LA COMUNITÀ RELIGIOSA

LUOGO DI CRESCITA

 

La comunità è lo “spazio teologale” dove il rapporto personale con Dio raggiunge la sua pienezza ed è comunicato agli altri con atteggiamenti di carità e di accoglienza reciproca che esprimono visibilmente la fraternità attraverso un cammino lungo ed esigente, dove le persone imparano ad amare secondo il metodo di Gesù.

 

La comunità è lo spazio privilegiato dell’amore reciproco secondo il modello del Vangelo. In essa i consacrati e le consacrate sono chiamati a crescere insieme verso la piena maturazione umana e allo stesso tempo a rendere tangibile la loro risposta vocazionale, per arrivare ad amare e servire il Signore attraverso la vita fraterna. «La comunità religiosa, per il fatto di essere una “schola amoris” che aiuta a crescere nell’amore verso Dio e i fratelli, diventa anche luogo di crescita umana».1 Non si tratta di un luogo anonimo, ma di uno spazio in cui l’identità di ognuno si coniuga con la crescita di tutti, perché è nella vita comune che ogni consacrato si sente corresponsabile della presenza vivificante di Dio attraverso un itinerario di conversione reciproca. È lo “spazio teologale” dove il rapporto personale con Dio raggiunge la sua pienezza ed è comunicato agli altri con atteggiamenti di carità e di accoglienza reciproca che esprimono visibilmente la fraternità2 attraverso un cammino lungo ed esigente, ma comunque possibile e realizzabile, dove le persone imparano ad amare secondo il metodo di Gesù.

Quanti vivono in comunità sono inseriti in una rete di relazioni in cui i riferimenti affettivi e la storia di maturazione di ciascuno si intreccia in un comune processo di crescita interpersonale. Infatti, all’interno della fraternità i confratelli e le consorelle sono portatori di un bagaglio di maturazione già iniziato sin dalla loro infanzia, e che continua a crescere attraverso le relazioni che intessono tra loro.

«Non avrei mai pensato che la mia storia personale, la mia formazione, l’educazione ricevuta anche in famiglia, avrebbe potuto influenzare così tanto le mie consorelle nella comunità in cui mi trovo», esclamava sorpresa una suora durante una riunione di formazione comunitaria. Come a dire che la personalità di ciascuno e le dinamiche interpersonali sono interdipendenti e alimentano il processo di crescita delle persone, facilitando un interscambio propositivo tra carattere, aspettative, culture individuali e benessere reciproco.

Tutto questo sembra essere chiaro, soprattutto quando le cose vanno bene. Ma come fare a mantenere questa ottica positiva, se ci sono delle difficoltà o dei contrasti comunitari? Oppure, se il carattere della persona è spinoso e conflittuale? La psicologia ci insegna che quando ci sono dei conflitti in un gruppo le persone identificano meglio le loro rispettive diversità, a volte bloccandosi rigidamente sulle proprie posizioni, a volte manifestando una maggiore disponibilità a comprendere l’identità dell’altro. Questa flessibilità di adattamento ci porta a considerare il rapporto tra caratteristiche personali e ambiente comunitario non in antagonismo ma parte del comune processo di crescita verso le cose di Cristo: le diversità di ognuno a volte rinforzano, a volte intralciano o addirittura bloccano il cammino di crescita, e sono comunque nuove opportunità per sperimentare la reciprocità come un’occasione di crescita e non una minaccia da temere. In questo modo le persone si prendono la responsabilità della propria identità personale in continua formazione, una formazione che è iniziata nei diversi ambienti di provenienza, e che continua nella specifica comunità dove vivono. Non solo, ma si assumono anche il compito della crescita comune, «disponibili a ricevere l’uno il dono dell’altro, capaci d’aiutare ed essere aiutati, di sostituire ed essere sostituiti».3

Ma cosa succede concretamente in questo interscambio tra identità di sé e reciprocità relazionale? In che modo, cioè, l’identità personale e l’attaccamento reciproco si influenzano e si alimentano fino ad essere occasione per una sana base relazionale che rispetti sia le persone che la comunità? E quando, invece, rischia di diventare motivo di patologia interpersonale? A questi interrogativi vogliamo rispondere, consapevoli che oggi più che mai il lavoro della conversione reciproca interpella tutti a riscoprire le profonde ricchezze presenti in comunità religiosa.

