VERSO LA V ASSEMBLEA CELAM

DA RIO DE JANEIRO AD APARECIDA

 

I Vescovi del continente latino-americano hanno sempre incoraggiato i religiosi e le religiose a «sporcarsi le mani in mezzo ai poveri». Il ritratto della vita consacrata nei documenti finali delle precendenti Conferenze Generali CELAM.

 

Nel prossimo maggio presso il santuario di N. Signora di Aparecida in Brasile, l’episcopato dell’America Latina e del Caraibi celebrerà la V Conferenza generale. Si tratta di un grande evento ecclesiale a cui si guarda con particolare attenzione e che fin dalle sue primissime fasi di preparazione ha visto anche molti laici e catechisti protagonisti attivi. Ci si augura che l’attesa partecipazione di papa Benedetto XVI nella sua prima uscita dal continente europeo, si mostri come un forte stimolo nell’assimilare efficacemente il concilio Vaticano II.

In vista di questo importante appuntamento, è utile ripercorrere, seppur sommariamente, alcune tematiche delle precedenti Conferenze generali, con l’obiettivo di individuare la specifica vocazione della vita consacrata in America Latina e Caraibi.1

La prima Conferenza generale si svolse a Rio de Janeiro nel 1955; nel 1968, in pieno fermento conciliare, fu la città di Medellín, in Colombia ad ospitare la seconda riunione. Puebla de los Angeles in Messico nel 1979 e Santo Domingo nel 1992 furono le ultime due città che accolsero rispettivamente la III e IV Conferenza generale del CELAM.

 

Rio de Janeiro

tra fermenti e diffidenze

 

L’occasione della prima Conferenza generale a Rio de Janeiro venne offerta dal Congresso Eucaristico Internazionale che si svolse in quella città dal 25 luglio al 4 agosto 1955. Come tutti ricorderanno, gli anni ‘50 furono caratterizzati dalla cosiddetta “guerra fredda” che vedeva contrapposto il blocco socialista a quello occidentale, guidato rispettivamente dall’ex Unione Sovietica e dagli Stati Uniti. In America Latina, pur respirando il medesimo clima politico, si andava sviluppando in modo esponenziale il “movimento sociale latino-americano”. Molti cristiani appoggiarono e aderirono convintamente tale corrente e si impegnarono a spingere la Chiesa verso un cristianesimo più sociale e radicalmente inserito nella vita dei poveri. In realtà, il Documento finale non prestò molta attenzione a tali fermenti, ma rispecchiò le preoccupazioni della Chiesa gerarchica, la quale vedeva con apprensione il calo numerico dei sacerdoti, e guardava con sospetto e diffidenza la crescita del protestantesimo e della modernità. Di conseguenza, si fece pressante l’ appello ai laici affinché “aiutassero” i sacerdoti nel compito di “riconquista della società” che andava progressivamente sgretolandosi. E la vita consacrata? Venne mandata solo una lettera alla Conferenza dei Superori Maggiori per domandare l’invio di più religiosi sacerdoti.

 

Medellín

e l’ opzione per i poveri

 

Come si poteva facilmente intuire, il Vaticano II suscitò grande ottimismo anche in tutto il continente latinoamericano. Con vigore emersero le due anime che già a Rio de Janeiro si erano andate delineandosi: una più progressista e sbilanciata sul sociale, l’altra più conservatrice e più tradizionalista. Il tema della Conferenza di Medellín «La Chiesa nell’attuale trasformazione dell’America Latina alla luce del Concilio», in un certo senso costrinse l’episcopato latinoamericano ad esporsi e a indicare una chiara linea pastorale. La povertà crescente e i grandi contrasti sociali furono visti dai vescovi come una reale minaccia alla pace del continente. Perciò, la solidarietà della Chiesa con il popolo dei poveri e l’assunzione del principio «della lotta dei poveri per la trasformazione sociale», rappresentarono una svolta epocale della presenza della Chiesa in America latina, che da allora in poi contraddistinsero anche il ruolo e la presenza dei cristiani. Si fece pure strada l’esigenza di costituire le cosiddette «comunità di base» , concepite come cellula fondamentale di partecipazione e comunione ecclesiale.

Grande peso cominciarono ad assumere le Conferenze episcopali regionali come strumento fondamentale di comunione e sostegno del cammino di evangelizzazione in mezzo ai poveri.

Che cosa si disse sulla vita consacrata? Il Documento finale ne parlò esplicitamente al n. 12. In sostanza, si chiese ai religiosi e alle religiose di spingersi verso il sociale, concepito come “luogo teologico” per eccellenza. Il posto della vita consacrata doveva identificarsi in mezzo al popolo, e in particolare vicino ai poveri. Una società ingiusta, violenta e compromessa, chiamava in causa i consacrati e le consacrate a «sporcarsi le mani in mezzo alla gente» per una «evangelizzazione liberatrice».

 

Puebla e il nuovo

volto ecclesiale

 

A dieci anni di distanza, si svolse a Puebla de los Angeles in Messico la terza Conferenza generale, dal 27 gennaio al 13 febbraio 1979. Il tema scelto ebbe come titolo «Evangelizzare nel presente e nel futuro dell’America latina». Convocata da Paolo VI, toccò a Giovanni Paolo II il compito di aprire l’assemblea. Il contesto sociale e politico non differì molto rispetto alla precedente conferenza. Dall’angolatura sociale e politica, si può affermare che si era immersi in una certa “oscurità”, poiché i regimi autoritari dei paesi interessati si stavano rafforzando e il divario tra ricchi e poveri tardava ad assottigliarsi, anzi avanzava verso una soglia sempre più allarmate.

