RICORDO DI DON ANDREA SANTORO
A TRABZON UN ANNO DOPO
Dopo quel tragico
assassinio, e lo stesso viaggio del papa in Turchia, sembra che non sia
cambiato niente. Ma il chicco di grano caduto in terra porterà frutto a suo
tempo, anche se solo Dio sa quando. Bisogna tuttavia continuare a credere nel
valore dei segni.
Sabato 3 febbraio, con un piccolo gruppo di suore e sacerdoti del Vicariato
dell’Anatolia, Iskenderun, Adana, Mersin, Antiochia, e amici di Roma, ci siamo
ritrovati nella chiesa di S. Maria a Trabzon per ricordare don Andrea Santoro a
un anno dal suo assassinio.
L’ex convento dei cappuccini che don Andrea aveva ristrutturato e reso
agibile e abitabile per quanti avessero voluto fermarsi per meditare la parola
del Signore e condividere con lui esperienze e itinerari di fede in questa
terra “santa” e “martoriata” della Chiesa, ci è subito apparso più silenzioso e
vuoto che mai. Rivedendo gli ambienti della casa che avevo visitato 18 mesi
prima, ho ritrovato la sua stanzetta semplice e spoglia rimasta intatta come
egli l’ha lasciata; sul comodino ancora i due testi che gli tenevano compagnia
la sera prima di addormentarsi I martiri del ventesimo secolo di R. Royal, e
Fondare la civiltà dell’amore di Giovanni Paolo II.
Il 5 febbraio del 2006 era la domenica della V settimana del tempo
ordinario. Don Andrea nella liturgia della messa del mattino aveva letto un
brano di Giobbe: un uomo messo duramente alla prova,che lotta disperatamente
per ritrovare Dio che si nasconde ma che egli continua a ritenere buono.
Il salmo 146 che risponde ai sentimenti di smarrimento vissuti nella prova
con la più totale fiducia e di abbandono in Dio.
Il brano di Paolo ai Corinzi, dove l’Apostolo ricorda all’uomo che non è
proprio merito personale annunciare il Vangelo, ma incarico affidatogli da Dio.
Infine il testo del Vangelo di Marco dove è raccontata la prima giornata di
Gesù a Cafarnao…Egli è venuto a lottare contro il male in tutte le sue
manifestazioni, siano esse fisiche, psichiche e sociali, con il rifiuto di
consegnare la sua Parola a un solo villaggio, a una sola città, a una sola
nazione, a una sola civiltà.
Da lì Gesù partì per portare il Vangelo ovunque.
Erano certamente queste le pagine che don Andrea avrà continuato a ruminare
quel pomeriggio… e mentre pregava con gli occhi sui brani della messa del
giorno, inginocchiato sulla panca, fu colpito a morte da due colpi di pistola.
Lunedi 5 febbraio, con l’arrivo del card. Camillo Ruini, della mamma e
delle sorelle di don Andrea, il convento si è improvvisamente riempito di poliziotti,
giornalisti, televisioni e fotografi.
Quello che si era preparato come giorno di raccoglimento e di preghiera è
diventato invece un arginare l’invadenza inopportuna di giornalisti e di flash
dei fotografi.
Già troppo e in modo distorto è stato scritto e pubblicato su questo fatto
tragico: già troppe interpretazioni e troppe illazioni, soprattutto silenzi,
hanno scatenato reazioni e violenze verso cristiani e verso quanti – anche
musulmani – hanno alzato la voce per fare chiarezza e contribuire a una
ricostruzione dei fatti secondo verità.
Con noi, durante la messa, tre donne georgiane Maria, Marina e Maria. Esse
assieme a don Andrea avevano scritto la lettera al papa invitandolo a far
visita alla piccola comunità di S. Maria.
Emozionante l’incontro con la mamma del sacerdote. Avevo seguito l’anno
scorso la cerimonia funebre svoltasi a Roma grazie alla televisione, avevo
ascoltato le parole con le quali il card. Ruini esprimeva il “perdono”
all’assassino di don Andrea a nome della mamma Maria, ma incontrarla qui,
ascoltarla e guardarla con quanta serenità e con quanta forza e umiltà
partecipava alla Eucaristia del mattino mi ha reso ancor più la grandezza
morale e spirituale del figlio.
Nel pomeriggio, alle ore 15,45, ci siamo dati appuntamento in chiesa per la
preghiera del santo Rosario, la stessa ora in cui don Andrea fu colpito a
morte.
