OMELIA DI P. RANIERO CANTALMESSA
“C’ERANO ANCHE ALCUNE DONNE”
Il venerdì santo le
“pie donne” hanno sfidato il pericolo che c’era nel mostrarsi così apertamente
in favore di un condannato a morte. Gesú aveva detto: “Beato chi non si sarà
scandalizzato di me” (Lc 7, 23). Queste donne sono le uniche che non si sono
scandalizzate di lui. E sono state le prime a credere alla sua risurrezione.
«Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria
di Clèofa e Maria di Màgdala» (Gv 19, 25).1 Per una volta lasciamo da parte
Maria, sua Madre. La sua presenza sul Calvario non ha bisogno di spiegazioni.
Era “sua madre” e questo spiega tutto; le madri non abbandonano un figlio,
neppure condannato a morte. Ma perché erano lì le altre donne? Chi erano e
quante erano?
I vangeli riferiscono il nome di alcune di esse: Maria di Magdala, Maria
madre di Giacomo il minore e di Ioses, Salome, madre dei figli di Zebedeo, una
certa Giovanna e una certa Susanna (Lc 8, 3). Venute con Gesù dalla Galilea,
queste donne lo avevano seguito, piangendo, nel viaggio al Calvario (Lc 23, 27-28),
ora sul Golgota osservavano “da lontano” (cioè dalla distanza minima loro
consentita) e di lì a poco lo accompagnano, mestamente, al sepolcro, con
Giuseppe di Arimatea (Lc 23, 55).
Questo fatto è troppo accertato e troppo straordinario per passarvi sopra
in fretta. Le chiamiamo, con una certa condiscendenza maschile, “le pie donne”,
ma esse sono ben più che “pie donne”, sono altrettante “Madri Coraggio”! Hanno
sfidato il pericolo che c’era nel mostrarsi così apertamente in favore di un
condannato a morte. Gesú aveva detto: «Beato chi non si sarà scandalizzato di
me» (Lc 7, 23). Queste donne sono le uniche che non si sono scandalizzate di
lui.
Si discute animatamente da qualche tempo chi fu a volere la morte di Gesù:
se i capi ebrei, o Pilato, o gli uni e l’altro. Una cosa è certa in ogni caso:
furono degli uomini, non delle donne. Nessuna donna è coinvolta, neppure
indirettamente, nella sua condanna. Anche l’unica donna pagana menzionata nei
racconti, la moglie di Pilato, si dissociò dalla sua condanna (Mt 27, 19).
Certo, Gesù morì anche per i peccati delle donne, ma storicamente esse solo
possono dire: «Noi siamo innocenti del sangue di costui!» (Mt 27, 24).
Questo è uno dei segni più certi dell’onestà e dell’attendibilità storica
dei vangeli: la figura meschina che fanno in essi gli autori e gli ispiratori
dei vangeli e la figura meravigliosa che vi fanno fare a delle donne. Chi
avrebbe permesso che fosse conservata, a imperitura memoria, la storia
ignominiosa della propria paura, fuga, rinnegamento, aggravata in più dal
confronto con la condotta così diversa di alcune povere donne, chi, ripeto,
l’avrebbe permesso, se non vi fosse stato costretto dalla fedeltà a una storia
che appariva ormai infinitamente più grande della propria miseria?
Ci si è sempre chiesti come mai le «pie donne» sono le prime a vedere il
Risorto e ad esse viene dato l’incarico di annunciarlo agli apostoli. Questo
era il modo più sicuro per rendere la risurrezione poco credibile. La
testimonianza di una donna non aveva alcun peso. Forse proprio per questo
motivo nessuna donna figura nel lungo elenco di coloro che hanno visto il
Risorto redatto da Paolo (cf. 1 Cor 15, 5-8). Gli stessi apostoli sulle prime
presero le parole delle donne come “un vaneggiamento” tutto femminile e non credettero
ad esse (Lc 24, 11).
Gli autori antichi credettero di conoscere la risposta a questa domanda. Le
donne, dice in un suo inno Romano il Melode, sono le prime a vedere il Risorto
perché una donna, Eva, era stata la prima a peccare!2 Ma la risposta vera è
un’altra: le donne sono state le prime a vederlo risorto perché erano state le
ultime ad abbandonarlo da morto e anche dopo la morte venivano a portare aromi
al suo sepolcro (Mc 16,1).
Dobbiamo chiederci il perché di questo fatto: perché le donne hanno
resistito allo scandalo della croce? Perché gli sono rimaste vicine quando
tutto sembrava finito e anche i suoi discepoli più intimi lo avevano
abbandonato e stavano organizzando il ritorno a casa?
