DAL DOCUMENTO FINALE DEL CAPITOLO GENERALE STRAORDINARIO OFM

IL SIGNORE PARLA LUNGO IL CAMMINO

 

Tra gli eventi recenti più significativi nella vita dell’ordine dei frati minori, il capitolo straordinario del settembre scorso. Nel documento finale, le conclusioni più impegnative per il prossimo triennio.

 

Il capitolo generale straordinario, iniziato al santuario della Verna il 15 settembre e proseguito a S. Maria degli Angeli, si è concluso il 1 ottobre 2006 presso la Porziuncola.1 È stato una tappa importante nella prospettiva della celebrazione dell’VIII centenario dell’approvazione da parte di Innocenzo III della nostra Regola di vita e, quindi, della fondazione del nostro ordine.

Mossi da «divina ispirazione», noi frati minori siamo ritornati ad Assisi per confrontarci con le nostre origini allo scopo di rispondere alla domanda: «Signore, che cosa vuoi che facciamo, come frati minori, oggi?». Ogni frate e ogni entità può trovare la risposta nel documento finale, Il Signore ci parla lungo il cammino, che è «un ricordo, un’esperienza, un cammino, un mandato, un invito che continua a risuonare», come aiuto, sostegno, incoraggiamento ad attualizzare il nostro carisma nel momento presente che il Signore, Padre delle misericordie, ci concede di vivere.

Il documento, che oggi ho il piacere di presentare a ciascuno di voi, dopo l’approvazione del definitorio generale, è costituito da due parti. Nella prima, che possiamo definire “ispirazionale”, vuole offrire motivazioni, sostegno, luce, guida per i cammini che il Signore ci invita a percorre, nel momento attuale, con «audacia e lucidità». Nella seconda parte, il documento presenta metodologie, suggerimenti e indicazioni, affinché la fraternità universale e le fraternità locali, percorrendo la stessa strada, pur con modalità e stili diversi, abbiano l’opportunità di incarnare nella vita quotidiana quanto la frequentazione dell’«altare della memoria e delle nostre origini» ci ha permesso di capire o di intuire.

Carissimi fratelli, il documento Il Signore ci parla lungo il cammino, fa sì che il capitolo generale straordinario continui in ogni frate e in ogni entità. Che il Signore e il nostro padre Francesco ci sostengano sulla via, da percorre secondo la metodologia dell’icona biblica dei discepoli di Emmaus, per discernere come migliorare la nostra vita e la nostra missione, così da essere «segni, umili e semplici, di quella stella che continua a brillare in mezzo alla notte dei popoli, guidando tutti verso la centralità della vita» (fr. José Rodríguez Carballo).

 

Il DONO

DEL FRATELLO

 

Il fatto di riconoscerci come fratelli nasce dalla fede in un Dio che è Padre di tutti. A partire da questa fede potrò riconoscere l’altro e dire, come Francesco: «il Signore mi diede dei fratelli». La relazione fraterna non nasce anzitutto dalla nostra buona volontà o dalle nostre virtù, ma dal dono di Dio. Anche per noi rimane vero l’ammonimento di Gesù: «Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica». Anche le nostre fraternità nascono dal riconoscimento di Dio come nostro unico Padre che ci chiama ad essere fratelli. Ogni fraternità, nell’armonia delle individualità, è una lieta novella del legame familiare che unisce tutti gli esseri creati alla luce di Cristo.

Questa verità, che ci è stata rivelata, ha inevitabilmente delle conseguenze pratiche: il dono del fratello costituisce, allo stesso tempo, un compito a livello di discernimento vocazionale, di educazione alla fede e del nostro stile di tessere relazioni e di servire nell’ordine, nella Chiesa e nel mondo. Abbiamo una fede che ci consente di vedere in ogni volto una richiesta di fraternità? Celebriamo con gioia il dono di ogni fratello? Viviamo l’edificazione della fraternità come uno dei nostri impegni fondamentali? Approfondire queste intuizioni apre un buon cammino verso il futuro.

