ECHEVERRÍA SULLA FORMAZIONE

LASCIARE CHE DIO AGISCA IN NOI

 

La formazione è un processo lento, con retrocessioni e avanzamenti, che ha bisogno di una paziente maturazione e parte dal «carattere storico dell’essere umano che vive e si realizza nella storia. Tutta la vita costituisce perciò un processo di formazione _con ritmi diversi che dobbiamo rispettare.

 

Il 2007 sarà per la congregazione dei Fratelli delle scuole cristiane, fondata da san Giovanni Battista de La Salle, l’anno del 44° Capitolo generale, che ha come tema Essere Fratelli oggi. Cosa questo significhi l’ha spiegato diffusamente fr. Álvaro Rodríguez Echeverría, superiore generale, in una lettera pastorale dal titolo Associati al Dio della storia.1 «Essere Fratelli oggi – scrive – è un itinerario, indica un cammino, è ricerca e avventura, aprirsi allo sconosciuto, condividere e cercare insieme le piste che incontriamo in atteggiamento umile e lasciandoci meravigliare da ciò che scopriamo».

 

UN ITINERARIO

FORMATIVO

 

L’argomento su cui fr. Echeverría attira particolarmente l’attenzione è la formazione intesa come itinerario che deve durare tutta la vita. L’icona più espressiva di ciò che significa questo itinerario formativo, osserva, è l’immagine del vasaio che dà forma all’argilla (Ger 18,1-6): «La cosa più importante è lasciare che Dio agisca in noi e realizzi in noi la sua volontà. Questo è il fine ultimo di ogni formazione».

Si tratta di un processo lento, con retrocessioni e avanzamenti, che ha bisogno di una paziente maturazione e che parte dal «carattere storico dell’essere umano che, non solamente vive nella storia, ma si realizza nella storia; il che significa che tutta la vita costituisce un processo di formazione con alcuni ritmi diversi che dobbiamo rispettare. Il Dio della storia ha posto nelle nostre mani il nostro destino. Si tratta per questo di una formazione che si situa, a sua volta, in un contesto storico e personale. Questo significa che dobbiamo tener conto, da una parte, del periodo di cambiamenti incessanti in cui viviamo nel nostro mondo globalizzato, il che esige una instancabile apertura di spirito e di cuore, come anche la necessità di essere aggiornati in un mondo che cambia con tanta rapidità. E dall’altra, il fatto che ogni persona è un essere in divenire e, di conseguenza, mai può dare per terminato il proprio processo formativo».

Il cammino di formazione, sottolinea la lettera, è integrale e deve tener conto di tutto l’essere umano e di ogni tempo del vivere. Per questo fr. Echeverría invita a unificare formazione iniziale e formazione permanente, che non possono essere considerate come due tappe differenti, bensì come due momenti di un unico processo formativo.

Oggi di fronte all’essere umano, mistero e paradosso, essere storico e in continua costruzione «dobbiamo situare la formazione come cammino, itinerario, come vocazione dal concepimento alla morte; come chiamata a “raggiungere la statura dell’uomo perfetto: Cristo” (Ef 4, 13), coscienti del fatto che non siamo né pura ragione, né pura luminosità, ma anche emozione, sentimento, istinto, passione e desiderio. Di conseguenza, si tratta di una formazione integrale che ci faccia evitare il vero pericolo anti-umanista: il pericolo dell’uomo macchina o il pericolo dell’uomo bestia. Una formazione che tenga conto della testa, del cuore, delle mani e dei piedi».

È facile, ragionando di formazione, pensare alla crescita intellettuale. Per questo è necessario oggi il recupero dei sentimenti. «I sentimenti esprimono la persona, le sue disposizioni interiori, il suo modo di vedere la vita, i desideri e le motivazioni che la spingono all’azione. È a questo livello, quello del cuore in senso biblico, che deve soprattutto avvenire il nostro processo formativo».

