DALLA PASQUA ALLA PENTECOSTE
UN UNICO OTTAVO GIORNO
Già per i Padri i
cinquanta giorni che seguono la Pasqua hanno la caratteristica di essere come
“un unico giorno”. In essi si pregusta sulla terra ciò _che vivremo nel mondo
futuro. Quando affermano che si tratta di “una grande domenica”, ciò significa
che anche per essi questo tempo era _come un unico “ottavo giorno”.
Il tempo di Pasqua inizia con la domenica di Risurrezione e si protrae per
cinquanta giorni fino alla solennità di Pentecoste, per questo motivo è anche
detto Cinquantina pasquale. Di tutti i tempi liturgici probabilmente quello
pasquale è stato il meno valorizzato nella vita delle nostre comunità nel
post-concilio. Quando parliamo di “tempi forti” infatti intendiamo normalmente
l’Avvento e la Quaresima… ma allora il tempo di Pasqua non sarebbe un “tempo
forte”? Ammesso che una tale terminologia sia corretta, non sarebbe più logico
chiamare “tempi forti” la Quaresima e la Pasqua, cioè il ciclo pasquale? Cos’è
che rende un tempo “forte”?
Un segno che il tempo di Pasqua è così poco valorizzato e non percepito
come importante nella vita della Chiesa lo si nota dal fatto che esso, dopo
l’intenso periodo della Quaresima e della Settimana Santa, venga subito
sommerso da molte altre iniziative che rischiano di offuscarne la celebrazione.
Basti pensare alla “giornata delle vocazioni”, la IV domenica di Pasqua. Per il
fatto che nel Vangelo compare la figura del Buon Pastore, tutto viene subito
riletto in chiave vocazionale. Ma è questo il senso della celebrazione? Altro
fatto significativo, solo per fare un altro esempio, è la tradizione popolare
del mese di maggio dedicato a Maria. Spesso si ha il sospetto che in alcune
comunità – non tutte naturalmente – il tempo liturgico che si sta celebrando
sia il mese mariano e che la Cinquantina pasquale sia andata un po’ nel
dimenticatoio. Ma, se avessimo letto con attenzione il n. 13 di Sacrosanctum
concilium, dovremmo sapere che non è la piètà popolare a dare forma alla
liturgia, bensì il contrario. Il testo afferma che i pii esercizi dovrebbero
essere «regolati tenendo conto dei tempi liturgici, in modo da armonizzarsi con
la liturgia; derivino in qualche modo da essa e ad essa introducano il popolo,
dal momento che la liturgia è per natura sua di gran lunga superiore ai pii
esercizi». Infine possiamo ricordare la novena di Pentecoste che, se
apparentemente sembra più legata al tempo liturgico, finisce per creare un
tempo nel tempo e a isolare la celebrazione della Pentecoste, rispetto al tempo
di Pasqua del quale essa è il compimento.
Consapevoli di questa difficoltà nel comprendere e nel vivere il tempo di
Pasqua, proviamo a interrogare la tradizione patristica e i testi liturgici per
lasciarci dire il senso di questo tempo liturgico così importante per la vita
della Chiesa.
COME UN SOLO
GIORNO DI FESTA…
Nella tradizione patristica e liturgica i cinquanta giorni che seguivano la
celebrazione della Pasqua annuale venivano considerati come una grande
domenica, un solo “grande giorno”. Massimo di Torino (padre della Chiesa morto
nella prima metà del V sec.), parlando della Cinquantina pasquale, afferma: «A
guisa… della domenica tutto il corso dei cinquanta giorni è celebrato e tutti
questi giorni sono considerati come domeniche; la risurrezione, infatti, è di
domenica. La domenica il Salvatore risorgendo ritornò tra gli uomini e dopo la
risurrezione rimase con gli uomini per tutto il periodo di cinquanta giorni.
Era dunque necessario che fosse uguale la festività di quei giorni dei quali
era uguale anche la sacralità» (Serm., 44,1). Per Massimo e per la Chiesa
antica quindi i cinquanta giorni del tempo di Pasqua erano vissuti come «una
perenne e ininterrotta festività» nella quale si celebrava nella gioia la
risurrezione del Signore. Per questo era vietato ogni atteggiamento e ogni
gesto che potesse oscurare il carattere festivo e gioioso di questi giorni:
digiuno, genuflessioni… Tutto doveva esprimere la gioia della Chiesa per la
vittoria del Signore sulla morte e per la nuova vita che la partecipazione alla
Pasqua di Cristo aveva fatto germogliare nei credenti.