Non basta dire che siamo fratelli, siamo fratelli minori. La minorità costituisce la forma concreta che qualifica la nostra relazione fraterna e la pratica dei nostri ministeri, soprattutto di quello ordinato. Alcuni esercitano il proprio ministero come ministri ordinati, altri come laici, ma tutti siamo frati minori. «Per cui scongiuro nella carità che è Dio - implora il nostro fratello Francesco - tutti i miei frati occupati nella predicazione, nell’orazione, nel lavoro, sia chierici che laici, che cerchino di umiliarsi in tutte le cose». L’aggettivo “minore”, che Francesco ricava dal Vangelo, è un aggettivo di relazione: si è minori in relazione a qualcun altro. La minorità è una scommessa formulata in prima persona perché nulla, in noi, ostacoli l’epifania dell’altro. È il nostro modo di “toglierci i sandali” di fronte al mistero dell’altro nel quale il Mistero ha la sua epifania.

Il paradigma della minorità è Cristo che «non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo...». Questa identità di minori di fronte a ogni creatura ci pone davanti una permanente esigenza morale che ha radici molto antiche: «i frati… devono rivedersi volentieri e con gioia di spirito e onorarsi scambievolmente senza mormorazioni». E Francesco non ha timore di insistere: «Siano modesti, mostrando ogni mansuetudine verso tutti gli uomini; non giudichino, non condannino; e come dice il Signore non guardino i più piccoli peccati degli altri, ma pensino piuttosto ai loro nell’amarezza della loro anima». La nostra tradizione è consistente e abbondante nel proteggere la dignità dell’altro a partire da una minorità assunta personalmente come sentiero di salvezza comunitaria.

 

VIVERE CON AUDACIA

LA MINORITÀ

 

La relazione fraterna caratterizza non solo le relazioni tra i frati, ma, in modo ancor più ampio, quelle con ogni creatura umana. Ci sentiamo e siamo realmente fratelli minori di ogni uomo e donna, seguendo lo stile con cui Francesco invia i suoi frati nel mondo: «non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio». Questo tipo di relazione caratterizzata dalla minorità verso ogni umana creatura, comporta delle conseguenze per la nostra missione: tra i laici, nella relazione con la donna, nel nostro modo di vivere nella Chiesa, nel necessario dialogo interreligioso, nel nostro rapporto con la creazione, insomma in tutta la nostra missione come minori tra i minori della terra. Abbiamo la lucidità e l’audacia necessarie per vivere la buona novella della minorità?

Lo scambio di esperienze ci ha persuaso che la nostra fraternità ha bisogno di una cura particolare da parte nostra. È davvero una priorità per la nostra vita, soprattutto oggi in un mondo lacerato dalla frammentazione e dalle divisioni. Le divisioni non sono estranee alla nostra stessa vita fraterna, per cui la cura della fraternità ha spesso bisogno di incarnarsi in gesti di perdono reciproco e in cammini di comunione. In quasi tutti i nostri incontri ci ripetiamo che dobbiamo prestare maggiore attenzione alla maturità umana dei fratelli, poiché molti problemi nelle relazioni fraterne sono legati alla nostra fragilità umana.

Si è insistito specialmente sulla necessità di aiutare i guardiani e i ministri nel servizio di animazione della fraternità. Il capitolo locale è già uno strumento valido in nostro possesso per condividere la fede e la fraternità. Cresce il bisogno di trovare nuovi momenti e modalità diverse di scambio reciproco, per condividere e celebrare la vita in tutte le sue dimensioni. La vita in fraternità esige un accompagnamento e una cura materna, non solo nella formazione iniziale, ma per tutta la vita.

La nostra opzione fondamentale, oggi, consiste nel vivere il Vangelo come minori tra i minori, ma con la coscienza di essere immersi in un cambiamento epocale, che offre nuovi paradigmi e categorie che implicano una seria revisione della nostra missione e il coraggio di iniziare cammini inediti di presenza e di testimonianza. Abbiamo colto la necessità di ritornare al centro della nostra missione e di prendere decisioni di cambiamento che ci aiutino ad abbandonare alcune situazioni sociali ed ecclesiali per scegliere con maggior decisione i luoghi di frontiera e la marginalità, come peculiarità della nostra identità francescana. Sia nella società che nella Chiesa siamo chiamati ad essere minori.

