consegna all’ordine il compito di approfondire il consiglio evangelico della povertà, tanto caro a san Camillo, allo scopo di accrescere maggiormente la fedeltà a questo voto e la creatività nel viverlo, senza dimenticare che le nostre comunità devono essere «l’ambito dove si coltiva e si vive, per primo, la giustizia e la solidarietà, sia nei rapporti interpersonali che nella condivisione dei beni, dei compiti e delle responsabilità».

Non è mancato, infine, un caldo invito a conoscere più profondamente la dottrina sociale della Chiesa, da introdursi nei programmi della formazione sia iniziale che permanente, e a offrire ai giovani religiosi l’opportunità di esperienze che consentano loro di “mettere le mani nella pasta della carità”, come amava dire san Camillo,

Siccome «l’amore, come scrive il papa, ha bisogno anche di organizzazione quale presupposto per un servizio comunitario ordinato» (Deus caritas est 20), i capitolari hanno deciso di istituire una “Commissione per la giustizia e la solidarietà nel mondo della salute” a livello centrale dell’ordine e, quando possibile, a livello di province, viceprovince e delegazioni, raccomandando anche che venga potenziata la già esistente Camillian Taskforce,  il cui scopo è di intervenire in casi di disastri naturali (tsunami, epidemie, terremoti…).

 

Come in ogni capitolo, anche in questo, una delle preoccupazioni emerse verso la fine dei lavori riguardava il cosiddetto  follow-up, cioè il seguito da dare a quanto stabilito dall’assise capitolare: in che misura la riflessione e le linee operative troveranno un’attuazione concreta a livello individuale e comunitario?

Non ignorando questo aspetto, i capitolari hanno affidato al nuovo superiore generale, p. Renato Salvatore, e ai suoi consiglieri il compito di vigilare affinché le buone acque del capitolo (di cui qui si sono presentati solo alcuni spruzzi) non finiscano nel deserto ma confluiscono nel mare già esistente, arricchendolo e purificandolo.

 

Angelo Brusco

 

Cf. Vita consecrata 83.