GLI SVILUPPI NEL CAMMINO POSTCONCILIARE.
AUTORITA’ E OBBEDIENZA
Mai come in questi 40 anni la vita consacrata aveva avuto tanta attenzione
da parte del Magistero. La ricezione dei documenti emanati ha sviluppato tutto
un ricco discorso sul rapporto autorità/obbedienza a partire dall’ottica della comunione/koinonia,
della condivisione, della partecipazione e della corresponsabilità comunitaria.
L’analisi complessa e articolata del binomio
autorità/obbedienza, sottotende un suo sviluppo a partire da una visione della
vita consacrata chiamata a crescere in progressiva maturazione per diventare
annuncio di un modo di vivere alternativo a quello del mondo e della cultura
dominante.1 In questi ultimi anni il tema si è imposto all’attenzione della
Chiesa, connesso al processo di approfondimento e di riflessione sulla natura
ecclesiale della VC, a partire dall’ottica di una ecclesiologia di comunione,
al fine di offrire al mondo un volto autentico e vivificante di Cristo.2
Il processo di aggiornamento della vita religiosa
(accomodata renovatio) auspicata dal Vaticano II, ha consentito di impostare
itinerari di riflessione, di approfondimento, di purificazione, del vissuto
quotidiano comunitario e dunque anche del rapporto autorità/obbedienza, secondo
le indicazioni offerte dai padri conciliari nella LG e nel decreto PC. La
ricezione dei documenti magisteriali ha aiutato a prendere coscienza del valore
evangelico-testimoniale di questo binomio, a partire dall’ottica della
comunione/koinonia, della condivisione, della partecipazione e della
corresponsabilità comunitaria.
PUNTO DI PARTENZA
PROMUOVERE LA COMUNIONE
L’attenzione e le energie spese dagli Istituti, per
rendere più evangelico, più ecclesiale e più apostolico l’effettivo esercizio
dell’autorità e dell’obbedienza nelle comunità religiose, oggi ha bisogno di
ulteriori approfondimenti, anche a fronte di una serie di situazioni connesse
al complesso cammino di rinnovamento postconciliare. Infatti questo campo di
riflessione, pur appartenendo all’orizzonte vivo della vita dei voti (VFC 1-7),
deve confrontarsi nel dibattito ecclesiale, con la difficile ricerca
dell’identità carismatica ed ecclesiale, con la
rivitalizzazione/attualizzazione della dimensione apostolica, l’adeguata
lettura dei segni dei tempi e infine il problematico rapporto con la storia,
con il mondo e le sue sfide.
I documenti sulla VC, tendono a ricomporre la riflessione
sull’autorità e sull’obbedienza in un quadro
teologico-cristologico-ecclesiologico, chiarificando gli aspetti trascendenti e
immanenti del loro rapporto. Allo stesso tempo, la riflessione magisteriale ha
puntato l’attenzione sul serrato confronto con le ideologie dominanti, quali ad
esempio, individualismo3 e secolarismo, mettendo in guardia dal rischio più che
reale, di importare nell’orizzonte della VC disvalori mutuati dalla cultura
secolarizzata. Spesso purtroppo considerata da alcuni religiosi, necessaria
forma di accesso alla modernità e approccio al mondo contemporaneo4. Pertanto
il magistero pontificio, di fronte alle sfide formidabili che la VR ha davanti
a sé per il prossimo futuro, ha sollecitato, anche negli ultimi tempi, una
ulteriore quanto necessaria riflessione sistematica, riguardo alla verità
sull’esercizio dell’autorità e dell’obbedienza nella VC,5 alla luce della
sequela Christi e dei contenuti propri di un’ecclesiologia di comunione. Una tale
impostazione del tema ha il pregio di voler considerare le esigenze del nesso
autorità/obbedienza, nell’orizzonte cristologico, ecclesiologico e
pneumatologico, tenendo legati due aspetti essenziali di questo binomio:
l’amore, come agape espresso nel dono di sé, e il tema della
auctoritas/potestas.
In questo contesto la nozione di communio (PC 15) non è
solo l’orizzonte in cui sono state collocate importanti affermazioni
ecclesiologiche del Vaticano II, ma anche la qualità interiore e interiormente
determinante di ogni comunità cristiana e la nuova condizione esistenziale in
cui il credente vive unito a Cristo per mezzo dello Spirito in un dinamismo
vitale che lo porta al Padre. Proprio perché il regimen communionis nella
fraternità è animato dallo Spirito e da Cristo (LG 7), l’unità a cui autorità e
obbedienza dovrebbero ispirarsi è quella trascendente di un’«organica coesione»
e non quella di un semplice modulo sociologico, relazionale o collaborativo.
