RELIGIOSI TEDESCHI SI INTERROGANO
COME SERVIRE INSIEME IL VANGELO
In un incontro tra
vescovi e religiosi in Germania è stato ribadito che per servire insieme il
Vangelo è necessario partire dal presupposto di appartenere tutti a una Chiesa
per sua natura missionaria. È su questo piano che bisogna intrecciare tutta una
rete di partecipazione e condivisione, in cui la vita consacrata svolge un
ruolo essenziale.
In una Chiesa missionaria il compito di annunziare il Vangelo è affidato a
tutti i suoi membri, ciascuno secondo i propri carismi. Gli istituti di vita
consacrata adempiono a questa missione non solo attraverso le loro opere nei vari
settori della pastorale, della formazione o della carità, ma in primo luogo
mediante la loro stessa forma di vita basata sulla professione dei consigli
evangelici. La costituzione dogmatica Lumen gentium scrive: «lo stato religioso
imita più fedelmente e rappresenta continuamente nella Chiesa la forma di vita
che il Figlio di Dio abbracciò venendo nel mondo per fare la volontà del Padre
e che propose ai discepoli che lo seguivano» (44). Si può dire pertanto che
senza questa rappresentazione dello stile di vita di Cristo nel nostro tempo
mediante uomini e donne appartenenti ai vari istituti di vita consacrata una
chiesa missionaria non sarebbe in grado di esprimere efficacemente la sua
missionarietà. Di qui a necessità di servire insieme il Vangelo.
Per approfondire questo argomento, i vescovi e i religiosi/e della
Germania hanno voluto scegliere questo tema per l’incontro che li ha visti
convergere insieme a Würzburg il 1 febbraio scorso, vigilia della festa della
Presentazione, presso la casa di esercizi Himmelspforten (Porta del cielo). È
stata la stessa Conferenza episcopale tedesca a prendere l’iniziativa allo
scopo di promuovere un intenso scambio di idee e di informazioni, sullo sfondo
dei cambiamenti che stanno avendo luogo sia negli istituti a causa del venir
meno dei membri sia nelle strutture pastorali delle diocesi e per i riflessi
che tutto ciò ha sugli stessi ordini e congregazioni. Alla riunione hanno preso
parte 25 vescovi e 120 religiosi, questi ultimi in rappresentanza delle 27.700
religiose e dei circa 5.500 religiosi presenti attualmente nel paese.
Non è stata una scelta improvvisata. L’incontro di Würzburg ha
rappresentato il punto culminante di un cammino iniziato nel febbraio del 2005
con una giornata di studio della conferenza episcopale in cui allora i
religiosi erano stati invitati in qualità di ospiti per ragguagliare i vescovi
circa la situazione e gli sviluppi della vita consacrata in Germania. A
quell’incontro ne sono seguiti diversi altri sui vari settori in cui i
religiosi/e sono impegnati. Frutto di questi scambi è il corposo documento
presentato ora a Würzburg, intitolato Servire insieme il Vangelo. Le comunità
religiose di vita consacrata nella Chiesa.1 È un testo di una trentina di
cartelle suddiviso in quattro parti: Servizio alla santità del popolo di Dio;
Opere di carità e di formazione; Pastorale delle vocazioni; Gli istituti di
vita consacrata e la chiesa locale. Il testo si ricollega con il documento
pubblicato il 26 novembre del 2000 dai vescovi, intitolato Tempo di semina:
essere chiesa missionaria, e ne assume e sottolinea lo spirito.
La giornata di Würzburg ha avuto come momento centrale la riflessione
teologica del card. Karl Lehmann, presidente della conferenza episcopale
tedesca, sul tema Vocazione e missione delle comunità religiose di vita
consacrata nella Chiesa oggi. Quattro comunicazioni sui vari settori in cui è
impegnata la vita consacrata hanno poi completato il quadro della giornata.
A sottolineare l’importanza della vita religiosa nella Chiesa, il card.
Lehmann ha affermato che «una chiesa missionaria senza le vocazioni alla vita
consacrata non può rimanere viva». La Chiesa, ha affermato, è «una comunità di
comunità» che vivono di uno scambio reciproco. Il dialogo ha lo scopo di
aiutare a «guardare oltre i confini della propria comunità» per trovare forme
concrete di collaborazione tra i diversi istituti, comunità e gruppi, in ordine
alla medesima missione nella Chiesa..
SERVIZIO ALLA SANTITÀ
DEL POPOLO DI DIO
La prima forma di servizio che ci si attende dai consacrati, leggiamo in
Servire insieme il Vangelo, riguarda la santità del popolo di Dio. Come ha
affermato il concilio nella Lumen gentium (39), tutti sono chiamati alla
santità. Ora, uno dei doni specifici che i religiosi possono offrire sta proprio
in questo servizio: «consiste nel tenere desta e viva questa dimensione della
vocazione cristiana alla santità, nella vita di tutti i giorni, anche in quella
della Chiesa». Negli attuali processi di cambiamento pastorale è necessaria la
testimonianza della vita consacrata affinché la Chiesa e le comunità cristiane
non si riducano a essere qualcosa di strutturale, economico o funzionale.
