IL PAPA AI SEMINARISTI E SACERDOTI

SIAMO STATI SCELTI DALL’AMORE

 

Tra i suggerimenti: grande importanza alla parola di Dio, assiduamente meditata, all’incontro  quotidiano con Dio nella preghiera, in particolare nell’Eucaristia, per lasciarsi toccare dall’amore di Dio, al lavoro pastorale inteso non come semplice strategia, ma come lavoro spirituale, e all’ecclesiologia del concilio.

 

Il 17 febbraio scorso Benedetto XVI si è recato in visita al Seminario Romano Maggiore e, a distanza di pochi giorni, ha incontrato il clero della diocesi di Roma. Ne è nato un dialogo familiare e cordiale toccando temi e snodi della vita presbiterale attuale. Le risposte del papa alle domande poste costituiscono una piccola sintesi di consigli pieni di sapienza per aiutare a vivere con impegno la propria vita spirituale e e dei presupposti per rendere feconda l’attività pastorale. Sono consigli che in gran parte possono risultare utili anche ai consacrati/e, poiché molti suggerimenti del papa riguardano da vicino anche la loro vita. Riportiamo qui alcune domande rivolte al papa e una sintesi delle sue risposte.1

 

Santità, i nostri primi due anni di seminario sono dedicati al discernimento. Le chiediamo di aiutarci a capire come concretamente parla Dio e quali le tracce che lascia con il suo pronunciarsi in segreto.

 

Dio parla in diversissimi modi con noi. Parla per mezzo di altre persone, attraverso amici, i genitori, il parroco, i sacerdoti. Parla per mezzo degli avvenimenti della nostra vita, nei quali possiamo discernere un gesto di Dio; parla anche attraverso la natura, la creazione, e parla, naturalmente e soprattutto, nella sua Parola, nella sacra Scrittura, letta nella comunione della Chiesa e letta personalmente in colloquio con Dio.

Sant’Agostino nelle sue omelie dice spesso: «Ho bussato diverse volte alla porta di questa Parola, finché ho potuto percepire che cosa Dio stesso diceva a me». È importante leggere la sacra Scrittura in modo molto personale e, insieme a questa lettura personale, è molto importante la lettura comunitaria, perché il soggetto vivente della Sacra Scrittura è il popolo di Dio, è la Chiesa. Perciò è di molto valore leggere la sacra Scrittura e sentire la sacra Scrittura nella comunione della Chiesa, cioè con tutti i grandi testimoni di questa Parola, cominciando dai primi Padri fino ai santi di oggi, fino al magistero di oggi. Soprattutto, è una Parola che diventa vitale e viva nella liturgia, quindi la liturgia direi che è il luogo privilegiato dove ciascuno di noi entra nel “noi” dei figli di Dio in colloquio con Dio.

 

Lei commentando la Via Crucis del 2005 ha parlato della “sporcizia” che c’è nella Chiesa, e nell’omelia per l’ordinazione dei sacerdoti romani dello scorso anno ci ha messo in guardia dal rischio «del carrierismo, del tentativo di arrivare in alto, di procurarsi una posizione mediante la Chiesa». Come porci davanti a queste problematiche nel modo più sereno e responsabile possibile?

 

E’ una domanda non facile, ma mi sembra importante riconoscere questo e vedere il peccato non solo negli altri, nelle strutture, negli alti incarichi gerarchici, ma anche in noi stessi per essere così più umili e imparare che non conta, davanti al Signore, la posizione ecclesiale, ma conta stare nel suo amore e far brillare il suo amore. Il vero tesoro della nostra vita è stare nell’amore del Signore e non perdere mai questo amore. Poi siamo realmente ricchi. Un uomo che ha trovato un grande amore si sente realmente ricco e sa che questa è la vera perla, che questo è il tesoro della sua vita e non tutte le altre cose che forse ha.

Noi abbiamo trovato, anzi siamo stati trovati dall’amore del Signore e quanto più ci lasciamo toccare da questo suo amore nella vita sacramentale, nella vita di preghiera, nella vita del lavoro, del tempo libero, tanto più possiamo capire che sì, ho trovato la vera perla, tutto il resto è importante solo nella misura in cui l’amore del Signore mi attribuisce queste cose. Io sono ricco, sono realmente ricco e in alto se sto in questo amore. Trovare qui il centro della vita, la ricchezza. Poi lasciamoci guidare, lasciamo alla Provvidenza di decidere che cosa farà con noi.

 

Nei prossimi mesi, i miei compagni ed io saremo ordinati preti. Passeremo dalla vita ben strutturata dalle regole del seminario, alla situazione ben più articolata delle nostre parrocchie. Quali consigli può darci per vivere al meglio l’inizio del nostro ministero presbiterale?