L’identità particolare del rapporto, pur nelle diversificazioni degli uffici e
dei compiti, in virtù dell’azione dello Spirito, sfocia in una specie di
complemento reciproco ordinato alla unica comunione del medesimo Corpo (cf. LG
7; MR 2). L’unico amore di Cristo e per Cristo, da vivere nella dimensione di un
rapporto comunitario aperto allo spazio della libertà, della verità dell’agape,
dell’obbediente ascolto della volontà di Dio, porta a sviluppare carismi e
fraternità in sintonia con il Corpo di Cristo in perenne crescita (MR 11),
individuando in Gesù Cristo il vero interlocutore contemporaneo della libertà
di ciascuno. Egli fa sì che tutti i membri della comunità religiosa in
qualsiasi posizione di servizio si trovino, in comunione con la Chiesa, possano
esprimere una efficace ed evangelica diaconia nei confronti dell’uomo, della
sua esistenza sociale e della sua dimensione spirituale.
AUTORITÀ RELIGIOSA
E OBBEDIENZA
Dal Vaticano II ad oggi, un numero crescente e
diversificato di documenti magisteriali sulla VC ha posto attenzione al tema
specifico dell’autorità/obbedienza. La nostra riflessione, per esigenze di
tempo, dovrà tralasciare (almeno in questa esposizione) l’analisi della maggior
parte dei documenti magisteriali, per circoscrivere l’attenzione solo su una
breve nota generale e un’interpretazione di alcuni documenti principali.
L’analisi dei documenti magisteriali lascia intuire, che per affrontare
correttamente il rapporto autorità/obbedienza nella VR, occorre partire da
un’osservazione fondamentale: non è possibile ricondurre questo binomio a un
solo concetto o modulo di pensiero. Infatti i testi sulla VR individuano
diverse prospettive ermeneutiche di cui tener conto per un approfondimento
generale della questione. Tali prospettive compaiono talvolta nei vari
documenti in successione diacronica o in contemporaneità sincronica e ci pare
siano riconducibili almeno a quattro ambiti tra di loro connessi:
trinitario-cristologico, ecclesiologico-comunionale,
pneumatologico-escatologico e antropologico-spirituale. A partire da questa
articolazione si dà uno sviluppo del discorso sull’autorità e l’obbedienza dal
punto di vista biblico, teologico, spirituale e pratico/pastorale.
In realtà la Chiesa riflette la consapevolezza di un
progressivo sviluppo dei due valori, nel processo di un ritorno alle fonti
mutuato dall’essenziale approccio offerto in LG, PC e non ultimo in GS. Per cui
diverrà essenziale da questo momento in poi, articolare autorità e obbedienza a
partire dalla Scrittura, dai Padri, dalla riflessione teologica, dalla
tradizione e dal patrimonio spirituale della VC.
Il tema trova un ampio respiro
teologico-cristologico-ecclesiologico nella visione del decreto conciliare
Perfectae caritatis, il quale contiene in sé, seppure in forma sintetica, tutti
i nodi dottrinali e pratici, connessi al rapporto superiori/membri
dell’istituto. Il dettato conciliare si svilupperà, secondo criteri di
recezione e continuità nei documenti successivi, fino a promuovere il vasto
orizzonte trinitario tratteggiato dall’esortazione apostolica Vita consecrata.
Il cuore trinitario di questa esortazione diverrà il punto di arrivo e di
partenza per una serie di riflessioni, che radicheranno ancora di più il
rapporto autorità/obbedienza nella spiritualità di comunione (RdC 29). La
confessio Trinitatis di VC, diviene la via per illuminare l’orizzonte normativo
dell’autorità/obbedienza, a partire dal rapporto tra Cristo e il Padre, tra
Cristo e gli apostoli, sullo schema di una relazione complementare dal
carattere di reciprocità asimmetrica.6 Una reciprocità che comunica per mezzo
dello Spirito Santo, il quale ha la prerogativa di unire i diversi e donare al
naturale rapporto umano il carattere di communio, di reciproca cura, di mutua
adesione (a un comune sentire), per entrare nello spazio della missione
redentiva di Cristo.7
Il dato cristologico esige, come sottolineano gli apporti
dei diversi documenti, un esercizio dell’autorità e dell’obbedienza
strettamente connessa alla fede, alla dimensione pasquale di morte e
risurrezione e alla dimensione escatologica, attualizzantesi nell’attesa della
realizzazione del primato di Dio e della partecipazione ai beni futuri. Questa
visione più evangelica del rapporto di intercomunione nella fraternità,
necessita una sintonia con la parola di Dio, un atteggiamento di ascolto, una
comunione di preghiera e l’applicazione del carattere dialogico intersoggettivo
ai rapporti vicendevoli, onde evitare dannose derive verso l’autoritarismo o il
servilismo e poter ripartire da Cristo.
NEI DOCUMENTI
MAGISTERIALI
A questo punto sarà utile soffermarsi sui contenuti più
significativi espressi da alcuni documenti, per mostrarne l’articolazione, lo
sviluppo, le differenze e gli approfondimenti alla luce del cammino ecclesiale
della VC. Il capitolo VI della costituzione dogmatica LG, ed il decreto PC, propongono
in sintesi gli aspetti dottrinali fondamentali, riguardo i valori della vita
religiosa, i suoi carismi, la dimensione apostolica e la santità dei consigli
evangelici nell’orizzonte della Chiesa-mistero, della Chiesa-comunione e della
ecclesiologia di missione. Pertanto, le considerazioni inerenti al nostro tema
saranno affermate, dal decreto conciliare, a partire dalla comunità religiosa
intesa, nella sua dimensione misterica, nella dimensione comunionale-fraterna,
nella dimensione carismatica e nella dimensione apostolica.
