RIPERCORRENDO LE PRECEDENTI CONFERENZE

IL CAMMINO FINO AD APARECIDA

 

Dopo tre grandi Conferenze continentali, tenute nel periodo post-conciliare in cui sono state fatte delle attente analisi della situazione e delle scelte precise, la Chiesa latino-americana si interroga su come essere missionaria nel continente agli inizi del nuovo millennio e di fronte una realtà in gran parte cambiata.

 

Mentre attendiamo le conclusioni della V Conferenza generale dell’episcopato latino-americano, dopo aver presentato nel numero precedente di Testimoni una sintesi dei contributi giunti da ogni parte del continente in preparazione all’assemblea,1 ci sembra non privo di interesse ripercorrere il cammino compiuto dalla chiesa latino-americana attraverso le varie assemblee, che hanno preceduto questa di Aparecida, perché dentro di esse c’è tutta la storia contemporanea della chiesa latino-americana. Una scorsa del genere ci permetterà di comprendere meglio il significato di questa assemblea.2

Prescindendo da quella di Rio de Janeiro, che si è tenuta nel 1955, prima del concilio e quindi di minore rilievo per il nostro discorso, prendiamo come punto di partenza l’interrogativo che i vescovi latino americani si posero subito dopo il concilio: come promuovere cioè l’evangelizzazione in America latina alla luce degli orientamenti conciliari? La risposta a questa domanda avviò tutta una serie di studi e di rilevamenti, sullo slancio anche dell’enciclica Populorum progressio (1967), potendo contare sull’impegno di un laicato che proprio in questo periodo diventa attivo, dopo aver preso coscienza del suo posto nella Chiesa.

 

MEDELLIN

L’OPZIONE DEI POVERI

 

Con il contributo di un numero così ampio di persone si cercò di leggere insieme i “segni dei tempi” di cui aveva parlato il concilio. Il primo grande appuntamento per una verifica continentale fu rappresentato dalla Conferenza di Medellin, del 1979.

Si partì da un’analisi della realtà del continente, e subito apparve in maniera eclatante la grave situazione di impoverimento in cui versava la maggioranza della popolazione e fautrice di tanti mali. Soprattutto ci si rese conto che la povertà disumana in cui viveva la grande maggioranza non era volontà di Dio, ma frutto di una situazione peccaminosa che doveva essere superata.

Questa fu, per così dire, l’“esperienza fondante” di Medellin, da cui si sprigionò come un grido profetico l’opzione per i poveri quale programma da assumere e da porre al cuore dell’evangelizzazione. Parole come povertà, giustizia e pace, pastorale d’insieme ne indicarono i nuovi campi di azione.

A Medellin maturò una nuova coscienza e un nuovo modo di essere Chiesa. D’ora in poi essa voleva non solo proporsi ma anche essere riconosciuta come Chiesa dei poveri. Può essere illuminante leggere alcuni punti chiave del documento finale.

– Povertà e giustizia sociale: «Ci sono molti studi sulla situazione dell’uomo latinoamericano e in tutti è descritta la miseria che emargina grandi gruppi umani. Tale miseria, come fatto collettivo, è un’ingiustizia che grida al cielo» (Medellin, Giustizia 1).

«L’episcopato latino-americano non può restare indifferente di fronte alle tremende ingiustizie sociali esistenti nel continente, che mantengono la maggioranza dei nostri popoli in una dolorosa povertà che si avvicina, in moltissimi casi, alla miseria disumana... Un grido sordo si leva da milioni di uomini per chiedere ai loro pastori una libertà che non sia limitata da nessuna parte» (Medellin, Povertà 1.2).

– Urgenza di essere costruttori di pace: «In America latina esiste in molte parti una situazione di ingiustizia che si può definire di violenza istituzionalizzata. Una situazione del genere richiede delle trasformazioni globali, coraggiose, urgenti e profondamente rinnovatrici» (Medellin, Pace 16).

«Se lo sviluppo è il nuovo nome della pace, il sottosviluppo latino americano, con caratteristiche proprie nei diversi paesi, è una situazione ingiusta fautrice di tensioni che cospirano contro la pace» (Medellin, Pace 1).

 

– Un Chiesa che rinnova le sue strutture e si ringiovanisce nella comunità di base: «Come rinnovare la Chiesa e le strutture clericali e centralizzate, e fare in modo che essa sia realmente la Chiesa dei poveri e questi siano il soggetto ecclesiale e sociale, allo scopo di lanciare il vangelo della giustizia e della pace? La proposta evangelizzatrice ed ecclesiale di Medellin furono le comunità ecclesiali di base: in esse i poveri avrebbero avuto una loro propria “università della fede”, una presa di coscienza della loro situazione e delle loro cause, avrebbero imparato a organizzarsi e ad agire nella loro realtà socio-ecclesiale» (Medellin, Pastorale d’insieme 10-12).

