I SETTE SANTI DONI

 

I sette doni dello Spirito Santo sono un potenziamento del nostro intelletto e della nostra volontà, perché essi possano più facilmente e più intensamente compiere gli impegni della propria vita spirituale in vista di una consumata santità.

 

Nel rito della confermazione, il ministro, mentre impone le sue mani su tutti i cresimandi, così prega: «Dio onnipotente, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che hai rigenerato questi tuoi figli dall’ acqua e dallo Spirito Santo liberandoli dal peccato, infondi in loro il tuo santo Spirito Paraclito: spirito di sapienza e di in­telletto, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di scienza e di pietà, e riempili dello spirito del tuo santo timore»...

La sapienza è chiamata da san Bernardo «saporosa conoscenza delle cose divine». Ha, dunque, in sé un duplice elemento: la luce che illumina l’intelletto e gli fa pronunziare retti giudizi nei riguardi di Dio e delle cose create, e il gusto spirituale che opera sulla volontà, facendole pregustare le cose divine per una specie di connaturalità e di simpatia: questo secondo aspetto è l’elemento maggiormente distintivo di questo dono dagli altri due affini. Anche nel linguaggio normale, la sapienza non è la stessa cosa della scienza o dell’intelligenza.

L’intelletto dà una penetrante intuizione delle verità rivelate, senza naturalmente poterne svelare il mistero. È il dono della comprensione (intelletto significa propriamente intus legere, leggere dentro, penetrando nell’intimità delle cose, in questo caso delle verità rivelate). Il dono che fa teologi (e teologi raffinati) senza la trafila che la teologia normalmente comporta in coloro che la praticano. L’agiografia anche contemporanea è piena di casi del genere. Si pensi a santa Teresa di Lisieux, a santa Elisabetta della Trinità, a Chiara Lubich...

Il consiglio è un rafforzamento e un perfezionamento della virtù della prudenza, che ci fa giudicare con prontezza e sicurezza, per una specie di intuizione soprannaturale, ciò che è opportuno fare, specialmente quando si è davanti a casi di difficile soluzione. Molti santi si sono distinti per il possesso di questo dono. Per questo venivano consultati non solo dai fedeli, ma anche da uomini di stato, da personaggi della società e della Chiesa. Si pensi soltanto a santa Caterina da Siena e alla funzione storica che essa svolse nel suo tempo, nonostante la sua giovane età e la mancanza di studi e di cultura.

La fortezza è naturalmente un supplemento della virtù morale della fortezza. Per questo dono la volontà riceve una forza che la rende capace di agire e di patire con gioia e con coraggio nei momenti di grandi difficoltà. Agire e patire: due cose ugualmente difficili, se l’uomo è lasciato da solo. Esempi di questo genere ci vengono dai martiri, cominciando dal primo, santo Stefano, «pieno di grazia e di fortezza» (At 6,8) perché era «pieno di Spirito Santo» (At 7,55). Ma anche dai malati, resi sorprendentemente sereni da una forza sovrumana che loro stessi nemmeno sospettavano e si sanno spiegare.

La scienza è un dono collaterale alla virtù della fede, che ci fa conoscere le cose create nella loro relazione con Dio. È per questo dono che il cristiano diventa capace di superare il fascino delle creature e di assumerle come mezzo di ascesa verso Dio e il mondo del soprannaturale. Tutta la corrente francescana è un esempio vivente e continuato di cosa può succedere quando arriva questo dono. Per san Francesco, tutto il creato parla di Dio e riporta a lui. Una cura energica contro il terrenismo e contro la cultura dell’effimero, che sono la tentazione dell’uomo di sempre, in particolare di quello di oggi. Le preghiere della Chiesa sono più volte ispirate alla natura di questo dono, diventando così una richiesta implicita di esso. Come quando, nella domenica XVI del tempo ordinario, si prega di saper usare «saggiamente dei beni terreni nella continua ricerca dei beni eterni».

La pietà, dono annesso alla virtù della religione, produce nel cuore un amore filiale per Dio e tutto ciò che gli è legato, spingendo a compiere volenterosamente e gioiosamente i propri doveri religiosi. Si tratta di un dono dello Spirito e non di un atteggiamento faticosamente conquistato con le proprie forze. Chi ha questo dono vede in Dio non un padrone, ma un padre, come afferma Rm 8,15 e presta a lui l’obbedienza della vita e della fede, a somiglianza del Figlio, che fu obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Gli stessi sentimenti si provano per tutte le persone e le cose a Dio connesse.

Il timore non è la paura o il terrore di Dio, ma l’atteggiamento riverenziale e filiale che ci fa temere ogni offesa di Dio, allontanandoci per questo dal peccato e da tutto ciò che a lui dispiace. Anche se Padre, Dio rimane sempre «Rex tremendae maiestatis», il Tutt’altro, il Trascendente, dinanzi al quale l’uomo, come l’antico profeta, avverte la sua piccolezza e indegnità. «Io sono colui che è, tu sei colei che non è», diceva Gesù a santa Caterina da Siena. Nei rapporti con Dio, c’è da trovare un giusto equilibrio di affetto e di rispetto. Questo equilibrio è una conseguenza dei doni dello Spirito Santo.

Una spiegazione forse in qualche caso un po’ macchinosa, ma la sostanza nel suo fondo è molto chiara: i sette doni dello Spirito Santo sono un potenziamento del nostro intelletto e della nostra volontà, perché essi possano più facilmente e più intensamente compiere gli impegni della propria vita spirituale in vista di una consumata santità.

 

Giordano Frosini

da Lo Spirito che dà la Vita, EDB