La relazione del ministro generale ha insistito sull’idea di elaborare un progetto di evangelizzazione specificamente francescano, non solo personalmente, ma a partire dalla fraternità, poiché la vita di fede in comunità (nella preghiera, in fraternità e da minori) è la nostra prima testimonianza per il mondo. Abbiamo riconosciuto che tutto l’ordine deve sentirsi coinvolto con premura speciale nell’impegno di rafforzare e sostenere i progetti missionari che stanno nascendo, in modo da garantirne il futuro.

 

MISSIONE

E DIALOGO

 

La missione assume oggi il volto del dialogo. L’atteggiamento dialogante e la pratica del dialogo si esprimono, anzitutto, all’interno della nostra vita fraterna: non potremo parlare con il mondo se non saremo capaci di intavolare un dialogo tra di noi, alla luce della verità e della fede, e se non siamo capaci di dialogare intimamente con il Dio che si rivela. In questo capitolo abbiamo parlato di quattro modalità per incarnare il dialogo: la presenza negli ambienti di frontiera e di conflitto; l’intervento nei nuovi areopaghi; l’attività intellettuale e culturale; lo scambio di esperienze religiose. Il francescano è da sempre uno che attraversa le frontiere, per il desiderio di fraternità che conduce a riconoscere tutti come figli dello stesso Padre. Ci sembra utile tornare allo Spirito di Assisi e al documento del capitolo generale 2003, Il Signore ti dia pace, che presenta vie concrete che possono aprirci al futuro: il dialogo come via alla pace, l’itineranza come sorella della pace e la santità in fraternità.

Francesco ci ha lasciato un segno di relazione che oggi ha assunto una attualità insospettata: il suo dialogo con il sultano, proprio in un contesto di grave tensione come il nostro. Francesco era motivato soprattutto dalla fede in Dio, ma allo stesso tempo manifesta anche una notevole fiducia umana e un atteggiamento di ascolto di fronte al sultano. Senza negare le reali difficoltà, a volte davvero gravi, che ogni dialogo comporta, dobbiamo fare in modo, come Francesco, di non lasciarci rinchiudere dalle barriere create dall’ideologia dominante. È un segno profondamente apprezzato da tutti la presenza semplice e perseverante di fratelli in zone del mondo in cui le difficoltà sono realmente estreme, tali da mettere in pericolo ogni libertà. Chiediamo al Signore la forza di attraversare le frontiere per essere, con semplicità e libertà, un faro di speranza, un’offerta generosa di fede e comunione.

Da un lato, la missione dell’ordine è sempre carismatica, e quindi plurale e diversa, poiché nasce dal dono proprio ad ogni fratello, rivestito di forza dall’alto, e dalle differenti realtà e contesti, con le loro caratteristiche proprie. La fraternità perfetta, secondo Francesco e anche per noi oggi, è quella che accoglie in sé i doni di ogni fratello e li pone al servizio del Regno. Questa diversità ci pone di fronte alla necessità di comprendere, assumere e praticare i principi dell’inculturazione e dell’interculturalità. D’altro lato, la nostra missione è anche uniforme, nel senso che si modella sull’esempio di Cristo che per noi si è fatto povero e sulla sua opzione radicale per i poveri e gli esclusi. Il riconoscimento di questa unità ci aiuta a prendere coscienza della necessità di fondare la nostra vita sul Vangelo del nostro Signore Gesù Cristo in povertà, obbedienza e castità. Questa duplice caratteristica ci terrà sempre in una sana tensione evangelica, propizia alla sequela. Torniamo ancora una volta alla centralità dell’esperienza di Dio, in Cristo Gesù e grazie all’azione dello Spirito, come cammino di autentica trasformazione della nostra vita e missione.

Prima di tutto la vita: ma la vita scoperta attraverso la qualità della nostra sequela di Cristo, nello scambio che realizziamo tra noi e con ciascuna delle persone con cui lavoriamo. Questa è la strada e il metodo che ci condurrà verso il futuro.

