CINQUANT’ANNI DI “FIDEI DONUM”

UN PONTE TRA LE CHIESE

 

Lo scambio è il nome nuovo della missione: in questo si concretizza l’apporto alla nuova coscienza missionaria delle chiese locali, emergente dall’esperienza dei preti fidei donum, e la figura del missionario laico. Un’esperienza che celebra i cinquant’anni della sua istituzione.

 

Un recente convegno mondiale delle Pontificie Opere Missionarie ha inteso commemorare il 50° anniversario dell’enciclica Fidei donum di papa Pio XII (1957). Un documento che guardava specialmente all’Africa e che ipotizzò un nuovo soggetto pastorale per la cooperazione missionaria. A quell’enciclica ha fatto esplicito riferimento Benedetto XVI nell’udienza generale dei convegnisti (5/5/07): «Duplice era lo scopo che animava il venerato pontefice: da una parte, suscitare in ogni componente del popolo cristiano una rinnovata “fiamma” missionaria e, dall’altra, promuovere una più consapevole collaborazione fra le diocesi di antica tradizione e le regioni di prima evangelizzazione. Nel corso di questi cinque decenni l’invito di Pio XII è stato a più riprese ribadito da tutti i miei predecessori e, grazie anche all’impulso impresso dal concilio Vaticano II, è andato moltiplicandosi il numero dei sacerdoti fidei donum, partiti insieme a religiosi e volontari laici in missione per l’Africa e per altre regioni del mondo, talora a costo di non pochi sacrifici per le loro diocesi di appartenenza. Vorrei qui esprimere un particolare ringraziamento a questi nostri fratelli e sorelle, alcuni dei quali hanno versato il loro sangue per diffondere il Vangelo».1

 

UN NUOVO METODO

DI EVANGELIZZAZIONE

 

Anche l’Ufficio CEI per la Cooperazione missionaria tra le Chiese ha cercato di fare il punto della vicenda dei fidei donum (fd) con incontri continentali dei missionari italiani. Si può dire subito che questi 50 anni hanno visto una trasformazione dei paradigmi dell’attività di evangelizzazione e la nascita di nuovi modelli ecclesiologici, a partire dalla nuova importanza attribuita allo scambio di esperienze di evangelizzazione “con comunità più povere materialmente, ma nient’affatto tali a livello spirituale e pastorale” (CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, 46).

Gli obiettivi di carità pastorale su cui Pio XII richiamava i vescovi a sentire «l’imperioso dovere di propagare il Vangelo e di fondare la Chiesa nel mondo intero» (FD 14) restano intatti. I fd si sono sempre più compresi come l’espressione missionaria di una chiesa particolare a servizio di chiese sorelle.

Alla fine del 2005 i fidei donum in servizio attivo in Italia risultano 555 (il 4% dei missionari italiani e circa l’1,6% dei sacerdoti diocesani). In 50 anni i fd italiani vengono calcolati in 1.900. Le diocesi impegnate in questa forma di cooperazione risultano 118. I Centri missionari diocesani hanno trovato ulteriori motivazioni valorizzando i fd come espressione diretta del protagonismo missionario della chiesa locale. Gli stessi vescovi diocesani hanno potuto vivere esperienza diretta delle giovani chiese recandosi in visita ai loro sacerdoti e accogliendo vescovi e collaboratori delle diocesi gemellate.

Questo protagonismo missionario diretto ha fatto anche emergere un nuovo soggetto: quello del cristiano laico in servizio missionario. Sempre più numerosi poi i laici cristiani che hanno scelto di vivere un periodo di servizio apostolico in missione; e molti coloro che sono legati al volontariato internazionale, per la promozione umana e lo sviluppo, che oggi riconoscono che il loro servizio attinge alla radice del loro battesimo e chiedono invio e accoglienza. Significativo il fatto che esperienze di missione siano state affidate a piccole comunità formate da sacerdoti, religiosi, religiose e laici.

In questo contesto, il card. Tarcisio Bertone, Segretario di stato, in una lettera al prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, card. Ivan Dias, ha sintetizzato gli elementi essenziali che contribuiscono ormai a definire la teologia pastorale incarnata dai missionari fd: «la Chiesa è per sua natura missionaria; la Chiesa universale si concretizza e sussiste nelle chiese particolari; le chiese particolari fin dalla loro costituzione sono missionarie; esse sono responsabili dell’evangelizzazione in solido e in comunione con tutte le altre Chiese».

