IN AFRICA IL VII WORLD SOCIAL FORUM
LA SFIDA DI NAIROBI
Per troppo tempo e
ancor oggi molti guardano all’Africa come a un mondo da aiutare e la giudicano
un continente che non ce la farà. Ma non sarebbe ora che si cambiasse questo
stereotipo tanto paternalista quanto ingiusto? L’Africa può camminare sulle sue
gambe, solo che glielo si permetta.
Il World Social Forum (Forum Sociale Mondiale, FSM) di Nairobi, capitale
del Kenya, si è concluso da poco. Dopo le quattro edizioni di Porto Alegre in
Brasile, di Mumbai in India e, lo scorso anno, di Bamako, Karachi e Caracas in
contemporanea, quest’anno è stata la volta dell’Africa. Dal 20 al 25 gennaio vi
hanno preso parte 80.000 rappresentanti provenienti da movimenti, associazioni,
organizzazioni non governative, istituzioni ed enti d’Asia e del Pacifico,
d’America Latina e dei Carabi, d’America del Nord e d’Europa, per riflettere
insieme sulla situazione del mondo.
Lo hanno fatto nel contesto dell’Africa, un continente che spesso, anche
nei nostri ambienti ecclesiastici, è chiamato retoricamente “il mondo del
futuro”, mentre è un terreno di conquista, lasciato andare alla deriva, come ha
denunciato Giovanni Paolo II in Ecclesia in Africa (1996). Nairobi non è stata
scelta a caso: questa città, infatti, è il simbolo delle contraddizioni
africane nel mondo della globalizzazione. La sua popolazione vive per il 60% in
duecento baraccopoli attorno all’irraggiungibile city degli affari. E proprio
dalla baraccopoli di Kibera è partita la marcia che ha dato inizio al FSM,
mentre un’altra marcia, partita da Korogocho – un’altra nota baraccopoli – ne
ha concluso i lavori il 25 gennaio u.s., quasi a simboleggiare il cammino
dell’Africa. Questo è un continente di gente che cammina a piedi, e che dovrà
camminare ancora verso il suo futuro con i piedi dei poveri, se questi vorranno
essere, come devono, i soggetti e i protagonisti del loro sviluppo. Per troppo
tempo e ancor oggi, molti guardano all’Africa come a un mondo da aiutare e lo
giudicano un popolo che non ce la farà. Ma non sarebbe ora che si cambiasse
questo stereotipo tanto paternalista quanto ingiusto? L’Africa può camminare
sulle sue gambe, solo che glielo si permetta e che trovi dei paesi amici che
l’aiutano a percorrere la sua strada, e non invece dei briganti che – sotto
false sembianze di benefattori – approfittano della sua povertà per ridurla
nuovamente in schiavitù.
GLI OBIETTIVI
DI NAIROBI
Lotte delle persone, alternative delle persone, era il tema generale
articolato in altri sotto-temi attorno ai quali si concentrano da sempre le
campagne e le azioni di lotta del FSM in favore dello sviluppo di un mondo
altro. Al primo posto delle priorità la necessità di costruire un mondo di pace
e di giustizia, un mondo guidato da un’etica condivisa e dal rispetto per le
diverse forme di vita e di spiritualità. Questo tema si è poi diramato in molti
atelier di ricerca in altre direzioni, non meno rilevanti per il futuro
dell’Africa e del mondo: il dovere che il potere finanziario sia al servizio
dello sviluppo; l’accesso alle risorse comuni di tutta l’umanità, e anzitutto
all’acqua, che oggi viene sottratta alle popolazioni più povere per metterla in
commercio (gli africani che non hanno accesso all’acqua potabile sono 400
milioni su un totale di circa 890 milioni); l’impegno per ristabilire
un’effettiva uguaglianza dei sessi, il diritto al cibo, all’assistenza
sanitaria, alla casa, al lavoro per tutti… Niente di nuovo, ma tutto da fare!
L’obiettivo ambizioso del FSM di Nairobi è «costruire una società planetaria
che metta al centro la persona”», tema che richiama quello dato dal papa per la
Giornata della Pace di quest’anno: “La persona umana cuore della pace”.
