L’ESPERIENZA DI M. MADDALENA DE’ PAZZI

IL TEMPO DELLA PROVA

 

La santa si presenta ad un tempo come la grande amante e la grande penitente. I diversi gesti penitenziali del manoscritto della Probatione oggi sarebbero desueti. Ma si direbbe che Dio, di tempo in tempo, si adatta alle forme degli uomini per portare a compimento quel che vuol raggiungere.

 

Il 25 maggio prossimo ricorre la memoria liturgica di santa Maria Maddalena de’ Pazzi (1556-1597). La festa di questa grande carmelitana fiorentina assume quest’anno una solennità tutta particolare poiché coincide anche con il quarto centenario della sua scomparsa. Ed è proprio questa circostanza che ci induce a tornare di nuovo sulla sua eccezionale esperienza spirituale.1 Come ha affermato il cardinale di Firenze Ennio Antonelli, all’inizio di quest’anno 2007, introducendo i suoi preti alla celebrazione del centenario, Maddalena de’ Pazzi è un invito ad approfondire e comprendere meglio la nostra vita cristiana. Perché i santi – ha detto il cardinale – rappresentano in qualche modo il passaggio da una musica scritta a una musica eseguita. Dietro questa suggestiva immagine, ascoltiamo quella che è stata l’esperienza della prova nella vita di suor Maria Maddalena.

 

LA LUCE

DELLA PURITÀ

 

Nel cammino verso l’incontro con Dio gli studiosi di spiritualità erano soliti individuare tre momenti fondamentali: prima l’anima si purifica, poi riceve luce dall’alto, da ultimo è introdotta in una via d’unione. Se guardiamo all’iter percorso dalla carmelitana di Firenze, dovremo invertire i primi due momenti: per lei tutto ha avuto inizio con la luce, dopodiché è venuta la prova, destinata a radicarla e confermarla nella vita di grazia.

A partire dal giorno della professione – era il 27 maggio 1584 – la giovane novizia fu colta di sorpresa da intense esperienze di Dio che la portavano al di là di se stessa: estasi, rapimenti, intuizioni che nell’arco di un anno furono per lei una sorta di scuola di teologia, recepita con la partecipazione di tutto il suo essere. Contemplava l’amore, ma anche la purità di Dio a cui faceva da contrapposto il peccato della creatura umana. Proprio nel corso di queste contemplazioni, l’estatica aveva intuito che l’attendeva una lunga prova attraverso la quale si doveva rinnovare tutto il suo essere. Solo in tal modo sarebbe stata davvero partecipe della purità divina e il suo amore sarebbe stato “della statura del Verbo umanato”.

Prima di farla entrare sotto le “soavissime ombre”, l’eterno Padre le dava alcuni avvertimenti preziosi per comprendere il modo da tenere nella prova: «Ti dico e ti faccio intendere che il corpo tuo lo devi tenere come un vaso prestato a te da me, e devi stare attenta a non romperlo, perché lo devi rendere a me. E sai che un vaso rotto è mostruoso… E tanto andranno crescendo le forze, quanto crescerà la cognizione del tuo non essere. E ti ingegnerai ad andar sempre dietro al mio intrinseco tiro, a mettere ogni studio per intenderlo». Da ultimo una assicurazione: «Sebbene verranno i tuoi nemici come ferocissime bestie, non ti sbigottire perché io li farò diventare mansueti, come feci con i leoni del mio servo Daniele per la sua purità». Il Signore le parlava quasi dolendosi della prova a cui doveva sottoporla prima di introdurla nella purità del suo essere divino.

Sono considerazioni che aprono al tema tanto sconcertante e misterioso della partecipazione del Padre alla sofferenza del Figlio crocifisso e a quella di chi porta avanti nell’oggi la sofferenza, in particolare la sofferenza espiatrice. Dio stesso sembra soffrire di quel che deve permettere che avvenga perché si possa essere ricongiunti con lui. La via, percorsa da Cristo per noi, si illumina allo sguardo interiore di chi segue le sue vestigia. C’è in alcune pagine tutta una pedagogia divina e nello stesso tempo il fondamento teologico della sofferenza umana. Se, alla luce della purità di Dio, apriamo gli occhi sul nostro “non essere” ci accorgiamo che la prova è ineludibile nella vita cristiana. Ma è serena: Sufficit mihi gratia tua – rispondeva suor Maria Maddalena abbandonandosi al volere del Padre e all’amore del Figlio.

