MEDICI CATTOLICI AMBROSIANI

PREGARE FA BENE  ALLA SALUTE?

 

Un numero sempre maggiore di ricerche conferma che pregare, oltre che all’anima, fa bene anche al corpo. Ma attenzione: questo non significa che la preghiera debba essere intesa come un semplice metodo rilassante, bensì come un rapporto con Dio, animato dalla fede.

 

Il convegno, organizzato dai medici cattolici ambrosiani (AMCI 18/11/ 2006) aveva come titolo La preghiera: medicina dell’anima e del corpo. Su questo tema si sono confrontati credenti e laici come Massimo Cacciari, Gianfranco Ravasi, Ermanno Olmi, suor Ignazia Angelici.

Nella parte iniziale dei lavori si è data molta importanza alle ricerche effettuate su questo argomento, soprattutto in America, per giungere poi a parlare della preghiera in senso più specificamente cristiano.

Il prof. Giorgio Lambertenghi Deliliers (presidente AMCI Milano) ha introdotto il tema del convegno ricordando che sul potere della preghiera individuale o collettiva come strumento di guarigione, in questi ultimi 8-10 anni, sono apparse circa 200 pubblicazioni su riviste mediche qualificate, provenienti prevalentemente dal mondo medico anglosassone. Inoltre il più importante organismo di ricerca negli USA, il National Institute of Health, ha finanziato numerosi studi sulle reazioni fisiologiche e psicologiche che vengono attivate da pratiche spirituali, come la preghiera, la meditazione, lo yoga, e nel 1998 ha istituito lo specifico National Center for complementary and alternative medicine. «L’interesse verso questa tematica, ha aggiunto Lambertenghi, emerge anche da sondaggi nell’opinione pubblica che evidenziano come il 79% degli americani sono convinti che la fede può aiutare a guarire da una malattia, e il 48% dei pazienti ricoverati in ospedale sostiene che il medico dovrebbe pregare insieme a loro.

Un’altra ricerca condotta dall’American Academy of Family Physicians rivela che il 99% dei medici di famiglia pensa che il credere in Dio possa avere un effetto benefico sulla guarigione, e il 75% ritiene utile la preghiera, anche quella che avviene per intercessione da parte di famigliari, amici o gruppi di credenti». L’efficacia terapeutica della preghiera è collegata in genere a pazienti affetti da tumori, problemi cardiovascolari o malattie delle articolazioni.

 

RELIGIOSITÀ

E SALUTE

 

A titolo esemplificativo sono state censite alcune ricerche sul campo: un gruppo di ricercatori della Duke University nella North Carolina ha sostenuto che esiste un legame stretto tra pratica religiosa e pressione arteriosa (chi segue le funzioni religiose o legge la Bibbia con assiduità mantiene la pressione bassa, diminuendo quindi i rischi di infarti e altri accidenti cardiovascolari); uno studio apparso sul British Medical Journal sostiene che la recita ritmica del rosario ha un effetto favorevole di ordine psicologico e fisiologico, in quanto influenza positivamente il ritmo del respiro e la frequenza cardiaca; altri studi riportano che l’andare a messa riduce la mortalità e ha effetti positivi sulla riabilitazione negli operati all’anca. Altri ancora sostengono che la preghiera ha un effetto calmante sui dolori articolari causati da processi infiammatori, soprattutto nei pazienti di razza nera; alcuni ricercatori di Seul, infine, hanno dichiarato che la preghiera facilita lo sviluppo della gravidanza ottenuta dopo fertilizzazione in vitro e l’attecchimento dell’embrione trasferito in utero.

Esempi che dimostrano come i risultati e le conclusioni sono per la maggior parte frutto di osservazioni empiriche, non controllate e quindi non scientificamente attendibili. «Questo non vuol dire negare alla meditazione un ruolo positivo nel percorso verso la guarigione! I motivi di questo effetto terapeutico possono essere diversi: anzitutto l’effetto placebo; produzione di un senso di benessere fisico; uno stile di vita più sano nei riguardi dell’alcol, del fumo, dell’alimentazione e delle vaccinazioni preventive».