 

Apprendere a relazionarsi secondo il Vangelo

 

L’ipotesi di partenza è che le relazioni sono sempre e comunque occasione di crescita e di trasformazione per gli interagenti, soprattutto quando l’obiettivo della convivenza fortifica il senso comune e alimenta l’identità personale. Se è vero che «la realizzazione dei religiosi e religiose passa attraverso le loro comunità»,4 ciò significa che le relazioni sono importanti per concretizzare la nostra stessa vocazione di consacrati attraverso la costruzione di relazioni autentiche e propositive nel contesto comunitario.

Per cogliere il nesso tra identità e ambiente relazionale in vista dei processi di crescita della persona, occorre rifarsi al ruolo fondamentale dei primi anni di vita nello sviluppo successivo e nello strutturarsi della personalità; è in questo periodo che l’individuo stabilisce delle modalità relazionali con figure di attaccamento importanti che si prendono cura di lui e si preoccupano di soddisfare i suoi bisogni.

In questa storia personale di sviluppo psicosociale, un fattore determinante è l’interazione che si stabilisce tra figura di attaccamento e bambino, un interscambio che influenzerà i successivi rapporti significativi e che contribuisce enormemente a formare il temperamento e la maturazione dell’identità personale. Questo modello di interazione si sviluppa per stadi descritti in termini di “sintonizzazione” e di “attaccamento”.

Infatti, così come da piccoli gli individui hanno imparato a riconoscere e a esprimere le emozioni in sintonia con quello che avveniva sul volto e nel comportamento della mamma, così da adulti essi continueranno a sintonizzarsi emotivamente in base a ciò che riconoscono come segnali di reciprocità relazionale negli altri con cui interagiscono.

Man mano che l’individuo cresce, la tendenza ad agire reciprocamente con un altro significativo sarà sempre più un’interazione coordinata con gli altri e sarà tanto più incisiva quanto più i contesti di gruppo in cui egli è inserito sono significativi, soprattutto lì dove la convivenza è motivata da obiettivi comuni, profondi ed esistenziali, proprio come succede nelle comunità religiose.

Generalmente, nei rapporti interpersonali i momenti di sincronia sono relativamente brevi ma rilevanti (un colpo d’occhio, una parola, un gesto…), e possono durare anche un po’ di più se i soggetti si lasciano andare a un comportamento relazionale coinvolgente. Inoltre, nelle relazioni sincronizzate importanti la persona modifica la sua espressione sociale ed emotiva per corrispondere alle aspettative dell’altro, il quale modifica, a sua volta, i ritmi e le cadenze per adeguarle a quelle del partner. Mediante tale sincronia, gli interagenti continuano la loro storia di apprendimento relazionale, imparano ancora meglio a identificarsi e a definire il loro rapporto con gli altri, affrontando le situazioni sociali con migliori opportunità relazionali.5 In questo modo imparano a diventare sempre più esperti di relazioni e, soprattutto quando si tratta di relazioni significative, esperti di comunione autentica, per essere «testimoni e artefici di quel “progetto di comunione” che sta al vertice della storia dell’uomo secondo Dio».6

Tale lavoro di reciprocità e di attaccamento agli altri non sarà soltanto un meccanismo da superare o da evitare quando emergono le differenze di ognuno, ma piuttosto uno stile di apprendimento e di mutua conoscenza da incrementare e accrescere, uno stile di vita propositivo con cui «si impara ad amare Dio, ad amare i fratelli e le sorelle con cui si vive, ad amare l’umanità bisognosa della misericordia di Dio e della solidarietà fraterna»,7 ampliando così la piattaforma di fiducia e di comprensione reciproca in vista dei comuni significati vocazionali.

 

Stili relazionali e consapevolezza reciproca

 

Questo approccio dinamico-maturativo delle relazioni nel contesto delle comunità religiose è rafforzato dal fatto che tali relazioni possono modificarsi nel tempo. «La vita consacrata, dice Benedetto XVI nel suo messaggio per la XI Giornata Mondiale della vita consacrata, è scandita in momenti e tappe che esprimono lo sviluppo di una vocazione – dal momento iniziale al tempo dell’impegno definitivo, dalla fedeltà nel quotidiano alle obbedienze più ardue – e che indicano la necessità continua di “applicarsi alla propria crescita umana e religiosa”».

