IL PAPA IN BRASILE AD APARECIDA

APERTI I LAVORI DEL CELAM

 

Nella sua discrezione il papa ha indicato ai vescovi alcune priorità da tenere presenti e il metodo da seguire che è quello dell’ascolto dello Spirito Santo. Per diventare missionari occorre prima essere discepoli di Cristo. La missione dovrà sempre essere animata dalla carità nella sua duplice dimensione, a Dio e al prossimo.

 

Dopo la IV Conferenza generale dell’episcopato latino-americano di Santo Domingo (1992) molte cose sono cambiate nel continente, non solo nel campo socio-politico, ma anche in quello ecclesiale.1 Fra l’altro, nella Chiesa, a Giovanni Paolo II, il quale era stato presente alle tre ultime assemblee generali di Medellin, Puebla e Santo Domingo, è succeduto Benedetto XVI, il quale come si ricorderà, era stato molto severo nel giudicare, nella sua qualità di Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, certe tendenze della teologia della liberazione che si erano manifestate nel continente. Era logico quindi seguire con molto interesse, e un pizzico di curiosità, il suo viaggio in Brasile (9-14 maggio) per l’apertura della V Conferenza generale ad Aparecida.

Va detto subito che se qualcuno s’immaginava che egli andasse laggiù per “condizionare” i lavori dei vescovi, si è sbagliato di grosso. La sua invece è stata una presenza, importante, ma molto discreta, compiuta nel pieno rispetto di quella “sussidiarietà” che costituisce uno dei cardini dell’ecclesiologia di comunione del concilio. Egli non poteva, tuttavia, proprio in forza del suo mandato, non suggerire alcune linee di fondo su cui l’assemblea doveva muoversi, tenendo fermo il tema prescelto Discepoli e missionari di Gesù Cristo, affinché le nostre popolazioni abbiano in lui la vita – Io sono la via, la verità e la vita.

“Discepoli e missionari”: un binomio inscindibile, che sposta, in certo senso, l’attenzione delle Conferenze preceden­ti, fortemente sbilanciate sulla scelta preferenziale dei poveri,sulla missionarietà della Chiesa, in armonia con quella nuova evangelizzazione indicata come programma della Chiesa per il nuovo millennio da Giovanni Paolo II.

 

A PARTIRE

DA DIO AMORE

 

Come imprimere nuovo slancio all’evangelizzazione in America latina di fronte alle nuove “serie sfide” che si pongono?

Decisiva, a questo riguardo, secondo il papa, è la prospettiva da cui partire, che è quella della carità. Nell’omelia durante la messa celebrata sulla spianata del santuario mariano dell’Aparecida ha infatti affermato: «La Chiesa è inviata a diffondere nel mondo la carità di Dio, perché gli uomini e i popoli “abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10)... La Chiesa si sente discepola e missionaria di questo Amore». Ma, ha precisato, «missionaria solo in quanto discepola, cioè capace di lasciarsi sempre attrarre con rinnovato stupore da Dio che ci ha amati e ci ama per primo» (cf. 1 Gv 4,10). Essa, pertanto, non fa proselitismo... la sua forza è la fede in Dio Amore». Ciò che la muove «è la fede in Dio Amore, incarnato, morto e risorto in Gesù Cristo, l’autentico fondamento di questa speranza che tanti frutti magnifici ha portato, dall’epoca della prima evangelizzazione fino ad oggi».

Il papa ha indicato anche il “metodo” da seguire, forse memore di certi sbandamenti di coloro che in passato erano andati a prendere in prestito dall’analisi marxista i criteri per una comprensione della realtà del continente e gli strumenti per una presunta soluzione dei problemi. Il metodo ha sottolineato il papa, è il “discernimento comunitario”, quello in cui ci si lascia illuminare e guidare dallo Spirito Santo. Infatti, è lui che accompagna la Chiesa, è lui che forma i discepoli e li fa innamorare di Gesù, è ancora lui che spinge a farsi missionari dell’Amore di Dio. E se «il discepolo arriva alla comprensione di questo amore di Cristo “fino alla fine”, non può mancare di rispondere a questo amore se non con un amore simile: “Ti seguirò dovunque tu vada” (Lc 9,57).

