ACCOMPAGNARE IL MATRIMONIO

NELLA CULTURA DEL PROVVISORIO

 

A relazioni di coppia devono corrispondere maggiori competenze. Accompagnare il nuovo apprendimento dell’arte di tessere legami, secondo il noto esperto Xavier Lacroix, richiede l’impegno nella durata della relazione, la fedeltà come amore incondizionato, l’integrazione di risorse naturali, spirituali e mistiche.

 

Nel documento del pontificio Consiglio per la famiglia su Famiglia, matrimonio e unioni di fatto (2000), cercando i motivi all’origine della crisi del matrimonio, sia nella dimensione religiosa che civile (in un contesto di privatizzazione dell’amore e di superamento del carattere istituzionale del legame), se ne identificano le radici profonde nella rivoluzione sociale della postmodernità globalizzata e in una certa ideologia per cui i generi maschile e femminile sarebbero il prodotto di fattori sociali, senza relazione con la dimensione sessuale della persona (ogni azione sessuale sarebbe giustificabile, inclusa l’omosessualità, e spetterebbe alla società cambiare per fare posto, oltre a quello maschile e femminile, ad altri generi nella configurazione della vita sociale).

Aggiungiamo a questo scenario un tono predominante dato dalla cultura del mercato e del provvisorio: tutto si consuma. Non si consumano solo gli indumenti, il televisore, il cibo, ma anche le relazioni interpersonali. In questo ambito il cristianesimo è sottoposto giocoforza a due specifiche tentazioni: quella che porta a riporre fiducia assoluta nella novità e quella che si manifesta come mancanza d’immaginazione. In particolare queste due prospettive entrano in gioco in quel livello decisivo per lo sviluppo sociale ed ecclesiale costituito dalle vocazioni, dalle scelte per tutta la vita.

 

LA COMPETENZA

DELL’AMORE

 

Ascoltando una meditata lezione del noto filosofo e teologo francese Xavier Lacroix, sposato con tre figli (Accompagnare al matrimonio e nel matrimonio nella cultura del provvisorio), Facoltà teologica del Triveneto, Padova 18/1/07), ci siamo sentiti portare oltre le due tentazioni, con la proposta di mettere insieme novità dei tempi e immaginazione dello Spirito: la Chiesa è ai giorni nostri sempre più chiamata a concentrare le sue migliori energie nell’educarsi/educare all’amore più che nell’apologetica dei valori del matrimonio cristiano. Una strada impervia da imboccare, sapendo di dover fare i conti nella nostra cultura soprattutto col disagio che le persone mostrano nella percezione del tempo. Non solo c’è la quasi impossibilità di aspettare (tutto e subito), ma anche la diffidenza fondamentale per il credito da accordare al tempo.

Dobbiamo pertanto imparare di nuovo a fare del tempo un amico, anche perché nella sfera del provvisorio, nella quale noi evolviamo, sopravviene ormai anche la crisi della lealtà. I giovani infatti sono presi tra desiderio e paura di fedeltà, tra voglia di un amore forte e di una felicità come somma di gratificazioni. Così il matrimonio (come la vocazione alla vita religiosa) finisce per essere immaginato non solo come il luogo per costruire il senso del vivere ma anche per vincere il male di vivere.

Perchè non impegnarsi allora sotto condizione, con flessibilità, sperimentalmente? Chi può sapere se tra venti o trent’anni saremo ancora felici insieme? Come essere fedele all’altro pur restando fedele a me stesso? Per rispondere a queste cruciali domande Lacroix ha sottolineato che a relazioni di coppia probabilmente più ricche del passato devono corrispondere maggiori competenze. In questo nuovo apprendimento dell’arte di tessere legami gli strumenti decisivi sembrano essere l’impegno nella durata, il nuovo valore della fedeltà, alcune risorse integrate.

In primo luogo, la «prova di verità dell’amore» è la durata. Solo nel tempo infatti incontro il limite altrui, oltre lo stato di innamoramento, e quindi accetto concretamente la sua alterità; solo nel tempo l’altro diventa il “mai finito” da scoprire («fedeltà all’altro è fedeltà all’avvenire che è in lui»); solo nel tempo si può sviluppare un lavoro globale su noi stessi, quello che mette in questione l’immagine che ci siamo fatta di noi e i compromessi necessari; solo nel tempo si vede se «i figli possono contare sulla solidità del legame che unisce i loro genitori».

 

LA BUONA NOTIZIA

DELL’AMORE INCONDIZIONATO

 

Accordarsi col tempo è chiave per ritornare a riflette sulla fedeltà ai legami (è il secondo strumento). Il nostro relatore ha distinto tra una fedeltà “effetto” e una fedeltà “causa”: la prima è risultato del buon funzionamento della relazione, la seconda è orizzonte di una promessa che dà forma ai nostri affetti. Nella prima «ci si impegna sotto condizione. Purché il legame mi porti sufficienti gratifiche, l’altro risponda alle mie attese, mi renda o io lo renda felice». Nella seconda invece «non si tratta di impegnarsi a qualsiasi condizione, ma al di là di ogni condizione».

Non siamo certo nell’incondizionato assoluto, eppure capiamo che le condizioni non dipendono dal vantaggio ricercato o dal calcolo di interesse. In questo senso facciamo esperienza dell’amore incondizionato, che non dipende dalla qualità o dai difetti. La buona notizia è che esiste un amore tanto resistente alle prove quanto quello dei genitori per un figlio! «Ciò significa che la libertà e la parola possono essere creatrici, possono dare nascita al reale, cioè a un legame più consistente rispetto all’alea della soggettività, a una roccia più solida delle tempeste dell’esistenza».

