ALCUNI VESCOVI NELLA GIORNATA PER LA VC
“GRAZIE PERCHÉ CI SIETE”
Un esplicito
riconoscimento dell’importanza della VC nelle Chiese locali. I consacrati,
affermano i vescovi, sono più significativi per quello che sono che non per
quello che fanno. L’augurio corale è di amare la propria chiesa locale e di
inserirsi in maniera sempre più convinta nella sua programmazione pastorale.
Da undici anni, ormai, viene celebrata la
Giornata mondiale per la vita consacrata. È una giornata, almeno
intenzionalmente, rivolta a tutte le componenti delle nostre chiese locali per
sensibilizzarle alla realtà di questa esperienza di vita e alla sua importanza
in una prospettiva di piena comunione di tutte le vocazioni.
Può essere interessante, allora, riprendere
in mano alcuni testi delle omelie pronunciate dai vescovi in occasione di
questa ultima giornata. Si tratta, appunto, di omelie, inserite nel conteso di
una ben determinata celebrazione eucaristica, non quindi, di riflessioni
sistematiche sulle grandi “sfide” di fronte alle quali si trova oggi la vita
consacrata. Sono sempre comunque indicative di ciò che i nostri pastori
percepiscono come particolarmente importante e significativo della vita consacrata,
vista un po’ da tutti come una espressione radicale dell’amore di Cristo per la
Chiesa e per l’uomo di oggi e di tutti i tempi, un segno di santità per sé e
per gli altri, una testimonianza profetica che annuncia e anticipa nell’oggi la
pienezza dell’eternità.
Dai consacrati oggi ci si attende la
riaffermazione del primato di Dio nell’orizzonte del tempo e del mondo, il
primato dell’amore fedele a Cristo, alla propria comunità religiosa, alla
Chiesa in un contesto sempre più lontano da Dio.
La vita dei religiosi è un segno eloquente
dell’incontro del mistero di Dio e del mistero della persona. Il loro carisma è
vissuto come segno di cattolicità e di totale apertura al mondo. Da qui,
allora, il ricorrente augurio a conservare nel proprio servizio alla Chiesa e
al mondo la certezza che la loro vita è un dono prezioso di Dio. Da qui la
richiesta avanzata ai religiosi di non stancarsi mai non solo di pregare, ma
anche di aprirsi con sempre maggiore convinzione, e possibilmente anche con
docilità, alla programmazione pastorale delle proprie chiese locali.
UN’ESISTENZA
PROFETICA
Ma più concretamente e in maniera più
diretta che cosa hanno detto alcuni dei nostri vescovi in occasione dell’ultima
giornata per la vita consacrata? «Noi questa sera, noi chiesa di Bologna, ha
detto, ad esempio, il card. Carlo Caffarra, celebriamo l’Eucaristia per
ringraziare il Padre della vostra esistenza». Di fronte alla piena
consapevolezza del fatto che le forze vive, anche nel campo della vita
consacrata, vanno sempre più diminuendo, ha così incoraggiato i presenti: «Non
abbiate paura! Il mondo ha bisogno soprattutto del vostro esserci ancor più che
del vostro fare. La vostra persona è già una profezia vera e propria… che
rivela all’uomo l’uomo stesso: il senso della sua libertà, la grandezza delle
decisioni definitive, la dignità del corpo della persona, la bellezza della
gratuità, lo splendore del dono di sé».
Un altro vescovo, mons. Luciano Monari, di
Piacenza, ha affermato che la vita religiosa «è una consacrazione a Dio compiuta
liberamente e gioiosamente da chi si rende perfettamente conto di aver ricevuto
tutto da Dio e desidera riconsegnare tutto a Dio, rispondere all’amore di Dio
con la riconoscenza di tutta la propria vita. I tre voti di verginità, povertà
e obbedienza diventano allora «i segni di un’esistenza che non si rivolge verso
il mondo per appropriarsene, ma si rivolge a Dio per benedirlo». Sono i segni
«di un’esistenza profetica che va chiaramente controcorrente». I consacrati non
guardano mai al mondo per “possederlo”, ma a Dio per “adorarlo”, per
“salvarlo”. Sull’esempio di Gesù, modello perenne della consacrazione
autentica, i religiosi non sono mai consacrati per sé stessi, ma unicamente per
«diventare strumenti di Dio a favore dell’uomo, di ogni uomo».