Abbiamo anche constatato che sin dalle nostre origini, sin dal principio del cammino comune, Francesco e i fratelli hanno scoperto la presenza di Cristo risorto attraverso la pratica di una metodologia di preghiera e di incontro. Itineranti che si appoggiavano non solo sulle mura del monastero o sull’orario per sentirsi uniti, i frati entravano in uno «spazio di obbedienza», rimanendo «soggetti a ogni umana creatura». Crearono uno spazio comune condividendo ciò che succedeva «lungo il cammino». Questo sacrum commercium di fede e di riflessione sul Vangelo, questo modo di vivere uniti le loro vite, era parte integrante dell’identità dei primi frati.

 

LA GRAZIA

DELLE ORIGINI

 

Il Celano ci racconta che anche dopo l’approvazione della Forma vitae da parte di Innocenzo III, tra i frati sorgevano molte domande: «Lungo il cammino parlavano tra di loro dei molti e ammirevoli doni che Dio clementissimo aveva loro concesso: di come il vicario di Cristo, signore e padre di tutta la cristianità, li avesse ricevuti con amorevolezza; di come avrebbero potuto mettere in pratica le sue raccomandazioni e i suoi consigli; di come avrebbero potuto osservare con sincerità la regola che avevano ricevuto per conservarla indefettibilmente; di come avrebbero condotto una vita santa e religiosa davanti all’Altissimo; infine, di come le loro vite e comportamenti, sempre crescendo nelle sante virtù, sarebbero serviti come esempi per il prossimo».

La regola e vita fece in modo che la dinamica dell’interrogarsi e del discernimento fraterno diventassero centrali nel processo di crescita istituzionale e di conversione personale e fraterna: «e ovunque sono e si incontreranno i frati, si mostrino familiari tra loro reciprocamente. E ciascuno manifesti con fiducia all’altro le sue necessità…».

La storia degli ottocento anni della nostra regola e la sua interazione con il testamento e con l’interpretazione della Chiesa mostrano che la grazia delle nostre origini ci impone un imperativo metodologico: siamo in grado di scoprire la presenza del Signore in mezzo a noi come via, verità e vita solo quando, a partire dalla fede, riusciamo a dare ascolto a quanti vivono attorno a noi e quando riusciamo ad esprimere ciò che ci abita dentro.

In questo momento della nostra storia, mentre ricordiamo la grazia delle origini nel mezzo delle trasformazioni radicali di questo mondo, capiamo che la sfida che abbiamo di fronte è quella di andare all’essenziale: riuscire a condividere a un livello più profondamente umano e cristiano. Ciò che dobbiamo mettere in pratica in tutte le nostre province, conferenze e anche a livello di ordine, è la stessa metodologia del racconto di Emmaus: i discepoli, che iniziano il cammino come mendicanti di senso, rompono il silenzio per aprire il dialogo. Imparano a interpretare la propria vita e le proprie esperienze a partire dalle Scritture, mentre il Signore illumina il loro cuore. Fanno una sosta nel cammino per chiedere a Gesù di rimanere con loro. Nella sua misericordia, Egli entra nel loro “spazio vitale” e rimane con loro. Quello che succede dopo è pura comunione fraterna: «Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero». In seguito ritornano dai loro compagni e fanno esperienza di condivisione, prima attraverso l’ascolto attento e, poi, narrando la vittoria della vita sulla morte, manifestatasi definitivamente nella resurrezione di Cristo.

Il cammino così delineato è semplice ed essenziale, come tutte le cose importanti: riunirsi; parlare di ciò che ci è successo; condividere il Vangelo, rileggere la regola; pregare e lodare Dio “per tutti i suoi doni”; celebrare la comunione fraterna; tornare ai frati delle nostre fraternità, ai nostri fratelli e sorelle del mondo intero con la buona notizia che ha trasformato le nostre vite.