Si arrivò alla Conferenza con non qualche perplessità. Per esempio, secondo alcuni Medellín aveva rappresentato una specie di deviazione dello spirito conciliare poiché si era condotta la chiesa latinoamericana quasi esclusivamente sul versante sociale, mettendo in secondo ordine altri percorsi pastorali e formativi.

Così si acuirono alcuni nodi critici: la questione teologica fra liberazione ed esatta interpretazione del concilio, il modo di intendere il popolo di Dio, la comunione e la partecipazione ecclesiale.

Sostanzialmente il Documento finale di Puebla confermò il cammino intrapreso con Medellín. Rese ancora più esplicita l’opzione per i poveri, sottolineando il significato evangelico e trascendente di tale azione pastorale. Accogliendo seriamente le opzioni di Puebla, la Chiesa doveva decisamente operare a partire dai poveri, con i poveri e per i poveri.

Per quanto si riferisce alla vita consacrata, il Documento finale dedica ben 55 numeri alla Vita religiosa (721-776). Si comincia col guardare quanto i religiosi operano nel continente (ricerca dell’esperienza di Dio, apertura incondizionata ai poveri, legame con la diocesi), per poi individuare alcune difficoltà pastorali (attivismo, individualismo, progressismo, tensioni tra chiesa locale e comunità religiose) ed infine segnalare alcune linee guida: rinvigorimento dell’identità della vita consacrata, revisione delle opere tradizionali di evangelizzazione, impegno preferenziale dei poveri.

Come si può constatare, in linea con Medellín, ai religiosi venne chiesto l’immersione incondizionata nella vita dei poveri, quasi identificandosi con essi.

 

Santo Domingo

inculturazione e laicato

 

La IV Conferenza Generale ebbe luogo a Santo Domingo nel 1992 e coincise con le celebrazioni per il quinto centenario dell’evangelizzazione del continente. Il tema «Nuova evangelizzazione, promozione umana, cultura cristiana» intendeva da un lato riflettere sul processo di cristianizzazione fin lì raggiunto e dall’altro rilanciare nuove «strategie» pastorali. La religiosità di molta gente sempre più fragile e superficiale, stava andando verso la deriva del settarismo e della superstizione. Un fenomeno, purtroppo, ancora oggi molto vivo. Il documento finale, a detta di non pochi opinionisti, non ebbe la forza profetica di Medellín e Puebla. Alcuni parlarono di “riallineamento” con il centro della Chiesa. Di fatto la metodologia di lavoro e confronto cambiò bruscamente: non si parlò del continente nella sua realtà, ma a partire dalla dottrina cattolica. Così si pose l’accento sulla necessità di una evangelizzazione più kerigmatica, relativizzando la dimensione socio-politica. Tuttavia vennero anche offerte salutari indicazioni pedagogiche per la promozione umana e l’inculturazione, in una sorte di «interconnessione inscindibile» tra evangelizzazione e cultura locale.

Una nuova evangelizzazione poteva essere messa in atto credendo di più al popolo di Dio e riconoscendo che la base della Chiesa era laicale. Da qui maggiore impulso al protagonismo dei laici.

Sul versante della vita consacrata il Documento finale stimolò i religiosi e le religiosi su più fronti: continuando la presenza nel tessuto sociale con una maggiore cura per il kerigma, compiendo scelte di avanguardia nell’ambito della promozione e cultura, e abbracciando senza riserve la causa dell’inculturazione fra le popolazioni più povere, in particolare fra gli indigeni e le minoranze etniche.

 

Verso

Aparecida

 

«Discepoli e missionari di Gesù Cristo, perché i nostri popoli abbiano vita in Lui», sarà il tema della prossima Conferenza generale, che cade a quindici anni di distanza da quella venuta a Santo Domingo.

Durante il Consiglio permenente della Conferenza episcopale brasiliana, lo scorso ottobre è stata presentata la Sintesi2 dei contributi raccolti in risposta al Documento preparatorio predisposto per la Conferenza di Aparecida. La povertà crescente, la violazione dei diritti umani, la minaccia di un disastro ecologico, il pluralismo religioso, la massificazione e l’anonimato urbano, la fragilità delle famiglie, sono alcune delle sfide sui quali si giocherà il futuro della Chiesa non solo brasiliana, ma dell’intero continente.

Verso dove andrà la vita consacrata latinoamericana e caraibica? È certo prematuro dirlo, ma una strada sembra già aperta e da percorrere con più determinazione: «Non va dimenticato l’itinerario che il papa Giovanni Paolo II tracciò in una sua lettera per i religiosi e le religiose dell’America Latina: rimanere in prima linea nella predicazione del Vangelo della salvezza; evangelizzare a partire da una profonda esperienza di Dio; tenere vivi i carismi dei fondatori; evangelizzare in stretta collaborazione con i vescovi, i sacerdoti e i laici, come testimonianza di comunione; stare in prima linea nell’evangelizzazione delle culture; rispondere alle necessità di evangelizzare oltre le frontiere» (Sintesi, 73).

Con tali premesse, il futuro della vita consacrata nell’America latina non può che essere corroborante e ricco di speranza per la Chiesa e il mondo.

 

Sergio Rotasperti

 

1 Cf. Caliman C., «Vita religiosa e chiesa nell’America Latina», in una nostra traduzione redazionale; Munõz R.., «El camino de la Iglesia en America Latina a través de sus Conferencias de Medellín, Puebla y Santo Domingo», in CLAR 43/4 (2005) 19-30.

2 Cf. «La vita in abbondanza» in Il Regno doc., 1 (2007) 34-47.