A Nairobi si è parlato della cancellazione del debito (anche l’Italia ha
fatto un gesto!), della revisione degli accordi sul libero commercio e della
necessità di ridefinire compiti e modalità di intervento delle istituzioni
finanziarie internazionali, della lotta alle malattie endemiche e delle
rispettive medicine, denunciando come scandaloso non tanto il fatto che queste
malattie esistano e dilaghino (un fenomeno già per se stesso impressionante e
incredibile agli inizi del sec. XXI), ma che ci siano le medicine per curarle e
che i governanti locali in sintonia con il «sistema» occidentale, ne
impediscano la produzione nei paesi colpiti, soprattutto in Africa. Al riguardo
già nei primi giorni del FSM, si è levata la voce di Desmond Tutu,
l’arcivescovo sudafricano, Premio Nobel per la pace, teorico della
riconciliazione tra vittime e persecutori, che ha denunciato gli stessi paesi
africani di non stanziare nemmeno il 15 per cento del loro bilancio alla
sanità, provocando così 40 milioni di morti.
Un altro scandalo del mondo globalizzato denunciato dal FSM ed evidenziato
da un cartello visto per le vie di Nairobi nei giorni del FSM: “Fermate il
lavoro dei bambini, la scuola è meglio”. Parole sacrosante, che però nel mondo
del libero mercato e della concorrenza a oltranza, tipica della globalizzazione
non governata, restano solo delle parole, perché si dà il caso che i bambini
siano ottimi produttori a basso costo. Inoltre – difficile sintetizzare tutto –
un’ultima denuncia è venuta da Nairobi: la mancata fedeltà alle promesse e agli
impegni assunti dagli stati, in aiuto allo sviluppo del mondo dei poveri. Il
responsabile della campagna Obiettivi del terzo millennio, Salil Shetty, ha
puntato il dito anche contro l’Italia, rea di non adempiere all’impegno di
versare lo 0,70 per cento del suo PIL in favore dei paesi in via di sviluppo:
per ora non siamo arrivati che ad un misero 0,19.
UN ALTRO MONDO
È POSSIBILE
Come non rendersi conto che ci vuole davvero un altro mondo e che esso non
è solo possibile, ma necessario e urgente! Sono anni che il FSM lo ripete, ma
le sue proposte sembrano cadere nel vuoto. Anzi da qualche parte esse sono
guardate con sospetto, mentre si boicottano le denunce e si criminalizzano
coloro che le portano avanti. Se questo fatto è il segno del “dito nella
piaga”, tuttavia ritornare periodicamente su questi discorsi è frustrante e
scoraggiante. Certo è merito dei FSM ribadire le richieste che chiedono per
tutti i paesi la pari dignità nei negoziati mondiali e un’autentica reciprocità
negli impegni. Ma finché nei paesi poveri non crescerà la coscienza dei propri
diritti e la determinazione a fare tutto quanto è necessario per raggiungerli,
gli aiuti provenienti dai paesi ricchi – ammesso che effettivamente vengano –
non faranno cambiare la situazione. Lo ha detto molto chiaramente Arahn Sidibé,
un’africana del Mali che oggi insegna economia a Siena ed è portavoce del Forum
africano in Toscana: «Non si può trasformare un intero continente nei magazzini
generali dell’Europa e un miliardo di abitanti in semplici consumatori di merci
altrui». L’Africa – insieme con gli altri paesi esclusi dal tavolo delle
trattative del mondo – deve entrare come soggetto attivo nel mondo del
commercio e degli affari mondiali. Se resterà fuori, la sua assenza peserà
molto più della presenza. Questo è ciò che il mondo occidentale dovrebbe
capire.
Indubbiamente al FSM di Nairobi non sono mancate le contraddizioni. Mentre
si parlava di povertà e di esclusione, di sviluppo, di presenza dei poveri nei
consessi mondiali, il Kasarano Moi Center, sede del Forum, è rimasto sbarrato
per molti kenioti che, in un paese dove il 40% della gente vive con meno di due
dollari al giorno (ossia 1,5 €), non potevano pagare 500 scellini (€ 6 ca.) per
entrare nella sede del Forum. Ora, finché i poveri non saranno ammessi a queste
riunioni, poco o nulla cambierà. È lecito chiedersi, come il direttore
dell’International Presse Service, Mario Lubetkin, quali sono gli obiettivi
futuri del FMS. Certamente in questi ultimi anni esso ha mobilitato decine di
migliaia di persone in riunioni locali, regionali, nazionali e globali, ha
creato aspettative e speranze in milioni di poveri ed ha aperto prospettive di
rinnovamento a livello mondiale tenendo viva la speranza che “un altro mondo è
possibile”. Ma ora ci si deve chiedere quali saranno i passi necessari per
completare il discorso di Nairobi, e dove si terrà il nuovo appuntamento già
fissato per il 2009: «Nato non a caso in America Latina dove si lavora molto
alla base, il Social Forum è espressione di una realtà di base che a Nairobi
conta milioni di persone… L’edizione 2007 ha sottolineato l’importanza di
queste realtà rendendo gli abitanti degli slums soggetti attivi. Non ho dubbi,
dice l’amico p. Zanotelli, il prossimo Forum dovrebbe ritornare in Africa». Ciò
che effettivamente in Africa ancora manca o è insufficiente è proprio la
coscientizzazione delle popolazioni che rischiano di accettare la loro realtà
senza più reagire. È sintomatico che anche la Chiesa cattolica, che non brilla
per tempismo, ha deciso di tenere presto un altro sinodo per l’Africa a pochi
anni dal primo, perché queste riunioni sono necessarie per coscientizzare “in
diretta” la popolazione. L’Africa è la terra della parola condivisa, della
palavre: non sono i documenti che la cambiano, ma la concertazione, la
partecipazione e la comunione.
