COOPERAZIONE RELIGIOSI-LAICI
INSIEME PER SERVIRE
Da un convegno di
religiosi e laici una riflessione puntuale e stimolante sulla cooperazione
all’interno del mondo gesuita: lavoro di rete, collegamento settoriale, analisi
comune della realtà, studio di strategie condivise di azione, presenza e voce
unitaria nel tessuto sociale… le parole chiave del futuro.
Nell’ottobre 2006 circa quaranta religiosi e più di duecento laici gesuiti,
in rappresentanza di una sessantina di iniziative, hanno dato vita al primo
incontro nazionale sul tema della cooperazione apostolica (Insieme per servire,
Sassone di Ciampino, Rm, 6-8/10/06). «Per i laici – a parlare è Lorenzo
Manaresi, dell’esecutivo nazionale della CVX Italia e vicedirettore della Casa
di esercizi spirituali Villa San Giuseppe in Bologna – la sfida è uscire da una
dinamica di relazione personale con uno specifico gesuita, che pure è
all’origine di tutte le esperienze di collaborazione, per aprirsi a una
relazione più ampia con l’intero corpo apostolico della Compagnia e allo stesso
tempo elaborare un loro originale modo di vivere, da laici, la spiritualità
ignaziana». Per i gesuiti è il momento di uscire insomma da una dinamica
incentrata sulle proprie opere, per aprirsi a una progettualità più articolata
e per ricollocarsi in un modo nuovo di fare apostolato. Esperienze ordinarie di
collaborazione coi laici in Italia ce ne sono e ce ne sono state storicamente
tante: le più strutturate sono forse nel campo del sociale, ma anche in quello
della spiritualità e degli Esercizi. Nei collegi poi la collaborazione avviene
sia con persone motivate, spesso coinvolte nella leadership, che con coloro che
sono semplici dipendenti. Poi c’è ancora il mondo giovanile, la cultura, il
mondo universitario, il mondo delle comunicazioni, ecc. nei quali la
collaborazione è ampia, ma meno strutturata e meno ragionata.
DIETRO LA PAROLA
COLLABORAZIONE
Collaborazione può voler dire tante cose: l’universo gesuita, differenziato
in base al grado di condivisione di un progetto e di una responsabilità,
necessita secondo Manaresi di un «impegno più preciso, di un’analisi puntuale
di ciò che funziona e ciò che funziona meno, di quali siano le premesse
necessarie e le condizioni indispensabili per realizzare una collaborazione,
nonché la necessità di dotarsi degli strumenti per governare questa novità, che
in alcuni casi è dirompente, e di prepararsi adeguatamente a operare in questo
modo nuovo». Ecco allora un’esigenza innanzitutto di formazione specifica alla
collaborazione e all’assunzione di ruoli di responsabilità, che riguarda sia i
religiosi che i laici. Per i primi con un’attenzione particolare nelle varie
fasi formative e nei momenti di orientamento a una futura attività apostolica;
per i secondi Per i laici con un solido bagaglio personale di base, che
permetta alla Compagnia di avere interlocutori affidabili, persone cresciute
alla scuola della Parola e degli Esercizi.
Secondo il nostro interlocutore. laici presenti all’incontro hanno
dimostrato di essere «il frutto maturo di un’intensa attività di formazione, di
cui la maggior parte ha potuto usufruire fin dall’età giovanile, grazie alle cure
di una generazione di gesuiti che ormai sta invecchiando e scomparendo, senza
che emerga, da parte laicale, un’altrettanto efficace capacità apostolica di
annuncio e di guida». Questo interpella innanzitutto le associazioni laicali di
spiritualità ignaziana, a partire dalle CVX, il cui numero è in progressivo
calo forse proprio per la mancanza di formatori di nuove generazioni di laici.
In questo senso occorre riflettere sull’identità e il ruolo dei laici che
assumono compiti di particolare responsabilità nelle opere della Compagnia, la
loro relazione con i religiosi: importante guardare ai criteri per la scelta
dei collaboratori, all’oggettività di un rapporto di collaborazione e come
questo stia in relazione a legami soggettivi; importante valutare il diverso
apporto dei laici dipendenti e di quelli volontari (esigenze di continuità e di
competenza potrebbero in alcuni casi imporre limiti all’impiego del
volontariato, che però resta una risorsa fondamentale).
Appare evidente, come per molte istituzioni religiose, la difficoltà della
Compagnia a tenere in piedi tutte le realtà esistenti: la maggior parte dei
laici ha coscienza che si tratta oggi di prendere decisioni anche impopolari,
specie se si parla di chiusura di opere o comunità, se davvero si vogliono far
nascere nuove risorse e progettualità.
