SIMPOSIO A 60 ANNI DALLA “PROVIDA MATER ECCLESIA”

QUESTO È IL TEMPO PER NOI

 

Una felice sintesi di teologia e vissuto: potrebbe essere questo il giudizio di un evento che non ha avuto solo il sapore della commemorazione ma anche lo spessore dell’approfondimento teologico, l’emozione dell’incontro, culminato nell’udienza del Santo Padre, e la concretezza delle testimonianze.

 

Per il simposio, sono giunti a Roma, presso l’aula sinodale, quattrocento rappresentanti degli oltre 215 istituti presenti in numerose nazioni dei cinque continenti. La Conferenza mondiale degli istituti secolari (CMIS), infatti, ha organizzato per i giorni 3-4 febbraio 2007 un Simposio, in occasione del sessantesimo anniversario della promulgazione della Costituzione apostolica Provida mater ecclesia di Pio XII, che «ebbe il merito storico – come ha affermato. mons. Gardin,– di inserire ufficialmente nella Chiesa (…) forme di vita ora chiamate istituti secolari».

Sostando sul titolo del simposio, nel suo intervento introduttivo, il segretario della Congregazione per la vita consacrata e le società di vita apostolica ha però ribadito che si tratta di una vocazione sempre nuova, in quanto si misura con le provocazioni del tempo e le attese del mondo, e interpreta profeticamente la modalità con cui la Chiesa si pensa in relazione con la storia. «La Chiesa attende molto da voi», ha detto, citando Giovanni Paolo II; «ha bisogno della vostra testimonianza per portare al mondo (…) il gioioso annuncio che ogni aspirazione autenticamente umana può trovare nel Cristo il suo compimento». E, nella Chiesa, i religiosi stessi – aggiungeva – possono venire arricchiti «dalla vostra capacità di costruire una sintesi sana e feconda tra consacrazione e mondo»; «voi aiutate noi religiosi ad amare comunque il mondo, e soprattutto a riconoscere che mentre il mondo può essere luogo di santità, anche il chiostro – per usare un luogo simbolico – o comunque la comunità religiosa, può divenire spazio di mondanità. Si può essere mondani separandosi dal mondo, in spazi che si pretendono evangelici, e si può essere evangelici dentro il mondo».

 

FONDAMENTI

TEOLOGICI

 

Il card. Cottier ha commentato l’espressione con cui viene indicata da Pio XII, nel motu proprio Primo feliciter, la specificità della consacrazione secolare: Non tantum in saeculo sed veluti ex saeculo. Il membro di un istituto secolare è chiamato alla santità «non solo nel mondo, ma per così dire con i mezzi del mondo». Partendo dagli scritti giovannei, il pro-teologo emerito della Casa pontificia ha descritto il mondo come il luogo dello scontro tra il progetto di Dio, iscritto nella creazione e confermato nell’opera redentrice, e l’opera del tentatore che induce al rifiuto e al peccato. «La fede e il rifiuto della fede appaiono, affermava, i fattori spirituali decisivi della storia umana e del suo dramma».

Su questo scenario appare la volontà di salvezza e si manifesta l’amore divino: “Dio ha tanto amato il mondo da mandare il suo Figlio Unigenito, affinché chi crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16-21). Su questo scenario si stabilisce la testimonianza del battezzato, chiamato a far discernimento per non cadere nel rischio del secolarismo e del laicismo, ma chiamato anche a introdurre nella natura, ferita con il peccato, la grazia di Cristo. In particolare il consacrato secolare, superata la concezione della perfezione come “disprezzo del mondo”, si impegna a rapportare tutte le realtà temporali e il loro uso al «metro della vocazione essenziale, che è quella del Regno e della vita eterna». «Il peccato, che non smette di agire in esso, non distrugge la sua radicale bontà, e l’amore redentore, che è dato dal dono del Figlio unigenito, è più forte del peccato». Allora «amare la bellezza del mondo, guardarsi dalle seduzioni del male, collaborare all’opera del redentore venuto a strappare l’umanità dalla schiavitù del peccato, con la preghiera, la testimonianza e la partecipazione alla croce di Gesù, manifestazione suprema della divina misericordia: ecco il senso cristiano dell’essere nel mondo».

