CON OCCHI SPALANCATI

 

«Un pozzo molto profondo è dentro di me. E Dio c’è in quel pozzo. Talvolta mi riesce di raggiungerlo, più spesso pietra e sabbia lo coprono: allora Dio è sepolto. Bisogna di nuovo che lo dissotterri», scriveva Etty Hillesum nel suo Diario il 26 agosto 1941. Morirà ad Auschwitz, il 30 novembre 1943, a 29 anni.

 

LA RAGAZZA CHE

NON SAPEVA INGINOCCHIARSI

 

La carmelitana Christiana Dobner nella sua opera1 traduce e commenta varie pagine inedite della mistica ebraica olandese. Dopo un saggio introduttivo, presenta un’antologia di sedici testi che dovevano confluire in un racconto che non ha mai visto la luce, La ragazza che non sapeva inginocchiarsi. La vita di Etty è stato un viaggio breve ma intenso verso la scoperta della fonte che giaceva al fondo del suo cuore. Nella scoperta profonda di sé scopre Dio e i fratelli ebrei perseguitati dai nazisti, da aiutare e sostenere, condividendone il tragico destino. Attraverso un percorso che assume in pieno la propria umanità e corporeità, ella arriverà alla scoperta di Dio e del prossimo. Guida terapeutica decisiva sarà lo psicochirologo Julius Spier. Con l’aiuto della psicologia Etty sviluppa l’hineinhorchen, l’ascoltare dentro, cui segue il verwerken, elaborare, assorbire, assimilare. Scrive nel Diario il 23 agosto 1941 (testo inedito): «Quanto faccio è hineihorchen [prestare ascolto] (mi sembra che questa parola sia intraducibile). Presto ascolto a me stessa, agli altri, al mondo. Ascolto molto intensamente, con tutto il mio essere, e tento di immaginare il significato delle cose. Sono sempre molto tesa e molto attenta, cerco qualcosa, ma non so che cosa. Quello che cerco, ovviamente, è la mia verità, ma non ho idea di come apparirà. Procedo ciecamente verso un certo obiettivo, posso sentire che c’è un obiettivo, ma dove e come non lo so».

 

GUARDARE IL MONDO

CON OCCHI SPALANCATI

 

Etty giunge all’atteggiamento di guardare il mondo «con occhi spalancati», e non solo limpidi come il cielo, ma lucidi come specchi. È «l’attenzione». Il punto di traguardo è ben descritto da Roberta De Monticelli: «L’attenzione è concentrazione esterna. Concentrato è chi vive raccolto attorno al proprio centro, chi non lo ignora né lo sopprime per non soffrire ma lo lascia vivere. Ma questi non è qualcuno che passa il suo tempo a esercitare l’introspezione: al contrario, è qualcuno che “guarda il mondo con gli occhi spalancati”. Che tanto più conosce il suo cuore quanto meno cerca di conoscerlo, più attratto da ciò che sta fuori di lui, da ciò che gli sta a cuore. E questo è l’uomo di vera attenzione, il cui sguardo arriva a volta tanto lontano da parere agli uomini “profetico”». L’hineinhorchen non è un “ascoltarsi dentro” che si ripiega su se stesso, ma spinge Etty a vivere intensamente. Lentamente si fa strada la fede, sempre considerata avulsa da appartenenze di schieramento ecclesiastico o religioso, ma lasciata quasi sospesa. Essa rimaneggia dall’interno l’essere intero dell’uomo: «… Ognuno dei cinque sensi acquisisce capacità di percezione soprannaturale, cioè si verifica un’apertura e insieme un appro­fondimento illimitato dei sensi. C’è “la visione delle cose invisibili”, il tatto delle cose impalpabili, la carezza dell’immateriale… i sensi non travalicano i loro limiti angusti, si spiritualizzano» (G. Livi). Progressivamente Etty sente la possibilità di distaccarsi da se stessa e guardare la realtà della guerra, la sofferenza del suo popolo, con occhi lavati e purificati, diretti e liberi. Questo è possibile perché lei «… ha dentro di sé una luce che si amplia giorno dopo giorno. È il punto profondo dove Dio abita, coincidendo con l’intuizione più alta e luminosa offerta ad un essere umano» (P. De Benedetti).

 

«HO SPEZZATO IL MIO CORPO

COME IL PANE»

 

Etty non vive l’accezione cristiana della mistica. Con quale Dio viene allora in contatto? Espunto Gesù Cristo, l’autentica esperienza per lei, commenta Dobner, è il consegnarsi nel dono di sé, simultaneamente verso Dio e verso i fratelli. È la generosità del vivere e del ritornare a vivere a Westerbock; rimane il dono di sé portato al suo estremo limite. Lo spreco della vita per amore, dipendente probabilmente dal Dio che si è rivelato nel JHWH del popolo ebraico. In Etty non si lascia intravedere la più piccola ombra di conversione a Gesù Cristo. Ha conosciuto una conversione dalla specifica accezione, frutto di tre incontri: Spier l’aiuterà «a convertire la sua forza amorosa ed erotica in un’unica forza raggiante di amore spirituale rivolta verso gli altri, Dio e, infine, l’incontro di Etty con se stessa» (P. Lebeau). Non si può escludere che fu Dio a donarle quel «contatto tra sé e l’io dell’uomo senza mediazione alcuna, durante il quale l’uomo prende coscienza del tu di Dio e di sé unito nel più profondo del proprio essere all’unico Signore della sua vita» (Del Zotto). Solo “mistica naturale”? Etty ha coscienza del suo essere creata a immagine e somiglianza di Dio e di appartenere al popolo dell’alleanza. Ella scoprirà l’esigenza di lì emergente di aiutare i fratelli ebrei e di aiutare Dio stesso: «Tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi» (Diario, 12 luglio 1942). Il dono di sé la porterà alla morte ad Auschwitz. «Ho spezzato il mio corpo come il pane e l’ho condiviso fra gli uomini. Perché no, erano affamati e ne mancavano da tanto tempo» (Diario , 13 ottobre 1942).

 

Roberto Mela

1 Dobner C. (ed.), Etty Hillesum. Pagine mistiche (Coll. Testimoni del nostro tempo s.n.), Ancora, Milano 2007, pp. 160, € 14,00.