In Italia si registrano ormai diverse situazioni in cui proprio da una
crisi di presenza della Compagnia sono emerse nuove spinte e si è registrato un
maggior coinvolgimento dei laici. Certo non si può semplificare con una formula
preconfezionata a tutte le situazioni, alcune delle quali patiscono di più la
fine di una presenza. Ciò capita soprattutto quando si interrompe un progetto
già avviato, che ha coinvolto con scelte di vita singoli o famiglie: qui è importante
analizzare con precisione cosa è successo, per trarne insegnamento per il
futuro (dove è stato il problema? L’avere avuto come riferimento dei singoli
gesuiti piuttosto che dei superiori maggiori? La diversità di vedute
nell’alternarsi dei superiori maggiori? L’eccessiva personalizzazione di un
progetto attorno alla figura di qualche gesuita?). Secondo Manaresi, oltre alle
situazioni difficili ce ne sono però anche tante in cui si sperimenta con
soddisfazione un modo nuovo di operare insieme, in cui le parole chiave sono:
lavoro di rete, collegamento settoriale, analisi comune della realtà, studio di
strategie condivise di azione, presenza e voce unitaria nel tessuto sociale,
ecc.
«Tutte cose che non toccano solo la sfera della cooperazione tra religiosi
e laici, ma più in generale quella della collaborazione, per nulla scontata,
tra religiosi e religiosi e tra opere e opere. Ne è un esempio la neonata rete
di collegamento delle realtà di ispirazione ignaziana operanti nel sociale, il
Jesuit Social Network, vera e propria federazione di realtà sia della Compagnia
che dei laici, con un suo statuto e suoi organi di governo». Se ogni settore
apostolico avesse la sua rete di riferimento sarebbe più facile, per il governo
della Compagnia, pensare a occasioni di “consultazione” dei laici, che
sarebbero così più credibili testimoni di riflessioni e sensibilità condivise
in quel settore. Parere condiviso è comunque che in questo momento non sia
utile moltiplicare strutture formali, impegnative da tenere in piedi, ma
piuttosto favorire il lavoro di rete di cui si è detto.
SPIRITUALITÀ IGNAZIANA
E FORMAZIONE DEL LAICATO
P. Bartolomeo Sorge, ha inserito queste riflessioni in un ampio quadro di
riferimento, citando il decreto Cooperazione con i laici nella missione della
34ª congregazione generale: «Una lettura dei segni dei tempi dopo il Vaticano
II indica in maniera inequivocabile che la Chiesa del terzo millennio sarà la
“chiesa del laicato”… La Compagnia di Gesù riconosce come una grazia per i
nostri giorni e come una speranza per il futuro che i laici “prendano parte
viva, responsabile e consapevole alla missione della Chiesa in quest’ora
magnifica e drammatica della storia”. Noi cerchiamo di rispondere a questa
grazia ponendoci al servizio della piena realizzazione della missione del
laicato, e c’impegniamo a questo scopo cooperando con i laici alla missione».
La Compagnia, dunque, considera la cooperazione apostolica tra gesuiti e
fedeli laici non una mossa strategica, suggerita dal bisogno di far fronte alla
diminuzione delle vocazioni, ma una scelta profetica richiesta dallo Spirito
Santo a tutta la Chiesa. Il concilio, abbandonata la concezione di Chiesa come
società perfetta, la considera oggi nella sua realtà più profonda di mistero di
comunione degli uomini con Dio e tra di loro (LG 4); la Chiesa, è il nuovo
Popolo di Dio, sacramento (segno e strumento) dell’intima unione con Dio e
dell’unità di tutto il genere umano. Per Sorge qui è in radice «la fine del
vecchio clericalismo. La Gerarchia viene collocata all’interno del Popolo di
Dio, al suo servizio, e i fedeli laici non sono più minorenni, né meri
ausiliari del clero, ma per la loro parte compiono nella Chiesa e nel mondo la
missione propria di tutto il popolo cristiano».