PC fornisce le coordinate bibliche, teologiche ed
ecclesiologiche del voto di obbedienza entro il quale tutti, superiori e
membri, sono ricompresi. In particolare l’orizzonte cristologico e l’aspetto
della koinonia influenzeranno tutta la riflessione di PC n. 14, riguardo alla
radice, alla forma, al carattere dell’obbedienza e dell’autorità, entrambe
chiamate a realizzare la comunione-partecipazione all’unica missione di Cristo
nella Chiesa. L’autorità è vista quale mediazione della paternità divina,
secondo lo stretto e intrinseco rapporto sussistente tra diaconia e carità (cf.
Gv 13,12); mentre l’obbedienza è definita a partire dal suo essere immagine e
continuazione dell’obbedienza filiale di Gesù Cristo, il quale «venne per fare
la volontà del Padre». In PC 14 si nota la forte tendenza a sottolineare il
senso ecclesiale dell’obbedienza, in quanto funzionale all’edificazione del
Corpo stesso di Cristo. Infatti, la sottomissione «in spirito di fede ai
superiori», oltre ad attualizzare il valore intrinseco del voto, vincola la
persona consacrata «sempre più strettamente al servizio della Chiesa».
L’obbedienza è analizzata secondo il suo carattere di
voto e secondo l’aspetto di virtù eminentemente soprannaturale. In relazione
alla virtù e al voto, il religioso che presta obbedienza, non potrà mai essere
considerato un soggetto puramente passivo di fronte a un processo decisionale,
poiché la sua adesione obbedienziale sarà sempre intesa come attiva,
responsabile e coinvolgente la totalità della persona. Infatti ogni membro
della comunità è invitato a mettere a disposizione, nell’esercizio
dell’obbedienza tanto le energie della mente e della volontà quanto i doni di
grazia e di natura […] nella certezza di dare la propria collaborazione alla
edificazione del Corpo di Cristo secondo il piano di Dio (PC 14).
UN RITORNO
ALLA RADICE EVANGELICA
Qui la relazione autorità/obbedienza riconsegnata alla
sua radice e norma evangelica,8 assume la forma della comunione tra Cristo e il
Padre, unico Bene assoluto, unico Amore, vera realizzazione di ogni libertà,
interiore ed esteriore. In tal modo il binomio articola insieme le due facce
della stessa realtà: da un lato il modo carismatico di partecipare all’essere
Figlio del Cristo,9 dall’altro il modo carismatico di mediare la paternità di
Dio, manifestando contemporaneamente la virtù di un atteggiamento filiale e non
servile. L’autorità in quanto espressiva dell’amore di Dio per coloro che si
consacrano a lui, è intesa come un servizio esercitato nell’orizzonte della
carità, rispettoso della persona umana, e coadiutore della soggezione
volontaria di «coloro che gli sono sottomessi». Caratteristica dell’autorità,
quanto dell’obbedienza, rimane lo spirito di ascolto, che solo può promuovere
la vera carità e l’unione tra i religiosi.
La relazione autorità/obbedienza dal momento che
s’inquadra in un sistema di valori e di «immedesimazione conformativa» a Cristo
(cf, VC 16), si prefigge di realizzare la promozione della persona umana
attraverso la dimensione liberante dell’obbedienza filiale. Per questo, ognuno
dei documenti sulla VC, non mancherà di sottolineare il principio di non
contraddizione tra obbedienza e libertà, di fronte alla degenerazione
ideologica della cultura, che esaltando l’autonomia personale e una coscienza
soggettivista, rischia di compromettere il senso profondo dell’obbedienza (cf.
ad es. VC 91). Il binomio autorità/obbedienza nei successivi interventi dei
pontefici, dei sinodi, e della CIVCSVA, verrà sempre articolato valorizzando il
corpus dottrinale di PC e ampliando i principi di riflessione, i criteri di
giudizio e le direttive pratiche. Questo va notato specialmente nel gruppo di
documenti emessi fino al 1971, che sostengono lo sforzo dell’applicazione delle
norme conciliari.