Il religioso, pertanto, chiamato alla continua comunione in Cristo, può essere in grado di modificare le qualità relazionali che ha acquisito, riorganizzandole mediante un profondo contatto con le proprie esperienze di vita relazionale. I cambiamenti si verificano sia nei periodi di rapido mutamento tipici dell’età evolutiva, ma continuano anche nell’età adulta.

Inoltre, in questo processo di maturazione progressiva la persona organizza un proprio stile relazionale, in cui integra ciò che riconosce di valore in sé e nell’ambiente, attraverso due competenze principali: quella cognitiva e quella affettiva; infatti «il modello dinamico-maturativo delle strategie di attaccamento è una concettualizzazione delle strategie di protezione del sé che si basano su aspetti dell’elaborazione delle informazioni frutto dell’evoluzione. Specificamente, la cognitività e l’affettività sono considerate le due forme fondamentali di informazione su quando e dove potrebbe esserci pericolo».8

In particolare, sintonizzandosi affettivamente le persone “ri-plasmano” gli eventi relazionali e spostano l’attenzione dai contenuti delle relazioni (ciò che fanno e che sembra inconciliabile) a ciò che sta dietro ogni comportamento, cioè alla qualità dello stato d’animo condiviso attraverso i rapporti reciproci.9 Questa consapevolezza dei significati profondi delle relazioni permette di passare dalla incompatibilità delle differenze ai comuni significati relazionali, ed è una strada maestra per “comunicare o condividere i propri stati interni nella relazione”.

Rapportando tale metodo alle comunità religiose, la capacità attentiva dei confratelli e delle consorelle li impegna a “leggere” le interazioni per cogliere non soltanto gli aspetti superficiali dei rapporti ma anche l’esperienza interna di ciascuno, per comprendere come nei gesti, nelle parole, negli atteggiamenti le persone presentano se stesse e i loro diversi stati affettivi. La conoscenza che avviene a questo livello di profondità e di empatia reciproca facilita la riscoperta dei doni presenti nell’altro nonché l’accomodamento delle diversità relazionali. Non solo, ma sostiene anche la stima e l’affetto reciproco, perché raf­forza la fiducia e consolida la coesione, permettendo alle persone di dare e di ricevere con gioia anche quando questo comporta la rinuncia di alcune cose di sé. «Il percorso è esigente, perché comporta la rinuncia di beni certamente molto apprezzabili, ma non impossibile. Lo dimostra la schiera dei santi e sante e le meravigliose figure di religiosi e religiose, che hanno mostrato come la consacrazione a Cristo “non si oppone al vero progresso della persona umana, ma per sua natura gli è di grandissimo giovamento”».10

Accorgersi di tutto questo vuole dire affinare la capacità di autenticità nelle relazioni, perché ogni comunità sia una vera schola amoris, luogo dove si impara ad amare gli altri con la stessa gratuità con cui Gesù ama quotidianamente l’umanità intera. È nelle relazioni persistenti e durature, motivate da comuni significati, che le persone entrano in contatto con le proprie esperienze interne e affrontano il rischio dell’incontro con l’altro con la certezza che nello scambio ci si arricchisce reciprocamente.

In questo modo la comunità diventa cenacolo di apostoli, perché è in essa che tutti si allenano in questa crescita personale e interpersonale. La consapevolezza di questo interscambio delle risorse e dei doni diventa così un cammino di conversione reciproca continua, in vista di un nuovo tipo di solidarietà in cui sarà realmente possibile mettere in comune le ricchezze delle tante diversità presenti, per poter realisticamente ricercare insieme le cose di Cristo.

Crea Giuseppe, MCCJ

 1 La vita fraterna in comunità, n. 35.

 2 Vita consecrata, n. 42.

 3 La vita fraterna in comunità, n. 24.

 4 La vita fraterna in comunità, n. 25.

 5 Crea G., Gli altri e la formazione di sé, EDB, Bologna.

 6 Vita consecrata, n. 46.

 7 La vita fraterna in comunità, n. 25.

 8 Crittenden P.M., Attaccamento in età adulta, Raffaello Cortina Editore, Milano 1999, 27.

 9 Stern D., Le interazioni madre-bambino, Raffaello Cortina Editore, Milano 1998, 165.

10 La vita fraterna in comunità, n. 35.