PROGRAMMA DEI MISSIONARI DELLA CONSOLATA
PRIMA SANTI E POI MISSIONARI
Proposto un
biennio tutto incentrato sul primato della vita spirituale, nella convinzione
che senza la santità di vita non si può essere nemmeno buoni missionari. Il
punto di riferimento è il fondatore, il beato Allamano, mentre come protettore
per il primo dei due anni è stato scelto Charles de Foucauld.
Non capita di frequente che un istituto, in
mezzo alle tante preoccupazioni a cui far fronte, scelga come programma di
azione “la santità di vita”. Forse perché è un argomento che si tende a dare
per scontato per chi vive una vita di speciale consacrazione. Questo invece è
proprio il tema proposto dalla direzione generale dei missionari della
Consolata per il biennio che va dal 7 ottobre 2006 al 20 giugno 2008, in
conformità con gli orientamenti e le proposte dell’XI Capitolo generale che
suggerivano di ri-centrare ogni sforzo attorno al primato della vita
spirituale.
Il cammino indicato per questi due anni
avrà come figura di riferimento il fondatore, il beato Giuseppe Allamano, il
quale fin da giovane seminarista, come scrive la lettera firmata da tutta la
direzione generale dell’istituto nell’indire questo progetto, si proponeva
«Voglio occuparrni dell’unico affare: farmi santo, fare e non aspettare». E
ancora: «Voglio abbracciare ad ogni costo tutto ciò che mi aiuta a farmi santo,
rigettando tutto ciò che mi può allontanare dalla santità».
A rafforzare questo impegno è stato scelto
come protettore annuale dell’istituto per il 2007 il beato Carlo de Foucauld,
contemporaneo dell’Allamano, per il fascino che la sua figura continua a
esercitare anche nella nostra epoca. Dopo che un giorno egli ebbe incontrato
Dio, scrive p. Aquiléo Fiorentini, superiore generale, per spiegare le ragioni
di questa scelta, fu spinto a intraprendere un deciso cammino di santità,
originale, definitivo, senza ripensamenti. «Anche a noi oggi, osserva il padre,
egli continua a porre tanti interrogativi e ci invita a uscire dalle nostre
rigidità, dalle frontiere rassicuranti o dai piccoli comfort spirituali, per
rispondere alle numerose sfide che egli ha affrontato, pur senza uscirne sempre
vincitore. La sua testimonianza ci provoca a rivedere forse non pochi aspetti
della nostra vita e missione, e a mettere in atto un più deciso impegno nel
proseguire la santità, in questo primo anno del biennio che ci vede occupati a
indirizzare il nostro sforzo verso questo traguardo».
SI È MISSIONARI
SOLO SE SI È SANTI
Il biennio sulla santità, leggiamo nella
lettera della direzione generale, si propone di riscoprire e ravvivare le
caratteristiche della spiritualità proposta e voluta dal fondatore per
l’istituto: la ricerca di Dio, la centralità dell’Eucaristia, la parola di Dio
come nostro “primo libro”, la presenza di Maria, la preghiera liturgica e
personale, lo spirito di famiglia e l’amore alla Chiesa; il tutto orientato
alla missione e da essa ispirato e plasmato.
La tensione alla santità va messa al primo
posto. L’insistenza del fondatore su “prima santi e poi missionari” è talmente
ricorrente nelle sue conversazioni da essere certamente dimensione di carisma.
Per lui tutto è subordinato alla santità, tutto sgorga dalla santità. Solo chi
tende alla santità è veramente missionario della Consolata. Solo se si è santi
si diventa missionari: «Questa vocazione – diceva – è di quanti amano molto il
Signore, disposti a qualunque sacrificio per farlo conoscere e amare. In
missione si va soltanto per amore di Dio che è inseparabile dall’ amore per il
prossimo».
Alcune espressioni, prosegue, del Padre
Fondatore sono diventate per noi degli slogan: l’importante è di non fame
l’abitudine. Ci dobbiamo chiedere se si applichi anche a noi quello che è stato
detto da qualcuno sull’attività dei missionari, visti “più come impresari che
mistici”. Ciò contrasterebbe con il “voglio” deciso dell’ Allamano ai suoi missionari:
«Vi voglio santi e come missionari in modo superlativo» (cf. VS 127). «Voglio
vedere in voi la volontà costante di vivere una vita più che si può perfetta,
senza paura di esagerare... Questa è sempre stata la mia idea», perché «tanto
bene farete, quanto sarete santi» (Conf. III, 719; 711).
Il dinamismo della missione, proposto come
modello anche per la pastorale detta “ordinaria” viene da qui: «Ci vuole fuoco
per essere apostoli. Se non si è né caldi né freddi, ma tiepidi si ha solamente
il nome non la realtà dell’uomo apostolico».
Per i Missionari della Consolata,
riscoprire le vie della missione è percorrere le vie della santità. Uno stesso
e unico cammino conduce ad entrambe. La relazione tra santificazione e missione
evidenzia come non tutta l’azione missionaria è azione evangelizzatrice. Ma
soltanto quella che prolunga l’essere, l’operare e il vivere di Cristo ed è
partecipazione alla sua azione di salvezza. Ci santifichiamo solo e sempre
vivendo la nostra missione, che è sempre missione di testimonianza ed annuncio
del Vangelo a tutte le genti.
Questo insegnamento, per noi carismatico, è
proposto con urgenza e insistenza a tutti i cristiani nei documenti ufficiali
della Chiesa, in particolare nell’Evangelii nuntiandi e nella Redemptoris missio.
In essi la missione è presentata come opera e manifestazione di vita vissuta,
di gioia di credere, di forza magnetica che si sprigiona da amore ardente per
il Signore. È l’annuncio di un “Dio conosciuto e familiare”, di cui si è fatta
esperienza, è testimonianza visibile “dell’invisibile”. Per questo, le due
chiamate, alla santità e alla missione, vengono accostate in modo inscindibile.