Questo documento rimane aperto a tutti i fratelli e a tutti quanti condividono il carisma o l’utopia francescana. Vorremmo che fosse uno strumento nel cammino di riconoscimento e di celebrazione della grazia delle nostre origini, l’evento che polarizzerà la nostra riflessione nei prossimi tre anni. Tenendo presente la ricchezza della nostra diversità, riconosciamo che ci saranno forme diverse per continuare queste riflessioni sulla nostra identità, per programmare iniziative nel campo della missione e, soprattutto, per individuare nuove forme pratiche di condivisione della fede e del discernimento. Aggiungiamo, infine, degli orientamenti che hanno lo scopo di illuminare il cammino di ricerca per una concretizzazione storica del nostro carisma.

Incoraggiamo i nostri fratelli ad accogliere questo documento e a leggerlo come il racconto di Emmaus che noi stessi abbiamo vissuto durante questo capitolo; forse può aiutare anche te nell’aprire una strada verso il futuro. Continueremo insieme a chiederci: «Cosa vuole da noi il Signore?».

 

ALLA SCUOLA

DI EMMAUS

 

Durante l’esperienza vissuta in questo capitolo, abbiamo parlato dell’importanza della pratica e del mutuo discernimento come mezzi per sviluppare il nostro cammino futuro nella vocazione come una fraternità in missione. Seguendo queste tracce, vogliamo guardare al 2009 e offrire, per i prossimi tre anni, alcune metodologie, suggerimenti e indicazioni per poter incarnare le intuizioni e percezioni che noi stessi abbiamo identificato nel corso del nostro capitolo generale straordinario.

Per quanto possibile, e nel rispetto della diversità, che è una caratteristica del nostro ordine, vogliamo intraprendere progetti che unifichino ed integrino la nostra vocazione, fraternità e missione in un unico tessuto formato dai fili della testimonianza personale, comunitaria ed istituzionale. Partendo da tale prospettiva dell’integrazione, queste direttive e orientamenti non sono isolati l’uno dall’altro, ma devono crescere in armonia tra loro. In questa prospettiva, praticata per quanto possibile, chiediamo ad ogni entità di considerare i principi seguenti.

L’elemento più significativo emerso in questo capitolo è la metodologia di Emmaus. Riteniamo questo processo di dialogo e di discernimento come la prima delle nostre priorità. Questo processo deve toccare sia la nostra vita umana che la nostra vita di fede, entrambe condivise tra fratelli che seguono le orme del Signore Gesù Cristo. Questa metodologia di Emmaus ha come scopo di aiutarci a superare l’individualismo e l’isolamento che spesso caratterizzano la nostra vita e il nostro lavoro. Allo stesso tempo, e in maniera ancor più importante, è concepita per poter tornare a situarci spiritualmente nel contesto dell’esperienza di Dio nella vita, nella preghiera e nel lavoro. Questa metodologia può essere applicata ai diversi ambiti della nostra vita: nella formazione permanente e iniziale, nella vita fraterna a tutti i livelli dell’ordine, nel lavoro e nei ministeri che condividiamo con i laici. Il suo processo e la sua logica sono stati spiegati nel documento Il Signore ci parla lungo il cammino. Chiediamo a ogni entità di riflettere sulla metodologia di Emmaus come una pietra angolare per la nostra crescita di frati minori e di metterla in pratica.

Abbiamo sottolineato l’importanza del metodo di condividere la fede. Ogni entità ha già i suoi programmi e attività: sarà quindi necessario verificare come usare i suggerimenti che offriamo e adattarli alle possibilità e alle situazioni di ciascuno. Il riconoscimento delle nostre diversità è stato un segno distintivo di questo capitolo e la capacità di inculturare la nostra identità di frati minori comporta che le indicazioni pratiche offerte dovranno assumere diverse forme e gradi di applicazione nelle varie entità dell’ordine. Non vogliamo aggiungere un altro peso ai programmi già esistenti nelle province; desideriamo, piuttosto, offrire suggerimenti per la nostra crescita. Tra le molte linee di sviluppo qui proposte, chiediamo a ogni entità di scoprire quali sono le più utili per la propria crescita, così da metterle in pratica.