La prospettiva dell’esortazione apostolica di Paolo VI
Evangelica testificatio, sopraggiunta dopo cinque anni dall’inizio del faticoso
lavoro di rinnovamento, si preoccuperà di delineare un’antropologia spirituale
per i religiosi (ET, 30-41), in vista di un impegno personale interiore in
favore di una rinnovata visione della VC. In pratica il modello evangelico del
binomio autorità/obbedienza tiene conto anche delle leggi spirituali, che
contribuiscono all’unificazione della persona a livello profondo del «cuore»,
realizzando la corrispondenza effettiva ed affettiva tra le diverse componenti
della comunità per mezzo di quei solidi e stabili vincoli «con i quali è
rappresentato Cristo» (ET 7). Il dono di sé, libero, totale, generoso,
irreversibile (ET 7) e l’aspirazione evangelica alla fraternità, a immagine
della Chiesa «popolo di Dio», pongono nell’obbedienza e nell’autorità quel
carattere sacrificale la cui misura è il mistero pasquale del Cristo (ET 24),
che garantisce relazioni personali e comunitarie mosse dal dinamismo della
carità di Cristo (ET 23). Il rapporto diaconia-carità, sia nell’autorità
chiamata a servire con lo stesso amore del Padre (diaconia caritatis), che
nell’obbedienza esercitata a imitazione di Cristo, non è solo strettamente
connesso, ma intrinseco. La partecipazione al comune carattere pasquale, di
autorità e obbedienza in definitiva rappresenta i due aspetti complementari
della stessa partecipazione all’offerta del Cristo nell’economia salvifica (ET
25).
Anche Paolo VI porrà attenzione a un ambito
particolarmente sensibile della vita religiosa rappresentato dal nesso
autorità, libertà e coscienza personale,10 che ideologie aliene spesso oppongo
tra di loro. L’obiettivo del documento sarà quello di riguadagnare il genuino
senso e le implicazione del loro rapporto, entro lo spazio dell’evento Cristo,
della sua dimensione filiale, e della sua articolazione con la Verità
trascendente. Il binomio autorità/obbedienza, per Paolo VI, trova la sua
personalizzazione nella comunione in cui sono trattenuti «il superiore e il suo
fratello», entrambi in cammino verso la ricerca della volontà di Dio per il
bene comune, guidati dalla fede, dal dialogo, dalla concordia, dalla comune
preoccupazione nel far prevalere il senso profondo della vita religiosa, al di
là delle opinioni correnti. Sarà infine la conclusione decisionale, spettante
sempre al superiore, la cui presenza e il riconoscimento sono indispensabili in
ogni comunità (ET 25), a dare l’impulso all’unità richiesta per la missione.
ULTERIORI
INTEGRAZIONI
Ulteriori aspetti giuridici, dottrinali, pastorali, di
indubbio interesse, circa il nostro tema, vengono integrati da alcuni
documenti, emessi nel periodo che va dal 1983 al 1984. Noi ci accingiamo a
considerare solamente il Codice di diritto canonico. che tratta l’aspetto
giuridico di questo binomio. Il CIC del 1983 rappresenta uno dei punti di
arrivo del rinnovamento della Chiesa, poiché traduce in norme canoniche il
ricco insegnamento conciliare e postconciliare sulla VR. Possiamo notare come documenti
conciliari, quali LG, PC, PO e CD, insieme alle fontes iuris proprie, sono
stati usati per integrare e implementare, secondo la nuova prospettiva
teologale e pastorale, le norme canoniche pre-conciliari riguardanti autorità e
obbedienza.
Il fondamento dell’autorità e dell’obbedienza nel Codice
rimane la libera obbedienza d’amore di Cristo al Padre (cf. 10,17-18). Detto in
altri termini il dinamismo discendente teocentrico-cristologico-penumatologico
dello svelarsi dell’intima vita trinitaria, incontra il movimento ascendente
antropologico-ecclesiologico della risposta della persona consacrata nella sua
volontà di comunione con la volontà salvifica di Dio. I canoni nel loro insieme
presentano il binomio in questione secondo una prospettiva dialogica, nell’ambito
di una proposta di condivisione, comunione, cura paterna e intesa spirituale,
senza per questo abdicare all’aspetto normativo, che rientra nella parte
giuridica.
In particolare i diversi canoni riconoscono che il
rapporto autorità/obbedienza, pur esprimendosi come fenomeno giuridico,
tuttavia affonda le sue radici nella componente spirituale e da essa attinge la
sua forza. La nuova visione viene mutuata in particolare da PC 14, dove ad
esempio la potestà dei superiori, intimamente legata al posto e alla funzione
di Cristo, Capo del Corpo Mistico (LG 21), non è descritta come una potestas
dominativa, avente la sua fonte nella comunità,11 ma in relazione a Dio, che è
«venuto sulla terra non per essere servito, ma per servire e dare la sua vita
in riscatto per molti» (Mc 10,45). In questo caso viene ribadito il concetto,
che l’autorità del superiore, nella condivisione dei munera Christi (insegnare,
santificare e governare), deriva da Dio, attraverso il ministero della Chiesa e
la loro legittima elezione. La potestà del superiore non è quindi assoluta, o
un diritto acquisito in forza di titoli personali, ma circoscritta dal diritto
comune e particolare, connessa all’ascolto della volontà di Dio ed esercitata
secondo lo «spirito di servizio» (PC 14c). Secondo questa logica egli si
adopera per animare la vita comunitaria nel rispetto per la persona umana (CIC
can. 618) e facendosi promotore nella fraternità del continuo impegno a vivere
la consacrazione entro le coordinate di un’obbedienza, configurata come libera
adesione volontaria.12 Dall’altra parte il rendere un’umile obbedienza ai
superiori, sull’esempio di Cristo, in spirito di fede e di amore a Dio, vorrà
dire superare una concezione statica dei rapporti umani, realizzando il vero
valore dell’obbedienza, che è dipendenza filiale e non servile, animata da
responsabilità e spirito collaborativo.