 

OBIETTIVI

DELLA FORMAZIONE

 

«Il nostro itinerario formativo – si legge nella lettera – mentre ha come meta di assumere i sentimenti del Figlio, ha anche come obiettivo l’abilità di cercare e discernere i segni di Dio nelle realtà del mondo».

Secondo fr. Echeverría il mondo moderno ci presenta una serie di “pericoli” che possono allontanare i consacrati da Dio e che per questo richiede un di più di discernimento.

Tra questi la «confusione tra vocazione e professione» che il nostro mondo vive. «Questo tocca il cuore stesso della nostra identità. La professione significa soprattutto competenza, efficienza, produttività, riconoscimento sociale. A causa dell’età, della malattia o della pensione, la professione ha una fine, termina. La vocazione, al contrario, si fonda su un dono; è espressione di gratuità, aggiunge qualcosa in più, difficile da descrivere, a ciò che la persona fa e permane molto oltre le limitazioni dell’età, della salute o della pensione … Vocazione e professione non sono due cose separate, ma due dimensioni differenti dell’attività umana, con caratteristiche specifiche. L’identità del religioso implica una relazione propria tra le due, e si sente minacciata quando la professione è posta al di sopra della vocazione». Il pericolo che si corre nella vita consacrata è quello di «ridurre la formazione all’aspetto professionale, lasciando da parte la crescita vocazionale, che pure è la cosa più importante».

Altra caratteristica del nostro tempo – che interroga i consacrati – è la sensazione sempre più netta che «l’essere e l’avere siano stati sostituiti dall’apparire. Siamo nella società del marketing. L’apparenza dirige la vita delle persone. Non importa né essere né avere, ma apparire, sembrare, anche se dietro resta un vuoto esistenziale e un possesso illusorio dei beni». Fr. Echeverría invita a farsi una domanda prima di iniziare qualsivoglia programma di formazione: «Si tratta di crescere come persona, come religioso, come educatore, come Fratello, o è solo un modo di possedere per controllare o semplicemente di apparire?».

Il nostro tempo, poi, confonde facilmente amore e desiderio, amore e “voglia di”. Il desiderio non può assicurare né la fedeltà né l’impegno. «L’amore – scrive il superiore genera­le dei lasalliani – porta           _a relazioni personali stabili _o solide, la           voglia di           __porta a legami liquidi che facilmente si possono chiudere o cambiare, dimenticare o moltiplicare, secondo ciò che mi piace e senza guardarsi negli occhi». Inoltre oggi si da sempre maggiore importanza alle cosiddette “relazioni a distanza” o “prossimità virtuali”, così che i legami sono allo stesso tempo più abituali e superficiali, più intensi e più brevi. Così oggi «è più difficile amare il prossimo, perché ogni volta creiamo più barriere e ci ingegniamo di comunicare tra noi a controllo remoto; a questo bisognerebbe aggiungere che la cultura della paura che oggi viviamo ci fa proteggere e prendere le distanze da coloro che sono differenti».

In quanto figli del nostro tempo – è la conclusione di fr. Echeverría – «possiamo lasciarci dominare da queste influenze e optare per una formazione che le favorisca».

 

DIMENSIONI

DELL’ITINERARIO FORMATIVO

 

Ogni itinerario formativo deve innanzitutto avere come fine principale la crescita personale. «Formarsi lungo tutta la vita – si legge nella lettera – significa nascere molte volte di nuovo… Il nostro itinerario formativo è un processo sempre aperto. Tutto il contrario dal pensare che la formazione iniziale ci permetta di formarci per poi consumare il capitale e lasciarci vuoti. Questo nascere di nuovo, questa risposta alle chiamate di Dio, è un obiettivo essenziale della nostra formazione; è, in fondo, lasciarci trasformare da Dio. Un compito certamente pieno di rischi, ma anche di promesse. Più che conoscenze psicologiche presuppone la disponibilità a tornare nella nostra interiorità per ascoltare il Dio che sta con noi… Presuppone che ci dedichiamo con tutte le forze a essere noi stessi …. È un itinerario imprevedibile e personale. Però abbiamo tre certezze fondamentali che ci sostengono: l’amore incondizionato del Dio a cui ci siamo consacrati, la missione di servizio ai fratelli e alle sorelle e l’appoggio fraterno della comunità».

