DEHONIANA LIBRI DI ROMA
AFFETTIVITÀ CAMMINO DI CRESCITA
L’affettività si
deve declinare secondo un processo peculiare di crescita che comporta paziente
attesa: non matura spontaneamente, e anzi ha bisogno di molti rapporti
interpersonali, è apertura al futuro, a una storia di fedeltà, quindi alla
scoperta e accoglienza della vita come vocazione.
Formazione continua e adeguata capacità di impostare e dirigere la vita
comunitaria, sono le risposte da dare ai consacrati e consacrate, in tutte le
fasi del loro percorso di crescita. E tenendo sempre ben presente che
l’educazione all’affettività non è un momento iniziale o tipico dei giovani
quanto una caratteristica e una esigenza della persona a tutte le età. Sono
solo alcuni dei molti argomenti emersi martedì 13 febbraio all’incontro
sull’“affettività” che si è svolto alla Libreria Dehoniana di Roma, nell’ambito
del ciclo di iniziative di studio, discussione e formazione varato quest’anno e
che da novembre proseguirà fino a tutto maggio. Il tema dell’affettività è
stato pensato soprattutto per la vita consacrata, e fa parte a sua volta di un
più ampio ciclo di incontri che affronterà il 20 marzo la “vita comunitaria” e
il 24 aprile l’altra importante problematica della leadership. Questa prima
volta, a confrontarsi e a lanciare stimoli di riflessione sull’affettività sono
stati suor Pina Del Core, FMA, docente di psicologia alla pontificia Facoltà di
scienze dell’educazione “Auxilium” di Roma e di don Gian Franco Poli, docente
al “Claretianum” di Roma per il “master” in leadership e dinamiche comunitarie.
Due le fasi del dibattito – l’affettività in senso specifico da un lato, la
vita fraterna come antidoto alla fuga – che si è svolto come un dialogo tra i
due relatori e seguito con grande interesse dal pubblico, composto da diverse
decine di religiosi e religiose e anche da alcuni laici.
I VISSUTI
CONCRETI
In una prima fase, si è affrontato il tema specifico dell’affettività, per
scandagliarne dimensioni e differenze con altri ambiti quali l’amore e
l’amicizia. In proposito, suor Pina Del Core ha rilevato che oggi in diversi
settori si nota un clima di paura e di sospetto verso l’affettività, a causa
certamente di una società che esibisce e rende difficile l’approfondimento e il
vissuto personali, e anche a causa di diverse situazioni in cui persone mature
di età decidono di lasciare le strutture ecclesiastiche (congregazioni
religiose o parrocchie), proprio in nome e a causa di uno “spavento” suscitato
“in loro dal lasciarsi prendere dalle emozioni”.
L’affettività si deve declinare secondo un processo peculiare di crescita
che comporta paziente attesa, attenzione, rispetto, discrezione, riserbo,
pudore, evitando spettacolarizzazione e ostentazione dei sentimenti; non cede a
forme di ricatto e di manipolazione e implica la responsabilità personale e la
promuove negli altri. Non matura spontaneamente, e anzi ha bisogno di molti
rapporti interpersonali, di confronto con persone significative che propongano,
non impongano, non cedano al moralismo e portino dal “devi” al “puoi”.
L’affettività è apertura al futuro, a una storia di fedeltà, quindi alla
scoperta e accoglienza della vita come vocazione. Questa si traduce in forme
specifiche molteplici che, se genuine, portano alla comunione, alla sintonia.
Invece la banalizzazione nell’erotismo provoca una crescente paura delle
relazioni affettive durature. Non raramente coloro che ostentano sicurezza nel
loro individualismo nascondono una grande fragilità relazionale, una difficoltà
a intessere rapporti significativi e fedeli. Vi è chi si rifugia nel lavoro, o
si arresta in modo narcisistico al legame affettivo materno, oppure è preso da
un senso d’angoscia che lo chiude nella passività fatalistica. La paura
ostacola il riconoscimento dell’altro nella sua alterità e nel suo valore
singolare e unico.