Abbiamo bisogno, scrive il documento, che ci venga salutarmente ricordato che
la santità della Chiesa si manifesta là dove i battezzati si volgono al Dio
trino, al solo Santo, e si lasciano da lui santificare. Lo scopo della
santificazione degli uomini è la realizzazione della “comunità dei santi” e
dell’incontro definitivo con Dio. A questo tende il servizio alla santità del
popolo di Dio” affidato ai religiosi.
Occorre tuttavia sottolineare, rileva il documento, che la santità
cristiana non si esaurisce in determinate opere o in particolari prestazioni
ascetiche e spirituali, ma si identifica con l’amore, il quale secondo il
duplice comandamento di Gesù si esprime nell’amare Dio con tutto il cuore, con
tutta l’anima e con tutta la mente e nell’amare il prossimo come se stessi (cf.
Mt 22,37-39). «Questo è ciò di cui noi come Chiesa oggi abbiamo bisogno: di
persone che in mezzo alle attuali esperienze di cambiamento non si occupino
solo di se stesse, ma tengano desta la fiducia nella grandezza e ampiezza della
vocazione cristiana alla santità e alla missione».
Al centro della vita religiosa sta pertanto la ricerca di Dio. Per esempio,
la regola di san Benedetto che ha integrato le esperienze del monachesimo
antecedente e ha ispirato molte nuove fondazioni fino al presente, fa chiedere
al candidato alla vita monastica “se egli veramente cerca Dio”. La ricerca di
Dio – questo impulso basilare della vita religiosa – è nuovamente attuale. Alla
ricerca di ciò che è santo si collega per molti individui oggi anche
l’interrogativo circa i criteri e i valori che devono regolare la vita
quotidiana: la professione e il tempo libero, il matrimonio e la famiglia, i
rapporti e l’organizzazione della vita… Ma ciò di cui si sente particolarmente
bisogno sono i testimoni di santità; persone che di fronte a forme diffuse e
stravaganti di religiosità lascino trasparire nella loro vita che cosa è la
spiritualità cristiana nella duplice forma dell’amore di Dio e del prossimo.
Certamente gli uomini e le donne che vivono nelle diverse forme di vita
consacrata non sono esenti da errori, inadeguatezze e debolezze. La loro vita
tuttavia è un impegno a cercare sempre di nuovo Dio nei contesti in cui si
trovano e dove agiscono e a compiere la sua volontà in maniera sia personale
che comunitaria.
Ignazio di Loyola col suo libro degli esercizi ha offerto uno strumento per
“cercare e trovare Dio in tutte le cose”. Di Teresa d’Ávila, riformatrice
assieme a Giovanni della Croce dei monasteri carmelitani, è il detto: “Dio solo
basta”. È attraverso questo orientamento a Dio, reso quotidianamente concreto
sia nella preghiera sia nelle molteplici cure del prossimo, che i religiosi
diventano testimoni dello “Spirito Santo” nel nostro tempo. La Chiesa per la
sua stessa credibilità ha bisogno di questi testimoni di santità che cercano
Dio e manifestano il suo amore anche in quegli ambiti dove egli sembra lontano
e assente. L’atteggiamento di ospitalità proprio degli ordini religiosi,
caratteristico del monachesimo fin dai primi tempi, ha trasformato molti
conventi e molte comunità religiose in un luogo in cui persone, che non hanno
più legami con la loro parrocchia, possono venire a contatto con il Cristo. In
questo modo gli ordini religiosi e gli istituti secolari come pure le vergini
consacrate e gli eremiti, prima ancora che con le funzioni e i compiti loro
propri, offrono con la loro vita consacrata un servizio alla chiamata di tutti
alla santità in mezzo al popolo di Dio.
UNO SCAMBIO
DI DONI
Oltre alla testimonianza di santità, se si vuole Servire insieme il Vangelo
è necessario che tra la vita religiosa e le chiese locali si attui un vero e
proprio scambio di doni. Per la vita consacrata ciò significa in concreto
diventare luogo di esperienza del sacro. In concreto ciò avviene, per esempio,
offrendo alla gente la possibilità di trascorrere giornate in comunità, di
condividere la preghiera…
Un altro campo di scambio è quello molto ampio della carità. Osserva il
documento: «La ricerca di Dio nella vita religiosa consiste nel non anteporre
nulla all’amore di Cristo e dei poveri. I religiosi compiono questo servizio in
un mondo in cui Dio e i poveri sono messi ai margini; essi mostrano la presenza
del Signore soprattutto nelle persone che soffrono e sono nell’angustia.