Al fine di continuare il nostro itinerario di preparazione al centenario di fondazione nel 2009, chiediamo a ogni entità e conferenza di valutare attentamente la propria crescita nelle aree elencate, se ritenute attuabili nelle loro situazioni. Queste aree, a loro volta, ci aiuteranno a intraprendere processi di auto-consapevolezza e a valutare i progressi fatti nella celebrazione dell’ottavo centenario.

La riscoperta del celebrare e incoraggiare legami di fiducia tra noi, è essenziale per la nostra crescita umana come frati minori. Ciò può realizzarsi con la creazione di spazi comuni di dialogo, condividendo le nostre storie, celebrazioni e feste. Questo comporterà anche una continua valutazione delle forme in cui noi comunichiamo, ad esempio, nei seguenti ambiti: di che cosa parliamo? _Ci sono argomenti che evitiamo? Come parliamo dei nostri fratelli, in loro presenza o assenza? Parliamo in maniera superficiale, oppure ci troviamo a nostro agio nel condividere più profondamente la nostra vocazione? Come, praticamente, celebriamo il dono del fratello? Il dono della nostra fede? Il dono della nostra vocazione?

Abbiamo bisogno di condividere insieme la gioia e le difficoltà dell’essere fratelli e di riflettere sulla nostra vocazione personale sviluppando, a livello locale, provinciale e di conferenza, la metodologia di Emmaus, ed altri mezzi che permettono di approfondire insieme la nostra sequela di Cristo e la nostra fede in Dio. Questa metodologia ci aiuterà, negli incontri a livello locale, provinciale e di conferenza, a diventare scuole di fraternità, di preghiera e di conversione, in dialogo con la Parola di Dio, nella celebrazione dell’eucaristia, nelle relazioni umane e nella nostra vita. Ministri e guardiani rivestono un ruolo importante in questo processo. Questo metodo di relazione dovrebbe entrare a far parte della nostra identità di frati minori. Tutto ciò lo potremmo mettere a fuoco, ad esempio: nei tempi della formazione permanente e iniziale; all’ingresso di un nuovo fratello in fraternità; nei capitoli locali celebrati regolarmente; in occasione degli anniversari; quando ci riuniamo con i laici nei luoghi del nostro ministero; durante i pellegrinaggi nei luoghi di interesse vocazionale; quando celebriamo i capitoli provinciali; nei tempi di valutazione dei nostri ministeri e nelle situazioni in cui bisogna dare una risposta di fronte alla cultura che cambia e alla società che ci circonda; a livello di conferenze e tra le diverse conferenze dell’ordine; nelle assemblee particolari, come in questo capitolo, che prepara quello del 2009; nei processi di riconciliazione e di guarigione della fraternità.

 

DISCERNIMENTO

E VERIFICA VOCAZIONALE

 

Al fine di condividere le gioie e le lotte della nostra vocazione, abbiamo bisogno di sviluppare nuovi strumenti per la promozione vocazionale, il discernimento e l’animazione che dovrebbero aiutarci a:

collaborare con gli altri membri della famiglia francescana, per sviluppare programmi vocazionali; coinvolgere frati che offrano testimonianza della loro vita in fraternità e delle loro esperienze d’evangelizzazione; promuovere un maggior impegno con le famiglie e i giovani; unire in maniera più efficace la vita dei frati nell’ordine con la vita delle famiglie che ci sostengono; sottolineare il discernimento sulla vita in fraternità come elemento chiave della nostra scelta vocazionale.

