UNA VOCAZIONE TRA LE VOCAZIONI
Dopo la riflessione
sui laici, la vita consacrata femminile ha messo a tema la questione della
comune vocazione religiosa. Essenziale il confronto con le altre vocazioni
ecclesiali, per giungere a “ripensarsi insieme”.
Al di là di ogni specificazione carismatica, nell’ambito della vita
consacrata è sempre più avvertita l’esigenza di far emergere il patrimonio
comune che esiste tra le varie vocazioni, per metterlo a servizio, in comunione
con i laici, della nuova evangelizzazione nella Chiesa.1 Si tratta di una
convinzione e di una sensibilità da non dare troppo in fretta per scontate, su
cui sente la necessità di una più approfondita riflessione. Una dimostrazione
di questa esigenza è stata offerta dalla 54a Assemblea nazionale USMI, che si è
tenuta, dal 12 al 14 aprile, a Roma presso la Pontificia Università Urbaniana,
con la partecipazione di oltre 400 superiore maggiori, sul tema La vocazione
religiosa tra le vocazioni ecclesiali.2 Scegliendo questo argomento si è inteso
anche ricollegarsi con la precedente edizione in cui, trattando della
collaborazione con i laici, si era giunti alla conclusione che maturare una
reciproca solidarietà doveva essere oggi considerato un punto di non ritorno,
dal momento che i laici non sono semplicemente “mano d’opera” da utilizzare
nelle strutture religiose, ma fratelli e sorelle spesso impegnati nel comune
cammino di evangelizzazione.
IL “CODICE ROSSO”
DELLA VC
Alcune voci hanno sollevato la domanda come mai si ripropone questo tema,
dopo che il concilio e gli anni postconciliari avevano tracciato delle linee
sufficientemente chiare circa l’identità, il ruolo e la missione della vita
consacrata nella Chiesa, nell’insieme della altre vocazioni.
Una prima risposta è stata offerta dalla relazione di p. Rupnik, il quale,
mettendo in luce i cambiamenti avvenuti in questi quarant’anni nella società e
nella stessa Chiesa, ha descritto ciò che le comunità religiose femminili e
maschili sperimentano quotidianamente, ormai da decenni. È evidente a tutti –
ha commentato – «il disagio causato dalla istituzionalizzazione delle grandi
opere gestite da istituti religiosi». La ristrutturazione di grandi opere o la
rifinalizzazione delle medesime è costata un grande dispendio di energie, con
il risultato che spesso gli stessi (e pochi) religiosi di età più giovane non
se ne vogliono occupare e, d’altro canto, coloro che se ne fanno carico
giungono al logoramento psicologico o fisico, con il rischio di assumere
esclusivamente una logica aziendale, mettendo in ombra lo spirito che dovrebbe
sostenere l’azione pastorale. L’«allarme rosso» è così scattato nel momento in
cui «sono nate tante realtà nuove, ma non c’è stato un passaggio della memoria,
della tradizione, della sapienza. Sembra che lo Spirito santo a stento trovi
persone docili, disponibili a fermarsi, a interrogarsi…».
Altri relatori hanno fatto emergere il contesto sociale in cui opera la
vita consacrata e che inevitabilmente condiziona gli stessi stili di vita
personali e comunitari. Un mondo “malato” di individualismo, frammentazione,
secolarizzazione, ricerca del possesso, della sessualità e libertà vissuti come
fini a se stessi, espongono la vita consacrata e il suo patrimonio spirituale
al rischio dell’irrilevanza e insignificanza per la società e la Chiesa stessa.
CIASCUNO VIVA SECONDO
LA GRAZIA RICEVUTA
Non pochi religiosi/e d’oggi percepiscono la vita consacrata come una
presenza stanca e sofferta, senza eccessiva grinta e slanci pastorali. In
questa assemblea, pur non sottovalutando tale reale pericolo che si annida
nelle comunità religiose sia femminili che maschili, si è inteso intraprendere
un cammino che faccia respirare la speranza e la fiducia nel futuro.
Non a caso sono stati invitati membri qualificati della vita consacrata
femminile e maschile, ma anche coloro che incrociano per diverse ragioni il
mondo della vita consacrata: mons. Luciano Monari, vescovo di Piacenza, la
dott.ssa Daniela Mazzucconi, laica impegnata nella vita politica e culturale
del nostro paese, il prof. Giuseppe Della Torre, laico impegnato nell’attività
accademica e universitaria.