 

IMPARARE

A CONOSCERE CRISTO

 

Prima di ogni altra cosa, perciò, è necessario imparare a «conoscere realmente Cristo per poterlo seguire, per trovare la vita in lui e per comunicare questa vita agli altri, alla società e al mondo». È pertanto essenziale che all’inizio della nuova tappa che la Chiesa missionaria dell’America latina si dispone a intraprendere, essa consideri la necessità di una “conoscenza profonda della parola di Dio”.

Di qui deriva l’impegno a educare il popolo alla lettura e alla meditazione di questa Parola, affinché divenga il suo alimento e i fedeli vedano che le parole di Gesù sono spirito e vita (cf. Gv 6,63): «Altrimenti come annuncerebbero un messaggio il cui contenuto e spirito non conoscono a fondo?». Perciò «dobbiamo basare il nostro impegno missionario e tutta la nostra vita sulla roccia della parola di Dio».

Un mezzo efficace di cui servirsi è la catechesi che dovrà essere intensificata. Non bisogna però limitarsi solo alle omelie, conferenze, corsi di Bibbia o teologia, «ma si deve ricorrere anche ai mezzi di comunicazione sociale: stampa, radio e televisione, siti di internet, forum e tanti altri sistemi per comunicare efficacemente il messaggio a un gran numero di persone». Senza dimenticare – e qui il papa ha toccato un punto quanto mai sensibile della Chiesa latino-americana – che «l’evangelizzazione si è sviluppata sempre insieme con la promozione umana e l’autentica liberazione cristiana». Infatti, «Amore a Dio e amore al prossimo si fondono tra loro: nel più umile troviamo Gesù stesso e in Gesù troviamo Dio». Per questo, «sarà anche necessaria una catechesi sociale e un’adeguata formazione nella dottrina sociale della Chiesa... La vita cristiana non si esprime solamente nelle virtù personali, ma anche nelle virtù sociali e politiche». In altre parole, si tratta, secondo anche la visione dell’enciclica Populorim progressio, di cui ricorre quest’anno il 40° anniversario, di porre mano a uno sviluppo orientato alla promozione di tutto l’uomo e di tutti gli uomini (n. 14) e di un impegno a sopprimere le gravi disuguaglianze sociali e le enormi differenze nell’accesso dei beni.

 

NÈ MARXISMO

NÈ CAPITALISMO

 

Ma come può la Chiesa contribuire alla soluzione degli problemi sociali e politici più urgenti e rispondere alla grande sfida della povertà e della miseria? È ovvio che ciò comporta un cambiamento delle strutture. In effetti, «i problemi dell’America latina e dei Caraibi, come anche del mondo di oggi, sono molteplici e complessi, e non si possono affrontare con programmi generali... In questo contesto è inevitabile parlare del problema delle strutture, soprattutto di quelle che creano ingiustizia. In realtà, le strutture giuste sono una condizione senza la quale non è possibile un ordine giusto nella società. Ma, come nascono? come funzionano? Tanto il capitalismo quanto il marxismo promisero di trovare la strada per la creazione di strutture giuste e affermarono che queste, una volta stabilite, avrebbero funzionato da sole; affermarono che non solo non avrebbero avuto bisogno di una precedente moralità individuale, ma che esse avrebbero promosso la moralità comune. E questa promessa ideologica si è dimostrata falsa. I fatti lo hanno evidenziato. Il sistema marxista, dove è andato al governo, non ha lasciato solo una triste eredità di distruzioni economiche ed ecologiche, ma anche una dolorosa oppressione delle anime. E la stessa cosa vediamo anche all’ovest, dove cresce costantemente la distanza tra poveri e ricchi e si produce un’inquietante degradazione della dignità personale con la droga, l’alcol e gli ingannevoli miraggi di felicità».

Per creare strutture “giuste”, ha sottolineato, è necessario un consenso morale della società sui valori fondamentali e sulla necessità di vivere questi valori con le necessarie rinunce, perfino contro l’interesse personale. C’è soprattutto un punto che anche oggi molti non vogliono capire: «Dove Dio è assente – il Dio dal volto umano di Gesù Cristo – questi valori non si mostrano con tutta la loro forza, né si produce un consenso su di essi».

