I COMBONIANI E IL SERVIZIO DELL’AUTORITÀ

IL SUPERIORE PAROLE-CHIAVE

 

Padre Teresino Serra, superiore generale, definisce _il superiore una persona di preghiera, un uomo di verità e di speranza, una persona che ha nel cuore la missione ed esercita in comunità una servizio di ispirazione, di discernimento, di unità, di incoraggiamento e di correzione fraterna.

 

Il discorso sulla figura e il ruolo del superiore in una comunità religiosa continua a essere attuale, nonostante sembri che ormai sia già stato detto tutto al riguardo e non ci sia più niente da aggiungere. Ma come si sa, il passaggio dalla teoria alla pratica non è sempre così scontato, anche perché le persone e le situazioni cambiano e spesso non rientrano negli schemi predefiniti.

A riprendere questo argomento è stato ora p. Teresino Serra, superiore generale dei comboniani, in un momento in cui l’istituto si prepara al capitolo generale ordinario speciale del 2009 e celebra alcune date molto importanti per la sua storia come i 150 anni dalla prima partenza del Comboni per l’Africa (1857-2007) e i 140 anni dalla sua fondazione (1867-2007). Un tempo, commenta p. Teresino, per osare, rischiare e credere e proiettarsi verso il futuro con speranza e fiducia.

In vista anche delle prossime elezioni provinciali ha scritto una lettera che il bollettino Familia Comboniana ha pubblicato in due puntate (febbraio e marzo 2007): la prima sul tema Autorità: servizio di guida e di comunione e la seconda Autorità: la forza della testimonianza.

 

UN TONO

PIUTTOSTO DECISO

 

Il tono con cui si apre manifesta subito l’intenzione di non fare un discorso irenico, tanto, come direbbe Paolo “per il prurito di udire qualcosa”, ma di scuotere un po’ le coscienze.

Certamente, scrive, i superiori a volte si trovano nella situazione di Gesù quando scaglia questa sentenza sulla sua generazione: “Ma a chi paragonerò io questa generazione? Essa è simile a quei fanciulli seduti sulle piazze che si rivolgono agli altri compagni e dicono: vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto” (Mt 11,16-17).

E prosegue: «C’è una domanda a sorpresa in Paolo, quando annuncia il suo arrivo alla comunità dei Corinzi: “Che volete? Debbo venire a voi con il bastone. o con amore e con spirito di dolcezza?” (1 Cor 4, 21). Direttamente o indirettamente vari superiori si fanno domande simili: «Fino a che punto la carità è carità? Fin dove deve arrivare lo spirito di dolcezza? Ma il bastone serve? O forse è meglio arrendersi, lasciar perdere tutto. E si salvi chi può!?».

E osserva, «Insomma, sentiamo spesso i superiori ripetere: “Ho provato di tutto e tutto continua come prima”. Eppure ogni superiore, ogni confratello deve continuare a credere quanto ci insegna la Regola di Vita: “L’autorità è un servizio di guida nella comunità; è servizio di ispirazione, che coadiuva tutti i membri della comunità nel vivere la loro vocazione; di discernimento, che aiuta ciascuno a fare le giuste scelte nel raggiungimento del regno di Dio; di unità e di coordinamento, d’incoraggiamen­to e di correzione fraterna, come sostegno per supe­rare i momenti di debolezza, stanchezza e scoraggiamento, attraverso una guida amichevole”».

Le parole chiave della missione di chi è scelto per essere superiore – commenta p. Teresino – sono: «servizio di ispirazione, di discernimento, di unità, di incoraggiamento e di correzione fraterna».

Ed è a partire da queste parole e da quan­to è stato scritto nel capitolo generale del 2003 che egli traccia una specie di profilo del superiore. Il capitolo generale, aveva ricordato che il superiore è chiamato a essere animatore della fraternità, del discernimento e della corresponsabilità di tutti e che egli è anche promotore della missionarietà dei singoli, delle comunità e della provincia. Il suo compito primario pertanto è quello di far crescere tutti i missionari e le comunità nella fedeltà al carisma della nostra vocazione missionaria.

Oggi, osserva, ricordando il pensiero di Giovanni Paolo Il, si ha bisogno di testimoni più che di parole, e di esempi più che di prediche. E Benedetto XVI insegna che “il servizio d’autorità richiede una presenza costante, capace di animare e di proporre, di ricordare la ragion d’essere della vita consacrata, di aiutare le persone a corrispondere con una fedeltà sempre rinnovata alla chiamata dello Spirito” (Ai superiori generali, 22 maggio 2006). Il superiore, inoltre, deve aiutare i suoi confratelli nel cammino della santificazione personale, come risposta al vangelo, al carisma ed alla propria vocazione. A questo punto, rimane chiaro che il servizio dell’autorità trova la sua forza nella testimonianza delle virtù vissute.

 

Uomo di preghiera

 

Per essere un amministratore fedele e servire bene i fratelli ed il Signore (cf. Lc 12,41-48) il superiore, oggi più che mai, è chiamato a essere anzitutto un uomo di preghiera. La preghiera è il dono da presentare ai confratelli quotidianamente: pregare per loro e pregare con loro.