Al fine di crescere nella nostra vocazione, per dare una testimonianza migliore alla nostra vita di fratelli e per giungere a sperimentare, in maniera più profonda la gioia della nostra chiamata, abbiamo bisogno di elaborare programmi di formazione permanente e iniziale che: promuovano e rafforzino i capitoli locali nel dialogo, nell’ascolto e nel favorire la conoscenza e la pratica della nostra vocazione in tutte le sue dimensioni, locale, interculturale e internazionale; favoriscano nuove forme di condivisione fraterna; promuovano verifiche regolari del nostro agire e modelli di comportamento per la cura della nostra crescita vocazionale, della condivisione di fede, della preghiera, della celebrazione eucaristica, del sacramento della riconciliazione e della nostra vita di fraternità in missione; sviluppino, a livello provinciale e locale, una cultura dell’accompagnamento fraterno, della correzione, del perdono e della riconciliazione mediante pratiche specifiche di solidarietà comune; indichino metodologie che ci aiutino a fare discernimento nella nostra vita nel momento attuale della nostra vocazione; creino ed elaborino esperienze educative permanenti che permettano alla nostra vocazione di crescere; inventino nuove forme di incontro per esprimere e celebrare la gioia della nostra vocazione; aiutino a mettere in comune il nostro cammino vocazionale e il nostro lavoro comune; sviluppino iniziative che incoraggino la riflessione personale e fraterna: periodi sabbatici, ritiri e programmi condivisi di formazione permanente; promuovano, tra i frati, incontri annuali sulla base di aree di interesse; testimonino, in tutte le nostre attività, una vita fraterna che mostri l’uguaglianza tra frati laici e sacerdoti; prevedano metodologie di accompagnamento e incontri capaci di sostenere i frati professi solenni nei primi dieci anni del loro cammino vocazionale.

È necessario elaborare esperienze e attività di formazione permanente per stimolare quanti occupano posti di animazione, sia a livello locale che provinciale. Queste proposte testimoniano la nostra crescita nell’accompagnamento dei fratelli, sia nel cammino della vita che nell’adempimento dei loro compiti, che comportano la cura della nostra vocazione: a livello provinciale, interprovinciale e di conferenza si devono promuovere iniziative adatte a formare formatori nelle dimensioni umana e soprattutto francescana della nostra vocazione; a livello provinciale, interprovinciale e di conferenza vanno proposte attività utili a sostenere il ministero dei guardiani e dei ministri provinciali.

In questo momento della nostra storia, in cui molti dei nostri frati sono in età avanzata, abbiamo bisogno di sviluppare programmi pedagogici che li aiutino nel loro invecchiamento, incoraggino la loro presenza in fraternità, li accompagnino nella malattia e li rafforzino nella loro perseveranza.

Sentiamo la necessità di rivitalizzare il patrimonio intellettuale dell’ordine attraverso vari mezzi: la promozione dei vari centri di studio dell’ordine, accettando la sfida di elaborare programmi che aiutino i frati nelle aree della formazione permanente intellettuale e tecnica; la promozione degli studi delle scienze umane, della filosofia, teologia e spiritualità, in modo da rafforzare il contributo francescano all’evangelizzazione e missione; la scelta di integrare la filosofia, teologia e spiritualità francescane, con tutte le loro implicazioni per la nostra missione, in tutti i livelli della formazione e nei diversi programmi di studio dei frati.

 

NELLA CHIESA

DA FRANCESCANI

 

A livello di conferenze e di ordine, abbiamo bisogno di accentuare programmi condivisi che servano a incoraggiare il nostro senso di appartenenza a una fraternità interdipendente, interculturale e internazionale. Questa solidarietà universale nella vocazione, nella fraternità e nella missione dovrebbe includere: attività di condivisione della fede e mutuo sostegno nella nostra vocazione a livello interprovinciale e di conferenza; la cooperazione da parte dei moderatori di formazione permanente delle conferenze nella elaborazione di programmi di formazione; lo sviluppo continuo di programmi per la formazione iniziale a livello interprovinciale; il sostegno a programmi che integrano i valori della missione e dell’evangelizzazione in maniera esperienziale, come quelli di Terra Santa, di Assisi e di altri luoghi d’evangelizzazione. Programmi che includono la condivisione dei nostri bisogni reciproci, delle nostre risorse, di personale e di iniziative missionarie.

Tra gli altri, si possono menzionare i seguenti esempi: programmi per l’apprendimento delle lingue offerti ad altri fratelli dell’ordine e la promozione della condivisione delle risorse umane e materiali collaborando nei progetti dell’ordine; sviluppare le strategie di cooperazione e di scambio tra le nostre entità, considerandole opportunità per crescere nell’unità tra la nostra vocazione, la fraternità e la missione.