L’importanza della communio e del dialogo è riproposta
dal documento della CIVCSVA, Vita fraterna in comunità del 1994. I vari numeri
espongono un’analisi positiva della vita religiosa vissuta in fraternità,
confermando il modo evangelico di intendere le relazioni comunitarie secondo
l’ottica comunionale e affrontando un plesso di questioni, ad intra e ad extra,
legate anche alla gestione delle problematiche connesse al rapporto
autorità/obbedienza. VFC, valorizzando nell’obbedienza l’atteggiamento di dono
a Dio e alla Chiesa vissuto nella comunione di una famiglia religiosa,
puntualizza che il religioso non è solo un chiamato con una sua vocazione
individuale, ma è un «convocato», assieme a tutti coloro con cui condivide
l’esistenza quotidiana. Viene messo in rilievo la convergenza dell’assenso di
fede, di quanti si pongono alla sequela Christi nell’orizzonte dello Spirito,
come i discepoli dietro al Maestro (VFC 44). La stessa missione è approfondita
come partecipazione alla missio cristologica affidata a un gruppo, che con
sguardo di fede si lascia condurre da coloro a cui è affidato il servizio di
guida della comunità (VFC 59). In definitiva, la fede, forza indispensabile per
costruire rapporti fruttuosamente fraterni, conserva anche qui quel ruolo
decisivo perché la comunità in tutte le sue componenti sperimenti il mistero
salvifico dell’obbedienza iniziata nell’Uomo nuovo Gesù Cristo per divenire
realtà evangelicamente rilevante nella Chiesa e nella società (VFC 53).
Queste constatazioni rilevate dal documento, ovviamente,
si poggiano non solo su dati dottrinali, ma anche sulla nuova concezione dei
rapporti interpersonali emersa nell’immediato postconcilio, che pone in essere
un forte recupero del valore della persona singola e delle sue iniziative (VFC
5d). Determinando in tal modo «l’emergere di un diverso modo di affrontare i
problemi: attraverso il dialogo comunitario, la corresponsabilità e la
sussidiarietà» (ovvero suscitando l’interesse di tutti i membri alle questioni
comunitarie). Tale atteggiamento ha contribuito a determinare il mutamento
considerevole dei rapporti interpersonali, con conseguenze nel modo stesso
d’intendere il servizio dell’autorità. Il documento farà notare che in non
pochi casi questa stenta nella pratica a ritrovare una sua precisa
collocazione.
VFC riconosce un reale percorso di maturazione e di
crescita della figura dell’autorità e dell’obbedienza in seno alla comunità
religiosa, per cui appare migliorata: la partecipazione attiva di tutte le
componenti della fraternità, l’attenzione alle necessità dei singoli, la
costruzione di comunità meno formaliste, meno autoritarie, più fraterne e
partecipate (VFC 47). Tuttavia, il documento non si nasconde che tali frutti di
rinnovamento a volte sono stati compromessi, sia da un senso di diffidenza nei
confronti di strutture troppo autoritarie e rigide, sia dal ridimensionamento
dell’autorità, ridotta al puro compito di coordinamento a favore di una
collegialità sempre più affermata (cf. VFC 48). Il pericolo dichiarato di
fronte a questo misconoscimento del ministero è quello di una frantumazione
della vita comunitaria, che tende a privilegiare i percorsi individuali e
contemporaneamente a oscurare il ruolo dell’autorità.
LE ISTANZE
DELLA MODERNITÀ
Inoltre tre “cifre” importanti della modernità, capaci di
influire già nella vita ecclesiale, condizionano il binomio
autorità/obbedienza: il rilievo della storicità, l’affermarsi della soggettività
e della libertà (“svolta antropologica” e “storia di libertà”) e l’aspetto
dell’intersoggettività come luogo di manifestazione e compimento del soggetto
stesso. Queste istanze e il clima democratico moderno, hanno certamente
influito su una certa crescita della corresponsabilità e della partecipazione
di tutta la comunità religiosa al processo decisionale, ma il Magistero si è
sentito in dovere di ribadire l’indole particolare della comunità, che nella
tradizione della Chiesa non è mai stata considerata un collettivo anonimo. Fin
dall’inizio essa è stata dotata dei suoi capi, per i quali già Paolo chiedeva
considerazione, rispetto e carità (1 Tess 5, 12-13). «Il cammino di
rinnovamento ha ridisegnato l’autorità con l’intento di ricollegarla più
strettamente alle sue radici evangeliche e quindi al servizio del progresso
spirituale del singolo e della edificazione della vita fraterna nella comunità»
(VFC 49), affermando nel contempo un esercizio dell’autorità sempre conforme
alla volontà di Dio (cf. VFC 52).