Gli evangelisti ci presentano il Gesù che prega per e con i suoi discepoli. Gli Apostoli spesso erano testimoni del Gesù che si alzava molto presto, quando era ancora notte fonda, per andare in un posto isolato e pregare (cf. Mc 1,35-36). Altre volte sapevano che Gesù se ne era andato al monte per passare tutta la notte in preghiera (cf. Lc 6,12).

E forse la richiesta più significativa che Gesù ha ricevuto dai suoi discepoli è stata questa: “Maestro, insegnaci a pregare” (cf. Lc 11,1). Gesù, soprattutto, prega per loro con affetto fraterno e profondo senso di appartenenza. È edificante la preghiera per i suoi discepoli nell’ultima cena: Tu mi hai affidato alcuni uomini scelti da questo mondo. Erano tuoi e li hai affidati a me. lo ho rivelato loro chi sei... Io li ho protetti e .nessuno di loro si é perduto... conservali nella verità... io offro me stesso in sacrificio per loro, perché essi rimangano consacrati a te (cf. Gv 17,6-19).

Chiaramente, il superiore che ha tanto da fare per i confratelli e non ha più tempo per la preghiera, per pregare con loro e per loro..._deve preoccuparsi, perché viene meno alla sua vocazione dì essere animatore, coordinatore e guida della comunità.

 

Uomo di verità

 

Il superiore, in secondo luogo, deve essere sempre geloso dei valori evangelici della vita consacrata. Egli mantiene vive ed è garante delle ricchezze ed esi­genze della combonianità. È chiamato quindi a essere fermo contro ogni tipo di falsificazione e ipocrisia, di appiattimento e mediocrità, di passività e relativismo. Il superiore, spesso, è chiamato a pronuncia­re l’ultima parola perché prevalga ciò che è vero, giusto e necessario. A lui è chiesto di prendere la decisione, non secondo il sistema della maggioranza, ma secondo il criterio della fedeltà al Vangelo, al bene comune e alla difesa della verità. La volontà della maggioranza, a volte, può essere segno di mediocrità e compromesso, e tradisce la radicalità del vangelo e della vita consacrata. Povero Gesù se aves­se dovuto sottoporre la volontà del Padre all’assenso della maggio­ranza! A volte la maggioranza ha bisogno di essere scossa dalla routine, dal già acquisito, dal “si-è-fatto-sempre-così”.

Uomo di speranza

Il superiore, soprattutto in questi tempi, è chiamato a servire con spirito ottimista per mantenere viva la speranza verso il futuro. Dovrà valorizzare ogni minimo segno di vita presente nell’individuo e nella comunità: Il mio servo, dice il Signore, non spezzerà la canna incrina­ta, non spegnerà la fiamma smorta (cf. Is 42,3).

L’amore è proprio questo: assenza di morte (a-mors). È compito del superiore leggere con attenzione la realtà dell’Istituto e delle perso­ne, con sentimenti di fede, speranza e carità. Nell’istituto i segni della benevolenza di Dio sono molti. E nella realtà della nostra famiglia comboniana i confratelli virtuosi e santi sono tanti. Una lettura serena e ottimista porta il superiore ad apprezzare ogni confratello, a usare misericordia con i più deboli, a essere semplice e di facile comunicazione, ad ascoltare sempre. Tutto ciò gli darà autorevolezza quando dovrà intervenire con energie e fermezza per affermare i principi base della vita comboniana.

 

Uomo con la missione nel cuore

 

Dobbiamo ringraziare Dio, rileva p. Teresino, per lo spirito missionario visto e sentito nei superiori di ogni circoscrizione e superiori locali. Finché avremo superiori innamorati e amanti della missione, l’Istituto potrà camminare tranquillo e con la benedizione di Dio e di Comboni. Finché avremo superiori con cuore missionario, non ci spaventeranno le debolezze, gli abbandoni, i conflitti interni e quel piccolo numero che ha già di­menticato la missione.

Il superiore con la missione nel cuore sarà sempre grazia missionaria per la comunità, la provincia e l’istituto.

 

Uomo dell’incontro

 

L’istituto è nuovo, aggiunge, perché nuovi sono i tempi e le persone; nuove sono le sensibilità e nuova è la geografia dei missionari comboniani, con identità e culture diverse. Il superiore, quindi, è chiamato a favo­rire la fraternità missionaria e “incontro tra le diversità.

Il superiore ha il delicato compito che aveva il Comboni con i suoi missionari: tenerli uniti attorno alla missione, portando a unità le varie origini, cultura e formazione, per il bene della missione stessa.

Comboni aveva verso i suoi missionari la stessa passione che nutriva per la missione. Accomunato dalla stessa fede e missione, egli ama­va e stimava tutti i suoi missionari, anche quelli che gli causavano difficoltà e problemi.

Tutti, i fratelli coadiutori, i camilliani, le Pie Madri della Nigrizia, le Suore di S. Giuseppe, i laici, le istitutrici e i giovani africani preparati al Cairo, potevano sempre trovare in Comboni l’animatore e il punto d’appoggio per l’incontro e l’incoraggiamento vicendevole.

Il lavoro apostolico e le difficoltà del Vicariato non impedivano a Comboni di tener sempre conto di ognuno. Non solo, ma egli esorta­va ogni missionario ad essere attento alla pace scambievole e lavorare in perfetta armonia con altri missionari. Sempre per il bene della missione, alla quale Dio aveva chiamato tutti, senza distinzioni.