Più recentemente il rapporto tra religione, spiritualità e salute è stato affrontato con metodiche più corrette sul piano scientifico. Nel 2006 l’American Hearth Journal ha pubblicato una interessante ricerca condotta su circa 1800 pazienti, ricoverati in 6 grandi ospedali americani e operati per by-pass coronario, intervento che può causare una serie di complicazioni minori o maggiori nei primi 30 giorni. Il campione era composto da 3 gruppi di soggetti: 601 pazienti venivano avvertiti dal fatto che qualcuno stava pregando per loro; 604 erano inconsapevoli che qualcuno pregava per loro; 597 erano invece consapevoli che nessuno pregava per loro. Venivano escluse le preghiere dei pazienti stessi, così da eliminare qualsiasi effetto placebo o di autosuggestione. Il risultato dello studio è stato che le complicazioni post-operatorie non si riducevano per effetto delle preghiere, ma anzi erano maggiori nei soggetti consapevoli delle invocazioni altrui. Un altro articolo comparso sul New England Journal of Medicine giudica negativamente qualsiasi legame tra preghiera e salute, dichiarando che non esiste nessuna evidenza convincente sul piano scientifico che l’attività religiosa eserciti un effetto positivo sulla guarigione. Anzi il considerare la preghiera alla stregua di un antibiotico o di un farmaco salvavita è strumentale e offensivo per i credenti.

Possiamo quindi ritenere che la preghiera è una medicina del corpo? Come abbiamo visto si tratta di un’affermazione che richiede ulteriori studi clinici seri, controllati nei riguardi soprattutto delle numerose variabili che possono interferire sul risultato finale. Tuttavia la preghiera è senza dubbio una medicina dell’anima e dello spirito, un mezzo di contemplazione e di riflessione, un elemento di conforto, utile in quelle occasioni (nascita e morte) dove medico e paziente (anche se non condividono lo stesso credo) si trovano a dialogare sul senso religioso della vita.

 

LA POZZA

E IL MARE

 

In una Lettera ai vescovi del 1989 la Congregazione per la dottrina della fede ricordava che «il contatto sempre più frequente con altre religioni e con i loro differenti stili e metodi di preghiera, ha condotto negli ultimi decenni molti fedeli a interrogarsi sul valore che possono avere per i cristiani forme non cristiane di meditazione. La questione riguarda soprattutto i metodi orientali». Diventa oggi più pressante dunque individuare i caratteri propri della preghiera cristiana. Essa si configura, propriamente parlando, come un dialogo personale, intimo e profondo, tra l’uomo e Dio; è sempre allo stesso tempo autenticamente personale e comunitaria; rifugge da tecniche impersonali o incentrate sull’io, capaci di produrre automatismi nei quali l’orante resta prigioniero di uno spiritualismo intimista, incapace di un’apertura libera al Dio trascendente. In questo senso vanno prese molto sul serio le statistiche quando ci dicono che le situazioni frustranti, i pericoli più intensamente sentiti, fanno ricorrere a Dio: è necessario però che la volontà di vivere prevalga sull’angoscia poiché i sentimenti puramente negativi (disperazione o depressione) non suscitano mai un movimento verso di lui. Non si può attribuire alla preghiera insomma una forza coercitiva che concepisce Dio come una potenza piegabile a seconda della sua intensità.

Perciò Massimo Cacciari ha ricordato il concetto di preghiera pensante, ricordando il teologo Hans U. von Balthasar. Su queste basi e secondo sant’Anselmo e Dante Alighieri, il filosofo vede la preghiera non tanto come consolazione ma come dramma. Una preghiera riflessiva ha in sé dunque una potenza straordinaria e così scelta è radicalmente opposta rispetto alla superstitio. Su queste basi la filosofia torna addirittura ad avere a che fare con la preghiera, dal momento che essa diventa proprio un elemento critico ed effettuale del pensiero razionale anti-superstizioso.

Madre Ignazia Angelici, abbadessa benedettina a Viboldone, dal canto suo ha rimarcato come «la preghiera è farmaco che guarisce il corpo e l’anima» e, continuando la sua riflessione, si è posta la questione: cosa serve pregare? Si è rifatta anch’essa a sant’Agostino, per il quale il Signore attende la preghiera della creatura in quanto manifestazione e affinamento del desiderio: «pregare non serve a piegare Dio ai propri desideri, ma è un articolarsi gratuito dello spirito». Per questo si può affermare che Io sono preghiera ed anche che questo primo dato esistenziale viene vissuto come guarigione. Non è la preghiera che guarisce, ma la fede.