 

COME PROGETTO

DI RECIPROCITÀ

 

La pluralità dei soggetti, la complessità degli ambienti e la varietà delle metodologie hanno evidenziato dunque che nessun soggetto missionario può credere di interpretare o esaurire una dimensione che compete alla natura stessa della Chiesa, al cui servizio tutti imparano a ridefinire il proprio compito. Perciò vanno ascoltati con attenzione i fd rientrati quando indicano come l’elemento più critico sia proprio la mancanza di una progettualità missionaria-pastorale. La missione di reciprocità resta tutto sommato un pio desiderio. Il rientro dei fd poi spesso sembra essere un problema per la diocesi, più che una risorsa: si ha così l’impressione che il loro servizio missionario sia un fatto più personale che ecclesiale. Emerge comunque sempre più una nuova prospettiva: superare l’idea e la pratica di una missione per cui chiese più ricche inviano risorse di personale e mezzi a chiese più povere.

La crescita missionaria della chiesa locale ha portato dall’attenzione alle strutture a una conversione verso l’evangelizzazione dei popoli, che fa scoprire in modo più diretto l’identità del regno di Dio. Alla luce di questa “relatività” al Regno, si è cercato anche di ridefinire la missio ad gentes in termini ecumenici, quali ad esempio “Il dono del Vangelo a servizio dei popoli”. Grazie all’impegno missionario dei fd c’è infatti maggior attenzione al collegamento tra cultura e vita, a una liturgia arricchita da segni reali più che rituali, alla corresponsabilità dei laici nella vita della comunità, alla lettura non solo accademica ma anche popolare della sacra Scrittura.

Insieme a tanti aspetti positivi vanno rilevate le difficoltà che col tempo non hanno trovato soluzione. In genere, come già accennato, sembrano tutte dipendere dalla mancata attuazione di organici progetti diocesani. Solo poche diocesi sono riuscite a riflettere in modo organico sulla cooperazione missionaria, con progetti di evangelizzazione che dal territorio si aprissero al mondo. Questo fatto origina la frammentazione delle esperienze e la loro scarsa operatività. Circa metà delle diocesi italiane mantiene tutt’oggi impegni di evangelizzazione nei paesi del terzo mondo. Quando però quest’azione generosa si è concentrata su una sola parrocchia lo sviluppo è stato sproporzionato: è l’esito dello stile autoreferenziale della missione “fai da te”. In questo senso la preparazione dei partenti non può esaurirsi nel corso di preparazione proposto dal CUM, se non trova sostegno nella comunità che invia e in quella che accoglie sul posto. Preti partiti come fd per 3-6-9 anni, dopo decenni aspettano non solo di essere sostituiti ma anche che qualcuno li accompagni. Non si può ignorare nel contempo la crisi di molti che, al momento del rientro, hanno dovuto affrontare tutti i disagi e le fatiche del cambiamento.

 

SOGGETTI PORTATORI

DI CONVERSIONE PASTORALE

 

«Mentre si riconosce che nessuno è tanto ricco da non aver bisogno degli altri e nessuno è tanto povero da non poter offrire qualcosa agli altri, la mano di chi ha donato è inesorabilmente rimasta sopra quella di chi ha ricevuto, né si è riusciti a considerare con matura riflessione l’apporto originale delle giovani chiese alla missione universale» (mons. Andreozzi). Questa analisi rimanda alla famosa affermazione di Giovanni Paolo II: “La fede si rafforza donandola!” (Redemptoris missio). In realtà l’invio dei fd sembra aver risposto con generosità alle esigenze di chiese più povere di personale apostolico, senza aver maturato in quelle d’invio la coscienza della ricchezza che quel gesto comportava anche per la loro vita. Se questa coscienza fosse più viva il calo numerico del clero non avrebbe determinato per conseguenza quello dei fd. Le esigenze pastorali a causa di invecchiamento del clero e di scarse vocazioni sacerdotali avrebbero fatto pensare che la partenza di un prete diocesano per le terre di missione è in realtà fermento di nuove vocazioni e motivo di credibilità per l’azione pastorale.

