CONVEGNO ISTITUTI VC CONFERENZA UMBRA (2)
DA VERONA UNO STILE DI CHIESA
Si è visto una Chiesa viva che reagiva alle tentazioni di pessimismo,
desiderosa, piuttosto, di rispondere al grande sì di Dio all’uomo in Gesù
risorto e di renderlo visibile; una Chiesa capace di interrogarsi e di
proporre. Quale ora il compito della vita consacrata?
A Verona si è vista una Chiesa viva, non per il numero
dei partecipanti, ma per l’atmosfera positiva, dialogante e cordiale, mai
polemica. La felice scelta di far sedere senza distinzioni vescovi, sacerdoti,
religiosi e laici nel grande padiglione della Fiera e di far abitare i pastori
con la propria delegazione per quasi una settimana ha favorito un clima di
intensa comunione. L’assise di Verona non è stato solo un convegno «sulla
speranza», ma in pochi giorni è lievitato come un «evento di speranza»
(Brambilla). A Verona si è lavorato intensamente, si è pregato bene. Si è visto
una Chiesa viva che reagiva alle tentazioni di pessimismo, di ricaduta
remissiva, di ripiegamento disilluso, desiderosa, piuttosto, di rispondere al
grande sì di Dio all’uomo in Gesù risorto e di renderlo visibile, come
l’invitava il papa nel suo discorso all’assemblea nel padiglione della Fiera
(Regno documenti, cit., pp. 673-674).
UNA CHIESA
CAPACE DI PROPORRE
A Verona si è vista una Chiesa capace di interrogarsi e
di scrutare i segni dei tempi. Nelle relazioni, negli interventi introduttivi e
conclusivi dei cinque ambiti, nei dialoghi che si sono svolti nei gruppi di
lavoro, si è fatta presente la realtà molteplice e organica delle nostre chiese
sul territorio, con schiettezza, con fine capacità di interpretazione e
valutazione, con rispetto e accoglienza delle professionalità, delle
competenze, delle vocazioni e dei carismi. Si è resa visibile quella sinodalità
di cui spesso si parla e di cui c’è tanto bisogno. È un modello che deve
continuare nelle nostre comunità, con il coraggio della verità e la tenacia
della pazienza.
A Verona si è vista una Chiesa capace di proporre. Non si
sono fatti progetti pastorali specifici: non era la sede e non c’erano i
presupposti. Sono state indicate delle prospettive, dei percorsi sui quali
incamminarsi o sui quali continuare a camminare, rafforzando o, se nel caso,
correggendo il passo. Si tratta di idee-forza che già animano l’azione
pastorale e che il convegno di Verona rilancia rafforzandole.
Prioritario è l’impegno per l’evangelizzazione. Ne ha
parlato il papa nel discorso all’assemblea nel padiglione della Fiera. Il papa
ha accennato all’Italia come a un paese «profondamente bisognoso» della
testimonianza cristiana. In esso infatti è presente la cultura predominante in
occidente, caratterizzata da un atteggiamento di autosufficienza che genera un
nuovo costume di vita, dall’assolutizzazione della libertà individuale come
sorgente unica dei valori etici, dall’estromissione di Dio dalla vita sociale e
pubblica. L’Italia però costituisce nello stesso tempo un terreno assai
favorevole per la testimonianza cristiana. La Chiesa, infatti, – ha affermato
Benedetto XVI – qui (in Italia) è una realtà molto viva, che conserva ancora
una presenza capillare in mezzo alla gente di ogni età e condizione. Ci sono
tradizioni cristiane radicate che continuano a produrre frutti, c’è reazione a
un’etica individualistica, c’è dialogo con settori della cultura che
percepiscono l’insufficienza di una visione strumentale della ragione. Occorre
saper cogliere l’opportunità e operare per ridare profondità culturale al
grande “sì” della fede.
Un’altra fondamentale istanza ribadita a Verona è la
necessità di una forte coscienza missionaria da far trasparire nell’agire
pastorale, sia in quello domestico e quotidiano, sia in quello ad gentes.
Coscienza missionaria significa – sono le indicazioni del cardinal Ruini
nell’intervento conclusivo – imboccare con risolutezza la strada
dell’attenzione alle persone e alle famiglie, dedicando spazio e tempo
all’ascolto e alle relazioni interpersonali. Questa conversione, si è detto a
Verona, non tocca solo le parrocchie, ma anche le comunità di vita consacrata,
le aggregazioni ecclesiali, le strutture delle diocesi, la formazione del clero
nei seminari, tutte le strutture ecclesiali.