 

Io direi, come primo punto, è importante nella vita quotidiana del sacerdote conservare, per quanto è possibile, un certo ordine: che non manchi mai la messa. Senza l’Eucaristia un giorno è incompleto; mi sembra molto importante che sentiamo il bisogno di essere col Signore nell’Eucaristia, che non sia un dovere professionale ma sia realmente un dovere sentito interiormente.

L’altro punto importante è prendersi il tempo per la Liturgia delle Ore: con tutti i pesi che ci sono, essa ci libera e ci aiuta anche a essere più aperti e a stare in un contatto profondo col Signore. Naturalmente dobbiamo fare tutto quello che impone la vita pastorale, la vita di un vice-parroco, di un parroco o delle altre mansioni sacerdotali. Ma, direi, non dimenticare mai questi punti fissi, che sono l’Eucaristia e la Liturgia delle Ore, così da avere nel giorno un certo ordine: «Serva ordinem et ordo servabit te».

Poi è importante non perdere la comunione con gli altri sacerdoti, con i compagni di via e non perdere il contatto personale con la parola di Dio, la meditazione. Come fare? Io ho una ricetta abbastanza semplice: combinare la preparazione dell’omelia domenicale con la meditazione personale, per far sì che queste parole non siano dette solo agli altri, ma siano realmente parole dette dal Signore a me stesso, e maturate in un colloquio personale col Signore. Perché ciò sia possibile, il mio consiglio è di cominciare già il lunedì a leggere le letture della domenica successiva. Ovviamente si dovranno anche consultare dei libri, per quanto è possibile. E con questo lavorìo interiore, giorno dopo giorno, si vede come man mano matura una risposta; man mano si apre questa parola, diventa parola per me. Essa poi, diventerà una parola anche per gli altri.

 

Come trasmettere ai giovani la gioia della fede cristiana, soprattutto di fronte alle sfide culturali odierne? Quali tematiche prioritarie su cui investire maggiormente le energie per aiutare i ragazzi e le ragazze a incontrare concretamente Cristo.

 

Sappiamo che la gioventù dev’essere realmente una priorità del nostro lavoro pastorale, perché essa vive in un mondo lontano da Dio. Ed è molto difficile trovare in questo nostro contesto culturale l’incontro con Cristo, la vita cristiana, la vita della fede. I giovani hanno bisogno di tanto accompagnamento per poter realmente trovare questa strada. Direi che il primo elemento mi sembra proprio e soprattutto l’accompagnamento. Essi devono vedere che si può vivere la fede in questo tempo, che non si tratta di una cosa del passato, ma che è possibile vivere oggi da cristiani e mi sembra molto importante che i giovani trovino persone — sia della loro età che più mature — nelle quali possano vedere che la vita cristiana oggi è possibile ed è anche ragionevole e realizzabile.

Quanto ai grandi temi, direi che è importante «conoscere Dio». San Paolo dice nella Lettera agli Efesini: «Ricordatevi che in quel tempo eravate... senza speranza e senza Dio. Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate i lontani siete diventati i vicini» (Ef 2, 12-13). Quindi bisogna ritornare al Dio Creatore, al Dio che è la ragione creatrice, e poi trovare Cristo, che è il volto vivo di Dio. Poi, naturalmente, dobbiamo capire che la Chiesa è la grande compagna del cammino nel quale siamo. In essa la parola di Dio rimane viva e Cristo non è solo una figura del passato, ma è presente. Così dobbiamo riscoprire la vita sacramentale, il perdono sacramentale, l’Eucaristia, il battesimo come nascita nuova. In questo cammino, naturalmente, ci accompagnano i santi. Essi, pur con tanti problemi, hanno vissuto e sono stati le «interpretazioni» vere e vive della sacra Scrittura. E poi, naturalmente, c’è sempre Maria, che rimane la Madre della Parola. Riscoprire Maria ci aiuta ad andare avanti da cristiani e a conoscere il Figlio.

 

Qual è il valore della Parola nella comunità ecclesiale? Perché noi conosciamo così poco la Bibbia? Come promuovere la conoscenza della Bibbia perché la Parola formi la comunità anche per un cammino ecumenico?

 

Posso, innanzitutto, dire che avremo il prossimo sinodo sulla parola di Dio. Ho già potuto vedere i Lineamenta elaborati dal Consiglio del sinodo e penso che appariranno bene le diverse dimensioni della presenza della Parola nella Chiesa.

Un primo punto mi sembra proprio quello di leggere la sacra Scrittura nella sua unità e integralità. Le singole parti sono parti di un cammino e solo vedendole nella loro integralità come un cammino unico, dove una parte spiega l’altra, possiamo capire questo. Perciò, direi, il punto importante è non frammentare la sacra Scrittura.