L’itinerario formativo aiuta a capire, accogliere e donare ciò che ciascuno è per gli altri. «La domanda che dobbiamo porci è: quale è il mio dono e come debbo accrescerlo e condividerlo? E, allo stesso tempo, fare nostra l’avvertenza di Paolo: “Ciascuno sia attento come costruisce. Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo. E se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, l’opera di ciascuno sarà ben visibile” (1Cor 3, 11-12). La cosa più meravigliosa di questo dono unico che Dio ci ha dato è che quanto più lo condividiamo tanto più lo possediamo, in modo che la miglior maniera di accrescerlo è di darlo senza misura».

È dunque evidente che la formazione non può essere ridotta «ai programmi che ci vengono offerti o di cui possiamo usufruire», ma che questa trova il suo luogo privilegiato nel «quotidiano, in ogni giorno con i suoi momenti di preghiera personale e comunitaria, di Eucaristia e Parola interiorizzata, con i suoi tempi di lettura e studio, di incontro con i Fratelli, con i giovani e con i poveri, di lavoro apostolico, di conoscenza della realtà… Cioè, a livello più di esperienze che di conoscenze».

L’itinerario formativo ha poi il compito di aiutare a crescere come persone e come fratelli nel Signore. Per questo è importante pensare a una «comunità evangelica che tiene conto del fatto che la donazione personale a Dio la realizziamo nel seno della stessa comunità, in modo tale che il nostro impegno con Dio è mediato dai Fratelli con cui pure ci impegniamo e ai quali anche ci consacriamo», coscienti che «la comunione raggiunta da una comunità costituisce già la prima missione, in quanto testimonia che l’utopia del Regno è realizzabile».

 

QUATTRO

CARISMI INDISPENSABILI

 

Ogni comunità ha bisogno di quattro carismi «indispensabili» – secondo fr. Echeverría: il carisma del profeta, del cantore, del medico e del re.

Senza profeti una comunità perde la capacità di analizzare il presente e di tendere utopicamente verso il futuro. «Ci potremmo chiedere: perché è tanto importante la profezia nella comunità? La comunità religiosa vuole essere per il mondo una terapia shock, una cura attraverso una scossa che mira a porre allo scoperto la realtà di una società lontana da Dio, di ragazzi di cui non sono rispettati i diritti, di giovani che non trovano un senso per le loro vite, di una vita sempre più minacciata, di nuove povertà… Senza l’elemento profetico la comunità diventa amorfa, non sa esattamente perché vive, perde il suo orientamento e il senso della missione, si accontenta di ripetere il passato».

Senza cantori si rischiano di passare sotto silenzio avvenimenti e valori positivi della nostra storia e società, che meritano di essere ricordati e cantati. Le comunità hanno bisogno di cantori «fratelli che hanno capacità di captare e cantare la salvezza che già esiste tra noi in ogni forma di amicizia che cresce, di regno che spunta, di pazienza che resiste, di carisma che si condivide, di fede che cresce e matura, di nuove vocazioni che nascono, di servizio ai giovani più necessitati, di lotta per la giustizia, per la pace e l’ecologia... Il regno di Dio è un orizzonte sempre incompleto, però è anche presenza dentro e fuori la comunità. Questo talento è molto importante in una comunità poiché … festeggiare e basta, non conoscendo il senso profondo di ciò che si celebra, manca di senso e infantilizza. Vivere tesi verso il futuro attraverso un impegno radicale, senza godere di questo sforzo e di ciò che va producendo, crea uomini duri, incapaci di sorriso e di tenerezza».

