UN LIBRO DELLA SOCIOLOGA PATRICIA WITTBERG

VERSO NUOVI CAMPI DI IMPEGNO

 

Un libro della sociologa statunitense ci aiuta a capire come ormai nella vita religiosa è davvero finita un’epoca. La cornice istituzionale di un tempo non regge più. Oggi bisogna chiedersi qual è l’identità e la missione dei consacrati in un contesto molto diverso rispetto al passato.

 

La dimensione istituzionale svolge un ruolo importante nella vita consacrata. Alcuni specialisti ritengono che si tratti di un elemento essenziale se si vuole comprendere questa forma di vita, e che, nonostante le tendenze all’anti-istituzionalizzazione presenti nella maggior parte degli istituti, la vita consacrata raggiunga sempre una stabilità istituzionale – pena la sua scomparsa. Spesse volte il rapporto con le istituzioni determina l’identità e la missione di una Congregazione più di quanto non lo facciano gli aspetti spirituali o quelli relativi alla fedeltà al carisma.

Il nuovo libro di Patricia Wittberg ci aiuta molto a chiarire i problemi in questo campo.1 Patricia è una nota sociologa della religione, specializzata nell’analisi della vita consacrata. È anche religiosa e si fatta conoscere nel 1994 con un testo in cui difendeva la tesi secondo cui la crisi contemporanea della vita consacrata era dovuta in buona parte alla perdita del senso di eccellenza dei religiosi.

Il nuovo libro cambia completamente orientamento, anche se continua a occuparsi della crisi della vita religiosa, in particolare del disimpegno dei consacrati riguardo alle istituzioni da loro fondate e promosse. Si tratta di un processo che colpisce profondamente le congregazioni nella loro identità e il loro futuro.

 

TRA CRESCITA

E DECLINO

 

Nel suo studio l’autrice si serve della ricerca storica, del sondaggio empirico di centinaia di consacrati e – soprattutto – consacrate negli Stati Uniti, e utilizza una cornice teorica che ricorre ad alcune proposte classiche di Max Weber, allo studio sociologico delle istituzioni e a quello della “cultura organizzativa”. Il libro offre una notevole quantità di testimonianze raccolte attraverso numerose sessioni di dialogo e interviste, nelle quali si riflettono i cambiamenti tra la situazione antecedente e l’attuale.

Wittberg coglie l’occasione per raggruppare nello stesso contenitore le entità delle diaconesse protestanti e le società missionarie di confessioni non cattoliche; tutte queste condividono livelli simili d’impegno religioso e un ampio coinvolgimento in opere e strutture essenziali per svolgere la loro missione.

L’autrice descrive una realtà che è familiare a molte congregazioni: la crescita e il declino dell’orientamento istituzionale di questi gruppi cattolici e protestanti in tre campi: l’educazione, la sanità e l’assistenza sociale. Il libro ripercorre i diversi stadi di quel movimento, le sue giustificazioni ideologiche e i processi istituzionali caratteristici nei due ultimi secoli, fino all’evidente paralisi attuale.

La storia, a grandi tratti è semplice: a metà del secolo XIX sorgono nuove congregazioni cattoliche ispirate a ideali di servizio sociale e di trasformazione delle situazioni umane più negative. Il fenomeno veniva da più lontano, ma si afferma maggiormente in quel secolo; inoltre molti Ordini tradizionali si aggregano a questa tendenza. Il fenomeno si ripeté anche nel settore protestante, soprattutto negli Stati Uniti, seguendo un modello di “isomorfismo istituzionale”, cioè, d’imitazione delle forme organizzative di maggiore successo nel proprio ambiente. Il nuovo orientamento diede origine a numerose istituzioni che tentavano di incarnare l’ideale della trasformazione sociale, secondo il modello cristiano. Nello stesso tempo queste istituzioni definivano l’identità dei gruppi religiosi che li sponsorizzavano, provvedevano opportunità di reclutamento vocazionale e condizionavano relazioni di potere e livelli di influenza sociale.