I rientri annuali In Italia si aggirano attorno alle 20-30 unità, mentre le partenze non superano la media di 10-15. Non infrequente il caso che a ripartire siano preti che hanno già vissuto una precedente esperienza. A fronte, c’è il progressivo inserimento nelle diocesi italiane di preti provenienti da paesi di missione. C’è da chiedersi però: se la missione oggi è intesa come reciprocità tra chiese, quanto è vera cooperazione missionaria quella di accogliere o lasciare in Italia 1.200 (1.800 coi religiosi) preti da Africa, Asia e America latina per mantenere aperti luoghi di culto o piccole parrocchie? E che dire delle migliaia di consacrate che si fermano in Italia per un lavoro di supplenza o di servizi per mantenere in piedi strutture altrimenti destinate alla chiusura?

In mezzo a queste e altre difficoltà sono comunque maturati i lineamenti del presbitero fidei donum: la temporaneità dell’esperienza; l’accompagnamento della comunità che invia; l’apertura alla missione universale della chiesa che accoglie, lo scambio tra le chiese; l’assunzione di servizi di particolare rilevanza comunitaria e diocesana; la forma comunitaria di servizio anche attraverso piccole équipe di religiosi, religiose e laici; il lasciarsi trasformare dai bisogni e dalle povertà incontrate.

Nonostante l’inevitabile invecchiamento (soprattutto delle figure religiose) i missionari italiani si mantengono attorno alle 13-14mila unità: 555 fd, 1.000 laici (con diverse famiglie), 5.000 religiosi (oltre 1.000 consacrati ad gentes), 7.500 religiose (circa 2.000 consacrate ad gentes). A questi occorre aggiungere gli inviati dei movimenti ecclesiali (1.500-2.000 unità). Considerando la rete di rapporti personali e il tessuto ecclesiale che ruota attorno a questi protagonisti si arriva a un milione di persone coinvolte.2 Com’è possibile allora che, a fronte di tutto questo, quella missionaria sia oggi avvertita dalla Chiesa italiana come la sfida più attuale? Perché in molti lamentano che nelle nostre comunità siamo ancora lontani dal realizzare quella “conversione pastorale in senso missionario” richiesta con forza fin dal convegno ecclesiale di Palermo?

Si tratta ancora di cogliere la missio ad gentes come paradigma e anima dell’evangelizzazione di casa nostra (cf. la Lettera L’amore di Cristo ci sospinge, con cui il Consiglio episcopale permanente CEI consegnò i risultati del Convegno missionario nazionale di Bellaria). Ben consci che i processi che investono cambiamenti di mentalità sono lunghi e disomogenei, occorre con coraggio riformare le comunità a una cristologia missionaria, fonte di una spiritualità che attinge da Cristo “inviato a evangelizzare” (RM 88). Alla luce del suo essere “Inviato” va riletta la preesistenza, l’incarnazione, la risurrezione e la venuta nella gloria: quattro momenti di un’unica e indissociabile missione che dev’essere contemplata quale fonte ispiratrice della nostra pastorale.

 

Mario Chiaro

1 Secondo il martirologio curato dalle PP. OO. MM., ecco i fidei donum che hanno trovato la morte nel loro servizio: Maraglio Maurizio, diocesi Mantova, ucciso in Brasile nel 1986; Dordi Alessandro, diocesi Bergamo, ucciso in Perù nel 1991; Ricci Franco, diocesi Bari-Bitonto, ucciso in Etiopia nel 1992; Badiali Daniele, diocesi Faenza, ucciso in Perù nel 1997; Commissari Leo, diocesi Imola, ucciso in Brasile nel 1998; Lanciotti Nazareno, diocesi Subiaco, ucciso in Brasile nel 2001; Lintner Alois, diocesi Bolzano, ucciso in Brasile nel 2002; Locati Luigi, diocesi Vercelli, vescovo, ucciso in Kenya nel 2005; Bessone Giuseppe, diocesi Pinerolo, ucciso in Brasile nel 2005.

2 Notevoli poi le cifre del movimento di solidarietà che un tale mondo riesce a smuovere: le PP OO. MM. raccolgono 15 milioni di euro annui, mentre il Comitato degli aiuti caritativi CEI per il terzo mondo distribuisce ogni anno 75 milioni di euro provenienti dall’8x1000. Impossibile quantificare le offerte raccolte dalle 225 diocesi italiane, dalle 25.000 parrocchie, dalle centinaia di istituti religiosi, dai movimenti e dalle associazioni, dai gruppi di amici, dalla cooperazione decentrata di enti e organismi.