Anche Atanasio, vescovo di Alessandria d’Egitto del IV secolo, nelle
Lettere festali – cioè in quelle lettere che il vescovo scriveva alle sue
comunità per comunicare la data in cui celebrare la Pasqua – riguardo alle
sette settimane che seguono alla domenica di Pasqua, chiama la Cinquantina
pasquale “il santo giorno di Pentecoste” e ancora “la grande domenica”, “il
simbolo del mondo futuro”.
Quindi per i padri i cinquanta giorni che seguono la Pasqua hanno questa
caratteristica di essere come “un unico giorno”! In essi, dice Atanasio, si
pregusta sulla terra, ciò che vivremo nel mondo futuro. Questi giorni sono
“caparra” della vita eterna. Quando i padri affermano che si tratta di “una
grande domenica”, significa anche che per essi questo tempo era come un unico
“ottavo giorno”, nome che veniva dato alla domenica, cioè un giorno che esce
dai ritmi normali del tempo, fondato sulla settimana, e che è proprio per
questo profezia, caparra della vita eterna.
LA CINQUANTINA PASQUALE
NEL LEZIONARIO
Se percorriamo il Lezionario delle domeniche del tempo di Pasqua, vediamo
in modo più concreto cosa significhi definire questo tempo “un unico giorno di
festa”. Infatti a partire dai testi biblici si comprende subito come la Chiesa
in questo tempo sia condotta dalle Scritture a “fare propria” la Pasqua che ha
celebrano “in unità” nel Triduo santo.
Prima di vedere qualche esempio concreto nel Lezionario, lasciamoci aiutare
nella comprensione di quanto abbiamo appena affermato da un testo liturgico che
troviamo nella fonte stessa del tempo di Pasqua, la Veglia pasquale. Nella
orazione dopo la VII lettura, un testo molto antico della tradizione della
Chiesa di Roma, leggiamo: «Tutto il mondo veda e riconosca che ciò che è
distrutto si ricostruisce, ciò che è invecchiato si rinnova e tutto ritorna
alla sua integrità, per mezzo di Cristo, che è principio di tutte le cose». Al
termine dell’itinerario spirituale della Quaresima, la Chiesa chiede occhi per
riconoscere la nuova vita che la Pasqua del Signore in essa genera. Il tempo di
Pasqua consiste proprio in questo, nella manifestazione della vita del Risorto
nella Chiesa e nell’umanità. È questa concretamente la “caparra” della vita
eterna di cui parla Atanasio.
Se ritorniamo al Lezionario, vediamo che le letture ci guidano all’incontro
con il Cristo risorto presente nella comunità dei credenti. I brani delle
Scritture – soprattutto nei brani evangelici – proclamati nelle domeniche di
questo tempo liturgico mostrano i frutti della Pasqua nella vita della Chiesa,
le varie angolature nelle quali è possibile comprendere il mistero pasquale.
Vogliamo sapere cosa significa per la vita dei credenti la Pasqua di Gesù?
Basta seguire il lezionario del tempo di Pasqua e scopriremo che egli è
divenuto il Vivente, presente nella Chiesa. Per questo egli si lascia
incontrare (“toccare”) da ogni generazione di credenti, anche da chi, come
Tommaso, la sera del giorno di Pasqua era assente (II domenica - Ottava). Gesù
Risorto nella sua Pasqua è divenuto per la Chiesa colui nel quale le Scritture
si compiono, la loro chiave interpretativa e il loro senso ultimo. Nello
spezzare il pane della cena gli occhi dei discepoli si aprono e ritorna la
memoria del cuore che ardeva nel loro petto mentre il Risorto, pellegrino
sconosciuto che camminava accanto a loro sulla strada, spiegava le Scritture
(III domenica). Gesù risorto è divenuto per la Chiesa “pastore”, “via”, “vite”…
(V domenica). Egli è il buon pastore (Gv 10 letto nell’anno A, B e C). Le
“pecore”, che lo hanno seguito prima della sua Pasqua, nel suo cammino, che
hanno ascoltato le sue parole e visto i suoi gesti, ora riconoscono la sua voce
e lo seguono. Quindi Gesù Risorto è divenuto per la sua Chiesa la guida che la
conduce attraverso la storia verso i pascoli della vita eterna (IV domenica).