Da parte sua, il patriarca di Venezia,
Angelo Scola, ha affermato che il carisma di fondazione, quando è partecipato
per grazia e vissuto nella comunione della propria famiglia religiosa «è
cattolico e apre a vivere le dimensioni del mondo». Per questo, ha aggiunto, il
patriarca, i suoi collaboratori e tutti i fedeli del patriarcato «contano
moltissimo su di voi!». Anche solo la visita pastorale in atto «documenta
l’azione straordinaria che svolgete nel campo dell’educazione, della
condivisione del bisogno dei poveri e degli ultimi, nella edificazione della
vita nelle comunità parrocchiali». Da qui, allora, il conseguente caldo invito
a testimoniare la “bellezza del carisma” radicandolo sempre di più e aprendosi
con sempre maggior docilità al metodo di vita cristiana proposto nella chiesa
patriarcale di Venezia.
L’arcivescovo di Genova, mons. Angelo
Bagnasco – nominato ora nuovo presidente della Conferenza episcopale italiana,
quale successore del card. Ruini – ha detto che l’amore, nella forma radicale
dei tre voti religiosi, «è non solo necessario come il pane, ma anche esaltante
per sua bellezza che avvolge e invade ogni fibra del nostro essere». Oggi più
che mai, il mondo «ha bisogno della vostra lieta testimonianza di
consacrazione. È importante quello che fate, ma è più importante quello che
siete: uomini, donne, giovani e anziani, innamorati di Cristo, giocati per lui,
persi per lui». I consacrati, infatti, sono chiamati a ricordare non solo «il
primato di Dio nell’orizzonte del tempo e del mondo», ma anche «la possibilità
e la bellezza dell’amore senza condizioni di tempo, di luogo, di situazione:
amore a Dio e amore fratelli e alle sorelle delle vostre comunità, dedizione
alla gente di quest’ora». Sono i giovani, soprattutto, ad attendere dai
religiosi un “messaggio di speranza”. Infatti, «se voi date l’esempio di amore
verso coloro che non avete scelto ma che trovate nelle vostre comunità, essi
saranno confermati nella possibilità dell’amore fedele verso coloro che
liberamente scelgono come compagni di strada per costruire una vera famiglia».
Ringraziando i religiosi per la loro presenza e per quanto fanno nella diocesi,
mons. Bagnasco ha concluso sottolineando la “duplice testimonianza” a cui sono
chiamati i religiosi: quella «dell’amore fedele a Cristo» e quella «dell’amore
fedele, gioioso e operante alle vostre comunità e alla Chiesa».
Mons. Lorenzo Chiarinelli, vescovo di
Viterbo, si è riferito invece al convegno ecclesiale di Verona, per invitare i
consacrati ad «approfondire e assumere come stile di vita una spiritualità
della speranza» che si fonda su un evento, su una persona, Gesù Cristo. Solo in
questo modo la speranza, soprattutto per le persone consacrate, diventa
«testimonianza profetica che annuncia e anticipa nell’oggi la pienezza
dell’eternità». La vita di consacrazione «è un canto dell’eternità nel cammino
del tempo», che «annuncia le cose ultime, mentre sa vivere e sa impegnarsi
nelle cose penultime, sostenuta dal desiderio e dall’attesa della patria
beata». Essere testimoni di speranza, «è un compito grande, esigente e
necessario» assunto e svolto con esemplarità dai propri fondatori, modelli
impareggiabili a cui ci si dovrebbe ispirare per “camminare” nella speranza.
«Come vescovo di questa chiesa, ha concluso, vi esprimo stima, riconoscenza e
affetto. Pregate per me e per questa chiesa che Dio ci ha inviato a servire».
SULLE FRONTIERE
DELL’EVANGELIZZAZIONE
Sulla linea degli altri vescovi, anche il
vescovo di Vicenza, mons. Cesare Nosiglia, ha sentito il bisogno di esprimere
un forte dovere di riconoscenza «verso questo “esercito di pace e di amore”
che, giorno dopo giorno, nel silenzio del proprio lavoro pastorale, costruisce
una rete di bene e coopera per la venuta del Regno di Dio sulla terra». Le
forze vive di questo “esercito”, a Vicenza, sono numerosissime e il vescovo le
ha volute ricordare un po’ tutte: i religiosi e le religiose impegnate nel
servizio delle scuole materne e paritarie, nel catechismo parrocchiale e di
gruppo, nell’animazione degli adolescenti e dei giovani, nella cura assidua
degli anziani nelle tante case di accoglienza, negli ospedali, nelle cliniche,
nelle visite domiciliari agli ammalati, nelle missioni ad gentes, «dove operano
sulla frontiera più avanzata della evangelizzazione e della promozione umana e
sociale per annunciare Gesù Cristo e testimoniare, a volte anche con la loro
stessa vita donata nel martirio, la fedeltà alla propria vocazione di
consacrati e di servi dei fratelli dei poveri». Anche se forse i consacrati
sono spesso apprezzati per i loro tanti servizi apostolici, «il loro primo
servizio nella Chiesa e nel mondo, ha precisato, è la loro stessa
consacrazione, è quel carisma spirituale che esprimono con la scelta di vita
che fanno per Cristo e il suo corpo, la Chiesa».