Ma per creare il consenso sulle strutture da stabilire si richiede un lavoro politico che, ha sottolineato il papa, non è di competenza immediata della Chiesa. Essenziale a questo riguardo è il rispetto della “sana laicità”. In effetti, «se la Chiesa cominciasse a trasformarsi direttamente in soggetto politico, non farebbe di più per i poveri e per la giustizia, ma farebbe di meno, perché perderebbe la sua indipendenza e la sua autorità morale, identificandosi con un’unica via politica e con posizioni parziali opinabili. La Chiesa è avvocata della giustizia e dei poveri, precisamente perché non si identifica coi politici né con gli interessi di partito. Solo essendo indipendente può insegnare i grandi criteri e i valori inderogabili, orientare le coscienze e offrire un’opzione di vita che va oltre l’ambito politico. Formare le coscienze, essere avvocata della giustizia e della verità, educare alle virtù individuali e politiche, è la vocazione fondamentale della Chiesa in questo settore. E i laici cattolici devono essere coscienti delle loro responsabilità nella vita pubblica; devono essere presenti nella formazione dei consensi necessari e nell’opposizione contro le ingiustizie».

 

UN MAGGIOR

IMPEGNO DEI LAICI

 

Sembra tuttavia che l’impegno del laicato lasci ancor molto a desiderare. Infatti, ha affermato il papa, «trattandosi di un continente di battezzati, converrà colmare la notevole assenza, nell’ambito politico, della comunicazione e della università, di voci e di iniziative di leader cattolici di forte personalità e di dedizione generosa, che siano coerenti con le loro convinzioni etiche e religiose. I movimenti ecclesiali hanno qui un ampio campo per ricordare ai laici la loro responsabilità e la loro missione di portare la luce del Vangelo nella vita pubblica, culturale, economica e politica».

Il papa ha poi indicato ai vescovi altre importanti priorità: la famiglia, minacciata, come in tante altre parti del mondo, dal secolarismo e dal relativismo etico, dalla povertà, da legislazioni civili contrarie al matrimonio... dal persistere di una mentalità maschilista che ignora l’uguale dignità e responsabilità della donna rispetto all’uomo.

In secondo luogo i sacerdoti che devono essere oggetto di attenzione e di cura paterna da parte dei vescovi: «Se il sacerdote ha Dio come fondamento e centro della sua vita, sperimenterà la gioia e la fecondità della sua vocazione. Il sacerdote deve essere innanzitutto un “uomo di Dio” (1 Tm 6,11) che conosce Dio direttamente, che ha una profonda amicizia personale con Gesù che condivide con gli altri gli stessi sentimenti di Cristo (cf. Fil 2,5). Solo così sarà capace di condurre a Dio, incarnato in Gesù Cristo, gli uomini, ed essere rappresentante del suo amore. Per compiere il suo alto compito, il sacerdote deve avere una solida struttura spirituale e vivere tutta la sua vita animato dalla fede, dalla speranza e dalla carità. Deve essere, come Gesù, un uomo che cerchi, attraverso la preghiera, il volto e la volontà di Dio, e che curi anche la sua preparazione culturale ed intellettuale...».

Un’altra priorità sono i religiosi, le religiose e tutti i consacrati e i laici. Infine i giovani e la pastorale vocazionale.

Un momento importante del viaggio del papa è stata anche la canonizzazione di fra Antonio di Sant’Anna Galvâo, a Campo di Marte (Sâo Paulo) l’11 maggio. Il papa l’ha indicato alla chiesa latino-americana come luminoso esempio di preghiera, adorazione, quale prudente e sapiente guida delle anime che lo cercavano e grande devoto dell’Immacolata Concezione; inoltre ammirevole per la sua disponibilità al servizio del popolo, quale consigliere di fama, pacificatore delle anime e delle famiglie e la sua carità verso i poveri e gli infermi. Una figura destinata a illuminare di una luce tutta particolare i lavori di questa V Conferenza episcopale e la fase della sua attuazione.

A.D.

1 Per comprendere questi cambiamenti è opportuno leggere l’articolo successivo a p. 4, dedicato alle assemblee di Medellin, Puebla e Santo Domingo