VFC illumina l’esercizio dell’autorità, tenendo conto
della sua indole spirituale, della sua funzione unitiva/comunionale, delle sue
prerogative decisionali e delle sua responsabilità esecutiva, nell’ambito di
una spiritualità di comunione, che assicura la fattiva partecipazione di
tutti.13 La prospettiva chiara dei testi è quella di ribadire chiaramente il
ruolo di un ministero dell’autorità inteso come personale, in continuità con la
tradizione della Chiesa, finalizzato alla crescita della vita fraterna e al
cammino spirituale/apostolico della persona consacrata. In quanto la fraternità
rimane soprattutto dono di Dio, frutto dell’obbedienza alla parola di Dio e non
solo il guadagno di uno sforzo personale o comunitario. Solo in questo modo la
comunione fraterna, espressa nel rapporto autorità/obbedienza, può divenire, di
fronte alla società occidentale insidiata dall’individualismo, testimonianza
della possibilità di creare in Cristo autentiche relazioni solidali, fraterne e
di fronte alle culture travagliate dall’autoritarismo e dal comunitarismo il
simbolo del rispetto e della promozione dovuta alla persona umana.
Vorrei solamente far presente, che la condivisione comune
di alcune problematiche, connesse al rapporto autorità/obbedienza, mette in
conto anche una loro notevole differenziazione all’interno della VR, causata
dalla pluriculturalità, dal diverso tipo di comunità (maschili o femminili),
dalla differente tipologia degli istituti, dalla maniera di concepire
l’autorità, dal diverso modo di recepire i valori dell’assunto conciliare e di
porsi di fronte alla società.
La riflessione del Magistero troverà un punto di approdo
nell’esortazione apostolica Vita consecrata di Giovanni Paolo II, definita il
frutto maturo del Vaticano II. Essa coglie in una ricca sintesi sia i
contributi teologici, spirituali, pastorali e canonici, del concilio, che gli
sviluppi dottrinali successivi, tenendo in particolare conto quanto espresso
nella IX Assemblea ordinaria Sinodo dei vescovi del 1994, su La Vita consacrata
e la sua missione nella Chiesa e nel mondo. A partire dall’obbedienza del
Figlio al Padre, la persona consacrata è chiamata a incarnare nella vita dei
voti, con particolare intensità, il carattere trinitario e cristologico che
contrassegna tutta la vita cristiana. L’esortazione colloca nell’orizzonte
trinitario, la dimensione cristologico/ecclesiale dell’autorità/obbedienza e la
connette in modo particolare alla comunione ecclesiale, al fine di ricercare e
compiere la volontà del Padre nel percorso della VR. L’obbedienza, in
particolare, manifestando la forma storica della libertà del Figlio Unigenito
del Padre, esprime la bellezza liberante di una dipendenza filiale e non
servile, mentre rivela il riflesso nella storia dell’amorosa corrispondenza
delle tre Persone divine (VC 21).
Sull’esercizio dell’autorità, diremo solo che
l’esortazione, pur ammettendo la necessità di una revisione dell’ufficio
dell’autorità, mette in guardia coloro che sono chiamati a tale ministero,
dall’abdicare al compito di primo responsabile della comunità, e di guida dei
fratelli nel cammino spirituale e apostolico. Infatti il coinvolgere i
confratelli e le consorelle nel processo di discernimento decisionale, pur
fortemente auspicato, non priva l’autorità dalla prerogativa di dire dover
l’ultima parola e di far rispettare le decisioni prese.
In ambienti fortemente segnati dall’individualismo,
rimane molto difficile accogliere e far riconoscere la funzione dell’autorità,
sebbene caratterizzata da un’indole comunionale e spirituale, svolta a
vantaggio di tutti per il consolidamento della comunione fraterna (VC 92, cf.
VC 43). Giovanni Paolo II sarà esplicito nel sottolineare che l’esercizio
errato della libertà è una delle grandi sfide con le quali la cultura
contemporanea, sul piano morale, provoca il compito profetico del voto di
obbedienza. La libertà, fondamentale prerogativa umana, svincolata dal suo
rapporto costitutivo con la verità e con la norma morale, favorisce l’emergere
di rapporti ingiusti e a volte violenti nella comunità umana (VC 91).
L’obbedienza, che caratterizza la VC è proprio risposta efficace a tale
deviazione, in quanto è intesa come progressiva conquista della vera libertà
nell’orizzonte di Cristo obbediente al Padre. La persona consacrata, dirà
l’Istruzione Ripartire da Cristo, può divenire segno credibile del Vangelo e
dei suoi paradossi se l’esercizio dell’autorità e dell’obbedienza, trova il
proprio punto di convergenza in una comune visione più ispirata al Vangelo, più
conforme al disegno divino (RdC 45) e al pieno riconoscimento della persona
umana. Solo in questo modo potrà dire qualcosa al mondo, in vista di una piena
realizzazione dell’uomo e di un rinnovato senso della libertà, di fronte alla
progressiva disumanizzazione, all’inquinamento dello spirito, della vita, della
cultura (RdC 13).