D’altra parte, secondo don Poli, proprio il legame tra l’affettività e le
dimensioni più profonde della persona può indicare quanto sia salda la
motivazione alla consacrazione. «Dobbiamo sempre tenere presente che il tema
dell’affettività e di come affrontare e risolvere le dinamiche che genera, è
legato al tipo di formazione ricevuta. In passato si esaltava la sublimazione,
preferendo dare spazio all’ideale di perfezione e all’ascesi. Abbiamo avuto
l’era dell’introspezione psicologica che ha tolto spazio alla vita spirituale.
Oggi siamo di fronte a un bombardamento mediatico e di modelli per cui di
fronte alla fatica quotidiana, alla frustrazione, anche all’incomprensione cui
si va incontro, saltano i punti di riferimento e magari si crede che
un’esperienza affettiva possa risolvere portando anche ad abbandonare la vita
consacrata. Si dimentica così che l’affettività riguarda tutte le età e che la
soluzione sta nella preghiera come anche nella vita fraterna vera, autentica,
che evita le fughe nel privato».
“IDEOLOGIA”
DELLA RINUNCIA?
Su questa stessa linea ha insistito suor Del Core. L’affettività – ha
precisato – si pone in antitesi con l’ideologia della “rinuncia”, che è invece
«sentita come una soluzione per incatenare un’energia magmatica» che può fare
paura; la mentalità della rinuncia, del rigido autocontrollo, dell’inibizione e
del blocco «non è mai una soluzione». Piuttosto occorre che i formatori – siano
essi operanti nelle congregazioni religiose, nei seminari, anche nel mondo
variegato delle associazioni e movimenti, a tutti i livelli pastorali – abbiano
gli strumenti per scandagliare a fondo l’ambito delle “motivazioni”, con la
capacità di porre domande sull’orientamento delle scelte di vita. La capacità e
la responsabilità di chi si occupa di formazione diventa allora una risorsa
assai preziosa, messa in evidenza sia da suor Del Core sia da don Poli,
soprattutto nell’attuale contesto.
Le difficoltà nei rapporti con i giovani e i meno giovani diventano
intense. Il mondo dei giovani presenta infatti «vistosi panorami di immaturità»
che non toccano solo o direttamente la sfera affettiva o sessuale, bensì
investono la maturità umana globale e i processi che portano alla formazione
dell’identità individuale. La tendenza delle società occidentali ad accorciare
l’infanzia e prolungare l’adolescenza, fa emergere nei giovani un disagio e una
difficoltà nell’elaborazione della sessualità, portando a vivere una certa
confusione di sentimenti che implica la non chiara distinzione tra amicizia e
tendenza omosessuale, tra innamoramento e amore vero. Problemi che toccano da
vicino chiunque abbia responsabilità educative e formative, soprattutto se
vicino di età ai formandi.
Devono poi venire considerate le dinamiche proprie per arrivare a una
compiuta “maturità affettiva”, una formula dietro la quale ci dovrebbe essere
la chiara idea che alla base di una vita vissuta con equilibrio (nella castità
consacrata, nella scelta celibataria, nella vita di relazione di ogni giorno),
siano indispensabili maturazione affettiva e integrazione della sessualità.
Quando il cammino di maturazione affettiva è stato compromesso, per motivi
legati alla storia individuale delle persone, o a carenze formative
istituzionali, si accertano difficoltà relazionali che a livello personale
sfociano in forme di chiusura e isolamento o in vere e proprie fughe, mentre
sul piano comunitario portano a tensioni, mancanza di comunicazione, conflitti,
individualismo esasperato, ricerca di compensazione.
Se invece viene curato un cammino di formazione globale, all’interno della
formazione iniziale e permanente, si guarda ai molteplici aspetti dell’identità
personale e culturale, includendo anche la dimensione di progettualità come lo
spazio e la possibilità di esprimere se stessi in una dinamica di realizzazione
delle proprie risorse. Tuttavia è stato ribadito che oggi il mondo giovanile
nel campo affettivo è particolarmente vulnerabile; va accompagnato perché possa
percorrere in maniera positiva il cammino di crescita dell’affettività
all’amore oblativo. La Chiesa è il luogo favorevole per maturare negli affetti
aprendoli all’amore e alla carità, ma non lo è automaticamente e soprattutto
gli adulti dovrebbero testimoniare un modo maturo di gestire gli affetti, per
costruirsi come personalità equilibrate, serene, capaci di discernimento, di
ascolto, di rapporti fraterni e amorevoli e diventando punti di riferimento per
le nuove generazioni.