L’impegno condizionato è come un contratto in cui ciò che la volontà ha fatto, la volontà può disfare. «Altra è la logica dell’impegno incondizionato che non è solo associazione, ma alleanza. Per dire un impegno reciproco la lingua latina distingueva il pactum, semplice convenzione, e il foedus, trattato di alleanza. Il carattere solenne di quest’ultimo era caratterizzato dall’offerta di un sacrificio agli dei. L’alleanza si accompagna a un sacrificio. In ebraico si usa l’espressione “tagliare un’alleanza”: il verbo evoca le due parti dell’animale sacrificato, tra le quali passavano le due “parti” contraenti. Il significato è: capiti a me la stessa cosa se rompo il patto!».

Fare alleanza è dunque rischiare la propria vita, sacrificare un’altra possibile via tagliando i ponti dietro di sé. «Accetto di essere modificato dalla relazione, impegnando la mia stessa identità. L’alleanza come tale comporta l’irreversibile, anche se ci si separa. … Perciò l’alleanza può essere definita come l’entrata di due storie una nell’altra». In questo modo Lacroix ha distinto l’alleanza dalla fusione (essere uno invece di due) e dall’associazione (restare due, solo due). L’alleanza è invece un “io” e un “tu” che si intersecano e fanno nascere un noi, terza vita.

 

LA SOGLIA

DEL MISTERO

 

A questo punto entra in ballo la comunità: senza il soccorso di una cultura, di un linguaggio, una tradizione, queste intuizioni possono essere molto fragili. «L’appartenenza a una comunità confessante giocherà un ruolo determinante, in modo particolare in un contesto cristiano. La fede cristiana fa sperare una soglia decisiva, confermante, puntellando e radicalizzando le poste in gioco. Tutto accade come se un terzo anello venisse a incrociare gli anelli intrecciati dell’alleanza. Il legame non è solamente intersoggettivo o sociale: fa legge».

Ma, chiediamoci, un patto così radicale è a misura d’uomo? La risposta migliore deve spingersi a esplorare le risorse naturali, spirituali e sopra-naturali (siamo all’ultimo degli strumenti). Le risorse del primo tipo sono essenzialmente il desiderio e la tenerezza, la forza e la fragilità, che prendono però forme diverse a seconda dell’evoluzione della relazione. Per evitare rappresentazioni idealizzate della sessualità va sempre ricordato che «la logica dell’eros è molto specifica. Non coincide con l’espressione della tenerezza». Proprio la tenerezza è il cuore dell’amore coniugale, il momento in cui due debolezze entrano in risonanza. Occorre dare loro la parola, cioè educare le persone alla formulazione dei sentimenti. Qui, sottolinea Lacroix, oltre ai figli (frutto dell’alleanza) c’è bisogno di una comunità che faccia da terzo catalizzatore, superando i limiti del ripiegamento nella propria intimità.

Si capisce poi che ci sono momenti in cui lo slancio naturale del desiderio-tenerezza non basta più e che occorre un’energia nuova. Il relatore ha proposto quattro termini per caratterizzarla: volontà, fede, perdono e pazienza. Amare è, a questo livello, voler amare. Ma, nei tempi di aridità del desiderio, per volere veramente, bisogna credere. «Ogni coppia ha le sue ricchezze, ma anche le sue povertà. La fiducia nell’altro prende tutta la sua forza se credo che c’è in lui, in lei, una sorgente di vita più profonda e più reale delle fluttuazioni della sua vita psicologica». La fede è in tal modo vittoria sulla paura. La paura è probabilmente il principale nemico delle coppie. Perciò la fede deve prendere due forme concrete quali il perdono e la pazienza. Così «il tempo coniugale è quello della lentezza».

Oltre le risorse che si legano al buon funzionamento della psiche o alla forza di una volontà autonoma, c’è bisogno di varcare la soglia di una nuova comprensione. Nell’ultima parte della sua riflessione il professore ha tratteggiato tre porte di ingresso nel mistero. La prima è il riconoscimento dell’amore come grazia, uscita da sé nella forma del dono della parola, del tempo, del corpo ecc. «Il dono autentico si distingue dallo scambio commerciale. È gratuito, nel senso che non calcola un guadagno di ritorno. Ciò non vuol dire che non riceva, perchè è fondamentalmente accoglienza. Ma ciò che si riceve è un regalo, un frutto, un “di più” accolto nella gratitudine, e non uno scopo, un obiettivo calcolato». Da qui il secondo ingresso, quello dell’amore come pasqua (cf. l’adagio talmudico per cui l’unione tra un uomo e una donna è un miracolo più grande di quello del passaggio del Mar Rosso!). «Bisogna lasciare molte cose per fare alleanza, liberarsi da molti legami. In molti modi, fare alleanza è rischiare la propria vita. La speranza soffia quando tutte queste morti, volontarie o involontarie, possono sfociare in una vita più grande e più vera. Bisogna perdersi per trovarsi».

L’ultima porta di ingresso al mistero è l’amore come alleanza più ampia, l’alleanza fraterna: «approfondendosi, allo stesso tempo l’amore si allarga. Comunicandosi con altri al Corpo consegnato e al Sangue versato, gli sposi credenti comunicano non solo alla sorgente di ciò che li fa vivere, ma con i fratelli e le sorelle che vivono di questo stesso mistero». Partecipare alla vita di una comunità spirituale e incarnata è una grande fortuna, anche perché rimanda a un’unità più originaria che è circolazione di vita, la Trinità. Vivere un grande amore dipende infatti anche dall’esperienza mistica.

Abbiamo descritto un essenziale più che un ideale: un appello a trasformare i limiti dell’attuale situazione affettiva e familiare in opportunità di evangelizzazione.

 

Mario Chiaro