– Lettura dei segni dei tempi: «Questo nuovo impegno richiese che si cercasse un modo appropriato di vicinanza alla realtà, di analisi e di discer­nimento alla luce della parola di Dio, per ri-orientare la prassi evangelizzatrice e il modo di vivere la fede».

La Conferenza di Medellin si riconobbe come un kairos dello Spirito, secondo cui la Chiesa comprende se stessa, nella sua vita e missione, a partire dal povero e dalla sua liberazione. Per questo, Medellin segnò uno spartiacque nella storia della Chiesa latino americana. Da una Chiesa dipendente dall’Europa per la sua riflessione teologica e pastorale si passò a una chiesa latino americana con dei temi ed elaborazioni proprie, anche se in maniera ancora incipiente. L’impegno a favore dei poveri e della loro liberazione, che segnerà una buona parte del cammino degli anni successivi, caratterizza ed è il grande passo in avanti compiuto da Medellin. Una Chiesa dei poveri e per la loro liberazione, richiede un nuovo modo più evangelico di essere laico e laica, un nuovo modo di vivere la vita religiosa, un nuovo modo di essere presbitero o vescovo.

Mediante l’impulso impresso dal concilio e da Medellin si cercò in maniera creativa non solo di migliorare l’ortodossia, ma anche l’ortoprassi cristiana, affinché l’aggiornamento della Chiesa e della sua missione non restasse solo nei documenti. Si avviarono così diverse esperienze pastorali, alcune delle quali che cercavano di cooperare ai cambiamenti strutturali di cui l’America latina aveva bisogno; una evangelizzazione gestita e stimolata da una spiritualità evangelizzatrice di liberazione. Per questo si cominciò a leggere la Bibbia a partire dal popolo; le comunità di base presero impulso; si avviò la partecipazione nei movimenti popolari. Mai come negli anni successivi a Medellin nella Chiesa latino americana era sorto un gruppo di vescovi così insigni. Questa vigorosa evangelizzazione provocò tuttavia anche una forte reazione in importanti ambiti sociali ed ecclesiali. Il governo degli Stati Uniti considerò Medellin in contrasto con i suoi interessi in America latina e favorì il radicarsi di governi della cosiddetta “sicurezza nazionale” in vari paesi, i quali si opposero in maniera aperta e violenta al processo avviato da Medellin. E mai si era giunti a vivere come chiesa martire in America latina per la fedeltà allo Spirito del Signore e ai poveri.

In quella situazione socio-ecclesiale Paolo VI, ascoltando le diverse voci che provenivano dal continente, convocò una terza Conferenza dell’episcopato latinoamericano per imprimere un rinnovato impulso all’evangelizzazione.

 

PUEBLA

RICONFERMA MEDELLIN

 

La terza conferenza generale ebbe luogo a Puebla, in Messico, nel 1979, un anno dopo la data prevista, a causa della morte di Paolo VI. Ebbe come tema: L’evangelizzazione nel presente e futuro dell’America latina. Non pochi si domandavano quale sarebbe stata la posizione di questa assemblea nei riguardi di Medellin e delle sue opzioni. E, nonostante i dubbi di alcuni, la Conferenza con forza e grande chiarezza confermò le scelte fatte imprimendo ad esse, anzi, un rinnovato impulso. Dalla fase delle “esperienze pastorali” si passò all’elaborazione di un progetto pastorale, incentrato sull’urgenza di attuare un’evangelizzazione di liberazione.

«Noi pastori dell’America latina – leggiamo nei testi – abbiamo delle ragioni gravissime per affrettare una evangelizzazione liberatrice, non solo perché è necessario ricordare il peccato individuale e sociale, ma anche perché da Medellin ad oggi la situazione si è aggravata nella maggior parte dei nostri paesi» (Puebla, 487).

A partire dalla convinzione evangelica che l’evangelizzazione liberatrice ha il suo fondamento nell’amore di Dio e del prossimo, i vescovi, a Puebla, ricordando che “nessuno può amare Dio che non vede se non ama il prossimo che vede” (1 Gv 4,20) si chiedono che cosa significa amare il fratello in America latina. E rispondono: «Il Vangelo ci deve insegnare che davanti alla realtà che viviamo, non si può, oggi in America latina, amare veramente il fratello e, quindi, Dio, senza impegnarsi a livello personale e, in molti casi, anche su quello delle strutture, con un servizio e una promozione dei gruppi umani e degli strati sociali sprovvisti e umiliati con tutte le conseguenze che ne derivano sul piano delle realtà temporali» (Puebla, 327).