 

UN’IDENTITÀ

DIFFICILE DA RI-DEFINIRE

 

Seguendo una specie di “parabola weberiana”, le istituzioni religiose ebbero a soffrire un processo di secolarizzazione interna progressiva, non appena diventarono più professionalizzate nella gestione, e più orientate al cliente. In modo analogo a come Max Weber descriveva la crisi religiosa nelle zone protestanti, quale conseguenza dell’autonomia della sfera economica, politica e scientifica promossa da quella stessa forma religiosa, così in questo caso, si ha l’impressione che le istituzioni gestite dai consacrati/e si rivolgano contro i loro stessi promotori e diventino fattori e causa della loro crisi. Mentre all’inizio le istituzioni favoriscono il reclutamento vocazionale, ora sembrano ostacolarlo; mentre nei primi tempi facevano parte dell’identità della congregazione, di recente diventano un problema e un impedimento ad assumere un’identità più evangelica. Il risultato è la perdita del fondamento religioso che informava quelle istituzioni educative o sanitarie, e lo smarrimento del senso della missione cristiana che li informava, finendo col servire finalità professionali, sociali ed economiche che non hanno più bisogno di ricorrere alle istituzioni religiose.

Al termine del processo descritto – che per molti istituti americani, soprattutto femminili coincide col momento attuale – le istituzioni motivate da un’ispirazione religiosa diventano sempre più estranee riguardo ai loro promotori religiosi, con delle conseguenze molto negative per tutto il sistema religioso. La maggior parte delle consacrate cattoliche e delle diaconesse protestanti non riescono a identificarsi con le istituzioni, fondate e sostenute con sforzo e impegno fino alla generazione precedente. D’altra parte, le stesse istituzioni non sono più in grado di offrire motivazioni per una scelta che incoraggi nuove vocazioni a impegnarsi in quelle opere, troppo professionalizzate e secolarizzate. Il problema si pone sia a livello personale sia collettivo, e di conseguenza, le congregazioni si trovano dinanzi a una difficile questione nel tentativo di definire la propria identità e ragion d’essere.

Attraverso le pagine del libro, il lettore ha l’impressione di assistere alla “fine” di un’era, al termine di un ciclo durato poco meno di due secoli, che ha esaurito il suo ruolo e deve lasciare spazio a nuove forme di “virtuosità religiosa”, un’espressione questa coniata da Max Weber. L’analisi evidenzia chiaramente l’esaurimento del modello che vincolava il radicalismo religioso ai compiti di trasformazione sociale in un ambiente di neo-cristianità. In questo caso si sente ancora l’eco dei temi della sociologia weberiana, in particolare attorno ai processi di razionalizzazione religiosa, che hanno assunto fondamentalmente due orientamen­ti: quello ascetico protestante, e quello fraterno-universale, caratteristico dell’ambiente cattolico e del protestantesimo sociale, ambedue durante i secoli XIX e XX. Un orientamento questo descritto anche in un’altra analisi, più decisamente teologica, offerta da Richard Niebuhr nel suo noto testo Cristo e la cultura (1951) che situava nel quinto modello della sua tipologia la proposta di trasformazione, o un modo di comprendere il cristianesimo che implicava un impegno per migliorare il mondo.

 

COSA FARE

DINANZI ALLA CRISI

 

A mio parere, senza abbandonare l’ispirazione weberiana, tutto il problema può essere meglio compreso come un processo abbastanza standardizzato di secolarizzazione. Certamente la complementarietà delle teorie della “secolarizzazione interna” (P.L. Berger) o della “secolarizzazione organizzativa” (K. Dobbelaere) contribuisce a chiarire ancora meglio il tema: quelle organizzazioni hanno sofferto semplicemente un processo di erosione della dimensione religiosa, il cui risultato è la crisi globale dell’identità di chi le promuove. Si possono discutere le cause di questo processo un po’ suicida che sono: la pressione ambientale; l’isomorfismo organizzativo che porta le istituzioni religiose a imitare quelle secolari; la superfluità che le rende non necessarie se non assumono un’altra funzione; o anche le tendenze ideologiche interne alle chiese. Questo è un punto di particolare importanza per la vita consacrata, perché abbiamo l’impressione che dopo il Vaticano II si sia prodotto un cambiamento di linea ideologico in molti di questi istituti, in senso liberale-progressista, che ha determinato l’orientamento e le strategie e che ora sembra dispiacere all’autrice.

Ovviamente, l’interrogativo è che cosa fare dinanzi alla crisi. Wittberg descrive alla fine del suo libro il nuovo scenario che si sta delineando: le congregazioni cattoliche e alcune denominazioni protestanti sembrano abbandonare le loro ambizioni di cambiare il mondo per rifugiarsi nell’ambito della spiritualità personale; gli istituti si trasformano in gruppi dove si condivide la “fede”, senza altri vincoli (272).