Mons. Gianfranco Ravasi ha sottolineato che «tutte le volte che parlo della preghiera comincio a declinare il linguaggio dell’amore». Per questo si trovano esempi nella letteratura mistica (Giovanni della Croce e altri). Ha ricordato un’opera d’arte come l’Estasi del Bernini, nella quale si ha un’immagine di santa Teresa in un atto d’amore consumato che è figura mitica del dardo d’amore. Una vera esperienza d’amore, come la preghiera, deve perciò essere continuamente alimentata: «pregare è difficile, è un andare oltre al tuo corpo. In questa esperienza tu non ne esci mai indenne». La migliore rappresentazione della preghiera si ha nel salmo 131: “Così è l’anima mia”. L’invito è stato quello di ritornare a essere donne e uomini autentici. Ravasi ha inoltre sviluppato la figura di Giobbe, ricordando come egli crede sempre e che solo i suoi amici vantano di avere una fede definitiva, quella posizione che tanto faceva arrabbiare lo stesso Giobbe rispetto ai mali sopportati. Nella preghiera dunque non si è solo in due, ma si può incontrare il male, il peccato, la morte, la disperazione. In questo territorio si possono registrare le apostasie. Nella supplica però si riacquista la propria umanità e si «perde finalmente la vergogna di piangere davanti agli altri. Si ritorna a essere uomini migliori». Paradossalmente anche nella bestemmia di Giobbe si può vedere che scatta il limite della disperazione, ma anche lì si può cogliere come essa è parola di Dio. Per questo noi «non abbiamo mai il diritto di giudicare anche quando una persona bestemmia. Anche quella può essere, nel suo modo improprio, preghiera».

L’uomo d’oggi ha necessità soprattutto di ritrovare la preghiera quale inno del silenzio e della solidarietà. A questo proposito, il noto regista Ermanno Olmi ha ricordato la nonna, sua prima vera maestra di vita. «Quando io, alzando un po’ la cresta da giovane studentello, cercavo di criticare il suo modo di pregare, di avere fede, portandolo sul piano della razionalità che quando si è giovani si crede che sia una via di certezza… lei mi ascoltava e a un certo momento mi diceva: “Adesso basta. Lasciami credere come ho sempre creduto”. Ossia con la sua piccola pozza che rappresentava il mare intero». Per Olmi ciò che si specchia in questa pozza è una sorta di nebulosa che fa riferimento ai primi versetti della Genesi dove il Creatore divide la luce dalle tenebre, le acque dalla terra asciutta: «Ho la sensazione che Dio ha un grosso problema. Non è riuscito a dividere il bene dal male. E per farci capire il suo tormento ci ha posto in queste condizioni. Allora chi prego quando prego Dio? Prego qualcuno cui vorrei dare un volto, prego qualcosa che dovrebbe superare il limite della mia conoscenza tattile, della conoscenza che il mio sguardo ha del mondo. Non è forse che Dio ha creato il mondo per dividere con noi questo suo tormento della divisione di bene e di male, che non è riuscito a imporre alle cose e quindi noi nella preghiera dovremmo soprattutto condividere questo dolore di non riuscire a separare noi il bene dal male?». Attingendo alla sua personale esperienza il regista ha voluto così parlare della solitudine del malato: «Mi sono trovato malato in condizioni molto gravi… venne a trovarmi il cardinale Martini. Mi fece un grande piacere e gli dissi: “Eminenza lo sa che io non prego Dio in questa circostanza? A chi mi rivolgo? Mi rivolgo alle persone che mi sono vicine. Alle persone che posso vedere e toccare e sono anche convinto che Dio vuole proprio questo. Vuole farci capire che nel dolore è ai nostri fratelli che dobbiamo rivolgerci. La preghiera insieme in questa circostanza è un altissimo atto d’amore”».

Come affermava il medico premio Nobel Alexis Carrel: «È solo pregando che noi raggiungiamo l’unità completa e armoniosa del corpo, dell’intelligenza e dell’anima, che conferisce alla struttura dell’uomo la forza».

 

Mario Chiaro