Una terza idea-forza viene dal convegno di Verona, la
sinodalità. È un’istanza espressa non con le parole, ma con i fatti. Nella
Chiesa si avverte un grande bisogno di camminare insieme. È la comune radice
battesimale a esigere la medesima e insieme variegata testimonianza del Risorto
nella famiglia, nelle comunità parrocchiali, nelle aggregazioni, nelle comunità
dei consacrati e delle consacrate, nella chiesa diocesana e nella comunione tra
le Chiese che sono in Italia. Tutte le forze del cattolicesimo italiano,
ciascuna con il suo dono e la sua responsabilità, sono chiamate a partecipare
alla missione della Chiesa. Ecclesialità e sinodalità devono convergere.
Occorre vivere la comunione ecclesiale in maniera più ampia, più intensa, più
responsabile. Questa istanza era già presente nella Traccia di preparazione
dove si leggeva: “Comunione e missione sono due nomi di uno stesso incontro”.
UNA PROSPETTIVA
FORTEMENTE INNOVATRICE
Tutte queste istanze hanno una immediata ricaduta
nell’agire pastorale. L’assise di Verona è stato un banco di prova per le
scelte che sono state fatte. Tocco qui una prospettiva fortemente innovativa
del convegno di Verona. La vita pastorale della Chiesa ordinariamente è pensata
e si svolge facendo riferimento ai tre settori che determinano e connotano
l’agire ecclesiale, vale a dire, secondo il classico trinomio, le funzioni di
insegnare, santificare e governare, espresse anche dall’altro trinomio
catechesi, liturgia e carità. Al convegno di Verona l’azione ecclesiale è stata
pensata a partire dalla persona umana, facendo riferimento alle dimensioni
antropologiche costitutive dell’esistenza e attorno a queste si è sviluppata la
riflessione sulla testimonianza del Risorto. A Verona il vissuto delle persone
e delle famiglie è stato collocato al centro dell’ottica pastorale e perciò si
è parlato di vita affettiva, di lavoro e festa, di fragilità, di tradizione e
di cittadinanza. Ne è derivata una riflessione pastorale particolarmente
sensibile alle prospettive educative e formative. Quella di Verona è stata una
innovazione coraggiosa, coerente con una impostazione di pensiero antica quanto
la Chiesa: Cristo è venuto per salvare l’uomo reale e concreto, che vive nella
storia e nella comunità, e pertanto il cristianesimo e la Chiesa fin
dall’inizio, hanno avuto una dimensione e una valenza anche pubblica. Si tratta
di una impostazione della vita e della pastorale della Chiesa che non mancherà
di portare i suoi frutti.
Ripensare la nostra azione pastorale in sintonia con
Verona significa innanzitutto porre al centro le due linee direttrici
fondamentali: l’edificazione della comunità cristiana e la realizzazione della
sua missione nel mondo. Significa, poi, ripensare la nostra presenza negli
ambiti ove l’uomo si realizza: la famiglia, l’ambiente di lavoro, la scuola, lo
sport e via dicendo per portarvi la speranza del Risorto.