Abbiamo bisogno di impegnarci in un esame critico e in una continua valutazione delle nostre attività ministeriali in modo da creare nuovi spazi ed esperienze che diano testimonianze concrete alla realtà della nostra vocazione e missione nella Chiesa. Questo richiederà inevitabilmente la valutazione dei nostri ministeri attuali, in modo da determinare in che maniera rispecchiano la nostra vocazione profetica di religiosi e la nostra identità specifica di frati minori.

La questione pressante della necessità di condividere le risorse e della ristrutturazione cui bisogna dedicarsi in alcune aree dell’ordine ci spinge a sviluppare modalità di accompagnamento che rispondano ai rapidi cambiamenti e alle difficoltà legate alla stessa ristrutturazione.

Ecco, di seguito, alcuni elementi che ci possono servire da guida in questo processo: programmi specifici di valutazione, discernimento, ristrutturazione e aiuto a livello provinciale, interprovinciale, di conferenze e di ordine; valutazione dei luoghi dei nostri ministeri e delle nostre fraternità, soprattutto mediante la verifica della possibilità di tempi di preghiera e di condivisione della fede, nostre dimensioni specifiche; l’impegno e la pratica per creare fraternità nelle quali ci sia un numero sufficiente di frati, necessario per vivere una vita fraterna; la possibile pubblicazione, a livello dell’ordine, di un piano formativo che identifichi le dimensioni religiose e francescane della nostra formazione al sacerdozio ministeriale e le sue implicazioni per la nostra missione; l’impegno ad elaborare, a livello dell’ordine, degli orientamenti per il nostro servizio ai vescovi e alla Chiesa locale, al fine di preservare e rafforzare lo specifico della dimensione vocazionale francescana a servizio della Chiesa e del mondo; un’elaborazione teologica competente sulle implicanze ecclesiologiche della nostra identità francescana come fraternità in missione a servizio della Chiesa e del mondo; la creazione di nuovi luoghi e opere di evangelizzazione che comportino la collaborazione con i laici, il nostro servizio di frati minori verso coloro con i quali lavoriamo e la nostra chiamata a stare con i poveri; la promozione, nella formazione permanente e iniziale, di programmi che considerano il lavoro manuale come una grazia, come segno e strumento della nostra vocazione; la condivisione, tra noi, di efficaci strategie di evangelizzazione per le zone di secolarizzazione e per il dialogo interreligioso.

In tutti i nostri programmi di formazione, permanente e iniziale, abbiamo bisogno di sviluppare un senso più profondo dell’evangelizzazione e di rafforzare il valore e la pratica della collaborazione tra le entità. Alcuni strumenti per rafforzare il senso della missione potrebbero essere: la promozione di esperienze missionarie nella formazione iniziale; l’orientamento alla esperienza e alla educazione ai diversi metodi di dialogo interreligioso; lo sviluppo, a livello interprovinciale, di iniziative comuni per la preparazione alla professione solenne, la focalizzazione del nostro interesse sulla missione negli incontri interprovinciali, particolarmente in quelli che si occupano di formazione permanente.

Occorre sottolineare l’uguaglianza tra tutti i frati che condividono la stessa vocazione a essere frati minori, sempre rispettando i diversi doni e valori che provengono dalla chiamata al ministero di alcuni fratelli. Questo implicherà: lo sviluppo di iniziative provinciali e interprovinciali che promuovano la nostra vocazione, superando quelle strutture che si concentrano principalmente sul ministero sacerdotale e muovendoci verso altri luoghi e servizi che rafforzino la priorità del segno della fraternità e l’uguaglianza di laici e chierici in missione. Le vite dei poveri e degli emarginati, sono luoghi privilegiati per offrire questa testimonianza; la promozione di nuove forme di missione che diano maggiore testimonianza al nostro essere fraternità di uguali, mediante lo sviluppo di iniziative e missioni che incoraggino la testimonianza dei nostri fratelli laici; la valorizzazione nella pratica e l’unificazione degli sforzi, perché nella formazione permanente e iniziale alla missione emerga l’uguaglianza tra frati laici e chierici.

 

1 Cf. Testimoni, nn. 19 e 20 (2006).