Circa l’uso dei mezzi del mondo la riflessione del cardinale domenicano resta aperta, soprattutto quando incrocia i fenomeni sociali che interpellano l’etica. Egli stesso pone un interrogativo: «Si tratta forse del mondo con i suoi semi e le sue promesse di bene, oppure del mondo nel senso in cui san Paolo ci ammonisce “Non conformatevi al mondo presente, ma trasformatevi continuamente nel rinnovamento della vostra coscienza, in modo che possiate discernere che cosa vuole Dio da voi, cos’è buono, a lui gradito e perfetto”»? La risposta a questo interrogativo costituisce una sfida alla consacrazione secolare e può dare ragione al contenuto dell’espressione con cui Giovanni Paolo II definisce la santità: misura alta della vita cristiana ordinaria (NMI 31).

 

PRESENZA

NEL MONDO

 

Il prof. Luigi Pizzolato, ordinario di letteratura cristiana antica e preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano, ha proposto lo scritto del II/III secolo A Diogneto come riflessione esemplare sulla presenza dei cristiani nel mondo. Infatti gli Istituti secolari trovano in esso la magna charta della loro spiritualità. Innanzitutto perché risponde al perenne interrogativo della modalità con cui i cristiani sono chiamati a realizzare la loro presenza nel mondo, poi perché la risposta non è racchiusa in una formula teologica o morale, ma percorre il sentiero della narrazione. «L’A Diogneto infatti, ha affermato Pizzolato, non muove dalla definizione del Dio dei cristiani, (…) ritiene che sia possibile e più fruttuoso proporre un cammino a ritroso che, a partire dai dati visibili storici (culto e comportamento), permetta di rendere partecipabile agli altri il volto del Dio che li presuppone. Così i cristiani, come tutti gli uomini, diventano, per così dire, costruttori dei tratti del volto del loro Dio e responsabili della trasmissione di essi».

È stato davvero entusiasmante sentir elencare questi tratti: il pieno inserimento nel territorio, la condivisione totale della lingua e delle tradizioni, e nel contempo la paradossalità di non usarne appieno, manifestando la propria estraneità, quell’alterità che viene dalla cittadinanza celeste.

Citando Ezio Franceschini, il relatore ha sottolineato al riguardo l’importanza del riserbo per il membro di un istituto secolare: «Deve apparire in tutto uguale a coloro in mezzo ai quali opera senza che essi conoscano il segreto che lo lega a Dio mediante la professione dei consigli evangelici. Essi, i compagni di strada, vedranno le sue opere» e arriveranno a credere possibile a tutti «la santità di vita, nella fede e nella carità, qualunque sia il lavoro, il mestiere, la professione esercitati». È risuonato con tutta la sua attualità il passaggio relativo all’obbedienza delle leggi stabilite, che domanda «una certa dose di adesione, non solo un’accettazione passiva».

La contestazione avviene in positivo, attraverso il compito perenne e mai esaurito di avanzamento della legge, perché le leggi della città sono e saranno sempre imperfette rispetto alle leggi della cittadinanza vera dei cristiani, cioè alle leggi del Regno. Viene ovviamente chiamata in causa la testimonianza, che non ammette fughe o abbandoni, ma «fa vedere che è veramente sempre possibile far avanzare la legislazione della città verso traguardi di maggiore perfezione. Non ritrarsi quindi, ma stare dentro i processi mondani, assumendo la responsabilità della loro imperfezione, e sanarli sempre di più: l’azione è ostensiva (mostrare i propri valori) e pedagogica nello stesso tempo (cercare di migliorare il più possibile, gradualmente, l’ethos della città)».