Concludo questo punto con un accenno rapido alla
questione fondamentale e decisiva dell’educazione. Ne ha trattato il papa nel
discorso all’assemblea (Regno documenti, cit., p. 675). Un’educazione vera, ha
sottolineato, «ha bisogno di risvegliare il coraggio delle decisioni definitive
(…) indispensabili per crescere e raggiungere qualcosa di grande nella vita, in
particolare per far maturare l’amore in tutta la sua bellezza: quindi per dare
consistenza e significato alla stessa libertà». Di qui vengono i “no” a forme
deboli e deviate di amore e alle contraffazioni della libertà, come anche la
riduzione della ragione soltanto a ciò che è calcolabile e manipolabile. Di qui
vengono i “sì” all’amore autentico, alla realtà dell’uomo come è stato creato
da Dio. Ha continuato il papa: «Voglio esprimere qui tutto il mio apprezzamento
per il grande lavoro formativo ed educativo che le singole Chiese non si
stancano di svolgere in Italia, per la loro attenzione pastorale alle nuove
generazioni e alle famiglie. Tra le molteplici forme di questo impegno non
posso non ricordare, in particolare, la scuola cattolica, perché nei suoi
confronti sussistono ancora, in qualche misura, antichi pregiudizi, che
generano ritardi dannosi, e ormai non più giustificabili, nel riconoscerne la
funzione e nel permetterne in concreto l’attività» (ivi, p. 675). Dopo il papa,
il tema dell’educazione è stato ripreso dal card. Ruini (ivi, p. 691). Ha
ribadito che l’intero convegno, con i suoi cinque ambiti, risulta orientato al
lavoro educativo e formativo. Ha invitato a mantenere un orientamento speciale
verso i bambini e i ragazzi, gli adolescenti e i giovani, nell’attuale contesto
sociale e culturale nel quale la tradizione cristiana sembra svanire e
dissolversi. Invito a ripercorrere le introduzioni agli ambiti, in particolare
a quello della vita affettiva, con le riflessioni sull’educazione
all’affettività e a quello della tradizione con l’intensa riflessione sulla
scuola come luogo privilegiato per salvaguardare la stessa ragione umana (ivi,
pp. 636-637, 638-640, 648-649). Di grande interesse sono anche le sintesi dei
lavori per ambito (ivi, pp. 679-687).
LA VC IN CAMMINO
CON LA CHIESA ITALIANA
A partire dal convegno di Verona, quale deve essere il
compito della vita consacrata, quale testimonianza deve offrire, per quali
priorità si deve impegnare?
Non è facile rispondere a così complessi interrogativi e
non ho proposte risolutive.
Credo occorra l’umiltà sapiente e concreta dei piccoli
passi.
Uno di questi piccoli passi è ricordarci che il concilio
Vaticano II ha riconosciuto alla VC la funzione di “segno” (Lumen gentium, n.
44). Segno di che cosa? Il concilio indica tre aspetti: 1° rendere visibile per
tutti i credenti la presenza, già in questo mondo, dei beni celesti; 2° segno
della forma di vita di Gesù; 3° segno che il regno di Dio supera tutte le cose
terrestri e ha esigenze supreme.
Un secondo piccolo passo è ricordarci che l’esortazione
Vita consecrata ha messo in risalto il carattere profetico della nostra forma
di vita. Il testo ci dice che la vera profezia nasce da Dio, dall’amicizia con
Gesù, dall’ascolto attento della sua Parola nelle diverse circostanze della
storia. Il profeta sente ardere nel cuore la passione per la santità di Dio e,
dopo averne accolto nel dialogo della preghiera la parola, la proclama con la
vita, con le labbra e con i gesti, facendosi portavoce di Dio contro il male e
il peccato (VC n. 84b). Continua VC: «La testimonianza profetica richiede la
costante e appassionata ricerca della volontà di Dio, la generosa e
imprescindibile comunione ecclesiale, l’esercizio del discernimento spirituale,
l’amore per la verità. Essa si esprime anche con la denuncia di quanto è
contrario al volere divino e con l’esplorazione di vie nuove per attuare il
Vangelo nella storia, in vista del regno di Dio» (n. 84b).
La testimonianza profetica dei consacrati deve vertere
sull’affermazione del primato di Dio e dei beni futuri, quale traspare dalla
sequela e dall’imitazione di Cristo. La stessa vita fraterna è profezia in
atto. Un’intima forza persuasiva deriva alla profezia dalla coerenza fra
l’annuncio e la vita. Le persone consacrate potranno arricchire gli altri
fedeli dei beni carismatici ricevuti, lasciandosi a loro volta interpellare
dalle provocazioni profetiche provenienti dalle altre componenti ecclesiali.
Un terzo piccolo passo è accogliere e attuare quanto
invitava a fare il papa nel brano citato all’inizio. Strada maestra
dell’evangelizzazione rimane l’unità tra una fede amica dell’intelligenza e una
vita caratterizzata dall’amore reciproco e dall’attenzione premurosa verso i
poveri e i sofferenti. Non resta che far nostra l’invocazione conclusiva del
papa: «Il Signore ci guidi a vivere questa unità tra verità e amore nelle
condizioni proprie del nostro tempo, per l’evangelizzazione dell’Italia e del
mondo di oggi» (Regno documenti, cit., 674-675).
Agostino Montan