La lettura della sacra Scrittura deve essere sempre una lettura nella luce di Cristo. Solo così possiamo leggere e capire, anche nel nostro contesto attuale, la sacra Scrittura e avere realmente luce dalla sacra Scrittura. Dobbiamo comprendere questo: la sacra Scrittura è un cammino con una direzione. Chi conosce il punto di arrivo può anche fare tutti i passi e imparare in modo più profondo il mistero di Cristo. Comprendendo questo abbiamo anche capito l’ecclesialità della sacra Scrittura, perché questi cammini, questi passi del cammino, sono passi di un popolo. È il popolo di Dio che va avanti. Il vero proprietario della Parola è sempre il popolo di Dio, guidato dallo Spirito Santo.

Vorrei ancora aggiungere una cosa che hanno sottolineato tutti i Padri della Chiesa. Penso soprattutto a un bellissimo testo di Sant’Efrem e a un altro di sant’Agostino nei quali si dice: «Se tu hai capito poco, accetta, e non pensare di aver capito tutto». La Parola rimane sempre molto più grande di quanto tu hai potuto capire. È con questa consapevolezza che si deve leggere la Scrittura.

 

Sant’Agostino ha detto: «beve dalla fonte la lepre e beve l’asino. L’asino beve di più, ma ognuno beve secondo la sua capacità. Sia che siamo lepri o che siamo asini, siamo grati che il Signore ci faccia bere dalla sua acqua».

 

Come inserire i movimenti ecclesiali e le nuove comunità in una dinamica parrocchiale? Come sviluppare in loro il senso unitario di Chiesa universale?

Mi sembra che abbiamo due regole fondamentali. La prima regola ce l’ha dato san Paolo nella Prima Lettera ai Tessalonicesi: non spegnere i carismi. Se il Signore ci dà nuovi doni dobbiamo essere grati, anche se a volte sono scomodi. Ed è una bella cosa che, senza iniziativa della gerarchia, con una iniziativa dal basso, come si dice, ma con una iniziativa anche realmente dall’alto, cioè come dono dello Spirito Santo, nascono nuove forme di vita nella Chiesa, come del resto sono nate in tutti i secoli.

La seconda regola è questa: la Chiesa è una; se i movimenti sono realmente doni dello Spirito Santo, si inseriscono e servono la Chiesa e nel dialogo paziente tra pastori e movimenti. Questo dialogo è a tutti i livelli, cominciando dal parroco, dal vescovo e dal successore di Pietro.

Infine oltre a queste due regole fondamentali direi: gratitudine, pazienza e accettazione anche delle sofferenze che sono inevitabili. Anche in un matrimonio ci sono sempre sofferenze e tensioni. E tuttavia vanno avanti e così matura il vero amore. Lo stesso avviene nella comunità della Chiesa: abbiamo pazienza insieme.

 

Come operare affinché la pastorale si nutra sempre più dell’ecclesiologia conciliare? In che modo fare sintesi fra vita spirituale e vita pastorale?

 

Cominciamo con quest’ultima domanda. Vorrei qui sottolineare il fatto che la pastorale non dovrebbe mai essere una semplice strategia, un lavoro amministrativo, ma sempre restare un lavoro spirituale. L’accento fondamentale deve essere proprio quello che l’essere pastore è in se stesso un atto spirituale. Nel Vangelo di Giovanni (Gv 10) il Signore si definisce il buon Pastore. E come primo momento, Gesù dice che il pastore precede. Cioè lui mostra la strada, fa prima quanto devono fare gli altri, prende prima la strada che è la strada per gli altri. Mi sembra che in questo “precedere” è già detto l’essenziale. Il capitolo 10 di Giovanni continua poi riferendo che Gesù precede donando se stesso sulla croce. E questo è anche inevitabile per il sacerdote. Questo offrire se stesso è anche una partecipazione alla croce di Cristo ed è grazie a questo che possiamo anche noi in modo credibile – per esempio – consolare i sofferenti, stare con i poveri e gli emarginati. Quindi la spiritualizzazione del lavoro quotidiano della pastorale è fondamentale. E per poter spiritualizzare il nostro lavoro, di nuovo dobbiamo seguire il Signore.

Secondo punto: l’ecclesiologia del concilio. Mi sembra che dobbiamo ancora molto di più interiorizzare questa ecclesiologia. E interiorizzando questa visione possiamo anche attirare il nostro popolo in questa visione. Mi sembra che il nostro pregare con il popolo, l’ascoltare insieme con il popolo la parola di Dio, celebrare con il popolo di Dio i sacramenti, agire con Cristo nella carità ecc., sia la strada maestra per nutrirsi dell’ecclesiologia conciliare e fare sintesi fra vita spirituale e lavoro apostolico.

 

a cura di Sergio Rotasperti

 

1 La versione integrale dell’«Incontro di sua Santità Benedetto XVI con i seminaristi (17/02/07)» e «Incontro del Santo Padre con i parroci e il clero della diocesi di Roma (22/02/07)» è accessibile sul sito: www.vatican.va