Gesù Risorto è divenuto “la via” (Gv 14,1-12: anno A), una “via nuova e
vivente” inaugurata per noi, dice l’Epistola agli Ebrei (10,20); egli è
divenuto vite, attraverso la quale i tralci ricevono la vita (Gv 15,1-8: anno
B); egli è via e vita perché insegna e consegna ai suoi discepoli il
comandamento dell’amore (Gv 13,31-33.34-35: anno C). Non si tratta
semplicemente della consegna di una norma, ma della consegna di un modello. La
“Gloria” di Dio si è manifestata nel dono di Gesù, e ora può manifestarsi anche
nella vita dei suoi discepoli.
Infine, coronamento del tempo pasquale. Nella Pasqua di Gesù è stato dato
alla Chiesa il dono per eccellenza, quel dono che rende possibile e attuale
ognuno dei doni che abbiamo appena elencato: il dono dello Spirito Santo (VI
domenica - Pentecoste). Lo Spirito è il Consolatore, colui che guida i
discepoli alla “verità tutta intera” e che “ricorderà” tutto ciò che Gesù ha
detto. Nella Bibbia lo Spirito è il “dono” dei tempi messianici, “segno” del
compimento delle promesse di Dio. Nel profeta Gioele leggiamo: «Dopo questo, io
effonderò il mio spirito sopra ogni uomo e diverranno profeti i vostri figli e
le vostre figlie; i vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno
visioni» (Gl 3,1). Che la Pentecoste sia il compimento e il coronamento del
tempo pasquale lo dimostra anche il fatto che il termine “Pentecoste” sia stato
usato sia per indicare l’ultimo giorno di questo tempo, sia l’intero periodo
dei cinquanta giorni.
Il lezionario di Pasqua, mentre ci annuncia la presenza viva del Risorto
nella comunità dei credenti e ci rivela i molteplici volti della Pasqua,
delinea anche i tratti irrinunciabili del volto della Chiesa (lettura degli
Atti degli Apostoli), le realtà che stanno alla base della sua vita e che le
sono state donate appunto dalla vittoria pasquale del suo Signore.
IL PERCORSO
NEI TESTI LITURGICI
Dopo aver percorso brevemente il Lezionario del tempo di Pasqua per
comprendere l’itinerario che la liturgia ci propone, proviamo ora a scorrere
sempre velocemente anche i testi liturgici che il Messale Romano riporta per la
celebrazione dell’eucaristia in questo tempo liturgico.
Innanzitutto troviamo i prefazi del tempo di Pasqua che ci presentano il
legame tra la Pasqua di Cristo e la vita nuova della Chiesa: «È lui il vero
Agnello che ha tolto i peccati del mondo, è lui che morendo ha distrutto la
morte e risorgendo ha ridato a noi la vita» (Prefazio I). E ancora: «Per mezzo
di lui rinascono a vita nuova i figli della luce, e si aprono ai credenti le
porte del regno dei cieli. In lui morto è redenta la nostra morte, in lui
risorto tutta la vita risorge» (Prefazio II). Nel Prefazio IV leggiamo: «In
lui, vincitore del peccato e della morte, l’universo risorge e si rinnova, e
l’uomo ritorna alle sorgenti della vita». Infine merita particolare attenzione
il prefazio della solennità di Pentecoste con la quale il tempo di Pasqua si
chiude. Il testo del prefazio afferma: «Oggi hai portato a compimento il
mistero pasquale e su coloro che hai reso figli di adozione in Cristo tu Figlio
hai effuso lo Spirito Santo…». Questo testo liturgico chiama la Pentecoste, e
in qualche modo tutto il tempo liturgico che con essa si conclude, compimento
della Pasqua. È un riferimento ad Atti 2,1, dove si dice che i discepoli erano
riuniti insieme “mentre stava per compiersi la Pentecoste”, che risulta molto
importante per comprendere tutto il tempo pasquale come “compimento” del
mistero della Pasqua di Gesù nella vita della Chiesa.