A questo punto, ritorna la necessità di un laicato maturo, confermata sul
piano storico dai processi in atto nel nostro tempo. P. Sorge ha ricordato la
secolarizzazione, il relativismo e la globalizzazione: tensioni da governare
affinché l’umanità si realizzi come unità nella pluralità. «Il padre
Kolvenbach, ha continuato, nella sua lettera del 1991 ai collaboratori della
Compagnia, dopo aver sottolineato la varietà sia delle opere dei gesuiti, sia
dei laici che in modo diverso vi partecipano, insiste sul contributo specifico
della spiritualità ignaziana in vista alla formazione di un laicato maturo. Il
messaggio ignaziano è valido per tutti e consiste essenzialmente nel ricalcare
che la vita umana ha un senso: “Non siamo esseri senza un ideale, senza uno
scopo, senza un progetto. Siamo stati creati da Dio che ci ama. Siamo chiamati
a costruire sulla terra il regno di Dio”. Dio, cioè, chiama tutti e ciascuno di
noi, gesuiti e collaboratori laici, a partecipare in una grande avventura:
l’avventura del regno di Dio; c’invita a convergere verso una persona, verso
“il Cristo, Signore e Re eterno che, davanti al mondo intero, chiama ciascuno
singolarmente a vivere e a faticare con lui, in modo che, dopo averlo seguito
nella sofferenza, possiamo essere con lui anche nella gloria (ES 95). Sta qui
il fondamento teologico della comunione e della collaborazione tra gesuiti e
laici”».
Il Cristo della spiritualità ignaziana è il Cristo in azione, che va
predicando nelle sinagoghe, per le città e i villaggi, guarendo e facendo del
bene. Dunque, l’apostolato in stile ignaziano, al quale sono chiamati i laici
collaboratori della Compagnia, poggia essenzialmente sulla consapevolezza di
essere inviati a costruire il regno di Dio. Questo non viene attraverso la
lotta politica, ma neppure è estraneo alle vicende umane. I costruttori del
Regno sono soprattutto i poveri, i piccoli e i deboli, sono come un granello di
senapa o un pizzico di lievito, affinché appaia a tutti che chi veramente
costruisce e compie opere grandi è Dio. Il Regno mira a rinnovare le relazioni
tra gli uomini e si realizza progressivamente, a misura che essi imparano ad
amarsi, a perdonarsi, a servirsi a vicenda. Questo rapporto intrinseco del
Regno con la storia umana fonda l’atteggiamento di profonda simpatia con cui la
Compagnia guarda il bene che c’è nel mondo, lo scopre, lo assimila.
Quali linee di azione seguire allora affinché si realizzi una vera
collaborazione apostolica tra religiosi e laici in stile ignaziano? «Più che
sui ministeri direttamente gestiti da noi, dobbiamo focalizzare la nostra
attenzione sul rafforzamento dei laici nella loro missione». Per questo,
occorre definire da un lato, le finalità apostoliche delle diverse opere in cui
partecipano i laici, dall’altro, il grado diverso di partecipazione dei
collaboratori nelle differenti attività. Concludendo, p. Sorge ha identificato
tre interrogativi che la collaborazione religiosi-laici apre, e ai quali è
urgente trovare risposta, affinché non degenerino in tensioni: a) sotto
l’aspetto organizzativo e istituzionale: come impostare i rapporti tra un
direttore d’opera laico e il superiore dei gesuiti?; b) sotto l’aspetto più
propriamente apostolico: come mediare la giusta autonomia dei collaboratori
laici con le direttive dei superiori maggiori e della Chiesa, alle quali i gesuiti
sono tenuti ad adeguarsi per spirito d’obbedienza?; c) sotto l’aspetto
spirituale: come regolare i rapporti tra i gesuiti, visti come datori di
lavoro, e l’auspicabile accompagnamento spirituale dei dipendenti?
A cura di Mario Chiaro
1 L’incontro è stato preceduto da un sondaggio (hanno risposto 55
realtà su 90). È emerso che i laici lamentano la mancanza di religiosi, il loro
individualismo e turn-over nelle opere. Non essendoci chiarezza sul dove andare
e come andarci, a volte si rischia di navigare a vista. Il gesuita che arriva
(quando arriva...) pone un nuovo modo di procedere e a volte si comincia tutto
da capo. La mancanza, spesso, di un coinvolgimento nella fase progettuale viene
rilevata in vari ambiti e genera collaborazioni più strumentali che
relazionali. I laici valutano se stessi in termini di mancanza di formazione
specifica per il settore apostolico, mancanza cronica di tempo (famiglia,
lavoro, gestione del tempo libero ecc.) che rende il procedere fragile e
incerto. Non riescono, in vari casi, neanche i laici a fornire un ricambio
generazionale per il mancato coinvolgimento dei giovani nelle varie iniziative.
Dei 3000 laici censiti circa 400 sono a tempo pieno e oltre 200 a tempo
parziale, il grosso è dato dai volontari. L’età media è di 43 anni.