La lettera apostolica Novo millennio
ineunte pone la santità e l’educazione alla preghiera come «fondamento» e
«punto qualificante della programmazione pastorale», perché «nonostante gli
ampi processi di secolarizzazione» vede nel mondo d’oggi «una diffusa esigenza
di spiritualità, che in gran parte si esprime in un rinnovato bisogno di
preghiera» (33-34).
È ribadita la necessità di un rinnovato
slancio e impegno missionario per poter rispondere a quanti, consapevolmente o
inconsapevolmente, chiedono ancora oggi di “vedere il Signore”: «Noi lo abbiamo
visto e ve lo annunciamo» (cf. NMI 59). Questa «rinnovata spinta verso la
missione ad gentes esige missionari santi... Occorre suscitare un nuovo ‘ardore
di santità fra i missionari e in tutta la comunità cristiana» (RM 90).
Questo evidenzia come la proposta del
Capitolo generale è un’intuizione profonda che impegna la nostra credibilità di
“missionari veri” e ci inserisce in un progetto proposto dalla Chiesa per i
nostri giorni.
SANTITÀ
E COMUNIONE CON CRISTO
La santità, prosegue sempre la lettera
della direzione generale, nasce dalla comunione profonda con Cristo. «Non si può
comprendere e vivere la missione, se non riferendosi a Cristo come inviato a
evangelizzare» (RM 88), mentre la vita deve essere tutta presa da lui, «toccata
dalla sua mano, raggiunta dalla sua voce, sorretta dalla sua grazia» (VC 40).
La vivacità missionaria dipende dalla forza della fede in Cristo e ogni
debolezza di fede in lui provoca una diminuzione di impegno per la missione.
Così, nei documenti ecclesiali ritorna insistente l’invito a «contemplare il
volto di Cristo», a «ripartire da Cristo» «da conoscere, amare, imitare» (cf.
NMI 16). È dall’esperienza personale di incontro con Cristo che scaturisce il
dinamismo missionario. Così è avvenuto, fin dagli inizi, per coloro che hanno
incontrato il Risorto. I primi missionari, gli apostoli, portavano nel cuore e
negli occhi il volto del Risorto. La contemplazione del suo volto porta ad
assumere la sua forma di vita, quella di Dio che si abbassa, sceglie le vie
della debolezza, si fa servo, solidale fino alle estreme conseguenze con
l’umanità.
Questo è il nucleo fondamentale della
proposta di santità dell’Allamano. Fin da giovane volle porre Gesù come
«oggetto dei miei pensieri e delle mie azioni». Poteva quindi proporre con
convinzione: «Vivete di Gesù per tutta la vita». Ciò lo ha portato ad affermare
come Paolo: «Non sono più io che vivo, Cristo vive in me». Meta, che se
raggiunta, permette di affermare, sempre secondo il beato Allamano: «Ho Cristo
stampato in me».
È interessante il collegamento che fa tra
questa bella espressione e quella di avere la missione “nella testa, sulla
bocca, nel cuore”. Non si decide, infatti, di giocarsi la vita per la missione
se non spinti da un grande amore per Cristo, dalla convinzione che la sua è
veramente la bella notizia da far circolare. Di qui viene anche la carica per
«amare gli altri più della propria vita» e a spenderla per loro. Senza questa
convinzione, si avrebbe «solamente il nome non la realtà del missionario».
È motivo di riflessione, a questo
proposito, la bella affermazione di sant’Agostino sulla ricerca di Cristo: «lo
trovi solo per cercarlo di più», per cui se uno non sente il bisogno di questa
continua ricerca, è segno che non lo ha ancora trovato.
SANTITÀ
PROGETTO DI COMUNIONE
La santità non è un lavoro esclusivamente
personale e nemmeno una strada solitaria, ma è l’impegno di una comunità, un
progetto di comunione, un cammino tra la gente. In questa visione emerge la
necessità e l’importanza di costruire santità e missione nella comunità e
quindi nella carità. Ambedue infatti sono testimonianze d’amore ed esigono
testimoni d’amore. È nella vita di comunione che ci giochiamo la credibilità
delle nostre scelte e l’autenticità del nostro cammino verso la santità. La
vita di comunione non sceglie i propri compagni di viaggio, ma diventa invito a
riconoscere, anche sul volto dei fratelli che ci stanno accanto, la luce di
Cristo. La vita di comunione dà origine ad una dinamica nella quale tutti i
membri devono assumere la propria responsabilità. Di fatto, non si può vivere
la comunione e avere una autentica tensione alla santità, se non si è creatori
di comunione: «La Chiesa costruirà la comunione dell’umanità intera nella
misura in cui essa sia comunione». Che cosa ci manca veramente per essere
“eucaristici”, “figli della Consolata” , per sentirci in famiglia, per celebrare
in pienezza l’azione di grazie, per essere dei veri consolatori nel nostro ad
gentes?
Le costituzioni ci ricordano che «il fine
che ci caratterizza nella Chiesa è l’evangelizzazione dei popoli (... Esso)
deve permeare la nostra spiritualità, guidare le scelte, qualificare la
formazione e le attività apostoliche, orientare totalmente l’esistenza» (n. 5).
Come possiamo sviluppare questo orientamento per unificare la nostra vita e per
animare i “non credenti”?
La lettera della direzione generale
conclude: «Vorremmo invitarvi, cari confratelli, a fare una riflessione a
livello personale, comunitario e di circoscrizione per migliorare la qualità
della nostra vita, studiare e approfondire gli elementi che caratterizzano la
santità e confrontarci con i testimoni della nostra famiglia».