PRIME RISPOSTE DI ALCUNI GENERALI

VITA CONSACRATA UN FUTURO “INCERTO”

 

Il “ritorno al Vangelo” come priorità assoluta anche nella VC. In che senso si può oggi parlare ancora di “eccellenza” di questa forma di vita? Il “best seller”, ancora tutto da scrivere, sul futuro della VC. Una riscoperta ecclesiologica di comunione nei rapporti tra Chiesa locale e VC.

 

Nell’ultima assemblea dei superiori generali (novembre 2006) mi sono permesso di chiedere a una ventina di loro di rispondere, per iscritto, a una serie di domande su alcuni punti nodali della VC. Ben consapevole degli impegni di un superiore generale, non potevo pretendere una risposta immediata. Ho lasciato tutto il tempo necessario per maturare una riflessione che nascesse soprattutto dal loro vissuto. Nessuno come un superiore generale ha il “polso della situazione” di dove sta andando oggi la vita consacrata.

Le risposte – alcune da quasi subito – sono incominciate ad arrivare. Anche se per ora ne ho tra mano meno della metà, mi sono accorto immediatamente dell’estremo interesse di queste risposte a più voci. Nella speranza che nel frattempo ne arrivino altre e in attesa di poter offrire in seguito una sintesi più ampia e articolata, vorrei già fin d’ora anticipare alcuni dei passaggi più significativi di quanto finora mi è pervenuto.

 

IL RITORNO OBBLIGATO

AL VANGELO

 

Come mai, chiedevo nella mia prima domanda, si parla oggi con tanta insistenza di un “ritorno al Vangelo?”. Perché «è il fondamento principale di un’autentica vita religiosa», risponde Alvaro Rodriguez (Fratelli delle scuole cristiane). Dopo il concilio si sono fatti molti sforzi per ritornare alle origini dei vari carismi. Non è invece stato fatto lo stesso sforzo per “ritornare al Vangelo”, uno sforzo che per tutti i consacrati rimane sempre “la cosa essenziale”. Anche per Jésus Maria Lecea (Scolopi), in un momento particolarmente delicato come questo il Vangelo, o meglio ancora, la persona di Gesù Cristo rimane la “realtà basilare”. Senza questa “riscoperta”, la VC difficilmente supererà la sua “inquietudine interna”. Anzi, continuerà a essere accusata da una parte di “aver perso la propria strada” e dall’altra di “incoerenza” e di “mancanza di audacia”.

Il ritorno alla “radicalità evangelica”, per Joseph Abella (Clarettiani), è un passaggio “cruciale”. Senza un costante approfondimento della comunione con Cristo, la VC smetterebbe di essere quella “parabola del Regno” che tanto la Chiesa quanto la società si aspettano dalla vita dei consacrati. Se tutta la vita cristiana, osserva Pascual Chavez (Salesiani), è un processo di “conversione permanente” a Cristo, a maggior ragione lo è per i religiosi, chiamati a diventare “memoria viva” di Gesù. Non per nulla oggi più che di “consigli evangelici”, riservati ad alcuni, si preferisce parlare di “valori evangelici”, proposti a tutti. Un ritorno al Vangelo si impone anche per evitare di «confondere la missione con le opere». Più che con le strutture e le istituzioni, oggi, le persone consacrate e le comunità religiose dovrebbero parlare con la propria vita.

Di fronte a una VC spesso oggi contrassegnata da «una diffusa carenza di discernimento in merito ai veri e ai falsi profeti», scrive Frank Monks (Camilliani), il ruolo specifico sia della Chiesa che degli istituti religiosi è uno solo: “annunciare il Cristo”. Quante volte, invece, «sia la Chiesa che noi religiosi tendiamo ad annunciare più noi stessi che non il Cristo». In un mondo in cui contano soprattutto i soldi e nel quale molti oggi non conoscono neanche i dieci comandamenti, è sempre più difficile, in Occidente, «vivere integralmente i valori evangelici». Il fatto che oggi si parli con tanta insistenza di “ritorno al Vangelo” e di “radicalità evangelica”, osserva Fiorenzo Salvi (Sacramentini), sta a significare che nel “faticoso scavo” della rifondazione «si è raggiunto il fondamento da cui partire per ristrutturare la casa». Solo da qui è possibile attendersi un “autentico rinnovamento spirituale” e una “rinnovata qualità evangelica” della vita delle comunità religiose. Negli ultimi decenni, precisa Teresino Serra (Comboniani), sia pure “in nome di Dio” si è spesso rischiato di diventare “uomini d’affari”, “gente di grandi imprese”, svuotando così le ragioni profonde per cui i religiosi dovrebbero essere “segno e strumenti del Regno”. Purtroppo «non possiamo condividere ciò che non abbiamo». Il segreto della VC è tutto qui: essere gente “di Cristo”. La stessa mancanza di vocazioni ci sta solo a indicare la strada da percorrere: «ritornare a Cristo».