Le relazioni proposte durante l’assemblea hanno rappresentato soprattutto
una fase di ascolto di quanto pensa il popolo di Dio sulla vita religiosa oggi
e ciò che dovrebbe costituire il comune denominatore vocazionale, nella
prospettiva dello scambio di doni e di servizi.
Come vede un vescovo la presenza dei religiosi nella vita della sua
diocesi? Secondo mons. Luciano Monari, obiettivo comune della vita ecclesiale è
far crescere persone ricche di umanità. La vita religiosa seguendo Gesù
vergine, povero e obbediente non fa altro che rendere visibile e possibile la
realizzazione di un’umanità fondata sull’invincibile amore di Dio. Agli occhi
di un vescovo, le diverse dimensioni della consacrazione religiosa dovrebbero
assumere una grande rilevanza per ogni vocazione dei battezzati: «La povertà
dei religiosi richiama ai credenti l’uso corretto delle ricchezze affinché non
diventino un idolo, poiché “l’uomo non è definito da quello che possiede”; la
verginità dei religiosi è un richiamo ai credenti a vivere la propria
sessualità come luogo di glorificazione di Dio e della vita, relativizzando
l’eccessivo valore che la cultura di oggi esalta; l’obbedienza dei religiosi
diventa anche per i tutti i credenti una forma di impegno nella gestione delle
diverse forme di potere». Secondo mons. Monari dunque, la vita religiosa è
definita dal suo essere, non dai suoi servizi, pur importanti ma non
essenziali. E su questa strada dovrà procedere il rinnovamento e lo slancio
della vita consacrata in Italia.
Anche dalla prospettiva di una laica, ricca di esperienza ecclesiale, qual
è la dott.ssa Daniela Mazzucconi, la vita consacrata deve “saper perdere più
tempo” senza lasciarsi imbrigliare dall’istituzionalizzazione, la quale rischia
di paralizzare il futuro stesso della presenza delle religiose: «I tempi e gli
spazi si sono fatti diversi, ma la comunità può diventare il luogo
dell’incontro e del dialogo. Le religiose devono saper stare con la gente,
devono saper scorgere il bisogno locale, trasformare il tempo “ricchezza”,
trovare il tempo per pensare».
Il prof. Giuseppe Dalla Torre, rettore della LUMSA (Libera Università Maria
Santissima Assunta), non ha fatto altro che puntualizzare ciò che da più voci è
emerso. Partendo da una efficace immagine – la Chiesa è una grande tenda che
ospita le diversità – ha evidenziato come la vita consacrata non debba fare
altro che essere quello che è sempre stata, cioè un segno di contraddizione.
Ciò si esprime nel far sì che le comunità religiose siano un luogo permanente
dove le persone si impegnano a essere in relazione; dove le priorità non
risiedono nella «storicità dei servizi» da portare avanti a ogni costo, ma
«nell’essere se stessi fino in fondo». Gli strumenti per mettere in atto tale
processo provengono dalla millenaria tradizione della vita consacrata: consigli
evangelici, professione pubblica dell’aspetto cultuale, vita fraterna condotta
in comune, testimonianza dell’unione di Cristo e della Chiesa.
Una vita consacrata non timorosa di abbandonare opere ereditate da un
passato glorioso, che non si lascia imbrigliare da una eccessiva
istituzionalizzazione, che privilegi l’essere una presenza discreta,
contraddistinta dall’ascolto della parola di Dio e l’essere tenda di ospitalità
e comunione: ecco ciò che sembra essere il comune percorso della maggior parte
degli istituti religiosi che operano nel nostro paese.
LA STRADA
DELL’AMORE
Accanto a questa lettura “esterna”, ce n’è un’altra, ed è quella che si è
intravista fra le varie testimonianze e relazioni proposte dalle consacrate
stesse. Per esempio, sr. Pierina Scarmignan, superiora generale delle Orsoline
Figlie di Maria Immacolata ha suggerito alcuni percorsi che dovrebbero
accomunare ogni istituto religioso. Dapprima alcuni atteggiamenti interiori,
fra i quali dovrebbe spiccare la lode e la gratitudine perché «la nostra storia
non è affidata al caso, ma è nelle mani di Dio; vivere una vita come vocazione
significa trovare in un Altro, in Dio la fonte del proprio “compimento”». Il
secondo percorso è all’interno della vita fraterna: «una sfida per l’oggi della
storia e della chiesa» che si esplica attraverso uno stile riconosciuto da
tutti e dalla dimensione internazionale della vita fraterna.