Come conseguenza dell’amore del prossimo, la conferenza di Puebla assume, non come qualcosa di passeggero, ma con rinnovato slancio, la causa dei poveri e della loro liberazione, espressa nella formula opzioni preferenziale per i poveri che diventerà il suo motto centrale e qualificante.

«Confermiamo come il più devastante e umiliante flagello, la situazione di povertà disumana in cui vivono milioni di latino americani, espressa, per esempio, nella mortalità infantile, nella mancanza di abitazioni adeguate, nei problemi della salute, nei salari da fame, nella disoccupazione o sottoccupazione, nella disumanizzazione, nella instabilità del lavoro, nelle migrazioni di massa, forzate o dovute all’abbandono, ecc. Analizzando più a fondo la situazione, scopriamo che questa povertà non è una tappa casuale, ma il prodotto di situazioni e di strutture economiche, sociali e politiche anche se ci sono altre cause di miseria» (Puebla 29.30).

«Riprendiamo, con rinnovata speranza nella forza vivificante dello Spirito, la posizione della II Conferenza generale la quale fece una chiara e profetica opzione preferenziale per i poveri, nonostante le deviazioni e le interpretazioni con cui alcuni hanno screditato lo spirito di Medellin, il misconoscimento e perfino l’ostilità di altri. Affermiamo la necessità di una conversione di tutta la Chiesa a un’opzione preferenziale dei poveri in vista della loro liberazione integrale» (Puebla, 1134).

Dando continuità a Medellin e ribadendo la scelta preferenziale dei poveri la conferenza di Puebla ha inteso anche rafforzare un rinnovamento strutturale imprimendo un impulso alle comunità ecclesiali di base: «Come pastori vogliamo decisamente promuovere, orientare e accompagnare le comunità ecclesiali di base...» (Puebla, 648).

Un altro elemento molto importante maturato a Puebla è stata la decisione a favore dei diritti umani a diversi livelli: personali, nazionali e internazionali. La Chiesa intende cioè offrire la sua collaborazione alla costruzione di una società pluralista, giusta e fraterna, incentrata sulla persona umana (Puebla 1206-1293).

 

Il promettente processo di evangelizzazione elaborato ed espresso da questa conferenza incontra però subito molte gravi difficoltà nella sua attuazione a causa dell’affermarsi nella Chiesa di una tendenza neo-conservatrice dovuta a una involuzione ecclesiale. Per fortificare questa tendenza nel continente sono scelti vescovi che rappresentano questa linea conservatrice; anche la formazione nei seminari è controllata affinché siano promossi presbiteri di mentalità conforme a questo progetto ecclesiale neo-conservatore. In questa maniera il modo di essere chiesa inaugurato da Medellin e Puebla fu contrastato e spesso anche dolorosamente interrotto.

Dal punto di vista sociale ed economico, gli anni ’80 sono definiti “un decennio perso” poiché in questo periodo la povertà si espande e aumenta scandalosamente il divario tra ricchi e poveri. Al termine del decennio finisce improvvisamente la guerra fredda e si crea una nuova situazione politica mondiale segnata dalla spettacolare caduta del blocco sovietico, dall’avanzata del capitalismo neoliberale e del suo slancio culturale. In questo modo viene promossa rapidamente, a partire dai centri di potere, una cultura “moderna”, che rinnova in buona parte anche l’atteggiamento culturale dei “conquistatori” tra i nuovi popoli.

 

LE SFIDE

DI SANTO DOMINGO

 

Le sfide del contesto sociale e, in particolare, la riflessione e la celebrazione dei 500 anni dell’arrivo in America di Colombo, mostrarono la necessità di una nuova Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano. Giovanni Paolo II la convoca nel 1987, con sede a Santo Domingo, ossia sul luogo dove giunsero Colombo e i primi evangelizzatori. Nel 1990 il papa ne definisce il tema: Nuova evangelizzazione, promozione umana, cultura cristiana. Nella fase preparatoria, tuttavia, e nei vari contributi e documenti cominciano ad emergere le varie tendenze ecclesiali presenti nel continente.

Questa IV Conferenza generale si celebra dal 12 al 28 ottobre 1992, con la partecipazione di 234 vescovi e altre 73 persone, di cui 18 laici.