I “NODI”
DELLA FORMAZIONE
La maggiore difficoltà, sottolineata da suor Del Core, riguarda il fatto
che chi è incaricato della formazione «si trova spesso di fronte a persone che
non si conoscono interiormente e dunque non possono lasciarsi guidare da
qualcuno. Assai spesso ai giovani in formazione si offrono degli elementi di
analisi interiore che risultano poco utili in quanto non riescono a cogliere o
a percepire la loro stessa realtà interiore». Da qui l’importanza di risalire
alle “motivazioni” che conducono alla scelta e l’importanza della testimonianza
di vita degli stessi formatori e formatrici, per “contagiare” così anche
l’ambiente intorno.
Don Poli da questo punto di vista ha parlato di “scelta vitale” come un
modo di vivere pienamente, mostrando in concreto con la propria vita la
contentezza di avere compiuto la scelta giusta. A patto che si sappia mostrarla
non solo a livello individuale ma anche a livello di vita comunitaria,
mostrando in maniera concreta come si possa e si debba vivere insieme.
Se la prima acquisizione dell’incontro ha riguardato il rapporto stretto
tra l’affettività e le relazioni tra le persone, il secondo passaggio compiuto
ha toccato la qualità delle relazioni interpersonali. Nel mezzo, al centro
delle argomentazioni, la definizione dei criteri per cui una scelta è veramente
fondata. Nel campo affettivo, suor Del Core ha sottolineato la triplice
dimensione che deve avere la scelta per ritenersi vera e fondata. Il rapporto
ha bisogno di intimità (dunque che ci sia un legame tra le persone, che abbiano
confidenza e capacità di scambiarsi contenuti e sentimenti), ha bisogno di
passione (genuino interesse e coinvolgimento), e infine si nutre della
determinazione, della decisione di andare avanti. Senza questa triplice
dimensione, non possiamo parlare di una vera e propria scelta e chi ha un
incarico nella formazione deve ben saper cogliere le diverse dimensioni
problematiche e far maturare secondo le tre direttrici indicate. A volte ci
possiamo anche trovare di fronte alla “impreparazione” di chi sarebbe invece
deputato a gestire il processo di formazione, con problemi che si riversano sui
soggetti in cammino con esiti gravi di incomprensione e di abbandono dello
stesso iter. Occorre dunque abituarsi a considerare l’affettività come parte
integrante di un percorso più ampio che abbia a che fare con la “relazione”,
con il sentirsi inseriti in un contesto che valorizza, approfondisce la comunicazione
tra le persone, rende possibile l’interscambio e la maturazione continua.
VITA COMUNITARIA
PROBLEMA E SOLUZIONE
«La relazione è origine e soluzione dei problemi», ha sottolineato in
maniera decisa suor Del Core. Definendola subito dopo «analizzatore di maturità
e di immaturità. Se la relazione funziona, allora tutti i componenti che la
vivono progrediscono sulla strada della maturità». In questo modo, il rapporto
interpersonale comunitario si trasforma in luogo di crescita, mentre al
contrario – ha notato don Poli – molti disagi nascono dentro la comunità o nel
gruppo quando diventa il luogo in cui i sentimenti vengono negati. «Prima di
agire come un gruppo che si rivolge all’esterno, occorre avere delle persone
che sappiano scommettere sulla relazione, che sappiano motivare, che realizzino
un dialogo tra le diverse generazioni presenti nei gruppi, nelle comunità,
nelle congregazioni. Occorre capacità di volersi bene e di voler bene».
Si è parlato in diverse occasioni, come un secondo filo conduttore, della
necessità di un’autentica vita comunitaria, in grado di incidere positivamente
sulle persone consacrate. «A patto – ha precisato don Poli – che si lavori per
il Regno e non per i propri ‘regni’, cioè gelosia, interesse, non accettare che
gli altri abbiano qualità e doni che noi non abbiamo. Invece in una vita
comunitaria autentica conta l’esserci di tutti e in questo modo ognuno ha una
parte diversa ed importante, secondo uno stile che va incontro alle persone ed
alimenta il loro bisogno profondo di venire accettati, accolti, compresi. Solo
in questo modo possiamo vivere la castità da consacrati, senza enfatizzarla a
scapito delle scelte di vita».
Fabrizio Mastrofini