 

UNA VC “ECCELLENTE”

MA IN CHE SENSO?

 

In una seconda domanda avevo chiesto ai superiori generali se, a loro avviso, la crisi di vocazioni alla VC, almeno nei paesi occidentali, non fosse conseguente alla perdita di quella “obiettiva eccellenza” di cui si parla anche in Vita consecrata. Non è certo possibile riprendere qui, sia pure sinteticamente, tutte le risposte. Se per alcuni la perdita di una “obiettiva eccellenza” della VC può essere all’origine del calo vocazionale, un po’ per tutti è invece più importante precisare il significato di questa “eccellenza”. Per una questione di fedeltà al Vangelo, afferma Alvaro Rodriguez, «mi costa un po’ usare ancora questa espressione». Se oggi è superato il discorso degli “stati di perfezione”, osserva Lecea, rimane invece aperto quello della ricerca di una nuova “chiave esplicativa” della identità della VC. Nessuna paura a parlare di “eccellenza” della VC, purché si riesca «a spiegare i motivi che spingono un candidato a scegliere questa vocazione rifiutando le altre».

Sta sicuramente cambiando il modo di vedere la VC, scrive Abella. Il fatto che tutti i cristiani sono chiamati a seguire Cristo, potrebbe anche aver avuto un certo effetto sul calo di vocazioni, «ma è altrettanto certo che ha aiutato a chiarire le motivazioni di chi chiede di entrare in una comunità religiosa». È sicuramente importante, anche per Chavez, capire che cosa si intenda per “obiettiva eccellenza”. È del tutto accettabile se intesa nel senso di san Paolo, secondo il quale «chi è diviso difficilmente può consacrarsi totalmente a Dio e votarsi nel contempo pienamente al prossimo». Anche se non si può negare un certo effetto sul calo di vocazioni, questo fenomeno, comunque, è molto più complesso. Andrebbe ricercato anche nella diminuzione demografica, nell’alto benessere, nell’atmosfera culturale secolarizzata, nonché nelle “innegabili mancanze” della VC stessa. Sicuramente, dal Vaticano II in poi, scrive Monks, «c’è stato un certo livellamento di tutte le vocazioni all’interno del popolo di Dio». Ma una delle cause principali è data dal fatto che molti religiosi sono i primi ad avere idee “confuse” e “sfuocate” sulla loro identità, su ciò che è la Chiesa e sul ruolo dei religiosi al suo interno. Troppo spesso il religiosi non sanno apprezzare l’importanza del proprio carisma nella creazione di una autentica comunità ecclesiale, nella molteplicità e nella complementarietà di tutti i suoi ministeri.

Come negare, scrive Salvi, un certo “livellamento” vocazionale, quando soprattutto le congregazioni apostoliche e clericali «hanno perso molto della loro attrattiva», hanno abbassato la qualità delle proprie proposte, quando molti religiosi «si identificano più nell’esercizio del loro presbiterato che in un servizio nella linea del proprio carisma»? Soprattutto le congregazioni apostoliche dovrebbero recuperare nella Chiesa la “propria eccellenza”, sull’esempio di certe botteghe artigiane «che puntano tutto sulla qualità dell’offerta». Se per “eccellenza obiettiva”, osserva Serra, si intende vivere la propria consacrazione e la propria missione in piena conformità alla sequela di Cristo, nessuna paura a parlarne. Il grande rischio è quello della mediocrità di tanti religiosi sia in fatto di scelte che di impegno e di dono della propria persona e della propria vita al Signore. È questo «il virus che tarla l’eccellenza della VC», con inevitabili conseguenze nel campo della preghiera, della formazione, della vita comunitaria, della missione. Qui c’è veramente bisogno di «tornare all’eccellenza!».

 

DOVE

STIAMO ANDANDO?

 

In un periodo di rinnovamento, di rifondazione, di rigenerazione, non poteva mancare una domanda diretta, che ormai da anni continua a riproporsi, su dove sta andando la VC. Dopo aver rinnovato le strutture, risponde Alvaro Rodriguez, bisogna trasformare le persone partendo dal Vangelo, in modo che sappiano rispondere alle sfide del nostro tempo. In un momento in cui stanno cambiando i paradigmi della VC, «bisogna essere aperti al vento dello Spirito che non sappiamo da dove viene né dove va». Anche per Lecea non è facile sapere dove sta andando la VC. Tentando una valutazione complessiva dei successi e degli insuccessi del rinnovamento della VC, il bilancio è sostanzialmente positivo. Il calo numerico dei consacrati potrebbe «generare nuove presenze evangeliche», come il classico lievito che fermenta la massa. Il futuro della VC potrebbe essere contrassegnato anche da «nuove presenze più modeste rispetto al passato, ma di maggior spessore evangelico, soprattutto nei confronti dei poveri».