Sr. Maria Chiara Grigolin, delle Piccole serve della Divina Providenza ha
ulteriormente focalizzato il proprium della vita consacrata: «la carità è il
fuoco trasformante delle nostre comunità e delle nostre attività; l’amore è la
forza dei discepoli di ieri e di oggi e la comunità è il luogo privilegiato
dove l’amore può crescere e svilupparsi. La carità se è vissuta davvero
dall’interno delle nostre comunità, ci spinge inevitabilmente verso il mondo».
E ancora: «la carità è la nostra comune identità. Senza la carità anche i carismi
più grandi non hanno valore».
COMUNE SENTIRE
SENTIERI COMUNI
Già da qualche anno l’USMI lavora per unificare forze e risorse, secondo il
principio della intercongregazionalità (non a caso la tavola rotonda è stata
caratterizzata dalla presentazione di associazioni che lavorano al servizio
degli istituti religiosi). Ciò è il risultato di una unanime convinzione
dell’attuale vita consacrata femminile: rendere maggiormente esplicita la
comune appartenenza alla vocazione battesimale, pur non negando le specifiche
diversità carismatiche.
A questo proposito, in una recente intervista rilasciata a Radio Vaticana,
madre Giuseppina Alberghina, vicepresidente dell’USMI così commentava: «Ci
sembra come USMI di non dover insistere più solo sulla situazione della vita
religiosa femminile, ma sulla dimensione vocazionale della intera compagine
ecclesiale, che è comunque una situazione critica anche per le altre vocazioni
cristiane, sia quelle al matrimonio che presbiterali. Ci pare che la forma
“congregazionale” della vita religiosa è chiamata ad evolversi in forme più
rispondenti all’emergenza di oggi: forme più trasparenti e più capaci di
trasmettere l’esperienza di Cristo alle nuove generazioni».
Terminata l’assemblea, su quali strade muoversi? È nelle parole di madre
Teresa Simionato, attuale presidente USMI, che ci pare di intravedere quei
«sentieri di speranza» che rendono concretizzabile tutto quanto si è ascoltato
nei lavori assembleari: «è importante che cresca nella Chiesa un rapporto di
conoscenza e di collaborazione, di stimolo e di condivisione che potrebbe
instaurarsi non solo tra le singole persone ma anche tra istituti, movimenti
ecclesiali e nuove forme di vita consacrata, in vista di una crescita nella
vita dello Spirito e nella missione. Alcune sinergie di futuro per la vita
religiosa femminile: a) il percorso della Parola accolta come dono e praticata
con assiduità; b) farsi promotrici e facilitatrici di “mutuae relationes” per
continuare una sana spiritualità di comunione, favorendo il dialogo e la
collaborazione con i pastori, i sacerdoti e i laici; c) esprimere la prossimità
del samaritano nelle situazioni di abbandono, sopraffazione e violazione della
persona e dei suoi diritti; farsi solidali, nel momento dell’anzianità, con
molti anziani che la nostra società tende ad emarginare; d) entrare e assumere
il processo di inculturazione e di evangelizzazione delle culture; e) accettare
la sfida del mutamento istituzionale».
E così le parole della Prima lettera di Pietro «ciascuno viva secondo la
grazia ricevuta mettendola a servizio degli altri...» (1Pt 4,10) risuoneranno
come grande segno di speranza e coraggio per la vita consacrata e la sua
missione nella Chiesa e nel mondo d’oggi.
1 Cf.
2 Le relazioni: Sr. Teresa Simionato, La vocazione religiosa tra le
vocazioni ecclesiali; P. Marko Ivan Rupnik, La vocazione religiosa tra le
vocazioni ecclesiali. Quale testimonianza per l’uomo contemporaneo?; Mons.
Luciano Monari, La vocazione religiosa nella relazione con le altre vocazioni
ecclesiali; Daniela Mazzucconi, Le diverse vocazioni ecclesiali e l’urgenza di
ripensarsi insieme; P. Mario Aldegani, Echi dal Convegno di Verona; Suor Maria
Chiara Grigolin, Il comune carisma della vita religiosa; Giuseppe dalla Torre, Molteplicità
di vocazioni ecclesiali e società contemporanea.