Mediante la cura delle persone che soffrono nel corpo e nello spirito, i
religiosi e le religiose di vita consacrata mettono in grado di percepire la
chiamata di Dio alla salvezza. È una missione a cui i religiosi si sono sempre
dedicati fin dagli inizi e che continuano a tutt’oggi negli ospedali, nella
case di accoglienza per anziani e in numerose opere di carattere sociale
tendenti a rispondere ai bisogni attuali, o nella cura e formazione dei
bambini e dei giovani, ecc. «Attraverso i loro centri caritativi e culturali,
rileva il documento, gli ordini religiosi hanno testimoniato in maniera
convincente il legame che esiste tra spiritualità e diaconia, tra formazione e
spiritualità. Il loro agire non è separato dalla loro ricerca di Dio nella
preghiera, nella liturgia e nella meditazione.
Di fronte alle nuove sfide che si profilano oggi nel campo sociale,
sottolinea il documento, non bisogna pertanto aver paura delle nuove aperture.
Diceva una fondatrice: «Siamo noi a dover adeguarci ai bisogni, non sono i
bisogni a dover adeguarsi a noi. Non dobbiamo avere nessuna paura dei
cambiamenti quando questi sono “necessari”. Anche se il numero dei membri
diminuisce e la continuazione di diverse opere sociali-caritative non sarà più
possibile, le congregazioni religiose possiedono tuttavia nei loro membri un
enorme potenziale nei loro carismi, doni e qualifiche. Questa convinzione
richiede alle comunità un cambiamento di prospettiva che parta dalla domanda:
“che cosa non possiamo più fare?” e giunga a quest’altra: “quali carismi ci
sono oggi dati per il servizio nella Chiesa e agli uomini?”».
Se si vuole che lo scambio di doni sia fruttuoso, sottolinea sempre il documento,
urge riscoprire i fondamenti teologici-pastorali del servizio. Ma è necessario
che sia la Chiesa, sia gli istituti religiosi abbiano a trovare di nuovo il
loro luogo in una società in cambiamento. Nuovi orizzonti si aprono nel servire
le persone nei loro bisogni. Il documento fra l’altro accenna alla cura degli
anziani e dei morenti, in particolare nel campo delle cure palliative negli
ospizi, all’impegno per la difesa della dignità umana, al servizio alle persone
che vivono nell’illegalità, ai senzatetto e ad altri gruppi marginali, e a
tutto il settore della promozione della donna… Occorre inoltre una presenza là
dove sembra che “non ci sia più niente da fare” e dove è necessario tenere viva
la speranza. Ciò richiede da parte dei religiosi e dei loro collaboratori di
vivere in maniera più semplice, meno sicura e più creativa… In una parola «le
comunità religiose, che trovano nell’incontro con i poveri un modo autentico di
vivere il loro voto di povertà, possono diventare per la chiesa locale e le comunità
cristiane una testimonianza profetica e suscitare un nuovo interesse che ha
significato non solo per il loro servizio sociale-caritativo, ma anche per la
loro vocazione e missione».
Il documento dedica quindi una lunga parte alla collaborazione nel campo
della pastorale vocazionale e accenna anche alla funzione che possono svolgere
le comunità religiose, comprese quelle monastiche. A proposito di queste ultime
è detto: «A contatto con la vita monastica, intesa come esplicito progetto di
vita comunitaria, coloro che sono in ricerca possono fare delle esperienze di
vita comunitaria ed essere iniziate a uno stile di vita cristiana comunitario e
a scoprire la loro vocazione oppure ad approfondirla. Di fronte a molte persone
spiritualmente in ricerca perciò i monasteri e le comunità di vita spirituale
trovano il loro compito nell’introdurre a un’esperienza di fede e a una
iniziazione cristiana quale non è più possibile trovare in famiglia, nella
scuola o nella parrocchia».
Fondamentale infine rimane per tutti la preghiera per le vocazioni.
Certamente osserva il documento, esiste una tensione insuperabile tra la
preghiera per le vocazioni e i progetti di pastorale vocazionale. Bisogna
tuttavia perseverare e comportarsi come diceva sant’Ignazio: «Confida in Dio
come se tutto dipendesse solo da te e non da lui; ma metti tutto il tuo impegno
come se tutto dipendesse non da te ma da Dio solo».
Nell’ultima parte il documento sottolinea che tra gli istituti religiosi e
i vescovi persiste una mancanza di conoscenza e suggerisce i vari strumenti e
le vie per riuscire a stabilire forme di dialogo e organismi che l’abbiano a
favorire. Il documento è comunque molto più ricco e articolato degli spunti che
qui abbiamo presentato. Ciò che ci pare comunque di dover sottolineare è che
tra i religiosi, le varie forme di vita consacrata e la chiesa tedesca c’è una
rinnovata volontà di collaborazione per rendere più efficace la comune missione
di servire insieme il Vangelo.
A.D.
1_Gemeinsam dem Evangelium dienen. Die Gemeinschaften
des geweihten Lebens in der Kirche.