Come il lezionario liturgico ci mostra i vari volti della Pasqua e “chi” è
divenuto il Cristo Risorto per i suoi discepoli, così i testi liturgici
sottolineano principalmente la realizzazione nei credenti del medesimo mistero.
IL TEMPO
DELLA “MISTAGOGIA”
Un altro importate aspetto del tempo di Pasqua che la tradizione patristica
e liturgica ha fortemente sottolineato è quello della mistagogia. Il tempo di
Pasqua è il tempo della mistagogia, cioè il tempo della “intelligenza dei
misteri” che si sono celebrati nella notte di Pasqua. Nella Chiesa antica, e in
alcuni casi anche oggi, la Veglia pasquale era il luogo proprio della
celebrazione dei sacramenti dell’iniziazione cristiana (battesimo – cresima –
eucaristia). Proprio perché i sacramenti sono partecipazione alla vittoria
pasquale di Cristo, conformazione a lui, il tempo proprio della loro
celebrazione non può che essere la Veglia di Pasqua.
Ma dopo la celebrazione dei sacramenti nella Veglia Pasquale, occorreva, e
occorrerebbe anche oggi, un tempo di “intelligenza” di ciò che si è vissuto… non
certo una intelligenza di ordine razionale, ma una intelligenza più profonda
che fa parte integrate della celebrazione stessa del sacramento e che potremmo
chiamare interiorizzazione. Il sacramento celebrato nella Veglia di Pasqua,
come ha avuto bisogno della Quaresima come preparazione nella conversione, così
ha bisogno di un altro tempo, quello della mistagogia per essere fatto proprio,
potremmo dire assimilato. Sarebbe importante recuperare l’importanza del
“celebrare nel tempo” anche per ciò che riguarda i sacramenti… anche i
sacramenti non sono “atti puntuali”, ma hanno bisogno di tempi e spazi
“appropriati”. E il tempo nel quale i sacramenti possono “respirare” è proprio
il Tempo pasquale nel quale si celebra la forza della risurrezione di Cristo nella
vita della Chiesa.
Oggi spesso il tempo di Pasqua è il tempo per la celebrazione della cresima
e dell’eucaristia di “prima comunione”… ma quanto è veramente valorizzata la
collocazione della celebrazione di questi sacramenti nel Tempo pasquale? Non si
finisce a volte per dimenticare il tempo liturgico nel quale ci si trova, quasi
come se esso fosse in qualche modo un disturbo e non lo spazio ideale per la
celebrazione dei sacramenti?
UN ROVETO CHE ARDE
E NON CONSUMA…
Dopo questi brevi cenni sulle caratteristiche principali del tempo
pasquale, possiamo concludere con una immagine che ci può aiutare a vivere
questo tempo in modo più ricco e profondo. Nella Quaresima, prima parte del
ciclo pasquale, la seconda domenica è sempre dedicata al Vangelo della Trasfigurazione.
È come se ci fosse una specie di annuncio del tema, o meglio una anticipazione
della meta, alla quale tutto questo ciclo liturgico (Quaresima-Triduo
pasquale-tempo di Pasqua) intende condurci. Lì, sul monte della
Trasfigurazione, nella carne di Gesù si rivela la sua divinità, la sua identità
più profonda. La tradizione cristiana ha spesso associato la Trasfigurazione di
Gesù al roveto ardente nel quale Dio si rivelò a Mosè sul Sinai. Chi si è
recato al monastero di S. Caterina sul Monte Sinai sa che la chiesa del
monastero è proprio dedicata al mistero della Trasfigurazione, di cui si
riporta nell’abside un antico mosaico.
Al termine del ciclo pasquale questo mistero – il roveto ardente e la
Trasfigurazione – è immagine quanto mai indicata per descrivere ciò che la
Chiesa vive nel tempo di Pasqua. Come quel fuoco nel quale Dio ha rivelato il
suo nome a Mosè ardeva e non consumava, e come la divinità di Gesù nella
Trasfigurazione arde nel suo volto ma non consuma, così anche la vita nuova che
il Risorto ha donato ai suoi discepoli nella Pasqua ora arde nella vita della
Chiesa senza consumare… e attende di ardere in ogni uomo e ogni donna, perché
ogni uomo e ogni donna possa diventare luogo nel quale il nome di Dio, la sua
gloria, si rivela.
Matteo Ferrari OSB Cam