Questa deriva risulta insoddisfacente per l’autrice, che pare intenderla come un regresso o un’involuzione, come suggerisce lo stesso titolo del libro. A suo parere è necessario innanzitutto prendere coscienza della situazione, per recuperare una “spiritualità virtuosa basata sulla dimensione istituzionale”, cosa che mira certamente a superare l’anti-istituzionalismo dei tempi recenti e a ravvivare la fiducia nella capacità di queste istituzioni di motivare nuove vocazioni ad abbracciare il radicalismo evangelico. A questo proposito conviene cercare nuove forme d’impegno e di controllo delle istituzioni che dipendono ancora dagli istituti, allo scopo di mantenere la loro identità e la loro missione religiosa.

A mio modo di vedere, la questione centrale non è stata risolta in modo soddisfacente, ossia come reagire o come adeguarsi a una società molto secolarizzata, come rispondere alla tremenda sfida che da anni soffriamo a causa dei processi di secolarizzazione interna, che colpisce anche buona parte delle opere gestite dai religiosi, negli USA e in altre regioni del mondo.

L’analisi può svilupparsi in varie direzioni: il problema non lo soffrono solo le congregazioni femminili degli Stati Uniti, ma è molto più esteso. Un esempio è la tendenza che si osserva in numerose strutture di consacrati a Roma e in altre città europee a convertire le loro strutture originali – educative e assistenziali – in semplici residenze per ospiti, pensioni o hotel, cioè in strumenti puramente secolari, che rendono di più economicamente, ma meno dal punto di vista simbolico, nel senso che si tratta di attività francamente estranee alla vocazione religiosa e carenti di precedenti storici. Peggio ancora quando le strutture dei consacrati finiscono col gestire capitale monetario o immobiliare.

 

RUOLO E MISSIONE

NEL NUOVO CONTESTO

 

Senza dubbio la riflessione su ciò che sta succedendo ha suscitato varie risposte. Per i massimalisti non c’è rimedio: la situazione attuale mostra l’impossibilità di proseguire quel modello di vita consacrata che si rifletteva nelle istituzioni educative e assistenziali in una cornice di trasformazione cristiana della società. Una posizione diversa è invece quella dei possibilisti, come la stessa autrice del libro ha sottolineato, i quali puntano a una correzione in grado di raddrizzare le cose e di restituire alle istituzioni e ai loro gestori la sintonia persa negli ultimi decenni.

Ma forse esiste un modo diverso di ovviare alla situazione e di correggere la rotta. Conviene partire dalla forte secolarizzazione ambientale nella quale si iscrivono le vecchie proposte istituzionali, e rivedere a fondo nel nuovo contesto il ruolo o la missione dei consacrati. Se si accetta la premessa che l’impegno di trasformazione, nato per far fronte a certe emergenze nell’ambiente di quel tempo, non ha la priorità di quando, per esempio, Don Bosco lanciò la sua proposta educativa, e che oggi la priorità sta nel mettere un argine alla marea secolarizzante e ricreare il malandato ambito della sensibilità religiosa, allora se ne deduce che la vita religiosa, le sue attività e strutture, si giustificano solo se servono a questa finalità, e non a ottenere un rendimento economico o una visibilità sociale.

Il problema fondamentale, appena toccato dalla Wittberg, è che le idee prosperate nell’ambiente della vita consacrata nei decenni successivi al Vaticano II non hanno favorito l’impegno istituzionale che dominava da un secolo prima, e non sono state in grado di offrire una proposta capace di motivare tale impegno, anche se nella maggioranza dei casi non si mise in questione in quegli anni tale cornice istituzionale. Attualmente il problema non sta nel come salvare l’identità religiosa delle opere, bensì nel chiedersi qual è l’identità e la missione dei consacrati in un contesto molto diverso, in cui molte di quelle istituzioni sono diventate superflue, almeno nei paesi occidentali. A mio parere, l’opzione oggi non riguarda tanto l’insegnamento o la sanità, ma l’evangelizzazione in quegli ambiti.

È curioso che in diversi casi nuovi movimenti ecclesiali e nuove congregazioni stiano costruendo strutture, alcune di grandi proporzioni, e creando istituzioni, ovviamente al servizio della loro missione. Sicuramente gli strumenti teorici e metodologici che propone Wittberg nel suo studio potrebbero aiutarci a determinare che tipo di “culture organizzative” e di istituzioni si associano a fenomeni di vitalità nella vita consacrata, e quali risultano piuttosto sterili. Sicuramente abbiamo bisogno di un altro libro.

 

Luís Oviedo OFM

1 Wittberg P., From Piety to Professionalism - and Back? Transformations of Organized Religious Virtuosity, Lanham - Boulder: Lexington Books, pp. 338.