LO SGUARDO  DI GESÙ SU PIETRO

 

Il Vangelo ci parla di Pietro che piange amaramente. Secondo la tradizione le sue lacrime da allora in poi hanno proseguito a scorrere continuamente, al punto che nella sua anzianità si erano formati addirittura dei solchi sulle sue guance. Questi segni indelebili fanno del primo degli apostoli il simbolo del credente che vive nella gioia serena di sentirsi comunque perdonato.

 

Attenzione! Non è Pietro che guarda il Signore. Pietro gli ha voltato le spalle! È Gesù che si volta per ritrovare Pietro dall’altra parte della luna! Se due persone si stanno per incontrare e una delle due non vuole più avere nulla a che fare con l’altra, naturalmente gli volta le spalle! Ma la sorpresa del racconto di Luca sta nel fatto che Pietro, perpetrato il tradimento, tocca proprio quel fondo notturno in cui Gesù è appena sceso liberamente per illuminarlo col suo sguardo di amore e di perdono assoluto (cf. v. 61). L’apostolo sente emergere dal profondo di sé la stessa preghiera che aveva segnato il suo primo impatto con Gesù di Nazaret sul lago di Galilea, dopo una pesca

dovuta tutta alla forza della parola del Maestro: «Signore, allontanati da me che sono peccatore» (Lc_5,8), ma anche le ultime parole rivolte gli da Gesù durante l’ultima cena consumata insieme: «“Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte” (cf. Lc_22,34). E, uscito, pianse amaramente» (vv. 61b-62).

Scorre così per Pietro l’acqua della rigenerazione, l’acqua della compunzione con lacrime, che non solo purificano, non solo lavano, ma appunto rigenerano come le acque battesimali dei futuri credenti. L’esperienza di Pietro infatti apre la strada nuova dell’itinerario della Chiesa, del nostro itinerario. A partire da un invito preciso: lasciarci guardare, toccare da questo misteriosissimo laser che è lo sguardo di Gesù, perché spacchi la corazza delle nostre difese, della nostra pretesa di essere stati sempre coerenti, ligi, fedeli, ammettendo che senza il ricordo delle parole di lui, e soprattutto senza la preghiera di lui: «Ho pregato per te, (Pietro), perché la tua fede non venga meno» (Lc 22,32), resteremmo prostrati nella nostra condizione di adulterio permanente, di impurità e finalmente di morte.

Queste cose dovrebbero sconvolgerci. Luca non è andato troppo per il sottile, ma ha preso il bisturi ed è andato a fondo, nel cuore stesso della piaga. Può essere apparso perfino crudele nel descriverci il tradimento di Pietro, ma solo così ha potuto introdurci nei sentimenti più intimi dell’apostolo scandagliato nella propria verità ultima dagli occhi penetranti del suo Signore, lasciandosi tirar fuori dalla notte per imboccare finalmente la strada del ritorno.

Abbiamo contemplato un Pietro che piange amaramente. Secondo la tradizione le lacrime di Pietro da allora in poi hanno proseguito a scorrere continuamente, al punto che nella sua anzianità si erano formati addirittura dei solchi sulle sue guance. Questi segni indelebili, divenuti criteri per conoscere iconicamente la figura di Pietro, fanno del primo degli apostoli il simbolo del credente che vive nella gioia serena di sentirsi comunque perdonato.

La sua gioia intensa, e tuttavia misurata, è infatti una gioia abitata dalla riconoscenza di chi sa di aver certamente peccato, ma sa anche di essere stato definitivamente perdonato. Da qui il suo atteggiamento molto delicato, molto rispettoso, molto attento nel rapporto con il suo Signore. Il credente vive infatti sempre nella memoria della propria realtà creaturale e peccatrice, accompagnata comunque dalla gioia di essere sotto lo sguardo bene-volente di lui, del suo Signore.

Questa gioia abitata dalla riconoscenza è anche una gioia che impedisce ogni tipo di depressione, perché lo sguardo del Signore è sguardo di perdono, di vita, di ricominciamento, proprio di chi sa fare continuamente nuove tutte le cose. «La gloria di Dio è l’uomo vivente» – diceva sant’Ireneo. E infatti non c’è niente che renda più felice Dio che poter accogliere l’uomo nelle proprie mani, proprio come farebbe una mamma col suo bambino: stringendolo al cuore, qualunque possa essere stata la forma della sua debolezza. Una simile certezza permette perciò all’uomo credente, pur gravemente peccatore, di affidarsi al perdono di Dio, a differenza del non credente che tenta di liberarsi del peso della propria colpa, ignorandola, o cercando di trasformarla addirittura in virtù, non riuscendo a sopportarne il peso.

Innocenzo Gargano

Da Lectio divina sui Vangeli della passione, EDB