La cifra interpretativa sintetica di tutto il discorso è data dall’immagine “anima nel corpo”. Citando un altro maestro di consacrazione secolare, Giuseppe Lazzati, il relatore ha spogliato questa immagine da ogni possibile interpretazione moralistica per presentare una constatazione ontologica: i cristiani sono anima del mondo solo per il fatto di esistere come cristiani. Scriveva testualmente Lazzati: «L’A Diogneto non configura un’evangelizzazione primariamente per annuncio, ma, direi, per sanazione ontologica ed esistenziale, che è resa possibile da chi ha giustificato i cristiani e li ha resi idonei a tale compito».

 

VISIONE

GIURIDICA

 

Sorella Sharon Holland, canonista, capoufficio della Congregazione istituti VC e società VA, ci ha aiutato a percorrere la storia degli istituti secolari attraverso l’evoluzione dottrinale, prima e dopo la stesura dei canoni 710-730 dell’attuale codice. Ha sorpreso la sua capacità di far parlare il diritto, sintetizzando il messaggio in esso contenuto con l’espressione tratta dalla Liturgia delle ore (vespri del lunedì della seconda settimana, antifona 3): “Fare di Cristo il cuore del mondo”. Dal Pro memoria del 1939, a lungo associato con i nomi di Gemelli e Dossetti, fino alla Lex peculiaris di Pio XII, la preoccupazione fu di asserire la consacrazione totale dei membri di Istituti secolari, ma l’espressione usata a questo scopo, quoad substantiam vere religiosa, offuscava la chiara identificazione degli Istituti in quanto secolari ma non religiosi. Sarà il concilio a chiarire che «gli istituti secolari comportano una vera e completa professione dei consigli evangelici nel mondo, riconosciuta come tale dalla Chiesa, pur non essendo istituti religiosi» (Perfectae caritatis 11). Il successivo magistero di Paolo VI ha dato l’apporto più incisivo e compiuto al gruppo di lavoro incaricato di rivedere i canoni del 1917 sulla vita religiosa: la chiamata alla santificazione personale e alla consecratio mundi; l’appartenenza alla Chiesa a titolo speciale, il titolo di consacrati secolari; la coincidenza profonda e provvidenziale esistente tra il carisma degli Istituti secolari e l’auspicata presenza dei cristiani nel mondo, per cui essi appaiono come provvidi strumenti con i quali la nuova relazione della Chiesa con il mondo può essere trasmessa; fino all’affermazione lapidaria, più volte citata al simposio, anche dal papa nel suo discorso, «Gli istituti secolari diverranno quasi il laboratorio sperimentale nel quale la Chiesa verifica le modalità concrete dei suoi rapporti con il mondo» (Paolo VI ai responsabili generali nel 1976).

Il risultato è contenuto nel canone 710 che definisce l’istituto secolare come «un istituto di vita consacrata in cui i fedeli, vivendo nel mondo, tendono alla perfezione della carità e si impegnano per la santificazione del mondo soprattutto operando all’interno di esso». I canoni successivi affrontano questioni relative alla condizione canonica, laicale o clericale, in mezzo al popolo di Dio, che non cambia; all’ambito della missione della Chiesa, della cui funzione evangelizzatrice i membri partecipano nel mondo e dal di dentro del mondo; allo stile di vita, che viene condotto nelle situazioni ordinarie del mondo.