PIÙ INFORMAZIONE
E MENO SOSPETTI
Non si può concludere senza un’amara constatazione: del FSM i nostri mass
media quasi non se ne sono accorti. Le notizie relative al Forum ci sono state,
ma striminzite e relegate dopo la ventesima pagina dei quotidiani. Qualcosa di
più è stato possibile sapere via internet, il che giustifica uno dei cartelli
portati dai partecipanti nei festosi cortei dalla baraccopoli al centro di
Nairobi, che diceva: “Usare i media digitali per scambiare idee e cambiare le
menti”. In realtà i manifestanti del FSM, che dal primo loro convegno svoltosi
a Porto Alegre in poi sono definiti no global e che comunicano invece con il
mezzo più globalizzato, che è la rete internet, forse non dovrebbero essere più
classificati no global… Ma tant’è, si sa che il termine ha ormai un suo
contenuto criminalizzante (si ricordi Genova!). E sull’onda del termine e di
quello che esso evoca, il movimento no global si trova a essere comunque
emarginato, zittito e oscurato da coloro che lo confondono con i casseurs, gli
sfasciatutto.
È ormai uno slogan che le ideologie sono tramontate, ma non si dice che al
loro posto c’è un’altra ideologia per la quale il modello occidentale,
neoliberista e capitalista, è l’unico possibile e la sua cultura l’unica
valida, anche dove scardina le culture locali, la famiglia e la religiosità
popolare e dove ottunde la persona, con una dottrina materialistica da
esportare in tutto il globo; non si dice che questa nuova operazione ideologica
è stata caricata di un valore quasi salvifico e chiamata “esportazione della
democrazia”. Niente di nuovo, purtroppo. Siamo tutti spettatori di scenari di
esclusione, di guerre civili provocate, di massacri e di imbarbarimento
collettivo e stiamo pure avvertendo gli effetti che la deregulation
neo-liberale ha sulla natura che preannuncia catastrofi ecologiche planetarie
ormai percepibili. Meno male che anche il presidente Bush, cui è attribuita
quella dottrina, in questi ultimi tempi, pare se ne sia accorto, lui che finora
ha fatto strame del Protocollo di Kyoto!
Anche per questo motivo, la principale richiesta che raccogliamo
dall’ultimo FSM è: parlare dell’Africa. «La cattiva informazione è come una
bomba atomica – dice ancora la già citata Arahn Sidibé – perché, come diciamo
in Africa, solo chi ti conosce ti può essere fratello. Per questo è importante
raccontare l’Africa, spiegare perché milioni di persone ogni anno fuggono da
questo continente per arrivare in Europa e in Italia. Spiegare come gli accordi
economici imposti dall’Unione Europea ci uccidono, dire, ad esempio, come i
polli surgelati dell’Europa venduti sottocosto grazie ai sussidi riducono sul
lastrico le migliaia di produttori locali. Parlare delle basi militari che
Stati Uniti e Francia hanno in Africa, parlare dello sfruttamento ambientale,
della desertificazione irreversibile, del perché in Africa la globalizzazione è
presente solo per i suoi aspetti negativi».
Per concludere: ogni FSM rappresenta un’ottima occasione, non solo per
andare incontro all’Africa e agli africani prestando loro ascolto, ma anche per
riflettere su noi stessi e per sentire le nostre responsabilità, dato che siamo
una piccola parte di quel mondo che di fatto sta provocando la situazione
disperante che è sotto gli occhi di tutti.
Gabriele Ferrari s.x.