La risposta l’ha data in anticipo Gesù, quando rispondendo a Simone, disse,
della peccatrice che gli aveva lavato e baciato i piedi: «Ha molto amato!» (Lc
7, 47). Le donne avevano seguito Gesù per lui stesso, per gratitudine del bene
da lui ricevuto, non per la speranza di far carriera al suo seguito. Ad esse
non erano stati promessi “dodici troni”, né esse avevano chiesto di sedere alla
sua destra e alla sua sinistra nel suo regno. Lo seguivano, è scritto, “per
servirlo” (Lc 8, 3; Mt 27, 55); erano le uniche, dopo Maria la Madre, ad avere
assimilato lo spirito del Vangelo. Avevano seguito le ragioni del cuore e
queste non le avevano ingannate.
In ciò la loro presenza accanto al Crocifisso e al Risorto contiene un
insegnamento vitale per noi oggi. La nostra civiltà, dominata dalla tecnica, ha
bisogno di un cuore perché l’uomo possa sopravvivere in essa, senza
disumanizzarsi del tutto. Dobbiamo dare più spazio alle “ragioni del cuore”, se
vogliamo evitare che l’umanità ripiombi in un’era glaciale.
In questo, a differenza che in molti altri campi, la tecnica ci è ben poco
di aiuto. Si sta lavorando da tempo a un tipo di computer che “pensa” e molti
sono convinti che vi si arriverà. Ma nessuno finora ha prospettato la
possibilità di un computer che “ama”, che si commuove, che viene incontro
all’uomo sul piano affettivo, facilitandogli l’amare, come gli facilita il
calcolare le distanze tra le stelle, il movimento degli atomi e memorizzare i
dati...
Al potenziamento dell’intelligenza e delle possibilità conoscitive
dell’uomo, non va di pari passo, purtroppo, il potenziamento della sua capacità
d’amore. Quest’ultima, anzi, sembra che non conti nulla, mentre sappiamo
benissimo che la felicità o l’infelicità sulla terra non dipende tanto dal
conoscere o non conoscere, quanto dall’amare o non amare, dall’essere amato o
non essere amato. Non è difficile capire perché siamo così ansiosi di
accrescere le nostre conoscenze e così poco di accrescere la nostra capacità di
amare: la conoscenza si traduce automaticamente in potere, l’amore in servizio.
Una delle moderne idolatrie è l’idolatria dell’IQ3 del “quoziente di
intelligenza”. Si sono messi a punto numerosi metodi di misurazione. Ma chi si
preoccupa di tener conto anche del “quoziente di cuore”? Eppure solo l’amore
redime e salva mentre la scienza e la sete di conoscenza, da sole, possono
portare alla dannazione. È la conclusione del Faust di Goethe ed è anche il
grido lanciato dal regista che fa inchiodare simbolicamente al pavimento i
preziosi volumi di una biblioteca e fa dire al protagonista che «tutti i libri
del mondo non valgono una carezza».4 Prima di tutti loro san Paolo aveva
scritto: «La scienza gonfia, l’amore edifica» (1 Cor 8,1).
Dopo tante ere che hanno preso il nome dall’uomo – homo erectus, homo
faber, fino all’homo sapiens, cioè sapientissimo, di oggi –, c’è da augurarsi
che si apra finalmente, per l’umanità, un’era della donna: un’era del cuore,
della compassione, e questa terra cessi finalmente di essere «l’aiola che ci fa
tanti feroci».5
Da ogni parte emerge l’esigenza di dare più spazio alla donna. Noi non
crediamo che «l’eterno femminino ci salverà».6 L’esperienza quotidiana dimostra
che la donna può «sollevarci in alto», ma può anche farci precipitare in basso.
Anch’essa ha bisogno di essere salvata da Cristo. Ma è certo che, una volta
redenta da lui e “liberata”, sul piano umano, da antiche discriminazioni, essa
può contribuire a salvare la nostra società da alcuni mali inveterati che la
minacciano: violenza, volontà di potenza, aridità spirituale, disprezzo della
vita…
Bisogna solo evitare di ripetere l’antico errore gnostico secondo cui la
donna, per salvarsi, deve cessare di essere donna e trasformarsi in uomo.7 Il
pregiudizio è tanto radicato nella cultura che le stesse donne hanno finito a
volte per soccombere ad esso. Per affermare la loro dignità, hanno creduto
necessario assumere atteggiamenti maschili, oppure minimizzare la differenza
dei sessi, riducendola a un prodotto della cultura. «Donna non si nasce, ma si
diventa», ha detto una loro illustre rappresentante.8
Come dobbiamo essere grati alle “pie donne”! Lungo il viaggio al Calvario,
il loro singhiozzare fu l’unico suono amico che giunse agli orecchi del
Salvatore; sulla croce, i loro “sguardi” furono gli unici a posarsi con amore e
compassione su di lui.
La liturgia bizantina ha onorato le pie donne dedicando ad esse una
domenica dell’anno liturgico, la seconda dopo Pasqua, che prende il nome di
“domenica delle Mirofore”, cioè delle portatrici di aromi. Gesù è contento che
si onorino nella Chiesa le donne che lo hanno amato e hanno creduto in lui
quand’era in vita. Su una di esse – la donna che versò sul suo capo un vasetto
di olio profumato – fece questa straordinaria profezia, puntualmente avveratasi
nei secoli: «Dovunque sarà predicato questo vangelo, nel mondo intero, sarà detto
anche ciò che essa ha fatto, in ricordo di lei» (Mt 26,13).