Man mano che entrava nella realtà della prova, l’estatica cominciava a percepire che non era solo per sé che l’avrebbe subita. Dopo aver ricevuto lo Spirito Santo, come era suo solito il dì di Pentecoste, ebbe la percezione di entrare in quel “lago dei leoni” già più volte predettole dall’eterno Padre. E, quasi non riconoscendosi più, pregava: «Dove è, Iddio mio, il sole della tua grazia? A me pare oscurato, la potenza tua par che ritragga il suo potere, la bontà tua mi pare in tutto da me sottratta, or rilassata sono come un corpo che non avendo alcun membro non si può aiutare e è come un tronco. Tanto sta accadendo a me, che vedendo da me esser ritratta la potenza e bontà tua, non mi posso aiutare senza te».

 

SOTTO

LE SOAVISSIME OMBRE

 

Era il giorno della Santissima Trinità dell’anno 1585 quando suor Maria Maddalena, non ancora ventenne, si trovò realmente immersa nel “lago dei leoni”. E se ne accorse dall’insolita freddezza avvertita nel ricevere l’Eucaristia: «O, ardirò di dire che sarà la prima volta che ricevendoti sacramentalmente non ti gusti!». Cominciò così a disporsi a un modo diverso in cui Dio l’avrebbe condotta, con il dono della fede pura, «dove privando l’anima della luce, o Verbo, infondi in lei un maggiore e più continuato lume». Ci troviamo davanti ad un quadro nel quale possiamo cogliere anche una stupenda immagine della fede: «O amoroso Verbo, il tempo che mancherà la luce s’appressa, e viene la tenebra. Viene la luce oscura e la tenebra chiara». È la notte cantata anche da san Giovanni della Croce, una notte che non annulla ma trasfigura. E quando la persona ne esce fuori guarda ogni realtà con occhi nuovi: gli occhi di Dio.

Proprio all’inizio del secondo anno della prova – l’estate del 1586 – si pone una parentesi di circa due mesi nel corso dei quali Dio chiamò la giovane monaca a coinvolgersi anche in modo concreto nel rinnovamento della Chiesa. Va tenuto presente come sia ovvio nella concezione maddaleniana che il rifacimento della persona cammini di pari passo con quello della sposa del Verbo: la santità della Chiesa nasce dai membri che la compongono, a cominciare dai “cristi” e dalle “spose”, ovvero i sacerdoti e le donne consacrate.

La santa si presenta ad un tempo come la grande amante e la grande penitente. In questo periodo della prova la sua immagine rievoca quella della Maddalena evangelica quale è rappresentata nel famoso bronzo di Donatello. I diversi gesti penitenziali che vengono riferiti dalla redattrice del manoscritto della Probatione sono in consonanza con l’ascesi dell’epoca. Oggi sarebbero desueti. Ma si direbbe che Dio, di tempo in tempo, si adatta alle forme degli uomini per portare a compimento quel che vuol raggiungere.

Più che ai gesti dobbiamo guardare a quel che per la nostra penitente significavano. La vediamo fare cose concrete per rendere più vera la sua povertà: andava con i piedi scalzi e portava la tonaca più rattoppata che avesse trovato in casa. Nei giorni feriali digiunava a pane e acqua; in quanto al sonno, dormiva poche ore e su un semplice saccone. C’erano poi quelle mortificazioni attraverso le quali intendeva vincere la propria sensibilità e correggere le abitudini di persona educata a ogni raffinatezza. A questo proposito dobbiamo dire che la spiritualità della carmelitana fiorentina non rinnega i valori: tutto torna a rivivere dopo che ci si è liberati del proprio io. Di qui l’espressione amore morto, per definire l’amore della persona morta a se stessa e donata a Dio.

 

COME

UN NICHILO

 

La sottrazione del sentimento della grazia dava a suor Maria Maddalena l’esperienza di se stessa come di un nichilo, di un niente. È il termine che ritorna lungo tutto questo periodo in cui le veniva posta nell’anima come lucerna la cognizione del proprio non essere. Il Verbo le aveva detto che il suo Spirito «non si posa se non in quell’anima che trova al centro della propria nichilità», e ora lì doveva rimanere fino a quando non si fosse stabilizzata in quel “morto vivere” che Dio ricercava da lei.