La vita ci ricorda che in ogni gruppo umano esistono i malati. Nelle comunità tutti portiamo ferite più o meno profonde. C’è bisogno del carisma del “medico”, di chi si sa «avvicinare silenziosamente a ciascuno, intuire senza molte domande dove sta la sua ferita e cercare di curarlo offrendogli grandi dosi di fiducia in se stesso e nell’opera che Dio vuole realizzare attraverso di lui. Si tratta di una presenza salvifica. La Regola ci invita a fare della nostra comunità un focolare e a rinnovare ogni giorno l’esperienza dell’amicizia, della stima, della fiducia e del rispetto reciproco e di avere un’attenzione speciale ai Fratelli giovani e ai Fratelli anziani, infermi, sfiduciati o provati, in modo che tutti si sentano sostenuti dalla carità di Cristo».

Infine c’è una responsabilità, quella dell’animazione, che va aiutata a crescere. «È importante prendere coscienza della complementarietà dei carismi, riconoscere il carisma degli altri, lasciarci riconoscere nel nostro, e porli tutti a servizio della costruzione di una comunità che sia sacramento dell’amore di Dio in mezzo al mondo. Così renderemo realtà ciò che descrive il documento Vita fraterna in comunità: “La comunità religiosa si cambia, allora, in un luogo in cui ogni giorno si apprende ad assumere quella mentalità rinnovata che permette di vivere quotidianamente la comunione fraterna con la ricchezza dei diversi doni e, allo stesso tempo, fa sì che questi doni convergano nella fraternità e nella corresponsabilità nel suo progetto apostolico” (VFC 39)».

 

ALIMENTI

DELL’ITINERARIO FORMATIVO

 

Ogni itinerario formativo conosce alcuni alimenti essenziali: la parola di Dio, l’itinerario di vita del Fondatore e la missione come sfondo.

La parola di Dio «letta, contemplata, studiata e vissuta» è un «dinamizzatore essenziale della nostra vita di Fratelli… ci può aiutare ad affrontare criticamente i fondamentalismi, gli spiritualismi e i devozionalismi che oggi ci minacciano… ci introduce in una vera scuola di preghiera».

Altro alimento essenziale è «l’itinerario di fede e di vita del Fondatore». Questo significa – ricorda fr. Echeverría – «essere fedeli al suo spirito, alle sue intenzioni specifiche e alle sue intuizioni spirituali e pedagogiche…. Il Fondatore deve essere per noi un testimone, il cui itinerario spirituale di uomo di fede … sostiene il nostro camminare per poter vivere “guidati da Dio, mossi dal suo Spirito e con intenzione di piacergli”, attraverso il nostro ministero di educazione cristiana».

Meta di ogni itinerario formativo è la missione. «Non ci formiamo, in primo luogo, per sentirci realizzati a livello personale, per crederci superiori agli altri, per vantare titoli e saperi o occupare posti di prestigio, e neppure si tratta di un esercizio narcisista, ma fondamentalmente di un servizio». Per la congregazione, scrive fr. Echeverría la missione consiste «nell’aiutare a mantenere viva la ricerca di soluzioni per le inquietudini esistenziali dei giovani che educhiamo … a partire dai giovani poveri, verso cui dobbiamo essere particolarmente sensibili, perché possano vivere con dignità … Giovani e poveri debbono essere riferimento obbligato del nostro itinerario formativo. Essi, in certo modo, sono i nostri fondatori, perché siamo nati per rispondere alle loro necessità…».

L’itinerario di formazione, infine, deve portare oggi alla missione condivisa tra consacrati e laici. «Fratelli e laici ci formiamo per condividere lo stesso ministero ecclesiale e insieme incarnare lo stesso carisma, ognuno a partire dalla sua identità specifica». L’invito della lettera pastorale è di «prendere sul serio il processo formativo in funzione della comune missione», ricordando sempre che «gli uni e gli altri dobbiamo sentirci ricchi per dare e poveri per ricevere» e che «non possiamo dare ciò che non abbiamo».

 

Oliviero Cattani

1 Il testo integrale della Lettera pastorale si può scaricare dal sito internet della congregazione: www.lasalle.org.