Nonostante le difficoltà incontrate in quel contesto ecclesiale, la maggioranza dei vescovi presenti si espresse a favore di un proseguimento dei processo di evangelizzazione e del modello ecclesiale derivato dal Vaticano II e maturato nelle Conferenze di Medellin e di Puebla.

Viene ripresa, anzitutto, l’opzione evangelica preferenziale dei poveri (Santo Domingo, 180, 292, 302): «Evangelizzare vuol dire fare ciò che Gesù ha fatto, quando nella sinagoga dichiarò di essere venuto per evangelizzare i poveri (Lc 4,18.19)... Questo è il fondamento che ci impegna in una opzione evangelica preferenziale, ferma e irrevocabile dei poveri, anche se non esclusiva ed escludente...» (S. Domingo, 178).

In secondo luogo, viene nuovamente denunciato il peccato sociale quale male più grande in America latina: «Il crescente impoverimento in cui sono immersi milioni di nostre sorelle e nostri fratelli, fino a raggiungere gli estremi intollerabili della miseria, costituisce il flagello più devastante e umiliante che l’America latina vive. Già noi l’abbiamo denunciato a Medellin e a Puebla e oggi torniamo a farlo con preoccupazione e angoscia... La politica di tipo neoliberale che predomina oggi in America latina e nei Caraibi approfondisce ancor di più le conseguenze negative di questi meccanismi» (S. Domin­go 179).

La Conferenza riconferma anche la scelta delle comunità di base: «La comunità di base è la cellula viva della parrocchia, intesa come comunione organica e missionaria... Esse sono segni di vitalità della Chiesa, strumento di formazione e di evangelizzazione, un punto di partenza significativo per una nuova società fondata sulla civiltà dell’amore... Riteniamo necessario ratificare la validità delle comunità ecclesiali di base» (S. Domingo, 61.63).

Un altro aspetto è la promozione umana considerata come dimensione essenziale dell’evangelizzazione: «Tra evangelizzazione e promozione umana esistono effettivamente dei legami molto forti... Come proclamare il comandamento nuovo senza promuovere, mediante la giustizia e la pace, la vera e autentica crescita dell’uomo?» (S. Domingo, 15).

Viene così assunto un rinnovato impegno per la promozione dei diritti umani: «Ogni violazione dei diritti umani contraddice il piano di Dio ed è peccato. La Chiesa, nel proclamare il vangelo dei diritti umani non si arroga un compito estraneo alla sua missione, al contrario, obbedisce al mandato di Gesù Cristo secondo cui l’aiuto al bisognoso è un’esigenza essenziale della sua missione di evangelizzazione. Gli stati non concedono questo diritto: è necessario difendere questi diritti e svilupparli, poiché appartengono all’uomo in forza della sua natura» (S. Domingo 164.165).

Un altro passo in avanti di Santo Domingo è l’impegno per una “evangelizzazione inculturata”: «Si tratta del terzo impegno che assumiamo nella prospettiva di nuovi metodi ed espressioni per vivere il messaggio evangelico... Una evangelizzazione inculturata presuppone la configurazione e il consolidamento delle nostre chiese locali con le loro caratteristiche in un unico e medesimo Spirito». «L’azione di Dio, mediante il suo Spirito opera in maniera costante all’interno di ogni cultura. Nella pienezza dei tempi Dio inviò il suo Figlio Gesù Cristo il quale assunse le condizioni socio-culturali dei popoli e si fece “uno di noi, veramente, somigliante in tutto eccetto il peccato”» (S. Domingo, 297).

Nel 1997 fu convocato a Roma il sinodo speciale per l’America. Come risultato dei lavori, il papa emanò l’esortazione apostolica La Chiesa in America in cui si sottolinea l’esigenza di procedere in un cammino di solidarietà, per realizzare una chiesa solidale.

 

Da allora molte realtà sono cambiate sia sul piano socio-politico sia nel panorama ecclesiale. La Chiesa oggi si sta interrogando su come essere discepoli e missionari di Cristo nel continente latino-americano in questo inizio del XXI secolo.

Le risposte che matureranno ad Aparecida saranno decisive per il prossimo futuro della chiesa in America latina, definito “il continente della speranza”.

 

1 Cf. Testimoni 8 (2007) 1-4.

2 In questa esposizione ci serviamo soprattutto dell’articolo di p. Roberto Oliveros sj apparso sulla rivista CLAR, aprile-giugno 2006, e ripreso anche da Convergência, gennaio-febbraio 2007.