Mons. Nosiglia non poteva trascurare,
ovviamente le claustrali, “segno alto e fecondo” del primato di Dio, così, come
non ha voluto dimenticare i consacrati negli istituti secolari, presenti e
operanti nei diversi ambiti spirituali, pastorali e culturali della vita della
diocesi. Essi infatti operano come «lievito nascosto ma ricco di fermento
evangelico nella pasta del mondo e della storia”. In questo modo diventano un
«paradigma esemplare per quella vocazione laicale e consacrata insieme che
tanto bene ha fatto e può ancora fare nell’attuale momento in cui la Chiesa
chiede a tutti i battezzati una forte testimonianza di Cristo risorto, speranza
del mondo e nel mondo».
Non meno significative sono le espressioni
usate dall’arcivescovo di Milano, il card. Dionigi Tettamanzi, nella sua lunga
lettera alle “sorelle di vita consacrata” scritta proprio in occasione di
quest’ultima giornata mondiale per la vita consacrata. Prendendo lo spunto
dalle letture bibliche del 2 febbraio e sviluppandole poi nella parabola evangelica
delle dieci vergini, ha articolato tutto il suo discorso in un’ampia
meditazione vera e propria. Lo ha fatto col desiderio di essere vicino a ognuna
di loro, in segno di gratitudine per il servizio quotidianamente prestato alla
chiesa ambrosiana con l’amore e l’attività pastorale e missionaria nei più
diversi ambiti della vita ecclesiale e sociale. Per un senso di responsabilità
legato al ministero proprio del vescovo, questa sua lettera è diventata,
insieme, anche una “preghiera” per il cammino spirituale di tutte le consacrate
verso la perfezione dell’amore, la santità.
Se le vergini, di cui parla la parabola,
come è detto nella “Bibbia di Gerusalemme”, rappresentano tutte «le anime
cristiane nell’attesa dello sposo, il Cristo», per cui, «anche se egli ritarda,
la lampada della vigilanza deve restare pronta», è allora facile comprendere
che la pagina evangelica riguarda non solo tutti i fedeli cristiani, in forza
della loro fede e del loro battesimo, ma anche «voi, carissime sorelle di vita
consacrata. Vi riguarda secondo la modalità peculiare della vostra
consacrazione al Signore che, come sapete e come il concilio ci ricorda,
costituisce per tutta la Chiesa un segno escatologico proprio, perché “meglio
preannunzia la futura risurrezione e la gloria del Regno celeste” (LG 44)».
Sempre in vista di questa giornata, il
primo messaggio inviato ai consacrati e al quale vari vescovi si sono poi
ispirati per le loro riflessioni, era stato quello della commissione episcopale
per il clero e la vita consacrata. Con questo testo si voleva riconoscere e
incoraggiare «l’opera di tutti quei consacrati, in particolare le religiose,
che si offrono instancabilmente al servizio delle famiglie del nostro paese».
Dopo aver sottolineato l’alto livello di professionalità e di testimonianza che
i religiosi e le religiose sanno “profondere” in tutte le loro attività
apostoliche e pastorali, viene espresso l’auspicio che, accanto a una adeguata
qualificazione professionale, sappiano sempre radicare quanto fanno in “forti motivazioni
di fede”. La sostanza della consacrazione religiosa è tutta qui: saper stare
“nel tempio” e scandire la propria giornata con la preghiera della Chiesa «per
essere così capaci di accorgersi della presenza di Dio nell’oggi». L’augurio
conclusivo non poteva non essere, allora, se non quello di conservare, nel
proprio servizio alla Chiesa in Italia e nel mondo, «la certezza che l’offerta
della propria vita è un dono prezioso che Dio gradisce, come ha accolto la vita
del Cristo, il quale ha dato sé stesso per noi».
Angelo
Arrighini