UN CONTESTO PIÙ EVANGELICO
E PARTECIPATIVO
Il binomio autorità/obbedienza negli anni del
postconcilio, a partire da un contesto comunionale-partecipativo, si è
sviluppato secondo uno spirito più evangelico, più ecclesiale e più apostolico.
Allo stesso tempo però il Magistero ha dovuto ammettere una progressiva crisi
della vita religiosa connessa sia all’autorità che alla legge, sia
all’espressione del voto di obbedienza.14
Il rapporto autorità/obbedienza ha risentito della responsabilità
e della difficoltà di dover rileggere le conquiste delle società democratiche,
quali: libertà, liberazione, eguaglianza, diritto dell’uomo, democrazia,
pluralismo, indipendenza, autonomia etc., a partire dalle esigenze proprie
della VC, dell’economia salvifica e della fede. È noto peraltro che
l’introduzione nei rapporti umani del dislivello dell’autorità e il meccanismo
dell’obbedienza, ha sempre provocato la diffidenza dell’uomo moderno verso il
principio dell’autorità e l’aspetto legale dell’obbedienza, poiché tale
struttura sembra richiamare piuttosto ideologie totalitarie. Il richiamo
magisteriale a riscoprire la vera identità dell’autorità delegata, nella sua
funzione pastorale, spirituale, educativa, pedagogica, moderatrice, al servizio
dell’uomo, dell’ordinamento collettivo e comunitario, salvaguarda dall’abuso
dell’autorità, lì dove il suo esercizio è proposto secondo un’indole
autoritaria, dominatrice ed egoistica. Il superiore, infatti, ha un ruolo
personale e diretto nel richiamare i valori e i doveri “davanti a Dio” proprio
perché riceve l’autorità da Dio.
I documenti, specialmente del periodo postconciliare,
insistono sulla necessità di ricercare personalità non semplicemente
manageriali, ma adeguate a tutte le dimensioni di tale ministero, capaci di
comprenderne l’indole e la funzione spirituale verso la comunità e il singolo.
Il versante dell’obbedienza, nei testi magisteriali, richiama l’attenzione
sull’adesione/realizzazione di un comune sentire, illuminato dalla ricerca
della volontà divina e dall’accoglienza di quel carico di sacrificio e di
fatica che a volte essa comporta. Pertanto, il voto risulta espresso
inadeguatamente lì dove si pone nella pura passività, nella freddezza di
rapporti, nell’acquiescenza dovuta all’interesse e alla paura, o si
appesantisce in un fondamentalismo/individualismo religioso (mutuato dal
contesto culturale soggettivistico), provocando un conseguente calo di slancio
mistico, apostolico e la frantumazione della vita fraterna.
Il rapporto autorità/obbedienza nella VC percorre oggi
una strada molto impegnativa, che suppone una trasformazione di mentalità, un
retto orientamento spirituale e un ripensamento profetico, se vuol essere
testimonianza di fronte al mondo del primato della vita spirituale, dell’unità,
della fedeltà, della carità, per l’edificazione del Corpo mistico di Cristo che
è la Chiesa.
Vittorina Marini
1 Congregazione Istituti di Vita consacrata e
società di vita apostolica, Istruzione Contemplando il volto sul tema Ripartire
da Cristo. Un rinnovato impegno della vita consacrata nel terzo millennio, 19
maggio 2002, n. 6.
2 Rodé R, «Il cammino della vita consacrata dal
Perfectae caritatis a oggi», in Sequela Christi 32/1 (2006) 104-113.
3 F. Lenoir, acutamente osserva in proposito: «Una
delle caratteristiche fondamentali dell’individualismo religioso moderno è il
rifiuto di entrare in una logica di obbedienza. Si accetta sempre meno di
aderire ad articoli di fede senza interrogarsi a riguardo o di vivere secondo
regole morali imposte. Ogni autorità di tipo dogmatico o normativo viene
screditata. […]. I moderni vogliono sostituire la logica di obbedienza tipica
delle società tradizionali con una logica di responsabilità». Cf. Id., Le
metamorfosi di Dio. La nuova spiritualità occidentale, Milano 2003, 40-41.
4 Cf. Benedetto XVI, Discorso ai superiori e alle
superiore generali degli IVC e SVA, in OR (22-23 maggio 2006), 5.
5 In questo contesto la Lettera di Benedetto XVI, in
occasione della plenaria per gli IVC e le SVA, 27/11/2005, auspica che le
indicazioni offerte dai padri conciliari continuino a ispirare il cammino della
VC. A partire da quella che il decreto qualifica quale “vitae religiosae ultima
norma”: la sequela Christi. Pertanto l’autentica ripresa della VR non potrà che
partire dalla comprensione vitale del Vangelo – oggi più che mai necessaria –
per trovare in Cristo e nella sua parola l’essenza più profonda di ogni carisma
del fondatore o della fondatrice (Messaggio alla sessione plenaria della
CIVCSVA, in OR, 30 settembre 2005, 5).