Le pie donne non sono, però, solo da ammirare e onorare, sono anche da
imitare. San Leone Magno dice che «la passione di Cristo si prolunga sino alla
fine dei secoli»9 e Pascal ha scritto che «Cristo sarà in agonia fino alla fine
del mondo».10 La Passione si prolunga nelle membra del corpo di Cristo. Sono
eredi delle “pie donne” le tante donne, religiose e laiche, che stanno oggi a
fianco dei poveri, dei malati di AIDS, dei carcerati, dei reietti d’ogni specie
della società. Ad esse – credenti o non credenti – Cristo ripete: «L’avete
fatto a me» (Mt 25, 40).
Non solo per il ruolo svolto nella passione, ma anche per quello svolto
nella risurrezione le pie donne sono di esempio alle donne cristiane di oggi.
Nella Bibbia si incontrano da un capo all’altro dei “va’!” o degli “andate!”,
cioè degli invii da parte di Dio. È la parola rivolta ad Abramo, a Mosè («Va’,
Mosè, nella terra d’Egitto»), ai profeti, agli apostoli: «Andate in tutto il
mondo, predicate il Vangelo ad ogni creatura».
Sono tutti “andate!” indirizzati a degli uomini. C’è un solo “andate!”
indirizzato a delle donne, quello rivolto alle mirofore il mattino di Pasqua:
«Allora Gesù disse loro: Andate e annunziate ai miei fratelli che vadano in
Galilea e là mi vedranno» (Mt 28, 10). Con queste parole le costituiva prime
testimoni della risurrezione, «maestre dei maestri» come le chiama un autore
antico.11
È un peccato che, a causa dell’errata identificazione con la donna
peccatrice che lava i piedi di Gesù (Lc 7, 37), Maria Maddalena abbia finito
per alimentare infinite leggende antiche e moderne e sia entrata nel culto e
nell’arte quasi solo nella veste di “penitente”, anziché in quella di prima
testimone della risurrezione, “apostola degli apostoli”, come la definisce san
Tommaso d’Aquino.12
«Abbandonato in fretta il sepolcro, con timore e gioia grande, le donne
corsero a dare l’annunzio ai suoi discepoli» (Mt 28, 8). Donne cristiane,
continuate a portare ai successori degli apostoli e a noi sacerdoti loro
collaboratori il lieto annuncio: «Il Maestro è vivo! È risorto! Vi precede in
Galilea, cioè dovunque andiate!» Continuate l’antico cantico che la liturgia
pone sulla bocca di Maria Maddalena: Mors et vita duello conflixere mirando:
dux vitae mortuus regnat vivus: «Morte e vita si sono affrontate in un
prodigioso duello: il Signore della vita era morto, ma ora è vivo e regna». La
vita ha trionfato, in Cristo, sulla morte e così avverrà un giorno anche in
noi. Insieme con tutte le donne di buona volontà, voi siete la speranza di un
mondo più umano.
Alla prima delle “pie donne” e loro incomparabile modello, la Madre di
Gesù, ripetiamo con un’antica preghiera della Chiesa: «Santa Maria, soccorri i
miseri, sostieni i pusillanimi, conforta i deboli: prega per il popolo,
intervieni per il clero, intercedi per il devoto sesso femminile»: Ora pro populo, interveni pro clero,
intercede pro devoto femineo sexu.13
1 La seguente omelia è stata tenuta da p. R. Cantalamessa lo
scorso venerdì santo, 6 aprile, durante la celebrazione della Passione del
Signore.
2 Romano il Melode, Inni, 45, 6 (ed. Gharib G., a cura, Edizioni
Paoline 1981, 406).
3 IQ è l’abbreviazione dell’espressione inglese Intelligence
Quotient¸ quoziente di intelligenza, ossia il grado di intelligenza di un
individuo sottoposto a un apposito test.
4 Nel film Centochiodi di Ermanno Olmi
5 Dante Alighieri, Paradiso, 22, v.151.
6 Goethe W, Faust, finale parte II: «Das
Ewig-Weibliche zieht uns hinan».
7 Cf. Vangelo copto di Tommaso, 114; Estratti di
Teodoto, 21, 3
8 De Beauvoir S., Le Deuxième Sexe, 1949
9 Leone Magno, Sermo 70, 5 (PL 54, 383).
10 Pascal B., Pensieri, n. 553 Br.
11 Gregorio Antiocheno, Omelia sulle donne mirofore, 11 (
12 S. Tommaso d’Aquino, Commento al vangelo di Giovanni, XX, 2519.
13 Antifona al Magnificat, Comune delle feste della
Vergine.<<inizia una nuova colonna>>