La mamma si è seduta al posto del figlio dove fu colpito: sul lato del
banco era ancora visibile lo striscio scavato dalla pallottola che gli ha
trapassato il fegato. Terminata la preghiera si è fatta indicare da Loredana
(testimone dell’omicidio) il luogo dove cadde: si è inginocchiata e allargando
le braccia sul pavimento accarezzandolo con dolcezza e tenerezza struggenti, ha
cominciato a chiamarlo.
Credo di non aver mai vissuto un momento così intenso di dolore e di
partecipazione.
La percezione che fosse ancora presente tra noi don Andrea, il desiderio e
il bisogno di averlo ancora compagno di viaggio in questa terra e in questa
chiesa, pur nella ricerca e nel dibattito anche aspro, ci ha accompagnato tutti
in quei tre giorni di sosta, di preghiera e di adorazione .
Gli scambi di confidenze e di episodi vissuti con lui, il raccontarci le
fatiche e le sofferenze, le gioie e le speranze che animano comunque le
giornate di chi vive in questa terra “santa”, ci hanno resi ancor più
consapevoli della straordinaria vocazione alla quale siamo chiamati: continuare
a vivere e annunciare Cristo morto e risorto. (Suor Raffaella Martelozzo, suora
di M. Bambina).
VIAGGIO
DEL CARD. RUINI
Durante la santa messa celebrata nella chiesa di Santa Maria, il card.
Ruini ha spiegato il significato di questo suo viaggio: «Siamo venuti, ha
detto, nello stesso spirito in cui è venuto tra voi don Andrea, con l’animo
cioè di un amico della Turchia e del popolo turco, con atteggiamento di stima e
di rispetto per l’islam e la religione musulmana. Siamo venuti dunque per dare
un contributo alla pace tra i popoli e tra le religioni, per testimoniare che
il dialogo tra le religioni è possibile e doveroso, nel rispetto della fede di
ciascuno e nell’amore per il fratello che è presente in ogni persona umana,
creata a immagine di Dio. Siamo venuti perché si affermi ovunque nel mondo la
libertà religiosa, per chiedere a Dio di illuminare le mente e il cuore di
ciascun uomo, affinché comprenda che soltanto nella libertà e nell’amore del
prossimo Dio può essere autenticamente adorato».
Era stato proprio questo lo spirito che don Andrea Santoro aveva cercato di
vivere con la sua presenza in questo difficile luogo. Egli, scrive
l’Osservatore Romano in un articolo a firma di Giampaolo Mattei, «ha cercato di
vivere la sua presenza in Turchia “prestando il proprio corpo e il proprio
cuore a Gesù”, come amava ripetere, nella consapevolezza che “se il chicco di
grano caduto in terra non muore rimane solo; se invece muore, produce molto
frutto” (Gv 12,24). Essere cristiano voleva dire per lui rinunciare a ogni
“arma” umana, voleva dire mostrarsi serenamente per quello che si è, pronti a
rendere ragione della propria fede a chiunque lo chieda. Con l’“arma” del
rispetto e dell’ascolto don Andrea era solito dar vita a degli incontri e
dialoghi islamo-cristiani, piccoli ma molto concreti e vivi, con i suoi amici
musulmani».
SEMBRA CHE NIENTE
SIA CAMBIATO
L’impressione di chi arriva laggiù ad un anno di distanza dall’assassinio
di don Andrea è che nulla sia cambiato. A prendersi cura della piccola comunità
cristiana, c’è ora p. Waldemar Niewinski, giovane sacerdote polacco di 29 anni.
È una persona molto discreta, ma cosciente di vivere in un ambiente molto
difficile e pieno di rischi. La città di Trabzon è infatti attraversata da
un’ondata di nazionalismo a volte virulento e dove regna un islam quanto mai
diffidente e conservatore. Da due anni, scrive il quotidiano francese La croix
(8 febbraio 2007) Trabzon, ex Trebisonda, è teatro di diversi fatti violenti,
come il linciaggio di giovani militanti di estrema destra, l’assassinio di p.
Santoro e l’implicazione di un gruppuscolo ultranazionalista originario di
questa città nell’uccisione del giornalista di origine armena, Hrank Dink.
L’uccisore, certo Samast, e il suo presunto complice, Yasin Hayal, provengono
infatti da Pelitli, nella banlieu di Trabzon.