Un congruo spazio è stato dedicato dalla relatrice al canone 713,3 che chiarisce e specifica la secolarità dei membri chierici: «Sono di aiuto ai confratelli con una peculiare carità apostolica, attraverso la testimonianza della vita consacrata, soprattutto nel presbiterio, e in mezzo al popolo di Dio lavorano alla santificazione del mondo con il proprio ministero sacro». L’ambito della presenza dei chierici quale fermento è in particolare il presbiterio, e il contributo che essi danno alla santificazione del mondo passa attraverso l’esercizio del ministero fra la gente. Holland rimanda a un seminario di studio sponsorizzato dai sacerdoti missionari della Regalità di Cristo nel 2003, i cui risultati sono stati pubblicati nel testo Preti cittadini del mondo, per conoscere il dibattito ancora vivo sul loro diritto di esistere, nonostante sia «chiaro che vi possono essere, e vi sono, degli istituti secolari di chierici». Secondo la relatrice, accogliendo il pensiero di Beyer, la secolarità degli Istituti di chierici va spiegata come il raf­forzamento della loro appartenenza al presbiterio diocesano o secolare, allo stesso modo che per i laici è una radicalizzazione della loro appartenenza al laicato. In conclusione sr, Sharon, offrendo una panoramica sugli ultimi pro­nunciamenti magisteriali, dalla Chri­sti­fideles laici (1988) alla Vita conse­cra­ta (1996), fino alla Deus caritas est (2005) e alcuni discorsi di Benedetto XVI, afferma che non vi è tempo più bisognoso e migliore di questo perché gli Istituti secolari, insieme con altri, ma nel loro modo specifico, portino piena­mente Cristo e i valori del Vangelo nel cuore del nostro mondo sofferente.

 

DIMENSIONE

PROFETICA

 

La perla del simposio è costituita però dal discorso del papa. Riferendosi alla Provida mater, egli ha affermato che «quell’atto giuridico non rappresentò il punto di arrivo, quanto piuttosto il punto di partenza di un cammino volto a delineare una nuova forma di consacrazione: quella di fedeli laici e presbiteri diocesani, chiamati a vivere con radicalità evangelica proprio quella secolarità in cui essi sono immersi in forza della condizione esistenziale o del ministero pastorale». Al fascino per Cristo si aggiunge infatti la passione per il mondo, per la storia; per cui il nostro inserimento nelle vicende umane costituisce “luogo teologico”, in quanto lì siamo chiamati a farci santi.

Ecco il cammino: l’adesione oblativa al disegno salvifico manifestato nella Parola rivelata, la solidarietà con la storia, la ricerca della volontà del Signore iscritta nelle vicende umane governate dalla sua provvidenza e ancora la testimonianza delle virtù umane, la bella condotta di vita. L’affondo profetico non si fa attendere. Il papa ci ricorda che fa parte della missione secolare l’impegno per la costruzione di una società che riconosca nei vari ambiti la dignità della persona e i valori irrinunciabili per la sua piena realizzazione: dalla politica all’economia, dall’educazione all’impegno per la salute pubblica, dalla gestione dei servizi alla ricerca scientifica. E più avanti, dopo aver ricordato che ogni circostanza in cui l’uomo vive e muore costituisce l’occasione per testimoniare l’opera salvifica di Dio, invita a una rinnovata capacità di discernere i “segni dei tempi”. E questo deve avvenire, egli afferma, «non dal di fuori della realtà, ma dall’interno, attraverso un pieno coinvolgimento. Ciò avviene per mezzo delle relazioni feriali che potete tessere nei rapporti familiari e sociali, nell’attività professionale, nel tessuto delle comunità civile ed ecclesiale. (…) A voi non è chiesto di istituire particolari forme di vita, di impegno apostolico, di interventi sociali, se non quelli che possono nascere nelle relazioni personali, fonti di ricchezza profetica»

Sta proprio qui la novità, nell’aver posto l’accento sull’insostituibilità delle relazioni. Anche il richiamo all’umano, a tutto l’umano, come luogo di apostolato, porta inevitabilmente all’impegno per le relazioni. Con slancio poetico Benedetto XVI conclude: «Siate seme di santità gettato a piene mani nei solchi della storia… Possiate dare frutti di fede genuina, scrivendo parabole di speranza con le opere suggerite dalla fantasia della carità».

don Francesco Zenna