Il futuro della VC, per Abella, non potrà prescindere da una sua relazione dinamica con tutte le altre vocazioni in seno al popolo di Dio. Sarà sempre più caratterizzato dalla complementarietà dei carismi, dalle relazioni fraterne, da una maggiore vicinanza alla gente, da una capacità di dialogare e di condividere la vita con chi intende incarnare il Vangelo, dalla disponibilità ad affrontare le sfide più urgenti del mondo d’oggi, in «uno sforzo continuo nel rileggere il carisma di fondazione nei nuovi contesti geografici e culturali». Per capire dove sta andando la VC, osserva Chavez, è indispensabile chiarire che la sua identità «non si fonda sui voti, né sulle costituzioni, né sull’abito, e neppure sulla missione, ma sul suo peculiare rapporto con Cristo». I consacrati dovrebbero essere sempre più consapevoli di avere “qualche cosa di speciale” da offrire alla Chiesa e al mondo. È proprio il recupero di questa specificità che potrà rendere, anche in futuro, la VC «credibile, efficace, significativa».

Se ci fosse una risposta sul futuro della VC, osserva Monks, sarebbe possibile scrivere un best seller con cui risolvere sicuramente tanti “preoccupanti problemi finanziari dei nostri istituti”. Anche se lui fosse stato un giovane in preda a “sogni rivoluzionari”, non avrebbe mai potuto immaginare «tutti i cambiamenti che si sono verificati in questi ultimi 40 anni». Il fatto che in futuro non ci saranno sicuramente più i grandi numeri del passato non è poi una gran brutta cosa. «Siamo proprio sicuri dell’autenticità della chiamata vocazionale degli anni passati?». Mai come oggi si impone la necessità di «un radicale cambiamento nel nostro modo di pensare». Se è vero che non si può rinunciare alla fedeltà e alle tradizioni ereditate dal passato, non si può, però, neanche rinunciare alla dimensione profetica della VC. «Guai a sottovalutare l’azione che lo Spirito di Dio cerca di suscitare in mezzo a noi».

Anche per Salvi è difficile rispondere alla domanda di dove stiamo andando. È certo che se la “linea di non ritorno” è alle spalle, «siamo obbligati a continuare la navigazione». Le mappe aggiornate, come le regole e i vari documenti, non mancano di sicuro. Purtroppo «non sappiamo esattamente quale sarà l’approdo». Solo il Signore sa quando e dove avverrà. Ai consacrati è chiesto solo di continuare questo “viaggio avventuroso”, senza nostalgie, con coraggio e speranza. È la stessa speranza che esprime sostanzialmente anche Serra. «Non sono e non mi sento pessimista». Semmai si dovrebbe con più coraggio rinnovare una scelta “nuova e sempre antica”, quella «di tornare al Vangelo e di vivere la vita consacrata con il Vangelo», tornando, quindi, alla cosa “essenziale”. La crisi e tutte le preoccupazioni sono reali. Senza rimanere prigionieri delle tante paure, delle tante analisi, delle tante difese, «dobbiamo credere nello Spirito che sa creare cose nuove al momento opportuno».

Le altre domande vertevano sulle “nuove forme” di VC e i movimenti ecclesiali, sul rapporto dei consacrati con la Chiesa locale, sul rapporto tra spiritualità, comunione e missione nella Chiesa e nella VC. Anche qui le risposte dei generali meriterebbero di essere lette a una a una. Un po’ tutti, ad esempio, concordano sul fatto che anche le “nuove forme” di VC, come quelle più antiche, sono un dono dello Spirito. C’è sempre da imparare, e da tutti, anche nella VC. Questo vale, però, anche per le “nuove” realtà di VC, che non possono ignorare le esperienze del passato soprattutto nel momento in cui intendono garantire dei solidi fondamenti spirituali alla propria vita.

In una riscoperta ecclesiologia di comunione è più facile oggi superare i conflitti ereditati dal passato sul rapporto tra Chiesa locale e VC. Vale per tutti, credo, la riflessione di Chavez quando osserva che se da una parte «la Chiesa locale non ha sempre rispettato i carismi e ha preteso di ridurre tutta la sua missione al ministero pastorale», dall’altra è pur vero che «anche la VC non ha vissuto la sua vita carismatica come espressione della Chiesa» e non ha sempre saputo sviluppare tra i suoi membri un “profondo senso ecclesiale”. La spiritualità, la comunione e la missione sono infatti i tre aspetti fondamentali della vita non solo di una Chiesa locale, ma anche della VC. Il contributo profetico più autentico dei consacrati, anche oggi, è quello di sempre: primato di Dio, fraternità, servizio della carità. Solo in questo modo, come ha scritto Lecea, la VC potrà essere di grande aiuto non solo alla comunità ecclesiale, ma anche alla nostra società.

 

Angelo Arrighini