«È difficile essere cristiano qui», ha dichiarato un certo Sukru, un allevatore
che vive a circa due ore di strada dalla città. «È difficile soprattutto in
campagna. Io mi nascondo perché ho paura delle reazioni dei miei vicini». Un
altro, certo Can Eris, appartenente alla comunità ortodossa di Iskenderun, l’ex
Alessandretta, situata a sud del paese (Golfo di Alessandretta) ha detto: «A
Iskenderun l’ambiente è molto meno teso rispetto a Trabzon, ma dopo
l’assassinio di Hrant Dink, sono apparse delle scritte anticristiane sui muri
di certe chiese…».
Quanto sia difficile per un cristiano vivere lassù nelle zone del Mar Nero,
dove è stato ucciso don Andrea, lo testimonia il fatto che qui, fino a un
secolo fa, esisteva un’importante comunità greco-ortodossa che dovette
abbandonare la regione nel quadro degli scambi di popolazione degli anni ’20.
Di questo passato cristiano, scrive La croix, non resta quasi niente. La chiesa
di Santa Maria è la sola in servizio a Trabzon, città dove il cimitero
cristiano è stato spianato per costruire una strada che non passa nemmeno sul
luogo. Matrimoni, funerali e battesimi sono rari; la paura è che anche la
piccola comunità cristiana sia destinata a scomparire.
P. Waldemar è comunque un uomo molto coraggioso e cerca di sdrammatizzare
la situazione. «Esco di casa senza paura» – ha detto. «La polizia è presente e
sta attenta. Mi capita di ricevere delle telefonate sospette, senza nessuno
all’altro capo del telefono, ma nient’altro…».
Egli è rimasto l’unico prete della regione del Mar Nero, dopo la partenza
del p. Pierre Brunissen – sacerdote Fidei donum – che ufficiava nella vicina
città di Samsun. Lo scorso anno fu vittima di un’aggressione. P. Waldemar si
occupa della sua piccola comunità, costituita da una quindicina di cattolici, a
cui si aggiungono alcuni protestanti e ortodossi di passaggio tra il Caucaso e
la Turchia. «Per questa piccola comunità, ha dichiarato, la celebrazione
domenicale è primordiale poiché è il solo momento in cui possiamo pregare
insieme alle altre Chiese. Le messe più vicine non sono celebrate che ad Ankara
o a Batum in Georgia».
Che cosa è cambiato dall’assassinio di p. Santoro? Senza farsi delle
illusionI, p. Waldemar conserva la speranza: «Questo genere di cambiamento, ha
dichiarato, non può avvenire che nei cuori. È dunque difficile da percepire».
Un segno di speranza è che, dopo l’assassinio del sacerdote romano, più di 120
persone sono venute a deporre dei fiori davanti alla porta della Chiesa.
«Siamo venuti qui, ha detto il card. Ruini nell’omelia del 5 febbraio nella
chiesa di Santa Maria, portando nel nostro animo il dolore per la morte di don
Andrea, ma anche la gioia per la fulgida testimonianza che egli ha reso a Gesù
Cristo e la certezza che il suo sacrificio non è stato vano».
Ma anche nell’insieme della Turchia sembra che non sia cambiato nulla,
anche dopo il viaggio del papa, l’autunno scorso. A dirlo è mons. Luigi
Padovese, vicario apostolico dell’Anatolia. Di passaggio recentemente in Italia
ha dichiaralo: «Il clima è più disteso ma in realtà non è cambiato proprio
nulla, finora non si è mosso niente e se non ci fossero le pressioni continue
dell’UE andrebbe ancora peggio. Solo l’effetto di immagine del Pontefice ha
colpito i turchi insieme ai suoi gesti di sventolare la bandiera della
Mezzaluna o quello di pregare in moschea rivolto verso la Mecca. Un altro segno
positivo riguarda l’atteggiamento della stampa turca che non parla più male di
Benedetto XVI, mentre prima veniva raffigurato vestito da crociato e la sua
missione veniva dipinta come quella di un serpente a due teste: quella del papa
e quella del patriarca Bartolomeo I».
Ma con la morte di don Andrea Santoro e la visita del papa sono stati
seminati dei semi e siamo sicuri che il chicco di grano caduto in terra porterà
frutto a suo tempo. Quando? Questo è nei disegni di Dio.
A.D.