Abbiamo accennato a quel che faceva per mortificarsi. Ma poi c’era la notte passiva: quella che Dio le mandava e che le riservava sorprese che lei non si sarebbe mai attesa. Nei primi due anni fu particolarmente segnata anche dalle tentazioni contro la castità. Si regolò come avevano fatto i santi: portava sulle sue carni cinture appuntite e una volta arrivò a rotolarsi sulle spine, come aveva letto nella vita di san Benedetto. Era questa indubbiamente la prova per lei più cocente e fu anche la prima da cui venne liberata dalla Vergine santissima la quale, per mostrarle che non aveva offeso Dio, anzi aveva vinto con fortezza quella tentazione, la coprì tutta di un candido velo.

Ma proprio a partire da quel momento cominciò anche la malattia con febbre e grandi dolori. Allora Gesù le fece intuire che questo non era male naturale: lo permetteva lui per provarla, come aveva provato Giobbe anche nel corpo. Poi ancora prove che, viste al di fuori della tentazione, sarebbero sembrate assurde in una persona come lei: arrivò all’idea di togliersi l’abito religioso e tornare a godere le ricchezze che aveva lasciato. Conobbe anche la tentazione di togliersi la vita.

“intrinseca

purità”

Vedendo che non riusciva a vincerla, il demonio cominciò a trasfigurarsi in “angelo di luce”: le appariva in veste dell’eterno Padre, del Figlio, dello Spirito Santo o di quei santi verso i quali ella aveva particolare devozione. Ma lei lo smascherava: «Lo Spirito Santo non apparisce in questi modi all’anima, ma piuttosto fa tanti effetti in essa: illumina l’intelletto, infiamma l’affetto, rasserena la memoria, purifica la volontà».

Le parole che venivano dalla bocca dell’estatica nei momenti di luce si facevano sempre più profonde. È del 1588 un affondo su quella “intrinseca purità” che Dio ricerca e nella quale consiste ogni perfezione: «Pura è quell’anima che è umile, pura è quell’anima che ha lasciato sé, e pura è quell’anima che nulla vuole, nulla sa e nulla intende». E questo è quanto Dio si attende dalle persone a lui consacrate: «Star discoste dal secolo, un morto vivere in Dio senza nulla volere se non Dio, un ansioso e continuato desiderio della salute delle anime, e un semplice e mortificato vivere nel vitto e nel vestire». Un linguaggio datato, ma sempre vero nel contenuto.

 

È VENUTO

ED È PASSATO

 

Le monache di Santa Maria degli Angeli si erano accorte che suor Maria Maddalena era una figura particolare. Ma lei soffriva di dover percorrere una via lungo la quale ora le estasi e ora il demonio non le permettevano una vita “normale”. E pregava il suo sposo Verbo perché la liberasse. Stavano per compiersi ormai i cinque anni preannunciati della prova. Era il giorno dello Spirito Santo dell’anno 1590 quando Gesù la istruì sul modo in cui si sarebbe dovuta comportare per l’avvenire e le fece intendere che le avrebbe dato quella grazia da lungo tempo desiderata di «poter stare con l’anima unita a Dio e con il corpo affaticarsi e conversare con le creature».

In quella notte fu rapita in estasi e intese che il Signore voleva purificarle tutti i sentimenti e le potenze dell’anima e nello stesso tempo fortificarli perché se ne servisse sempre solo a onore di Dio e per l’utilità del prossimo. In tal modo si sarebbe preparata a ricevere lo Spirito Santo. A questo punto si svolse una sorta di liturgia con la quale sant’Angelo carmelitano le purificò prima i sensi, poi la volontà, l’intelletto e il cuore. E pose nell’anima sua come lucerna la conoscenza della propria nichilità e bassezza. Come sempre nell’esperienza maddaleniana la liturgia della terra si unisce a quella del cielo. Ecco allora presenti anche quei santi a lei particolarmente cari, pronti a tirarla fuori dal “lago dei leoni”. A questo punto veramente tutto era compiuto. L’estatica stette per un po’ di tempo quieta. Poi si volse verso la priora e la maestra che le erano a fianco e disse: «È venuto ed è passato!».

Ora veramente suor Maria Maddalena era la “creatura nuova” di cui parla san Paolo. In una normalità ormai ritrovata, il suo cammino era aperto verso esperienze ancora più profonde di unione con Dio. Ora «la statura dell’amore è della statura del Verbo umanato» e «l’anima trasformata può presso Dio quanto può l’umanità del Verbo»: una visione così alta della persona umana neanche l’umanesimo fiorentino, in tutto il suo splendore, era riuscito ad esprimerla.

 

Paola Moschetti

1 Cf. Maria Maddalena de’ Pazzi. Testimone e maestra dell’amore, in Testimoni 2006, 13, p. 27.