6 Inseriamo qui una definizione, coscienti che
quella della «reciprocità asimmetrica» o della «uguaglianza differenziata», tra
le diverse membra, le varie componenti e funzioni intraecclesiali rimane ancora
una vexata quaestio.
7 «[…] È opera dello Spirito anche la pluriformità.
È lui che costituisce la Chiesa in una comunione organica nella diversità di
vocazioni, carismi e ministeri (cf. AG 4; LG 4, 12, 13; AA 3; ChL 20-21) […]»,
VC 31b.
8 Secondo le note espressioni della tradizione
medievale: «Osservare il Santo Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo, vivendo
in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità» , Francesco, Regula bullata
cap. I, 1.
9 D’altra parte, come fa notare A. Pigna, il
consacrato «non sceglie tanto le rinunce legate alla povertà, alla castità e
all’obbedienza, ma Cristo casto, povero e obbediente, sceglie cioè di vivere
una piena comunione di vita con Cristo, non un programma ascetico radicale che
[…] lo dovrebbe portare al vertice dell’umana perfezione, vagheggiata da tante
pur nobili filosofie umane». Si tratta invece e sempre «della logica dell’amore
che quella di essere con e di essere come la persona amata. A. Pigna, A lode
della Trinità, in «Informationes-Scris» 22 (1996), 18.
10 Paolo VI getterà lo sguardo sull’ambito morale manifestando
il rapporto stretto tra coscienza e obbedienza. «Questo santuario in cui l’uomo
è solo con Dio ed in cui la sua voce si fa intendere (GS 16)» (cf. ET 28).
Nell’Udienza generale del 24/7/1974 integrerà la nozione di coscienza secondo
la dottrina della Chiesa, funzionale al discorso sull’obbedienza e il suo
ministro, che è l’autorità (Il reale concetto di autorità e obbedienza per i
militanti nella fede, in Insegnamenti di Paolo VI 1974, vol. XII, 673-676).
11 La nozione di autorità negli istituti religiosi,
come era impostata ed insegnata in passato, compreso il CIC 1917, era basata
sul fatto che l’autorità dei superiori derivava dalla volontà di coloro che
professavano l’obbedienza, i quali concedevano ai superiori un’autorità su di
loro. Questa era la cosiddetta potestas dominativa. La nozione di potestas
dominativa ha subito una svolta quanto è stata posta a confronto con gli
argomenti teologici, che vedevano l’obbedienza religiosa come perfetta adesione
alla volontà salvifica di Dio. Questa impostazione ha portato a una svolta
anche nel pensiero canonico, cosicché la potestas dominativa è passata a essere
vista come un diritto acquisito dai superiori, invece di una assoluta
sottomissione.
12 L’autorità in un istituto dovrà esprimersi a
diversi livelli: spirituale, formativo, disciplinare e amministrativo (cfr.
cann. 617-630). Va sottolineato che il CIC guarda a due tipi di governo
interno: personale (dei superiori) e collegiale (le sinassi). Sebbene siano
distinti strutturalmente, sono però intrinsecamente complementari. Noi ci
stiamo occupando semplicemente della relazione teologico/spirituale/pastorale
diretta tra superiore e membri e non scenderemo in altri particolari di governo
degli istituti. Una parola ancora dal punto di vista dell’obbedienza, riguardo
alla comunione ecclesiale e al rapporto con il romano pontefice. Il CIC
evidenzia che egli è il superiore supremo dei religiosi (can. 590 § 2): non
solo di ogni membro dell’istituto religioso, ma anche dell’istituto in quanto
tale, che sono a lui soggetti in base al voto di obbedienza. L’obbedienza al
romano pontefice è un mezzo per mantenere la comunione ecclesiastica. Essa
richiede la comunione con lui in materia di fede, di costumi e include il
riconoscimento del suo primato sulla Chiesa universale.
13 Anzitutto si parla di un’autorità spirituale, che
abbia come compito prioritario l’animazione spirituale, comunitaria e
apostolica della comunità. (VFC 50). Un’autorità operatrice di unità, aperta al
dialogo, all’ascolto, alla condivisione, capace di incoraggiare la
corresponsabilità dei membri, di sostenere nelle difficoltà, aperta al futuro e
alla missione e suscitare l’obbedienza dei religiosi nel rispetto della persona
umana. Un’autorità che cerchi di mantenere l’equilibrio tra preghiera e lavoro,
tra apostolato e formazione, tra impegni e riposo. In pratica l’autorità si
adopera per far crescere una comunità fraterna in Cristo. Infine si tratta di
un autorità in grado di prendere la decisione finale, assicurandone
l’esecuzione.
14 Cf. Benedetto XVI, Discorso, Ai superiori e alle
superiore generali degli istituti di vita consacrata e delle società di vita
apostolica (22 maggio 2006).